giovedì 19 dicembre 2013

Un Libro che insinua il Dubbio sull'esistenza storica di Gesù di Nazaret...

(dedico questo post ad Earl Doherty e Richard Dawkins, abili ad aprire gli occhi, non da ultimo i miei)

Recentemente stiamo assistendo a un risorgente interesse alla teoria del mito di Cristo. Nel 1971, George Albert Wells, un inglese, pubblicò il suo libro, The Jesus of the Early Christians. Da allora pubblicò altri libri sullo stesso tema. Wells più tardi, sull'onda dell'interesse per Q e la sua comunità, venne alla conclusione che ''alcuni aspetti di Gesù come descritto nei sinottici potrebbero ben derivare dalla biografia di un reale predicatore itinerante galileo''  (gli apologeti colsero ovviamente la palla al balzo, ignorando troppo velocemente che per Wells quell'ipotetico Gesù dietro Q non fu affatto il Gesù di Paolo). Nel 1999, Timothy Freke e Peter Gandy pubblicarono The Jesus Mysteries, dal sottotitolo inequivocabile ''Was the 'Original Jesus' a Pagan God?''. Pensano che Gesù fu modellato su una figura divina chiamata Osiride-Dioniso e che il cristianesimo iniziò con un culto misterico dove il significato simbolico era veicolato agli adepti in segreto. In qualche modo, i Misteri Essoterici finirono per essere presi alla lettera e il cristianesimo ortodosso fu il risultato.

Di tutt'altro tenore, decisamente più accademico, Thomas Thompson, un americano che è ora cittadino danese, ha pubblicato The Messiah Myth nel 2005. La sua tesi è spiegata dal sottotitolo: The Near Eastern Roots of Jesus and David. Il canadese Earl Doherty aveva già pubblicato The Jesus Puzzle, significativamente sottotitolato Did Christianity begin with a Mythical Christ?, nel 1999. Una versione ingrandita, Jesus: Neither God Nor Man - The Case for a Mythical Jesus, è pubblicata nel 2009. Robert Price ha pubblicato The Christ Myth Theory and Its Problems nel 2011. Infine, nel 2012, nel suo libro-memoria Beyond the Quest for the Historical Jesus: a Memoir of a Discovery, l'accademico cattolico Thomas Brodie ha dichiarato che ''Gesù non è esistito come individuo storico''.
Di tutti questi autori, solo gli ultimi quattro sono certamente degni di esser letti e riletti.  Doherty senza dubbio per la sua interpretazione del Gesù di Paolo e delle altre epistole del I secolo, che costituisce certamente un nuovo paradigma. Price, Thompson e Brodie certamente per il nuovo sguardo con cui guardare alla natura letteraria dei vangeli: in somma sintesi di cosa ha significato, almeno per me, questo significa essenzialmente andare a dettagliare minuziosamente tutti i modi espliciti ed impliciti che svelano  perchè ognuno dei quattro vangeli canonici sia un tesoro appena ritrovato pieno, denso di significato simbolico, invece che storico. Tra le mani ho allegoria, non storia. Simboli, non personaggi.

E per arrivare a questa conclusione non occorre essere miticisti, dato che da questo punto di punta un Price o un Thompson non sono che alcuni di quella fitta schiera di studiosi (penso a Rikki Watts, Thomas Brodie, Richard Carrier, Randel Helms, Dennis MacDonald, J. D. Crossan e altri) che hanno svelato definitivamente la natura allegorica dei vangeli, al di là delle sue implicazioni per quanto riguarda la storicità di Gesù, pur giungendo da premesse diverse.
Mentre ancora, alcune loro analisi sono così fredde, complicate e in certi punti di difficile lettura (penso soprattutto alla complessa opera di T. Thompson, The Messiah Myth [1], per certi versi indimenticabile appunto per la difficoltà e la profondità di certi passaggi, indice di profonda e rigorosa metodologia accademica), tuttavia anche a causa di questo sono indotto a guardare con occhi completamente diversi, e con profondo senso di umiltà, una disciplina fino all'altro giorno considerata altrimenti tremendamente invischiata, inquinata e soffusa di un pervicace spirito teologico e apologetico, per non dire ecclesiastico. Al punto che confrontando un libro del famoso Bart Ehrman (che pure si dice orgogliosamente ''agnostico'' e fa un motivo di vanto, al pari del nostrano Mauro Pesce, la sua ''denuncia'' dell'umanità e dei ''limiti culturali'' di Gesù e la sua sconnessione con la chiesa successiva) con l'opera di Thompson, sembra di scorgere tra i due la stessa differenza che corre tra il significato ottocentesco e positivista di ''scienza'' e il significato della stessa nell'accezione più raffinamente relativistica e post-moderna. Detto in altri termini, rispetto a Thompson, Ehrman figura ai miei occhi esattamente nello stesso luce negativa da quest'ultimo proiettata sul proprio passato di cristiano fondamentalista: Ehrman cioè, sembra lontano anni luce dalla verità scientifica a proposito dei vangeli nella medesima misura che separa lui stesso, Bart Ehrman, da quei cristiani fondamentalisti del presente che interpretano alla lettera ogni singolo versetto dei vangeli. Non si tratta di un limite fisiologico dell'esegesi di Ehrman, ma della indifferenza con cui ha trascurato troppo velocemente la seria metodologia di un Thompson o di un Brodie, indifferenza che si è trasformata in durezza ideologica appena ha intravisto da lontano le implicazioni di quella complessa ricerca (e perfino allora mancando di comprenderla veramente).

Per me leggere Price, leggere Thompson, leggere Brodie, leggere Watts, leggere MacDonald, leggere Helms -- e perfino allora non credermi per questo uno che sa tutto di tutto sull'argomento, nonostante la forte tentazione in tal senso -- ha significato sostanzialmente che la fabbricazione di storie nel mondo antico era davvero una pratica comune nella costruzione di biografie e racconti circa individui, usando come ispirazione ciò che si riteneva avessero detto quelli individui, o che ad un autore piaceva pensare che avessero detto, e copiando modelli ed elementi e temi da altre storie intorno ad altri individui; e che le antiche scuole letterarie insegnavano nello specifico ai loro studenti come fare questo nel modo migliore. E come risultato di quella ancestrale passione per la scrittura e la riscrittura creativa, numerose, elaborate 'biografie' furono redatte avendo ''di mira'' esclusivamente individui non-esistenti. Un Fatto che riduce significativamente il valore dei vangeli e delle loro eventuali fonti come conferma di un Gesù storico, fintantochè non si riesca a dimostrare, anche soltanto per pochi elementi nei vangeli, che non erano stati fabbricati per un conveniente obiettivo (letterario o teologico).

In estrema sintesi,
Ci potrebbe essere stata una persona chiamata Yehoshua bar Yosef nel primo secolo e i vangeli potrebbero aver costruito le loro storie su alcune delle sue attività, ma non possiamo basare una ricostruzione storica della sua vita sulle storie dei vangeli. D'altra parte, possediamo una considerevole quantità di dati primari (i vangeli e la letteratura parabiblica) e secondari (antica letteratura mediorientale  e greco romana) per trattare la figura di Gesù come una persona mitica.
La persona mitica di Gesù, creata dai vangeli, rappresenta un insormontabile ostacolo ad ogni conoscenza di uno storico Gesù. Se questa creazione sia basata su una reale figura storica è al di là del punto per lo storico di antiche mentalità. Questa non è una ricerca della fattività storica di un antico essere umano, ma piuttosto una ricerca storica di antiche visioni del mondo. Questo è cosa di cui abbiamo evidenza nella letteratura antica -- né più, né meno.
[2]
E quel che più conta, senza per ciò gridare alla cospirazione e alla menzogna (che al massimo venne dopo, molto dopo, quando il clima settario era tal punto surriscaldato, e gli interessi in gioco oramai così soverchianti come moventi degli attori coinvolti, da dar vita a quella odiosa, tendenziosa propaganda proto-cattolica del II secolo nota come Atti degli Apostoli) [3].

Il merito di Earl Doherty è a sua volta straordinario, e riguarda più precisamente l'analisi di Paolo e degli altri autori di epistole del I secolo.

Molte recensioni sono state date del suo studio e perciò rimando volentieri il lettore alla loro lettura. Dal mio modesto angolo di visuale, cosa posso dire, dopo aver letto il suo Jesus: Neither God Nor Man, è la testimonianza di un cambiamento. 




Se prima della lettura di quel libro mi sembrava naturale parlare di un
Gesù X,
al variare di X a mia o a tua scelta, dove cioè al posto di X puoi inserire a tua discrezione una qualunque delle seguenti, ipotetiche e pur plausibili ricostruzioni:
filosofo cinico
fariseo liberale
carismatico Hasid
rabbi conservatore
Iconoclasta anti-Torah
mago
esorcista
taumaturgo
zelota sedizioso
ribelle pacifista non violento
profeta apocalittico
proto-comunista ante litteram
femminista ante litteram
edonista
campione dei valori familiari
demolitore di famiglie
salvatore del mondo
salvatore di Israele (soltanto)
riformatore radicale
''di Gamala''
''di Nazaret''
ecc. ecc.
...ora, dopo la lettura di Doherty, si tratta di qualcosa che non mi è più possibile fare tanto facilmente e anzi tale operazione mi provoca immancabilmente una naturale resistenza o attrito a livello concettuale, per non dire a livello logico. Insomma, quasi come se si stesse parlando del ''cerchio quadrato'', dove il ''cerchio'' nella mia metafora geometrica è il solo nome ''Gesù'', mentre il ''quadrato'' è la X di cui parlavo, al suo variare. Insomma, uno di quei paradossi a cui ci ha abituato Escher:



Ma perchè non riesco più a digerire che si parli di un Gesù UMANO (quello descritto nei vangeli, per intenderci), prima ancora che si parli di un Gesù STORICO?

Prendo a caso una citazione di Doherty a spiegare la mia recalcitranza:
La storia raccontata nel vangelo di Marco  per la prima volta inizia ad emergere verso la fine del primo secolo EC. Tuttavia il fatto curioso è che quando ricerchiamo quella storia in tutti i documenti extra-evangelici scritti prima di quel momento, non la si trova da nessuna parte... Se ci dovessimo basare sulle lettere dei più antichi cristiani, come Paolo e coloro che scrissero gran parte delle epistole del Nuovo Testamento, saremo difficilmente indotti a trovare qualcosa che rammenti i dettagli della storia del vangelo. Se non leggessimo le associazioni del vangelo in cosa Paolo e gli altri dicono intorno al loro Cristo Gesù, non potremo neppure dire che questa figura, l'oggetto della loro adorazione, fu un uomo che è vissuto di recente in Palestina ed è stato condannato dalle autorità romane con l'aiuto di un'ostile establishment ebraico. [4]
Doherty dubita che il Cristo ''svuotato'' della sua Divinità di cui si parla nell'Inno ai Filippesi fece la sua apparizione sul pianeta Terra.
...Cristo Gesù, il quale, per essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinchè nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
(Lettera ai Filippesi 2:6-11)
Perfino Giacomo è chiamato ''il fratello del Signore'', non ''fratello di Gesù di Nazaret'': l'unico, flebile, desolato indizio pro storicità in tutte le epistole paoline. Di solito non immaginiamo affatto la pretesa avanzata in 1 Corinzi 9:1
Non sono libero?
Non sono apostolo?
Non ho veduto Gesù, il nostro Signore?
a significare che Paolo vide Gesù di Nazaret durante l'esistenza terrena di quest'ultimo. Piuttosto, è il divino, celeste Gesù che Paolo rivendica di aver visto con le sue sole forze. Di conseguenza, quella visione indipendente del Signore Gesù dev'essere stata più che sufficiente a qualificare come tali anche gli altri apostoli, compreso quel Giacomo, il ''fratello del Signore''.
Quando gli evangelisti portarono Gesù di Nazaret alla luce, dettero al Figlio un volto.
Nel periodo formativo del 1° secolo EC, quando nessuno storico Gesù era ancora entrato in scena, una ricca panoplia di fedi nel Figlio/Cristo/Salvatore stava fiorendo lungo la metà orientale dell'Impero romano, espressioni della nuova filosofia del Figlio intermediario, concependo diverse vie alla salvezza per suo tramite. Come nella maggior parte di questi scoordinati movimenti, forze centripete infine attirarono questa diversità in un comune polo centrale, e gli elementi più forti, più vantaggiosi e più attraenti costituirono sè stessi un nuovo centro, una nuova ortodossia. Questo sviluppo più tardo divenne poi lo standard con cui le più antiche manifestazioni furono valutate, e il presente fu letto indietro nel passato.
(pag. 279)
E anche assumendo che Gesù approdò sulla terra firma, ancora non si ha affatto la certezza di un Gesù storico dietro il Cristo di Paolo, ma al contrario si ha la stessa impressione che ebbe un miticista del passato, Edouard Dujardin (per certi versi, un precursore di un suggestivo miticista odierno, Roger Parvus): ovvero pensare che Paolo si limitò a intravedere un Gesù che discese sulla terra solo per breve tempo, mero fantomatico ologramma, e non nel corpo di una persona.
Può essere dimostrato che il Gesù di Paolo è un dio che prese l'apparenza, e solamente l'apparenza, di un uomo durante i pochi giorni che il sacro dramma durò. [5]

Non troviamo nulla in quelle epistole tranne l'astratta affermazione che Gesù fu crocifisso. La sola precisa indicazione è contenuta nella Prima Epistola ai Corinzi, ii. 8, nella quale leggiamo che Gesù fu crocifisso dai demoni. San Paolo parla incessantemente in tutte le pagine delle sue epistole della crocifissione di Gesù, e mai direttamente o indirettamente si riferisce agli attori che recitarono le loro parti nel dramma del vangelo; mai si riferisce all'intervento degli ebrei o dei romani; mai per un'istante evoca qualcuno degli episodi della Passione. San Paolo sapeva che Gesù fu crocifisso, ma fu totalmente all'oscuro che egli fu arrestato, che egli fu processato di fronte a uno o più tribunali, che egli fu condannato, e che la sua morte assunse la forma di una crocifissione legale. [6]
Sebbene il silenzio di Paolo potrebbe trovare altre spiegazioni (ma allora come spiegare il medesimo silenzio presente non solo nelle altre epistole ma anche nell'apocalitticamente polemico Libro dell'Apocalisse, dove l'odio verso il nemico settario & apostata arriva a tali vertiginose altezze metafisiche da richiedere necessariamente l'appello all'autorità di un Gesù storico che tarda puntualmente a sopraggiungere?), la visionaria, mistica qualità della sua testimonianza non inspira affatto fiducia nella sua veracità. Anche di Dioniso si disse che apparve nella carne. ''Io ho cambiato la mia forma dal divino all'umano''. Che non lo rende più storico.

Paradossalmente, l'unico limite del libro è che non raggiunge il suo scopo (dimostrare che Gesù non è mai esistito storicamente) proprio per eccesso di prove e indizi: confondendo argomenti forti contro la storicità con argomenti deboli contro la storicità, il '''cumulative case'' inteso fare dall'autore rischia di apparire un gigante dai piedi d'argilla. Il serio studioso Richard Carrier si ripromette allora di distillare a dovere, in un futuro libro intitolato ''On the Historicity of Jesus'' (che verrà pubblicato presso una prestigiosa casa editrice), gli argomenti veramente forti che puntano verso il Gesù mitico e contro l'ipotesi del Gesù storico, all'origine del cristianesimo, trascurando quelli deboli.

Un esempio di argomento debole fatto da Doherty è puntare (inutilmente) il dito sull'assenza del culto cristiano delle reliquie nel I secolo EC: gli ebrei si erano sempre rifiutati -- e tuttora si rifiutano -- di adorarle. L'argomento è chiaramente debole perchè a unicità del problema corrisponde unicità della soluzione proposta.

Basandomi sul solo libro di Doherty, posso scorgere da lontano un esempio di argomento forte a favore della teoria del Mito di Cristo: ossia il fatto che in Paolo il silenzio sul Gesù storico non solo è un mero effetto del Gesù considerato come una sorta di arcangelo celeste, interamente spirituale e mai vissuto di recente in Giudea, ma si tratta di una conseguenza addirittura logicamente implicata, dovuta, richiesta, necessaria, inevitabile, dell'ipotesi mitica. Laddove invece immaginare un Gesù storico dietro Paolo risulta essere un'ipotesi ragionevole SOLO A CONDIZIONE di particolarizzare forzatamente e inutilmente il quadro introducendo inevitabili spiegazioni e armonizzazioni e razionalizzazioni e giustificazioni ad hoc per motivare quello strano, profondo silenzio di Paolo sul Gesù storico. Per esempio:

-- Paolo non ne parlava perchè non ne era interessato (neppure quando la semplice introduzione del Gesù storico poteva rafforzare il suo punto?)

-- Paolo non ne parlava perchè ne era imbarazzato (e allora perchè il vero motivo di tale imbarazzo non spinge un Flavio Giuseppe a parlarne?)

-- Paolo non ne parlava perchè era tutto preso dall'incombenza imminente della futura Parusia (e perchè non dice mai esplicitamente che Gesù dovrà in futuro ritornare per la seconda volta sulla terra firma?).

E così via. Se per Paolo Gesù era solo un arcangelo celeste, il problema stesso del suo silenzio su Gesù non si pone, e quindi neppure si può parlare di ''silenzio su Gesù'' in Paolo. Il finto Problema diventa mero corollario logico della sua Soluzione.
Laddove il silenzio su Gesù diventa tale, e diventa un Problema, un Enigma da risolvere con disparate ''soluzioni'' di volta in volta diverse, più o meno astratte, più o meno raffinate, più o meno ricostruite a tavolino dallo studioso moderno, non appena si introduce sullo sfondo di cosa scrive Paolo il Gesù storico.

Cosa è preferibile, un'unica Soluzione che permette di dissolvere contemporaneamente le varie forme di uno stesso, unico Problema -- fino a renderlo non un problema, ma una necessaria conseguenza logica -- , o più soluzioni da apporre una per volta, come più segnalibri in uno stesso libro, accanto ad ogni puntuale insorgere del medesimo, costante Enigma, in tutta la vasta letteratura cristiana extra-evangelica del I secolo ?

La cosiddetta scuola radicale olandese (o Radikal Kritik), che oggi rivive grazie a Hermann Detering, sostiene che tutte le epistole sono dei falsi del II secolo. Sembra che la cristologia di Paolo infatti si adatti meglio a quella del quarto vangelo e degli gnostici e suggerisce un'origine nella fine del I secolo o all'inizio del II secolo. Se fosse vero, allora anche i vaghi riferimenti a Gesù nelle epistole non provano l'esistenza di  un Gesù pre-marciano, anche solo come idea. [7]

In questo semplice blog comunque non ho affatto la pretesa di disquisire su alcuni temi controversi di Paolo, perchè perfino sulla sua vera identità o sulla autentica natura, se più proto-gnostica o più proto-cattolica [8], della sua opera, non mi trovo affatto nella posizione di poter decidere, tantomeno di influenzare i miei lettori, e né ho ancora qualcosa che si avvicina ad un'opinione in merito. Se Paolo non è esistito, da questo non si può trarre la conclusione che anche Gesù non è esistito, seppure rimane una concreta possibilità. E se Paolo fu un proto-cattolico al 100%, da questo non si può trarre neppure la conclusione che allora Gesù fu esistito con probabilità più sì che no (per tacere ogni dubbio in tal senso basta far notare che il Paolo di Earl Doherty è, da questo punto di vista, esattamente il Paolo anti-gnostico del Consensus).

Sono propenso, per dirla tutta, a pensare che, perfino nell'ipotesi di una soverchiante manomissione ''da tutte le parti'' delle autentiche lettere paoline, nel caso peggiore la conclusione sarebbe -- come riconosce la Radikal Kritik, fare del Paulus Historicus nientemeno che Simon Mago (e preciso che non sto parlando del ''mostruoso alter ego'' del Paolo storico, ma dello stesso ''Paolo'' storico!): ebbene, perfino in quell'estremo scenario, la brillante ricostruzione storica proposta da un formidabile intelletto (mi riferisco allo studioso autodidatta Roger Parvus) comunque non vede alcuna necessità di spostare l'originario, primo autore delle Epistole nel II secolo, riproponendo dunque, in un quadro particolare, tutti i problemi e le questioni lasciati sospesi dal più noto e generale paradigma tradizionale, e che Doherty o Carrier si sono proposti di risolvere ipotizzando un originario Gesù mitico dietro il Gesù di Paolo (o chi per lui).

Preferirò, dunque, dare la mia risposta al perchè qualcuno avrebbe ''creato'' a tavolino la storia di Gesù, specificando fin d'ora che la linea da seguire personalmente  sarà innanzitutto la meno ''cospirazionista'' possibile, quella cioè che meno di tutte accusa gli autori del vangelo di aver ''mentito deliberatamente'' per malcelata volontà di predominio, perfino se il Gesù di cui parlano non è storicamente esistito, in ottemperanza al motto che fu di Baruch Spinoza, e che faccio mio:
...humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere: atque adeo humanos affectus, ut sunt amor, odium, ira, invidia, gloria, misericordia, et reliquae animi commotiones, non ut humanae naturae vitia, sed ut proprietates contemplatus sum...
(Spinoza, Ethica)

[1] Thomas L. Thompson, The Messiah Myth: The Near Eastern Roots of Jesus and David. London: Pimlico, 2007.

[2] Emanuel Pfoh, ''Jesus and the Mythic Mind'', in 'Is This Not the Carpenter?' The Question of the Historicity of the Figure of Jesus, edito da Thomas L. Thompson e Thomas S. Verenna, Copenhagen International Seminar (Sheffield: Equinox 2012), pag.86-87.

[3] non che ci sia ''qualcosa di male'' nel sospettare feroci lotte settarie darwiniane in proporzioni tali da determinare le forme attuali dei vangeli (che taluni etichetterebbero subito ipocritamente come cospirazionismo), tuttavia io ricorrerei a quella spiegazione solo in mancanza di altre, preferendo una comprensione dei vangeli che non vada ad antagonizzare i cristiani con soluzioni che saporano di complottismo: uno dei motivi per cui preferisco un Thompson ad un Price e ritengo The Messiah Myth, per certi versi, una doverosa lettura. Ma con un'opera fortemente ideologica e trionfalistica come Atti degli Apostoli, o come le Patorali, o il libro dell'Apocalisse, o lo strato più antico e giudeocristiano delle Omelie Pseudoclementine, è difficile non ''pensare a male'', cioè non vedere all'opera profonde lotte e divisioni settarie tra i primi cristiani: un fattore determinante nella rivalutazione complessiva dell'opera di Price.

[4] Earl Doherty, Jesus: Neither God Nor Man: The Case for a Mythical Jesus. Ottawa: Age of Reason Publications, 2009, pag. 1-2, mia enfasi.

[5] E. Dujardin, Ancient History of the God Jesus (London, Watts, 1938), pag.23.

[6] E. Dujardin, Ancient History of the God Jesus (London, Watts, 1938), pag.32.

[7] dubitare dell'esistenza di Paolo, come fa Thomas Brodie, è una tesi di cui continuo ostinatamente ad affermarne la serietà, anche se al momento sembra fare a pugni, se non altro, con la mancanza di una solida ricostruzione storica delle origini cristiane dei primi due secoli. Il problema è che l'unico dubbio sull'esistenza di Paolo è fondamentalmente un dubbio di natura letteraria, non teologica, cioè un dubbio generato da cosa Paolo ''dice'', non da come Paolo fu ''visto'' nelle fonti più antiche: le sue lettere, per Brodie, sembrano costruite artificiosamente per fare di lui un novello Mosè che trasporta i gentili nella terra promessa del Novus Israel, mentre per i critici radicali olandesi non c'è ''nessun autore, nessun'autorità, solo testi -- e infine neppure testi, ma frammenti'' (Price). Paolo non può essere inteso cioè come una sorta di arcangelo interamente celeste, al pari del suo Gesù, anche se, soprattutto prima dell'introduzione del Gesù storico,  il suo nome o la sua opera si sono altresì prestate validamente alla funzione di malleus haereticorum, al rischio di eclissarne, se non disintegrarne, per sempre l'effettiva, presunta storicità.

Quando interpellato sulla messa in discussione dell'originalità delle epistole paoline, Richard Carrier in più di un'occasione ha fatto capire che la cosa non gli interessa affatto, quasi a voler non tanto disprezzare quei dubbi, o quello che chiama l'approccio ''iperscettico'' di Detering e Price, ma ad essere tentato, se davvero dovesse venir anche solo ipotizzato che Paolo non scrisse neppure una delle lettere attribuitegli, di inchiodare al muro la sua professione di storico e di dedicarsi ad altra attività.
Ma alla fin fine trovo irresistibile la serrata logica del miticista Arthur Drews:
Se Paolo si riferisce nelle sue Epistole ad uno storico Gesù, quelle Epistole, portando il suo nome, non possono essere state scritte in alcun modo dallo stesso apostolo che fu convertito da Saulo a Paolo tramite la visione di Damasco. Infatti è inconcepibile che un individuo storico dovesse, così presto dopo la sua morte, venir elevato dall'apostolo alla dignità di un secondo Dio, un co-autore nella creazione e redenzione del mondo.
(A. Drews, The Christ Myth, 1910, pag.116)

Se le Epistole furono scritte veramente da Paolo, il Gesù Cristo che è una figura centrale in loro non può essere una personalità storica. Il modo in cui il presunto ebreo Paolo parla di lui è contrario a tutta l'esperienza psicologica e storica. O le Epistole Paoline sono genuine, e in quel caso Gesù non è una personalità storica; oppure lui è una personalità storica, e in quel caso le Epistole Paoline non sono genuine, ma scritte in un periodo molto più tardo. Questo periodo più tardo non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad elevare al livello della deità un uomo di tempi precedenti che fu noto ad esso solo mediante una vaga tradizione.
(A. Drews, The Witnesses to the Historicity of Jesus, pag.117, mia enfasi)

Robert Price, nel suo provocante saggio 'Does the Christ Myth Theory Require an Early Date?' (pubblicato in 'Is This Not the Carpenter?', vedi nota 5), obietta però alle ultime parole di Drews, a mio parere senza successo, pensando di aver
''...identificato pregnanti indizi di argomenti per la storica priorità del Mito di Cristo come attestato nelle epistole rispetto all'epica di Gesù incontrata nei vangeli, e questo a dispetto delle date relative o assolute dei vangeli ed Epistole.''
('Is This Not the Carpenter?', pag.116)
Qui non sono d'accordo col Professore del Johnnie Coleman Theological Seminary: se i vangeli venissero prima delle epistole, sarei semplicemente agnostico sulla storicità di Gesù, e non miticista.

[8] il libro di Elaine Pagels, The Gnostic Paul, dimostra davvero bene quanto ha più senso una lettura ''gnostica'' di certi punti enigmatici delle lettere paoline, al di là di ipotizzare un Paolo proto-gnostico o un Paolo proto-cattolico. Nelle parole della Pagels:
''Se l'apostolo fosse così inequivocabilmente anti-gnostico, come potevano rivendicarlo gli gnostici come loro grande maestro pneumatico? Come potevano rivendicare i suoi scritti come la fonte della loro antropologia, della loro cristologia, e della loro teologia sacramentale? Come potevano affermare di star seguendo il suo esempio quando offrono un segreto insegnamento di sapienza e gnosi ''agli iniziati''? Come potevano rivendicare la sua teologia della resurrezione come la fonte della loro propria teologia, citando le sue parole come conferma decisiva contro la dottrina ecclesiastica della resurrezione fisica?''
(Elaine Pagels, The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters, Philadelphia: Fortress Press, 1975, pag.10).

''Leggere Paolo in modo unilaterale -- come iper-gnostico o iper-ortodosso -- è leggere non storicamente, tentando di interpretare la teologia dell'apostolo in termini di categorie formulate nel dibattito del secondo secolo.''

(Elaine Pagels, The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters, Philadelphia: Fortress Press, 1975, pag. 164).
Una conclusione passibile certamente dell'accusa di eludere, forse ipocritamente, la questione, e tuttavia meglio così. Sia il lettore a giudicare.