venerdì 26 dicembre 2014

La Reductio ad Paulum come Unico Mezzo per vedere un Gesù “umano” altrimenti Mai Stato Sulla Terra


Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino
e ragionavo da bambino. Ma, diventato uomo, ciò che era da bambino
l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio,
in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia.

(Prima Lettera ai Corinzi 13, 11-12)


Nessuno sulla Terra può negare che il vangelo di Marco è un'allegoria della distruzione del Tempio nel 70 EC. Perchè quando Gesù muore, gridando ''Dio mio, Dio mio, perchè mi ha abbandonato?'' stavolta non si ode alcuna voce dal cielo, come fu al momento del suo battesimo oppure sul Tabor, ma il profondo silenzio è accompagnato da un'eclissi in pieno giorno che oscura tutta la Terra, paradossale antiriflesso del primo giorno della creazione narrato in Genesi, quando era invece la luce a fugare tutte le tenebre, e non il contrario.
Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.

(Genesi 1:2-3)

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.
(Marco 15:33)


Perchè, con la morte di Gesù, è il velo stesso del tempio a squarciarsi.
Esiste un legame tra la morte di Gesù e il velo del tempio che si squarcia, e quest'ultimo non rappresenta affatto, come è stato pensato per troppo, parecchio tempo (complice la banale ottusità dei folli apologeti cristiani), la scissione del cristianesimo dall'ebraismo, bensì la fine di ciò che dell'ebraismo costituiva la più forte ed intima essenza: il Tempio di Gerusalemme.
La crocifissione di Gesù - e per giunta una crocifissione romana - è imbarazzante, non sarebbe mai potuta essere un'invenzione dell'evangelista ''Marco'', mai e poi mai, se non fosse che era la stessa distruzione del Tempio così foriera di imbarazzo e di autentico orrore per il medesimo evangelista, da dover richiedere come spiegazione di quella distruzione, di quel silenzio di Dio di fronte al male, di quel secondo Olocausto ebraico (il primo lo attuarono i Babilonesi, il terzo i nazisti), la morte sulla croce romana dello stesso Figlio di Dio ''che salva'', ovvero la reinterpretazione della morte di Gesù in un contesto umano, con i romani a sostituire i demoniaci ''arconti di questo eone'' del mito originario. Perciò quel folle apologeta di Bart Errorman peccava di grosso quando pensava che il primo vangelo fosse una teodicea per razionalizzare l'evento storico altrimenti inspiegabile della morte di Gesù. Non era la morte del Figlio di Dio l'evento storico causa di dissonanza cognitiva da dover razionalizzare in forma poetica, ma la stessa distruzione del Tempio l'evento storico inspiegabile bisognoso di una teodicea nella crocifissione romana di Gesù.  Il male da curare era la minacciata estinzione della civiltà ebraica. La cura a quel male, dunque un mero strumento, era la raffigurazione allegorica della morte di Gesù su una croce romana. 

 L'errore di una lettura letteralista di ''Marco'' è scambiare il male con la cura e viceversa: i protocattolici (e i tipi alla Bart Errorman) credettero che la morte di Gesù fosse il male indescrivibile e inspiegabile e imbarazzante. Con la distruzione del Tempio nel caso peggiore solo la punizione divina per il deicidio ebraico e nel caso migliore solo un mero corollario da avvolgere all'elaborazione della morte di Gesù.

Così con la morte di Gesù sulla croce avviene quell'eclissi di Sole da lui profetizzata nel capitolo 13. Tutto il capitolo 13 di Marco è soddisfatto all'interno del singolo vangelo. ''Marco'' non era affatto un apocalittico fallito, nella misura in cui il suo Gesù aveva davvero azzeccato tutte le sue profezie all'interno della sua allegoria.
In quei giorni, dopo quella tribolazione, 
il sole si oscurerà, 
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

(Marco 13:24-25)


Nessun altro vangelo realizza questa teodicea meglio di Marco. Dunque questo ai miei occhi costituirebbe la prova più forte della priorità temporale del vangelo di Marco rispetto a tutti gli altri vangeli, a meno che il prof Vinzent non mi riserba sorprese nel libro sulla sua nuova datazione che sto leggendo.
E non è finita. ''Marco'' si inventò la morte di Gesù su una croce romana per spiegare che solo così Dio non era rimasto assente o indifferente rispetto alla crocifissione di tutto Israele in atto nel 70 EC. Dio aveva paradossalmente trionfato lasciando morire suo Figlio su una croce romana. La morte del ''Salvatore'' in persona (''Gesù'') sulla croce romana rappresenta la teodicea, perchè nella partecipazione al dolore storico di un popolo Dio stesso si era paradossalmente manifestato in soccorso al suo popolo addossando tutto quel dolore sul suo primogenito. Mentre nella Pasqua tradizionale ebraica che commemorava l'Esodo dall'Egitto era il primogenito del Faraone a perire (ed in ciò c'era il dito di Dio), ora invece, con questa nuova Pasqua, è il primogenito di Dio a dover morire fatalmente su un'umiliante croce romana, perchè solo così il Salvatore salva veramente il suo popolo, salvandolo definitivamente dal male della Guerra e dal peccato che quel male aveva provocato (non ultimo la pericolosa perdita della fede nella prima venuta futura di Cristo sulla Terra).
A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del bestiame.
(Esodo 12:24)

 L'imbarazzo della croce romana di Gesù è superato dal suo essere l'unica spiegazione possibile consentita dell'Olocausto di Israele perpretrato dai romani.
L'imbarazzo del silenzio di Dio nonostante il grido di disperazione di Gesù su una croce romana è superato in virtù del passaggio provvidenziale dello stesso primogenito di Dio attraverso le medesime disperazione e morte esperite da migliaia di ebrei durante il 70.

Ma chi è il primogenito di Dio che muore al posto dei primogeniti dei nemici di Israele, contro tutte le aspettative? È lo stesso Dio degli ebrei a dirlo, in Esodo 4:22:
Israele è il mio figlio primogenito.

Quindi l'umiliazione, il dolore, la disperazione, l'imbarazzo di Gesù su una croce romana è la stessa umiliazione, dolore, disperazione, imbarazzo di Israele durante la Guerra Giudaica.

Dunque il genio letterario di ''Marco'' è quello di aver fatto calare sulla Terra il mito originario del dio che muore e risorge, il Gesù di Paolo crocifisso dai demoni nei cieli inferiori sub-lunari, trasformandolo in una teodicea letteraria ad un male concreto che tormentava Israele.

Ma cosa poteva inventare ''Marco'' di un Gesù umano se quel ''Gesù'' umano prima della sua invenzione non esisteva affatto?
 

Esisteva un solo modo per avvicinarsi a riconoscere più da vicino quello che fino ad allora era stato sempre e solo figurato un essere celeste rivelatorio, dopo la sua morte e in un contesto totalmente celeste, a-storico e a-temporale. Esisteva una sola ''finestra'' che avrebbe offerto a ''Marco'' l'ispirazione necessaria a concretizzare come meglio poteva un essere mitologico la prima volta sulla Terra.

E quella ''finestra'' si chiamava Paolo. L'apostolo nelle sue lettere era giunto molto vicino ad identificarsi implicitamente con ''Cristo crocifisso'', prolungando nella sua carne il suo dolore. E questo al solo fine dichiarato di diventare anch'egli, e sul suo solco tutti i suoi seguaci, Figlio di Dio. Che per Paolo aveva un solo significato: diventare Dio.
 E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine [την αυτην εικονα], di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore. 
(2 Corinzi 3:18)

Partecipare della deità.

Dunque esisteva un canale bidirezionale a Dio e quel canale era il Gesù di Paolo.

Ma esisteva a sua volta un altro meno evidente canale bidirezionale allo stesso Gesù di Paolo, e quel canale, inutile dirlo, si chiamava Paolo.

Se Gesù viveva nell'uomo chiamato Paolo, l'uomo chiamato Paolo partecipava, in quella misura, della medesima essenza e divinità di Gesù.

Come il Cristo era un Alter Deus, un'ipostasi divina, un arcangelo, l'immagine di Dio, così Paolo era un Alter Christus, l'immagine del Figlio.

Per dirla in parole semplici, come Dio aveva rivelato la sua immagine nella persona del Figlio, così il Figlio a sua volta si poteva ulteriormente riverberare e catturare nella persona di chi lo aveva ''visto'', Paolo.

''Marco'' non doveva far altro che allungare la sua mano alle lettere di Paolo e sfruttare in questo modo la testimonianza dell'apostolo. Quelle lettere erano per lui tuttò ciò di cui l'umanità disponeva per vedere il volto del Figlio che in quelle lettere si era specchiato grazie al suo autore, Paolo. Perfino se la voce del Figlio si sentiva già nella Septuaginta.

Scrivere una biografia dell'Alter Christus, ossia di Paolo, era quanto di più vicino fosse possibile fare per scrivere una ''biografia'', in un contesto interamente umano e ''storico'', dello stesso Christus.

Questa è davvero, sia pure in forma embrionale, la prova finale della non-esistenza di Gesù: se ''Marco'' per sapere di un ''Gesù storico'' non ebbe altro di meglio da fare che ''vederlo'' in Paolo, se l'unico modo per catturare un'immagine il più possibile verosimile di Gesù era attraverso la persona di Paolo, la sua dottrina, la sua eredità letteraria, vuol dire che ''Marco'' non aveva nient'altro, nessuna fonte, nessun ricordo scritto o orale, a cui attingere e su cui appoggiarsi e appellarsi. E non aveva nient'altro perchè nient'altro, a quel punto, esisteva. Perchè non c'era mai stato un Gesù storico sulla faccia della Terra.

Se l'unico modo che hai per vedere l'originale è vederne la mera imitazione in uno specchio, significa che dell'originale sei sempre stato privo fin dall'inizio, non avendo nient'altro da osservare che il suo più pallido riflesso.

Il focus di Marco su Paolo, e solo sul Paolo storico, per riuscire a intravedere qualcosa che più rassomigliasse ad un Gesù ''umano'', è la conferma, la prova del nove, che Paolo non presupponeva, non poteva presupporre, nessun Gesù storico al di là del suo essere rivelatorio celeste e non letterale, del suo ''Cristo in me''. ''Marco'' è la prova indiretta che nelle lettere di Paolo non c'era nessun Gesù storico.

Se per vedere l'osservato (il Gesù storico) sei costretto a vedere e a descrivere solo l'occhio di chi lo osservò (Paolo) allora significa che quell'occhio non vedeva altro se non ciò che sembrava sempre guardare fin dall'inizio (il Gesù celeste, mai sceso sulla Terra).


 


Che Marco è pura invenzione non prova che Gesù non è mai esistito.

Che Paolo sembra guardare e presupporre solo un Gesù celeste non prova che Gesù non è mai esistito.

La prova che Gesù non è mai esistito è che Marco, sul punto di introdurre un Gesù storico, di nuovo e ancora di nuovo parla allegoricamente solo di Paolo, perciò confermando che il solo canale per vedere Gesù era stato da sempre unicamente l'insieme delle rivelazioni e delle allucinazioni dell'uomo chiamato Paolo. Non esistevano, oltre quelle, altre fonti di informazioni circa l'entità Gesù. L'unico motivo per cui non esistevano è perchè l'uomo Gesù non era mai esistito sulla faccia della Terra.

mercoledì 24 dicembre 2014

Il Segreto di Simon Mago


...e che nessuno degli arconti di questo eone ha conosciuta. Perchè, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
Paolo, l'Apostolo nella Prima Lettera ai Corinzi 2:8.

È soltanto secondo la loro vista e il loro pensiero che io ho sofferto, affinché non andasse perduta alcuna parola, a loro riguardo. Questa mia morte che essi pensavano fosse avvenuta, avvenne su di loro. Nel loro errore e nella loro cecità, inchiodarono sulla croce il loro uomo; così lo consegnarono alla morte. I loro pensieri non mi vedevano: essi erano sordi e ciechi. Facendo questo, essi condannarono se stessi. In verità, costoro mi videro e punirono. Non io, ma il loro padre, fu colui che bevette il fiele e l'aceto. Non io fui percosso con la canna. Era un altro colui che portò la croce sulle sue spalle, cioè Simone. Era un altro colui sul cui capo fu posta la corona di spine. Io, nelle altezze, mi divertivo di tutta l'apparente ricchezza degli arconti, del seme del loro errore, della loro boriosa gloria. Ridevo della loro ignoranza. 
Ridussi a schiavitù tutte le loro potenze. Allorché io discendevo, nessuno, infatti, mi vide. Poiché mutavo i miei aspetti esteriori, cambiando da una forma a un'altra forma. Quando giunsi alle loro porte assunsi le loro somiglianze. Le attraversai tranquillamente, guardai i luoghi, ma non provai alcun timore né vergogna, perché ero incontaminato. Parlai con i prigionieri, mi mescolai con essi attraverso coloro che sono miei, calpestai quanto li tormentava, e spensi il fuoco e la fiamma. Tutto ciò lo feci di mia volontà adempiendo il volere del Padre che è in alto.

Il Secondo Trattato del Grande Set, testo gnostico di Nag Hammadi.
“So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo.
Paolo, l'Apostolo nella Seconda Lettera ai Corinzi 12:2.  

“Quella infatti, ch'io ho manifestato è la nuova e perfetta camera nunziale celeste a tre locali. ... Passeranno senza paura attraverso ogni porta e saranno perfetti nella terza gloria. Il mondo non accolse la mia ascesa nell'altezza rivelata, il mio terzo battesimo in una immagine manifesta. ”
Il Secondo Trattato del Grande Set, testo gnostico di Nag Hammadi. 

“Menandro, anch'egli un Samaritano...un discepolo di Simone... Tutti coloro che seguono le opinioni di quelli uomini, sono come abbiamo detto prima, chiamati Cristiani...” 
Giustino Martire, Prima Apologia, capitolo 26, 155 EC.


“Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?» Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato…” 

(Giovanni 8: 48-49) 

Una sintesi di una opinione ebraica di Gesù nel 200 EC circa: “Figlio di un falegname o di una prostituta, profanatore del Sabato, un Samaritano ed un indemoniato...” 
(citazione di Tertulliano da ‘Jesus the Magician’, pag. 80, di Morton Smith) 

          “Egli di certo non svelava ai molti quel che non apparteneva ai molti, ma ai pochi ai quali sapeva che appartenevano, coloro che erano capaci di ricevere e di essere plasmati secondo loro. Ma cose segrete sono affidate alla parola, non alla scrittura come nel caso di Dio.
Clemente di Alessandria (‘Stromata’, 210 EC). 


“...che certe dottrine non rivelate alla maggioranza sono ottenute dopo quelle pubbliche non è unico soltanto all'insegnamento dei cristiani, ma anche a quello dei filosofi per i quali alcune cose erano dottrine pubbliche, ma altre private.”
Origene (Contra Celsum, 1.7, 248 EC). 



Roger Parvus è l'unico, formidabile studioso degno da leggere tra coloro che propongono un radicale scenario alternativo e tuttavia molto plausibile e in una parola scientifico, identificando nel Gesù dietro il primo vangelo lo stesso uomo che fu chiamato Paolo, vale a dire Simone di Samaria, meglio conosciuto come Simon Mago.

Rimando il lettore alla serie di post scritti da Roger che Neil Godfrey, riconoscendone l'intrinseca qualità, ha voluto pubblicare sul suo blog.

Sono troppo modesto per darne una recensione. Dirò solo che, da parte mia, i suoi post mi sono serviti ad insinuare sani dubbi, più che certezze.

Non saprò mai con certezza se il Paolo storico fosse o meno Simon Mago, eppure riconosco l'intrinseca serietà di chi propone quell'associazione. 

Però voglio approfittare per dire perchè io non appartengo a coloro che, come Roger ma purtroppo senza condividere il suo senno, la sua acutezza di giudizio e la sua profonda umiltà, preferiscono indagare nel mistero facendo associazioni irrazionali a destra e a manca e soffrendo di una parallelomania disgustosa, oltre che mostrando un'ignoranza spaventosa del I secolo. Il lettore probabilmente sa a chi mi riferisco, ma non voglio parlare di chi è fondamentalmente non-scientifico ma solo un pessimo idiota della peggior specie.

Per dirla in breve, a me non interessa sapere chi si nasconde dietro chi o dietro cosa. Riconosco che Simon Mago potrebbe essere un valido candidato per il Paulus Historicus e, in quella misura,  pure per lo Jesus Historicus.  Esiste sempre la possibilità che gli inventori dell'allegoria avessero un personaggio reale in mente quando fabbricarono la loro allegoria. Ma la possibilità di tale possibile personaggio storico è esclusa dal fatto che se tutti i primi cristiani, ortodossi e non, si sentirono in impellente necessità di basarsi su quell'allegoria per insistere sulla storicità di quel personaggio - E SOLO SU QUELLA -, allora questo vuole dire solo una cosa: che non avevano altre prove a cui appellarsi della sua esistenza, perchè quelle prove probabilmente non esistevano, e non esistevano perchè quel personaggio non era mai esistito (a meno che non fosse esattamente l'uomo chiamato Paolo, ma questo rimarrà per sempre solo un'ipotesi: niente più).

Per quel che mi riguarda, io mi concentro solo sul Gesù dei vangeli, che considero un personaggio totalmente fabbricato e inventato.



E non solo questo. Perchè così mi sto limitando a illustrare solo la mia pars destruens, il mio inguaribile scetticismo. A me interessa dimostrare che la creazione del primo vangelo, al di là di chi fu il primo a scriverlo (perchè anche questo è un mistero impenetrabile [1]), al di là di quando fu scritto, se nel I o nel II secolo (perchè anche questo è un mistero indecifrabile [2]), e il processo che scatenò fu l'effetto di una causa piuttosto che di una scelta imprevedibile da parte di uno o più autori.
Pensateci: la Guerra Giudaica, non importa se la Prima (I secolo) o la Seconda (II secolo), costrinse un seguace di Paolo (non importa se ''Marco'' o ''Marcione'') a scrivere una teodicea in risposta all'Olocausto in atto della cultura e della civiltà ebraiche alla quale egli in fondo si sentiva di appartenere. Come ogni teodicea che si rispetti, l'enfasi va data sul Male che si intende curare. Quel Male era individuato, secondo il mito originario, nella crocifissione di Gesù nei cieli inferiori. Dunque quella crocifissione doveva diventare ancora più drammatica dal momento che doveva essere resa in qualche modo un'allegoria della Guerra Giudaica. Il vangelo di ''Marco'' fu il modo [3]. Ecco perchè Marco insiste sulla crocifissione di Gesù. Non soltanto perchè Paolo scrisse di essere anche lui crocifisso ''con Cristo'': quello fu solo l'ennesimo pretesto letterario, sul solco di fare di Paolo la principale, accettabile controfigura di Gesù nell'allegoria. Ma la vera CAUSA di così tanta enfasi su un fatto così grottescamente imbarazzante come la crocifissione (più imbarazzante di quanto fosse la castrazione del dio che-muore-e-risorge Attis per i greci) fu che erano gli ebrei in massa ad essere crocifissi dai romani. Nella realtà storica. La sola realtà in grado di vedersi dietro il primo vangelo.

Ecco perchè il mio interesse si concentra, per quanto riguarda il vangelo, solo e principalmente su quell'aspetto: la relazione di causa ed effetto tra la Guerra e il primo vangelo.

Subito dopo, in ordine di priorità, viene l'analisi degli strumenti che il primo evangelista aveva per istanziare quella relazione. Gli strumenti in sua mano erano solo: la Septuaginta, Omero, Flavio Giuseppe (forse), Paolo e naturalmente la sua pura immaginazione.


Cosa rimane allora di buono da attingere dalla profondità del Parvus-pensiero?

Soprattutto un aspetto, sulla soglia del più grande mistero.

Sapere in che misura il primo vangelo, come allegoria, fu venduta come tale e poi equivocata come Storia, oppure in che misura fu venduta fraudolentemente come ''Storia'' pur sapendola completamente allegoria dall'inizio alla fine.

Questa è un'analisi difficilissima. La più difficile di tutte. Al limite dell'inverificabilità più assoluta.

Ma credo che l'intera faccenda può essere andata veramente solo con uno dei due seguenti esiti:

1)
chi scrisse l'allegoria non fece mistero di star scrivendo un'allegoria. Poi per errore quell'allegoria fu presa come Storia.

2) chi scrisse l'allegoria rivelò sin da subito solo alla sua cerchia di insiders la chiave dell'allegoria ma non agli hoi polloi.

 Ciascuno di essi si applica a chiunque scrisse il primo vangelo. Un altro mistero è allora il seguente: i proto-cattolici, ovvero i nemici di Marcione, almeno i più colti tra loro, cosa sapevano? Erano davvero così idioti da bersi loro stessi l'allegoria che erano colti sul fatto a vendere ossessivamente come Storia? Questa potrebbe essere una seria possibilità. Ad esempio, così R. G. Price (non Robert):

Volevo sottolineare un passaggio(scritto male) del pezzo che penso davvero catturi come il caso che sto proponendo è più circa semplicemente un cambio di prospettiva che un totale revisionismo della nostra comprensione delle origini cristiane:

"Le due ipotesi principali che i primi apologeti cristiani hanno fatto erano

1# che ciascuno dei quattro vangeli sono stati scritti in modo indipendente, e

#2, che le correlazioni tra i Vangeli e le Scritture ebraiche erano la prova del compimento profetico.

Quello che era successo era invece che le allusioni letterarie nelle storie evangeliche non furono interpretate come allusioni letterarie, ma come resoconti di eventi del mondo reale che in realtà corrispondevano perfettamente alle cose scritte nelle scritture ebraiche. Il fatto che queste cose erano attestate in quattro separati resoconti ''indipendentemente scritti'' era l'''evidenza'' che convinse loro, e parecchi altri, che i vangeli dimostravano, con "solida sostanziata dimostrazione", che questo individuo, Gesù, aveva realizzato antiche profezie. Se ciò fosse vero, la logica così proseguiva, allora questo era solida evidenza della divinità, in effetti la prova più solida che mai fosse stata stabilita.

Ma, come si può vedere, l'intero ragionamento cade a pezzi, quando ci rendiamo conto che le cosiddette "profezie" sono in realtà solo allusioni letterarie, e che esse sono attestate nei quattro resoconti, perché gli altri autori avevano giusto copiato dalla prima storia. È un pò come vedere come è fatto un trucco di magia. Cosa apparve completamente miracoloso e sorprendente sotto una serie di ipotesi errate si rivela avere una spiegazione molto semplice e mondana. No, i quattro vangeli non corroborano a vicenda miracoli e adempimento di profezie, sono semplicemente diverse copie di una storia di fantasia. Ops ... Parlare di un semplice equivoco che cambiò il corso della Storia ..."


Il punto però che potrebbe sfuggire a questa analisi è che lo stesso numero 4 dei vangeli spacciati per ''indipendenti'' dai protocattolici aveva in sè un forte significato allegorico numerologico: 4 è l'unico numero da poter opporre al numero 1 come emblema dell'unica e rotonda Verità. Dunque perfino chi scelse i 4 vangeli come canonici era a sua volta uno che ''la sapeva lunga'': sapeva che tale scelta era arbitraria. Ma credeva davvero all'indipendenza di quei 4 vangeli da lui estrapolati dal diluvio di vangeli che furono scritti in reazione al primo? Può darsi di sì. Tutto dipende da che distanza temporale poni tra la scelta canonica dei 4 e la stesura del primo vangelo. Se accorci quella distanza (come sarebbe il caso nel suo estremo possibile scenario, con Marcione l'autore del primo vangelo), allora i protocattolici che reagirono contro Marcione creando i 4 canonici erano tutt'altro che idioti. Se allunghi quella distanza (come sarebbe il caso supponendo ad esempio ''Marco'' addirittura prima del 70 EC), allora i protocattolici, e Marcione stesso, erano tutti quanti totalmente buggerati: vittime di concezioni errate.

Dunque ripeto la domanda: cosa sapevano davvero i protocattolici?

Ciò che attira la mia attenzione al momento però è l'assoluta idiozia dell'interpretazione cattolica della Guerra del 70:
quella Guerra sarebbe stata provocata da Dio giustamente perchè Gesù detto Cristo giustamente aveva predetto che i deicidi avrebbero fatto tutti quanti una brutta fine nell'arco di tempo della sua generazione. Addirittura perfino il grande Giuliano l'Apostata fu così idiota da credere che ricostruendo il Tempio avrebbe smentito i vangeli! Ma il punto che sfuggiva a Giuliano, come pure a tutti i boccaloni protocattolici, era che il primo vangelo fu scritto proprio come teodicea alla distruzione del Tempio!!! A onor del vero Giuliano però aveva capito almeno come debunkare, in virtù del suo potere di imperatore, il bacillo contagioso del morbo cattolico: prendi alla lettera il vangelo, ricostruisci il Tempio a Gerusalemme, e quel bastardo mentecatto del Galileo sarebbe stato smentito per l'eternità!

L'ironia della Storia qui è che l'autore del primo vangelo, che vedeva nella distruzione del Tempio il Male Assoluto dei suoi giorni, il proprio Olocausto storico, la crocifissione di tutto Israele, sarebbe stato ad un passo dall'ottenere, grazie nientemeno che a Giuliano l'Apostata (!!!!!), il rimedio concreto, e non allegorico-spirituale, a tutti i suoi problemi che l'assillavano!

Robert Price è un grande studioso che forse potrebbe aver visto giusto dove tutti gli altri miticisti hanno perfino mancato di vedere, impegnati come sono a seguire i folli apologeti dove questi ultimi vogliono portarli accecati dalla loro ridicola fede, ovvero ad accettare passivamente una data più antica possibile nel I secolo per i primi vangeli (come se la fiction dovesse soltanto in virtù di questo diventare meno fiction!). 
Secondo il prof Price, il processo di storicizzazione di un Gesù originariamente mitico fu tutto un fenomeno del II secolo inoltrato, addirittura nemmeno Marcione lo inaugurò, ma i successivi protocattolici e marcioniti. Storicizzazione qui è sinonimo di istituzionalizzazione, di Reductio ad Unum, ma Price è tanto accorto da notare che il marcionismo al suo esordio, col primo canone del Nuovo Testamento, rappresentò già di per sé una forma seppure embrionale di ''addomesticamento del simonianismo'' (per Price i simoniani erano i paolini). Chi vuole istituzionalizzare avrebbe tutto l'interesse a suonare ieraticamente dogmatico come sottile forma di persuasione. Per Price (anche se non si esprime espressamente così, ma è Roger a sottolinearlo), Marcione sarebbe stato come Joseph Smith: un imbroglione (anche se Price lo ritiene tale non perchè aveva scritto il primo vangelo ma poichè fu lui l'autore della Lettera ai Galati spacciandosi per il Paolo storico). Per questo Parvus è riluttante, dato il suo estremo rispetto per la profonda onestà e bontà di Marcione, a concedere a Marcione la paternità del primo vangelo. Il problema è che se togliamo tutte le porcherie interpolate quali sono il Testimonium Taciteum e i  Testimonia Flaviana e le false lettere di Ignazio, la prima manifestazione di un sincero quanto ingenuo dogma di fede storicista in Gesù l'uomo lo troviamo, se escludiamo dal conteggio Marcione, per la prima volta in Giustino.

In pieno II secolo inoltrato.

 
 
Roger sostiene che il vangelo di Marco fu venduto sin dal primo giorno come Storia, anche se solo i simoniani sapevano che era tutta una burla.

Lo storico indipendente Richard Carrier non si preoccupa di indagare chi, quando, dove e perchè scrisse il primo vangelo, preoccupandosi solo di dimostrare che è tutto una pura invenzione - perchè quello è ciò che crearono. Capisco che Richard, per rendere la sua dimostrazione la più elegante e convincente possibile, ha interesse a semplificare la questione concedendo qualunque datazione i folli apologeti preferiscono per il primo vangelo. Però io sono proprio curioso di sapere chi fu l'imbroglione, in definitiva. Marcione? O un paolino prima di lui? Chi devo incolpare della più grande truffa, o del più grade equivoco, della Storia? Un ''eretico'' desideroso di addomesticare gli ''eretici'' prima di lui, ovvero Marcione? Oppure un mero seguace di Paolo del I secolo?

La risposta ha conseguenze colossali per il giudizio sul cristianesimo attuale. Perchè un conto è inventarsi una storiella che altri per errore prenderanno per verità storica; mentre è tutto un altro paio di maniche l'associazione di quella storiella alla stessa volontà istituzionalizzante e addomesticatrice che avrebbe a lungo termine partorito la Grande Chiesa.




 

Neil Godfrey: Roger, penso che sto cominciando a capire come una studioso del Gesù storico debba sentirsi quando si confronta con il miticismo. Cosa succede a tutti i miei libri preferiti sul vangelo di Marco che discutono le sue dimensioni letterarie e teologiche e di origine se il vangelo è ciò che tu pensi che potrebbe essere?

Roger Parvus: Posso capire quella sensazione. Io stesso mi sento un pò come se fossi stato "fatto", se mai si dovesse stabilire che UrMarco non era nemmeno scritto per uno scopo serio; che era solo stato composto per essere un divertente enigma simoniano. Naturalmente, anche in questo caso molte delle intuizioni dei libri che sono stati scritti su UrMarco sarebbero ancora utili. Infatti l'enigma - se enigma doveva essere - è stato abilmente rivestito dal suo autore. E, per quell'analisi, molti libri conserverebbero ancora qualche valore.

     Ma, sì, ciò sarebbe sicuramente una delusione. E io vorrei quasi desiderare una sorta di giusto aldilà dove l'autore di UrMarco potrebbe essere condannato a cantare ad nauseam quella malinconica canzone degli anni 60 dei Bee Gees: "Raccontai una barzelletta che tutto il mondo scoppiò a piangere".
(mia libera traduzione da uno scambio di commenti di Vridar)

 

[1] un possibile candidato è Marcione. Un altro possibile candidato sono i simoniani.

[2] sebbene personalmente sono più incline a volere la sua origine prima del 70 EC (o comunque a ridosso del 70 EC), tuttavia ci sono plausibili ragioni per spostare nel II secondo la creazione del primo vangelo.

[3] ammettendo che il vangelo di Marco fosse il primo vangelo. Ma la stessa analisi si applica anche a Mcn qualora il vangelo di Marcione fosse stato il primo ad essere scritto (un'idea piuttosto plausibile).

martedì 23 dicembre 2014

Perchè Marco Polo è meno evanescente di Gesù (anche se non si recò mai in Cina)

 
 Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di Persia e di Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.  Ma io voglio che voi sappiate che poi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dí d'oggi, né cristiano né pagano, saracino o tartero, né niuno uomo di niuna generazione non vide né cercò tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo.
(incipit de Il Milione di Marco Polo)

«Non ci sono in realtà elementi per stabilire una verità definitiva. Fino a questo momento i principali indizi che Marco non sia arrivato fino a Pechino si sono basati sullo studio del testo del Milione. Da archeologi, noi siamo andati alla ricerca del dato materiale, cioè di prove concrete di quel viaggio. E proprio quanto emerso nel corso della nostra missione archeologica mi fa dubitare di quei racconti».
(Daniele Petrella, archeologo dell'Università di Napoli, in un'intervista su Focus Storia)



Il lettore può intuire che mi piace la Storia. Tutto quanto sa di vecchio, muffa e ragnatele, risveglia la mia curiosità. Così, mi piace guardare di tanto in tanto documentari su personaggi storici, su culture ed eventi. Recentemente ne ho visto uno su Marco Polo. In realtà avevo letto da piccolo il Milione di Marco Polo, ma stavolta a suscitare il mio interesse è stato il paragone affascinante che mi è balenato in mente: Marco Polo è il Gesù degli esploratori. Cosa voglio dire? Beh: a quanto pare, non vi è nessuna prova del viaggio di Marco Polo in Cina come non ve n'è nessuna della storicità di Gesù (che è chiamato Cristo).


I lettori già sanno che io mi colloco fermamente nel campo di coloro che ritengono Gesù una pura invenzione


Mentre stavo guardando il documentario su Marco Polo, mi ha colpito avanzare un paragone tra la presunta storicità di Marco Polo e quella di Gesù. Certo, non avevo mai letto la storia di Marco Polo prima, ma son sempre stato del resto dell'idea che il Milione fosse tutta farina del suo sacco.  Mi ero sbagliato!


Quindi cosa che sappiamo di certo su Marco Polo? Pare che un tizio di nome Marco Polo fosse vissuto a Venezia nel 14° secolo, che morì nel 1366, che lasciò un testamento e un elenco di beni. Questo è tutto. Allora, da dove proviene questo racconto fantastico sul suo viaggio mercantile di andata e ritorno attraverso Medioriente, Cina e Mongolia?  Bene: "abbiamo questo libro ...". Nient'altro. Suona familiare?

Un'altra roccia apparente, un'altra sabbia, di fatto.



Solo intorno al 1400 apparve un libro che descrive le avventure di Marco Polo, che traccia i suoi viaggi per tutta l'Asia e che narra di tutte le gesta incredibili compiute prima di tornare a Venezia. Il libro pretende di essere stato scritto da Marco Polo stesso, ma non c'è nessuna prova che lo confermi. La prima copia conosciuta risale al 1400 circa, la bellezza di almeno 34 anni dopo la morte di Marco Polo. Così sappiamo che lui, Marco Polo, *non ha scritto* il Milione. Suona familiare?



Non è finita: il libro presenta gli stessi, precisi problemi che affliggono la Bibbia. Nel 14° secolo, l'unico modo per copiare un libro era a mano. Questo significava che gli scribi avrebbero dovuto trascorrere settimane intere a scrivere il libro con tanto di penna e inchiostro, spesso illustrandolo con splendidi dipinti e raffigurazioni. L'altra cosa che gli scribi avrebbero potuto compiere fu abbellire il testo. Quindi non c'è modo di sapere se qualcosa è stato aggiunto o sottratto al manoscritto originale.



Eppure noi sappiamo con certezza che qualcosa è stato aggiunto all'originale, dal momento che ora ci sono più di 100 versioni del libro ''Il Milione'', e quelle più recenti sono spesso molto più grandi rispetto alle versioni precedenti. La descrizione di una città cinese presente in un punto della versione più antica è diventata tre volte tanto nella versione del 1930 della stessa descrizione. L'integrità del testo è in qualche modo andata perduta. Suona familiare?



Anche se potremmo gradire la storia per il valore che possiede, ci sono altri problemi con il racconto. Ci sono descrizioni di persone e di creature che sono ovviamente fantastiche, come esseri senza testa i cui volti sporgevano dai loro petti, una creatura che era in parte umana ed in parte unicorno e illustrata con tanto di pelliccia blu-viola, senza menzionare i draghi.  Suona familiare?



E se ci limitassimo a guardare solo le versioni precedenti, almeno quelle più pure? Almeno quelle storie suonano più credibili? Si potrebbe pensare così, se non fosse per il fatto che non c'è assolutamente nessuna prova che qualcuna delle avventure di Polo fosse accaduta. Non abbiamo motivo di credere che il Marco Polo che sappiamo essere esistito lasciò mai Venezia. Alcuni hanno puntato il dito alle merci elencate nei suoi possedimenti, che dovevano provenire dall'Asia, come sete e in particolare una quantità di rabarbaro, ma altri fanno notare di converso che i mercanti al tempo non dovevano recarsi necessariamente in Cina per ottenere quei prodotti.


In realtà, Venezia era una città abbastanza cosmopolita
da poter permettere tranquillamente a Marco Polo di acquistare quei beni  all'interno della città senza per questo doverla mai lasciare. Se il vero Marco Polo storico fece qualche viaggio, comunque avrebbe potuto ottenere la merce in qualsiasi punto lungo le comuni vie commerciali, senza dover mai recarsi in Cina.


Poi c'è il problema dei rapporti cinesi sui viaggi di Marco Polo. Non ce ne sono. Non uno straccio di prova per un Marco Polo o suo zio o suo padre che aveva viaggiato e  fatto affari in tutto l'Estremo Oriente. Si dice che Marco Polo avesse servito l'imperatore cinese da più di vent'anni, ma non vi è alcuna menzione di questo fatto da nessuna parte. Vorrei pensare che un commerciante italiano che serve alla corte imperiale del Gran Khan avrebbe lasciato traccia di sè in quella corte, ma questo proprio non è affatto il caso.


Le testimonianze cinesi non sono le sole cose mancanti dell'intera vicenda. Se torniamo ai racconti che Marco Polo stando a Il Milione scrisse in Cina, si nota fin da subito che omettono parecchi dettagli chiave che riguardano la cultura cinese, come le bacchette, il tè e la deformazione dei piedi delle donne, tutte cose che erano diffuse alla corte imperiale. Eppure non una parola su tutto ciò. L'autore si dilunga in dettaglio sui draghi e sugli esseri privi di testa, ma non si sofferma un secondo sul costume cinese di mangiare con due bacchette. Per giunta, non menziona neppure la Grande Muraglia, che era una meraviglia tecnologica e architettonica del periodo. Sicuramente avrebbe almeno sentito parlare di una splendida opera architettonica del genere. A quanto pare, invece, no. Evidentemente era attirato più da tutte quelle prostitute ninfomane tibetane sulle quali ha scritto parecchio.


«I tentativi di sbarco furono due, nel 1274 e nel 1281. Marco Polo li confonde, mischiando circostanze riguardanti la prima spedizione e altre della seconda. Racconta che gli uomini di Kublai Khan tornarono dal Giappone descrivendo un Paese ricchissimo, con i tetti dei palazzi ricoperti d'oro. Si riferisce probabilmente alla spedizione dei delegati mongoli che fu la premessa al primo tentativo d'invasione, descrive poi la flotta che salpò dalla Corea e il tifone che la affondò prima di raggiungere le coste giapponesi, che è pero del 1281. Com'è possibile che un testimone diretto faccia confusione tra fatti separati da sette anni?»


Marco Polo non sarebbe mai arrivato in Cina. Il mercante veneziano, o meglio, qualcun altro in sua vece, avrebbe dunque scritto la sceneggiatura di una fiction più che un vero, genuino, resoconto di viaggio.

Così ci ritroviamo con un libro di cui non possiamo essere ragionevolmente sicuri che fosse esattamente Marco Polo l'autore, con tanto di secoli di abbellimento e di modifiche al suddetto libro, racconti di cose che sappiamo a priori non potevano mai essere vere, nessuna prova corroborante nulla, e un sacco di congetture e ipotesi. Suona un pò come Gesù, non è vero? Una cosa che può vantare Marco Polo però rispetto a Gesù c'è: almeno sappiamo che è vissuto un tizio di nome "Marco Polo". Se avesse mai lasciato Venezia o fatto qualcosa degno di nota, noi probabilmente non lo sapremo mai. Tuttavia, sono abbastanza certo almeno di una cosa: che non incontrò mai un drago.


 Parecchie figure storiche dell'antichità erano note perchè erano gente istruita o prominente oppure perchè fecero cose durante le loro esistenze che ebbero un impatto sui loro contemporanei altrettanto istruiti o prominenti. Fu l'impatto delle loro esistenze la causa diretta o indiretta di preservazione di informazioni su di loro. Gesù che è chiamato Cristo, d'altra parte, fu ricordato unicamente da persone che pretesero di averlo incontrato dopo la sua morte. Se non fosse stato per la fede in eventi soprannaturali che accaddero dopo la sua morte, non potremo mai essere certi che Gesù avesse lasciato qualche traccia nelle testimonianze storiche che sarebbero sopravvissute duemila anni dopo.

 Nulla di strano, sia chiaro, nell'associazione di eventi soprannaturali a figure storiche dell'Antichità. Storie fantastiche e soprannaturali si diffusero su Alessandro Magno a seguito della sua morte, ma nessuno nega che fu come risultato delle cose da lui realizzate DURANTE la sua esistenza naturale. Le storie sull'esistenza di Gesù, d'altra parte, erano preservate e tramandate come mero risultato della fede sorta nelle cose da lui realizzate soprannaturalmente DOPO la sua morte.Se tu rimuovi tutte le storie soprannaturali da Alessandro Magno, tu hai tra le mani una significativa impronta storica. Se provi a rimuovere tutte le storie soprannaturali da Gesù detto Cristo, tu ti sbarazzerai senza accorgertene della sola, unica ragione per la quale gli venne accollata dell'informazione in primo luogo.
 Questo non costituisce una prova della non-storicità di Gesù. Ciò che prova indiscutibilmente che Gesù non è mai esistito è che tutte, ma davvero tutte, le storie e storielle che gli furono incollate attorno - da chi più aveva interesse nel II secolo a parlare di lui e a provare la sua esistenza - derivano unicamente e ultimamente da un'unica, deliberata allegoria E DA NIENT'ALTRO, a ennesima riprova che NON C'ERA NIENT'ALTRO - e dunque che non c'era nessun ''Gesù storico'' al di fuori di quello creato da una lettura letteralista, contra sensum, del primo vangelo.

Quello che ho detto però,  e il confronto con Marco Polo di cui sopra, crea problemi unici e insormontabili agli storici nella misura in cui gli storici vogliono ragionare per analogia. Se uno storico desidera valutare i dati riguardanti un semistorico re o generale dell'Antichità, può sempre decidere di confrontarli con i dati di parecchi altri re o generali, alcuni dei quali di gran lunga più documentati. D'altra parte, la ragione per cui un marginale predicatore itinerante come Gesù non poteva prevedibilmente lasciare granchè di impronta storica, se non addirittura zero, è a causa del fatto che i predicatori itineranti del primo secolo non lasciavano molte tracce storiche, generalmente (anche se quel pazzo di Gesù ben Anania ne lasciò una, eppure era un folle, anche se parecchi messianisti dell'epoca lasciarono parecchie tracce, eppure non lasciarono seguaci dietro di sè). Come risultato, per certi versi diventa davvero difficile ragionare per analogia.

Fino ad ora nessun studioso storicista ha adeguatamente affrontato questi problemi, ma ciò che mi impressiona è quanto spesso i folli apologeti paragonano i miticisti e gli Jesus Agnostics ai negazionisti dell'Olocausto o ai negatori dell'allunaggio appellandosi ad un astratto consensus di studiosi che sarebbe così forte da non lasciare alcun diritto di sorta allo scetticismo nichilistico. Tutto questo è ridicolo come pretendere che quel poco di certo che accadde nel mondo antico è tanto ''certo'' quanto quel molto che è accaduto di certo nel ventesimo secolo.

La Storia verte sullo stabilire quel che è probabilmente accaduto: la probabilità è determinata dalla quantità e qualità dell'evidenza, non dal numero di studiosi che guardano all'evidenza. Dubitare dell'esilio di Napoleone a Sant'Elena non è comparabile al dubitare del viaggio di Marco Polo in Cina, indipendentemente da quello che dice qualunque consensus di studiosi sulla materia. È perfettamente comprensibile essere più certi del primo rispetto al secondo. Gli studiosi che compongono quel consensus storicista è probabilmente un consenso di folli apologeti cristiani sotto le mentite spoglie di ''storici'' e ''studiosi'' del Nuovo Testamento.

lunedì 22 dicembre 2014

Sulla Realtà del Buon Selvaggio Cristiano alle prese col Mito di Gesù

Piccola avvertenza per l'uso: se sei cristiano, non leggere questo post, altrimenti avrò partorito un altro mostro.



Iniziano le feste natalizie mentre scrivo, ma non credo di andare a messa, se non forse solo a Natale tanto per ossequio abitudinario alle convenzioni più borghesi. 

I simboli e i rituali non significano per me ormai nulla di nulla. A messa penso a tutt'altro di ciò che viene recitato. E la mia frequentazione di coloro che si dicono cristiani e vorrebbero fregiarsi ciononostante del titolo di storici e studiosi del Nuovo Testamento non ha fatto altro che farli apparire gente irrazionale e disperata, non soltanto a corto di argomenti (cosa che potrei pur perdonare, in certi limiti).

I folli apologeti cristiani non sono del tutto a posto mentalmente, d'accordo. Rappresentano in questo senso un eterno fenomeno da baraccone, cavie umane da saggiare per l'occasione per chiunque voglia sperimentare in futuro, come ho fatto io, che cosa sono in grado di fare. Ben poco se non confermare, di nuovo e ancora di nuovo, l'irrazionalità intrinseca dell'insistenza cristiana, e cattolica in particolare, nell'affermare ossessivamente la storicità di Gesù a fini di mero calcolo e malcelato interesse.

La mia decisione di non dialogare più con loro nasce dal sincero desiderio di non contaminarmi più, personalmente, con così tanta disperata follia, un perpetuo sognare ad occhi aperti. Un sogno che sarebbe innocuo come tutti i sogni, se non fosse che si spaccia per ''metodo storico-scientifico'' e venduto come tale ai non cristiani. Ma ecco, perfino così, la stragrande maggioranza dei cristiani è aliena da queste  macchinazioni (alla lunga perverse) dei folli apologeti cristiani infiltratisi fraudolentemente (e/o per pio desiderio!) in luoghi apparentemente volti alla ricerca scientifica delle origini cristiane. Questo è l'unico errore che non devo commettere: il cristiano della strada che se ne frega del ''Gesù storico'', perchè non gli è mai passato per la mente se esiste un Gesù storico distinto dal Cristo della fede (a tal punto ha confuso i due!), non va confuso col cristiano ansioso di trovare una leva per sollevare il mondo (dei suoi dogmi) nel ''Gesù storico''. Il primo è candidamente ingenuo, e nel suo candore va rispettato. Il secondo è una persona irrazionale nonchè vittima di concezioni errate, nel caso migliore, disonesta, nel caso peggiore. Il primo abbandonerà presto la fede, se ha abbastanza fortuna, intelligenza e disincanto per farlo. Il secondo non farà a meno di manifestare, perfino in una società tollerante ed estremamente sofisticata come la nostra, punte più o meno odiose o malcelate di intolleranza nei confronti del prossimo. Chi interpolò tutto il Testimonium Flavianum era di certo una persona intollerante, senza neppure bisogno di presentazioni. Ma non così lo era chi per mero accidente confuse il ''Gesù figlio di Damneo'' di Antichità Giudaiche 20.200 con il fittizio Gesù che è chiamato Cristo del mito cristiano. Il peccato originale che non perdonerò mai all'interpolatore Eusebio di Cesarea non è l'aver falsificato un testo (quante volte falsifichiamo de facto un testo antico o moderno semplicemente interpretandolo?), ma l'aver fatto unicamente per reagire a quei pagani che avevano una certa opinione su Gesù.  Per puro spirito apologetico. Questo è ciò che non sopporto. L'ingenuo credente che vuole abbeverarsi al pozzo della scienza credendo di fare cosa gradita al suo Dio, salvo poi ritrarsi spaventato al vedere i serpenti velenosi del Dubbio & della Conoscenza insinuarsi tra le pieghe della sua fede, si trova fatalmente davanti ad un tragico quanto ignominioso bivio: o gettare via all'istante la fede, oppure continuare ad essere credente ma stavolta portandosi seco il marchio imperdonabile della sua scoperta, la schizofrenia di una fede che vuole e non vuole dubitare di sè stessa, il cerchio quadrato, una contraddizione in termini. Un simile credente non è più ingenuo, se mai lo fosse stato, ma è oramai diventato inaffidabile e improbabile come individuo, perchè d'ora in poi è costretto a mentire, a sè stesso prima ancora che agli altri. La roccia caparbia della sua fede sarà pure rimasta roccia (altrimenti non sarebbe più credente), ma non vi ha più nulla di nobile e di candido nella sua graniticità: solo il germe della più irrazionale intolleranza. Paradossalmente, San Tommaso era condannato fin dall'inizio, nonostante, o forse proprio per quello!, il suo ruolo nella favola fosse fin dall'inizio quello di negare il docetismo di Marcione offrendo solida carne al suo tatto. Tommaso è condannato per avere avuto poca fede nell'attimo stesso in cui quella fede voleva ''provarla''. Ma per me Tommaso pecca dopo il suo test, non prima. Perchè è DOPO il test che Tommaso si ritrova all'inferno: ha fatto il bieco gioco del protocattolico antimarcionita che lo ha fabbricato come personaggio letterario, ''provando'' che Gesù era vero dio E VERO UOMO, ma non per questo si ritrova tra le mani ciò che gli altri, gli hoi polloi, hanno e continueranno ad avere nella misura in cui non decideranno mai di imitare il povero Tommaso.

E la tragica beffa del destino è proprio questa.

Appurato che per me il folle apologeta è Tommaso (dopo il test), non gli altri discepoli, io non vedo alcun rimedio a salvare questi ultimi dal fare la stessa fine di Tommaso se non quella di non ritrovarsi MAI - MAI DICO! - nella sciagurata condizione di doverlo imitare. Se sei cristiano, non leggere questo post, altrimenti partorirò un altro mostro. Ma a questo punto della lettura, oramai, l'avrò già partorito.

E dunque procedo.




È perchè introduco questa distinzione, tra fede ingenua e fede viziata da un Dubbio che cerca apologeticamente (=follemente) di reprimere e sedare, che io non ''prego'', non desidero, come fanno parecchi atei, che il cristianesimo dovrebbe scomparire dalla faccia della Terra. In ciò dunque cambio serenamente opinione rispetto al passato e non mi vergogno affatto di farlo. Da un lato, non desidero che le cose fossero diverse da come sono, in ciò (mi confermo) infaticabilmente spinozista. Non desidero che la religione non fosse mai nata. Se la religione non fosse mai nata, io mi ritroverei con gli stessi pregi e difetti di prima, sarei lo stesso miscuglio di particelle di prima. La realtà è che la religione ha origini umane, troppo umane. E dunque se non fosse nata, gli uomini provvederebbero da subito a reinventarla. È nella loro natura.

 La religione per me non è un problema. Fintantonchè un religioso rimane nella sua beata ignorantia - e per ignoranza intendo reale ignoranza! - quel religioso è candidato ad essere una delle persone più meravigliose del mondo. Ma non appena, suo malgrado, comincia a confrontarsi con un'indagine critica dei propri dogmi, quel religioso, se rimarrà tale, diventerà uno zelota. Diventerà un apologeta. Un folle, demente, bastardo apologeta.

Diventerà mio nemico.

E non mi riferisco solo alla religione, ma anche a tutte le ideologie dogmatiche partorite dall'uomo.


Il mio disaccordo con la religione e con i religiosi ignari e ingenui è il disaccordo di un gentiluomo. Ma il mio disaccordo con quei religiosi che vogliono ''provare'' la loro fede con tanto di ''Gesù storico'' in mano (e magari un codazzo di credenziali ''scientifiche'' al seguito) è  il disaccordo di chi rifugge per natura ogni tipo di ipocrisia o di sedativo umano o, peggio ancora, di simulato esorcismo. L'esorcista è colui che pretende di mutare opinione al presunto indemoniato facendo uso di strumenti particolari. Ebbene, il folle apologeta è (e si crede) un esorcista e merita da parte della gente sana la stessa reazione che l'indemoniato riserva agli esorcisti non appena li vede. Un viscerale senso di ripulsa ed esecrazione.

 





Io non disprezzo i religiosi ingenui che si beano della loro beata ignorantia primordiale. Perchè il mito del Buon Selvaggio è perfettamente incarnato da quei religiosi ingenui ai quali mi riferisco. Per questo, e solo per questo, io non condivido, e mi preoccupo di non condividere, il disprezzo di così tanti atei verso la religione e i costumi religiosi. La ragione è che, nella misura in cui gli atei adottano un tale disprezzo e ostilità, non stanno facendo altro che imitare le stesse cose che odiano della religione. Da par mio, Homo sum, humani nihil a me alienum puto. A ciascuno il suo, col massimo disincanto possibile. E  non nascondo di possedere l'innata capacità di osservare con disincanto la natura umana e ogni sua motivazione, e di godere per questo. 

Io voglio essere oltre la religione, non più contro la religione.

Ma diverso è il discorso con quei religiosi viziati loro malgrado dalla loro naturale intelligenza e dalla loro acquisita sapienza. Privi oramai come sono della loro originaria beata ignorantia, non possono più goderne degli indubitabili vantaggi nei concreti termini di bontà, candore, ingenuità, sincerità. Come un drogato è capace in qualsiasi momento di ammazzare i suoi stessi genitori, così sono improbabili moralmente i folli apologeti cristiani: il Buon Selvaggio ha lasciato in loro il posto del Sadico Colonialista. Di chi sa solo sfruttare i propri mezzi in ordine di assicurarsi un solido terreno sotto i piedi.
E come un drogato è pericolosissimo nelle sue crisi di astinenza, così lo è il folle apologeta cristiano quando, per caso o per volontà, ha deciso di VEDERE anche solo un piccolo squarcio dell'evidenza, contaminandosi di essa e con essa. Al pericoloso risveglio della coscienza.

Ecco perchè io posso prendermi il lusso di andare a messa, visitare la bellezza di una chiesa cristiana, senza per questo dover infierire sui candidi e ignoranti hoi polloi che a quella messa ci vanno credendoci. Perchè dovrei abusare della loro beata ignorantia? Perchè dovrei volere che cessino di subirne gli effetti? Il solo pensiero è grottesco. Io non voglio la proliferazione dei dementi folli apologeti cristiani. Se 3 miliardi di cristiani diventassero 3 miliardi di folli apologeti cristiani, allora odierei a morte il cristianesimo senza alcun indugio. Ma grazie al cielo la stragrande maggioranza dei cristiani non ha nè i mezzi, nè la necessità, di edulcorare così grottescamente, sfacciatamente, ipocritamente e apologeticamente, la propria immagine dinanzi al prossimo.

E qui sono totalmente d'accordo col senso letterale di queste parole (anche se dal suo autore originario furono intese in senso non-letterale e poi attribuite a Gesù):

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
(Luca 10:21)

Perchè si dà il caso che storicamente, quando quelle ''cose'' nel II secolo sono state rivelate ''ai sapienti e ai dotti'', allora quei medesimi ''sapienti'' e ''dotti'' sono diventati bastardi dementi folli apologeti. Laddove io mi riferisco ora ad un altro senso di quelle parole: meglio che i veri cristiani, i veri santi, continuino ad essere reputati quelli dalla mente semplice, preferibilmente ignoranti, ''de-menti'' o comunque ignari della verità storica, piuttosto che i cosiddetti ''teologi'' e ''biblisti'', ovvero gli odiosi folli apologeti cristiani. 

Ecco perchè è inutile cercar di essere un evangelista dell'ateismo, o un imperialista dell'ateismo: farlo produrrebbe per naturale reazione più folli apologeti cristiani. Se è preferibile l'ingenuità di un cristiano ignorante alla congenita perfidia e malevolenza di un cristiano non più ignorante, è meglio, molto meglio, non educare il Buon Selvaggio, non renderlo la copia imperfetta di Robinson Crusoe. In fondo, lo aveva capito pure Giuliano l'Apostata: se i cristiani suoi contemporanei odiavano Omero e Platone, perchè dovevano insegnare le loro opere ai pagani? Perchè centuplicare ieri come oggi i cloni di Eusebio di Cesarea? Solo per vedere ulteriormente falsificata la Storia, sul solco di quel bastardo interpolatore di Eusebio?

Il mio amore per il Buon Selvaggio così stupendamente incarnato da miliardi di cristiani nella loro beata ignorantia (ma non dai folli apologeti cristiani) mi induce a non gridare allo scandalo allorchè vedo un simbolo religioso esposto sulla pubblica piazza. Non mi preoccupo di vedere montare mangiatoie nelle scuole perchè non è in gioco l'opposizione tra lo Stato e la Chiesa, qui. Ma solo una armoniosa dialettica tra lo Stato e la cultura di un popolo.  Al contrario, diverso è il discorso quando vedo bastardi politicanti chierici e clericali battersi per l'esenzione sottobanco delle chiese cattoliche dall'IMU, ICI, TASI, e grotteschi acronimi simili. Io non sono anticristiano quando il cristiano in esame è l'ennesima, candida rappresentazione del Buon Selvaggio (il quale, lungi dal trovarsi in luoghi esotici, era già presente nella nostra cultura e solo ora va ritrovato e abbracciato e baciato), ma lo sono ferocemente quando il cristiano in questione è un bastardo demente folle apologeta cristiano che si spaccia per uomo di scienza allorchè pretende di discettare sul ''Gesù storico'', oppure quando quel che ho di fronte è solo la longa manus del Vaticano (con annesse e connesse le porcherie che accadono entro quello spazio grottescamente così ridotto). Non nascondo di covare il mio più fiero anticlericalismo quando si tratta di sbarazzarsi, e alla svelta, di chi pretende un Presidente della Repubblica cattolico. O quando vedo il crocifisso nelle aule scolastiche.

I presepi o i simboli natalizi a scuola non mi offendono affatto quanto il crocifisso esposto sinistramente come monito in ogni aula. Perchè con i primi affermi diversità culturale, con il secondo la annienti. Nel primo caso la religione è solo ridotta a cultura. Ma io credo che la religione assurge a livello di qualcosa di metafisico solo quando a rappresentarla sono i folli apologeti cristiani e i clericali cattolici: con la differenza che per me quel qualcosa di metafisico è demoniaco, non divino. Il mio orrore nei confronti dei clericali e dei folli apologeti cristiani sfocia così a tratti nella superstizione, in questo simile ai cristiani che credono nel diavolo.  Ma con la precisa differenza che io sono decisamente più giustificato a chiamare MALE la follia apologetica cristiana e BENE il suo contrario, al di là se sia cristiano o meno.


Come ateo, io godo un mondo all'azione dello UAAR nel manifestare dappertutto slogan tipo ''La buona notizia è che Dio non esiste'', oppure ''Lo sai che è tutto un mito'', o a leggere l'ultimo libro di Odifreddi così satirico contro i cristiani. La gente va di certo risvegliata. Ma in ultima analisi il Buon Selvaggio Cristiano va lasciato pascolare indisturbato nei pascoli erbosi della sua beata ignorantia, per tema che al suo risveglio diventi qualcos'altro, e non un ateo. Ma un orribile folle apologeta cristiano.


Il rischio infatti è che tutto questo frivolo infierire degli atei sulle bestie primitive (e non sui folli apologeti) sarà più presto convertito contro di loro (e contro di me!) quando, sempre per amore della ''sensibilità'' di qualcuno, la critica pubblica alla religione sarà bannata ed equiparata dai bastardi folli apologeti ad un ''discorso d'odio''. Ed i folli apologeti cristiani sono certamente specialisti in questo.

venerdì 19 dicembre 2014

The Washington Post: «ci sono buone ragioni per dubitare dell'esistenza storica di Gesù»




Sicuramente i quotidiani italiani, neppure quelli considerati a torto più ''illuminati'' o ''radical chic'', non si preoccuperanno di riportare la notizia, a tal punto c'è il rischio concreto di compromettere le nostre più consolidate assunzioni con tanto di dissonanza cognitiva in agguato, oltre a disturbare (e di parecchio) i folli apologeti cristiani.

«Un Gesù storico è esistito realmente? L'evidenza proprio non torna».

 
Ergo tocca a me darla, appena in tempo per dare calorosi auguri di Buon Natale a tutti i miei lettori. The Washington Post, prestigioso quotidiano anglosassone, riporta per intero nella sua pagina online quest'articolo del miticista Raphael Lataster, aspirante PhD in Scienze Religiose dell'Università di Sidney e autore di  There Was No Jesus, There Is No God :



Di seguito riporto la mia libera traduzione dall'inglese. Buona lettura!


Un Gesù storico è esistito realmente? L'evidenza proprio non torna.

Ci sono buone ragioni per dubitare dell'esistenza storica di Gesù


Camminò un uomo chiamato Gesù di Nazaret sulla Terra? Le discussioni riguardo a se realmente esisteva la figura conosciuta come il "Gesù Storico" riflettono principalmente disaccordi tra atei. I credenti, che difendono l'inverosimile e più facilmente respinto "Cristo della fede" (il divin Gesù che camminava sulle acque), non dovrebbero essere coinvolti.

Numerosi studiosi secolari hanno presentato le loro versioni del cosiddetto "Gesù Storico" - e la maggior parte di loro sono, come afferma il biblista J.D. Crossan, "una vergogna accademica." Dalla visione di Crossan di Gesù il sapiente, fino a Gesù il rivoluzionario di Robert Eisenman, e a Gesù il profeta apocalittico di Bart Ehrman, l'unica cosa sulla quale gli studiosi del Nuovo Testamento sembrano concordare è l'esistenza storica di Gesù. Ma può anche quella esser messa in discussione?

Il primo problema che incontriamo quando si cerca di scoprire di più sul Gesù storico è la mancanza di fonti antiche. Le più antiche fonti si riferiscono solo al Cristo chiaramente immaginario della Fede. Queste prime fonti, compilate decenni dopo i presunti fatti, provengono tutte da autori cristiani desiderosi di promuovere il cristianesimo - il che ci dà motivo di dubitare di loro. Gli autori dei vangeli mancano di menzionare sé stessi, di riportare le loro qualifiche, o di mostrare ogni critica con le loro fonti fondamentali - che non riescono neanche ad identificare. Rifarciti di informazione mitica e non storica, e pesantemente modificati nel corso del tempo, i vangeli di certo non dovrebbero convincere i critici a fidarsi neppure delle rivendicazioni più banali ivi contenute.

I metodi tradizionalmente utilizzati per estrapolare fuori rare pepite di verità dai vangeli sono dubbi. Il criterio di imbarazzo dice che se una sezione sarebbe imbarazzante per l'autore, è più probabilmente autentica. Purtroppo, data la diversa natura del cristianesimo e dell'ebraismo di allora (le cose non sono cambiate più di tanto), e l'anonimato degli autori, è impossibile determinare ciò che veramente sarebbe imbarazzante o contro-intuitivo, tanto meno se ciò non potrebbe invece servire a qualche obiettivo degli autori.


Il criterio del contesto aramaico è altrettanto inutile. Gesù e i suoi più stretti seguaci non erano certo gli unici a parlare aramaico nella Giudea del I secolo. Anche il criterio della molteplice attestazione indipendente può difficilmente essere usato correttamente qui, dato che le fonti non sono chiaramente indipendenti.

Le epistole di Paolo, scritte prima dei vangeli, non offrono alcuna ragione di dichiarare dogmaticamente che Gesù deve essere esistito. Evitando eventi e insegnamenti terreni di Gesù, anche quando questi ultimi avrebbero potuto rafforzare le proprie affermazioni, Paolo descrive solo il suo "Gesù Celeste". Anche quando parla di ciò che sembra essere la risurrezione e l'ultima cena, le sue soli fonti indicate sono le sue rivelazioni dirette dal Signore, e le sue rivelazioni indirette dall'Antico Testamento. In realtà, Paolo veramente esclude del tutto fonti umane (vedi Galati 1: 11-12).

Importanti sono anche le fonti che non abbiamo. Non ci sono esistenti testimonianze oculari o contemporanee di Gesù. Tutto quello che abbiamo sono successive descrizioni di eventi della vita di Gesù  da parte di  testimoni non-oculari, la maggior parte dei quali sono ovviamente di parte. Poco si può ricavare dalle poche fonti non bibliche e non cristiane, con il solo intellettuale romano Giuseppe Flavio e lo storico Tacito ad avere qualche pretesa ragionevole di star scrivendo di Gesù entro 100 anni dalla sua vita. E anche quei sparsi resoconti sono avvolti nella controversia, con disaccordi su quali parti sono state ovviamente cambiate da scribi cristiani (i manoscritti erano conservati dai cristiani), il fatto che entrambi questi due autori sono nati dopo che Gesù morì (quindi avrebbero probabilmente ricevuto questo informazioni dai cristiani), e la stranezza che passano secoli prima che apologeti cristiani iniziano a riferirsi a loro.

L'agnosticismo sulla questione è già apparentemente appropriato, e il supporto per questa posizione viene dalla recente difesa dello storico indipendente Richard Carrier di un'altra teoria - e cioè, che la fede in Gesù iniziò come la fede in un essere puramente celeste (che fu ucciso da demoni in un regno superiore), che divenne storicizzato nel tempo. Per riassumere il tomo di 800 pagine di Carrier, questa teoria e la teoria tradizionale - che Gesù era una figura storica che divenne mitizzata col tempo - entrambi si allineano bene con i vangeli, che sono successive miscele di evidente mito e di ciò che al più suona storico.

Le epistole paoline, tuttavia, in modo schiacciante supportano la teoria del "Gesù celeste", in particolare con il passo che indica che i demoni uccisero Gesù, e non avrebbero agito così se avessero saputo chi era (vedi: 1 Corinzi 2:6-10). Gli esseri umani - gli assassini, secondo i vangeli - ovviamente avrebbero ancora  ucciso Gesù, ben sapendo che la sua morte risulta nella loro salvezza, e nella sconfitta degli spiriti maligni.

Ebbene, cosa dicono di tutto questo gli studiosi del mainstream (e non-cristiani) ? Sorprendentemente molto poco - di sostanza in ogni caso. Solo Bart Ehrman e Maurice Casey hanno accuratamente cercato di dimostrare l'esistenza storica di Gesù in tempi recenti. Il loro punto più decisivo? I vangeli possono generalmente essere attendibili - dopo che noi ignoriamo i molti, troppi pezzi che sono inaffidabili - a causa delle ipotetiche (cioè, inesistenti) fonti dietro di loro. Chi ha prodotto quelle fonti ipotetiche? Quando? Che cosa dicevano? Erano affidabili? Erano intese ad essere accurati ritratti storici, illuminanti allegorie o finzioni di intrattenimento?

Ehrman e Casey non te lo possono dire - e neppure può qualsiasi studioso del Nuovo Testamento. Dato il cattivo stato delle fonti esistenti, e i metodi atroci utilizzati dagli storici biblici tradizionali, la questione non sarà probabilmente mai risolta. In sintesi, ci sono chiaramente buone ragioni per dubitare dell'esistenza storica di Gesù - se non per pensarla completamente improbabile.



CURIOSITÀ:

L'articolo del Washington Post ha attirato più di 5000 commenti in pochissime ore, un numero in media fin troppo elevato secondo i più attesi standard. Chiaramente c'è un sacco di rinnovato interesse verso la teoria del Mito di Cristo. Soprattutto, quel che è la novità rispetto al passato, un interesse che è perdurante. I folli apologeti cristiani non possono più dire che il caso è già stato confutato in passato una ''volta per tutte'' e pretendere così solo per questo di ''screditarlo'' nuovamente, come finora hanno fatto negli anni 20 e 30 del secolo scorso.

Ricordati che gli studi del ''Gesù storico'' furono intrapresi solo per lo stimolo di studiosi non cristiani al di fuori della comunità cristiana, a partire dagli studi dell'ebreo Geza Vermes. Ma ora più e più gente, anche se esperta in tutt'altri campi come il sottoscritto, stanno iniziando a studiare la Bibbia senza dogmi o preconcetti da difendere a priori, e si contano di certo in giro abbastanzi lettori provvisti di sufficiente senso critico da poter riconoscere a vista la spazzatura dalla seria ricerca.

Forse l'impero costruito sulla sabbia collasserà di qui a breve in qualche punto dell'imprecisato e non troppo indefinito futuro.