lunedì 6 gennaio 2014

Del grosso abbaglio del Folle Apologeta Maurice Casey: attribuire ad un ''Gesù storico'' le predizioni apocalittiche di ''Marco''

Non c'è bisogno di essere esperti studiosi della Bibbia per capire che i vangeli sono pieni zeppi di passi dove Gesù fa predizioni sulla fine del mondo


Quando sono letti dottrinalmente, quei passi si riferiscono alla particolare morte di Gesù e a qualche fantastico ''tempo finale'' che sopraggiungerà di lì a poco, un tempo che sarà proiettato, dai moderni credenti fondamentalisti, nell'indefinito futuro. Ma la natura di questa letteratura (la profezia apocalittica ebraica) era basata sulla conoscenza storica contemporanea dei suoi lettori. Quando viene letta con quella conoscenza storica, quei passi si riferiscono sia alla morte particolare di Gesù sia alla catastrofe della guerra con i romani che comportò la distruzione di Gerusalemme. Quindi, una comprensione adeguata della natura letteraria del testo veicola un significato storico.

Ma cos'è la letteratura apocalittica?

La letteratura apocalittica ebraica fiorì e prosperò sia in Israele che nella Diaspora ebraica tra il 200 AEC e il 90 EC. Gli apocalitticisti continuarono la tradizione dei profeti adottando i temi principali degli insegnamenti profetici, in particolare il tema della predizione. Molte opere apocalittiche furono scritte durante tempi di avversità ed oppressione. Quelle condizioni furono rappresentate dagli scrittori in un contesto cosmico, percepito non solo a livello locale o nazionale ma come una situazione impregnata di significato universale, e accompagnata da segni soprannaturali.

Tutti sanno che i vangeli sono scritti ''nella tradizione dei profeti'', infatti ci sono parecchie allusioni e paralleli ai libri profetici. L'allusione più famosa è l'uso di Isaia 40:3 nella scena d'apertura del vangelo di Marco:
Una voce grida:
''Nel deserto preparate
la via al Signore,
appianate nella steppa
la strada per il nostro Dio.''
Come pure l'immagine del Servo Sofferente, o la nascita verginale in Matteo e Luca, originatasi dalla scorretta traduzione greca, nella Septuaginta, della parola ebraica per ''ragazza giovane'' usata in Isaia 7:14. Ad ogni caso, l'importante precedente profetico dell'elemento della predizione si ritrova in un'altra diretta allusione ad un altro libro profetico, precisamente il riferimento al Libro di Daniele in Matteo 24:15.

Il verso inizia così:
Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!
Questo passo consiste interamente dell'elemento della predizione.

Anche Matteo 24:30:
Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria.
allude nuovamente a Daniele, questa volta indirettamente, ma con la famosa immagine del Figlio dell'Uomo che sopraggiunge sulle nubi, che ovviamente riecheggia profondamente Daniele 7:13:
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
I passi sono veramente simili, e il debito è riconosciuto. È anche più importante da realizzare che entrambi i libri operano allo stesso modo, per mezzo di tre punti cronologici di riferimento: per comodità, li chiamo A, B, e C.

Il punto A è il tempo nel cui contesto è inserita la vicenda del libro.
Il punto B è il momento dell'evento predetto, che non è nominato, ma è noto ai lettori del libro.
È a loro noto perchè il punto C, il momento della vera composizione del libro, accade dopo sia il punto A sia il punto B, e brevemente dopo B -- nel giro di una generazione dal punto B, al limite.

Caratterizzo i tre punti cronologici come segue:
Il punto A è un momento storico collegato ad un evento non-storico, vale a dire la profezia.
Il punto B è il momento di un evento storico noto a tutti nel punto C, e a causa di quella conoscenza, come pure per ragioni estetiche, politiche e teologiche, lasciato apposta ambiguo.
Questo è il ''significato cosmico'': un'allusione determinata, specifica, non veicola un significato cosmico, ma l'allusione specifica è inutile in ogni caso, a causa della sicura conoscenza del lettore.
Il punto C non è esplicitato. È contemporaneo ai primi lettori del libro, che possiedono una recente memoria storica del punto B.

È essenziale realizzare (e un errore succede puntualmente nel non realizzare) che la conoscenza del punto B  dalla posizione vantaggiosa del punto C è inevitabile. Così funziona la letteratura apocalittica. Così funzionò Daniele. E così è come hanno funzionato i vangeli.

I Folli Apologeti, quando aprono il Libro di Daniele, sanno riconoscere all'istante che quel libro opera con quei tre punti temporali di riferimento appena descritti.

Approvano cioè l'idea che la profezia danielica dell' ''abominio della desolazione'':
Udii parlare un santo e un altro santo dire a quello che parlava: «Fino a quando durerà questa visione: il sacrificio quotidiano abolito, la trasgressione devastante, il santuario e la milizia calpestati?».
 (Daniele 8:13)

Egli stringerà una solida alleanza con molti
per una settimana e, nello spazio di metà settimana,
farà cessare il sacrificio e l’offerta;
sull’ala del tempio porrà l’abominio devastante,
finché un decreto di rovina
non si riversi sul devastatore.

 (Daniele 9:27)

Forze da lui armate si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l’abominio devastante.
 (Daniele 11:31)

Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio devastante, passeranno milleduecentonovanta giorni.
 (Daniele 12:11)
cioè la profanazione del tempio da parte di idolatri, costituisce un'allusione specifica ad un evento fissato nella memoria recente dei lettori del libro. Nel mio schema, il punto A è l'esilio babilonese nel Sesto Secolo AEC, durante il quale la profezia viene ''fatta''. Il punto B è l'installazione della statua di Zeus nel Sancta Sanctorum ad opera di Antioco Epifane nel 168 AEC. E il punto C è il 165 AEC, cioè quando viene realmente scritto il Libro di Daniele, con tanto di ''profezia''.

Da nessuna parte il Libro di Daniele esplicita il suo riferimento ad Antioco Epifane. Invece, l'allusione viene rappresentata apocalitticamente, ossia in un contesto cosmico, percepito non solo a livello locale o nazionale ma come una situazione impregnata di significato universale, e accompagnata da segni soprannaturali.  Viene offerto ai lettori un vento escatologico, da ''tempo della fine''.
Egli venne dove io ero e quando giunse io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: «Figlio dell’uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine».
 (Daniele 8:17) 
Al tempo della fine il re del mezzogiorno si scontrerà con lui e il re del settentrione gli piomberà addosso, come turbine, con carri, con cavalieri e molte navi; entrerà nel suo territorio e attraversandolo lo invaderà.
 (Daniele 11:40)

Egli mi rispose: «Va’, Daniele, queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine.
 (Daniele 12:9).
Le ragioni per agire così sono almeno tre, ma la terza non è abbastanza apprezzata (perchè?):

1) si viene a creare un ''significato universale''.

2) la sicurezza fisica dell'autore della ''profezia'' non viene minacciata dal diretto interessato (l'Antioco Epifane di turno) attualmente ben saldo al potere.

3) a dispetto del punto 2, il significato locale, opportunamente ''nascosto'', della ''profezia'' è facilmente inteso dai lettori, nel contempo vittime e reduci del contenuto della ''profezia''.

Ora, l'errore madornale dei Folli Apologeti balza subito all'occhio quando, affrontando esattamente la stessa struttura narrativa e ritrovando precisamente gli stessi tre punti identificabili di riferimento nei vangeli sinottici del tutto simili a quelli appena descritti nel Libro di Daniele, evitano apposta di realizzare l'ovvia connessione con l'attualità storica sulla base del fatto che l'allusione non è abbastanza specifica. 

Affermeranno ad nauseam che ''non c'è nessun riferimento inevitabile e concreto, in ognuno dei libri del Nuovo Testamento, alla distruzione di Gerusalemme,'' attribuendo al più, se proprio costretti, ai seguaci apocalittici di Gesù l'idea di far riferimento a quell'evento. [1]

Ma è ridicolo! Non esiste nemmeno nel Libro di Daniele nessun puntatore concreto ed inevitabile ad Antioco Epifane, perchè la letteratura apocalittica non opera mediante puntatori espliciti del genere, ma invece tramite la sicura conoscenza nella mente dei suoi lettori, talmente sicura da rendere superfluo ogni ulteriore specificazione: un principio che i Folli Apologeti accettano di buon grado se applicato al Libro di Daniele, ma rigettano come eresia se applicato ai vangeli.

Ma se Gesù intese riferirsi alla distruzione romana di Gerusalemme, obietta il Folle Apologeta, perchè esorterebbe i suoi seguaci a fuggire sui monti:
...allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti...
 (Matteo 24:16)

Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda –, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, ...
 (Marco 13:14)

Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città.
 (Luca 21:21)
quando Flavio Giuseppe ci informa che al tempo dell'assedio, le colline brulicavano di soldati romani?
Verso l'alba Vespasiano, dopo aver concesso all'esercito un breve riposo dalle fatiche della notte, lo radunò per sferrare l'assalto alla città. Volendo strappare dalla breccia i difensori, fece smontare i più valorosi dei cavalieri e li dispose in tre gruppi di fronte alla parte del muro che era rovinata, tutti ricoperti dalle armature e con le lance in resta, con l'ordine di cominciare a entrare nella città quando fossero stati sistemati i ponti. Alle loro spalle schierò la parte più valida della fanteria, mentre il resto delle forze a cavallo lo dispose dirimpetto al muro, lungo tutta la montagna, affinché nessuno di quelli che fossero sfuggiti all'espugnazione potesse trovar scampo.
 (Guerra Giudaica, libro III, 253-255, mia enfasi)
La risposta è che, in un'opera apocalittica, i riferimenti all'evento storico preciso ''profetizzato'' sono deliberatamente criptici e oscuri, perchè i profeti si pronunciarono in modo altrettanto criptico, enigmatico. Ecco perchè è assurdo pretendere che le profezie evangeliche furono pronunciate da un ipotetico Gesù storico. Ecco perchè è assurdo pensare che quelle stesse profezie si riferiscono ''ad un futuro indefinito''. Il linguaggio della profezia è apposta simbolico (si pensi alle mostruose creature allegoriche che brulicano le pagine di Daniele e del Libro dell'Apocalisse), suggestivo (gli avvoltoi e le carcasse), basato su una comprensione del tempo futuro nella mente del profeta che non si traduce affatto in fatti e momenti precisi, in direttive specifiche ai lettori della profezia. Al contrario, nella letteratura apocalittica, la descrizione criptica del tempo futuro costituisce una tacita e silenziosa intesa reciproca tra il profeta e i lettori di quella letteratura, un'intesa destinata a confermare i simboli e le allegorie colmando i punti oscuri e criptici solo mediante la loro particolare conoscenza contemporanea. Conoscenza che appartiene insieme a vittime & reduci della ''profezia realizzata''.

L'esatta ambiguità delle parole del profeta dà alla profezia maggiore verosimiglianza ''storica'' e realismo: quindi si tratta di un obiettivo anche squisitamente letterario. E tuttavia quella profezia non è mai completamente oscura. Il libro si affida anche alla conoscenza temporale del lettore, perchè solo così il significato ''interiore'' della profezia è portato alla luce con certezza.

''Fuggire sui monti'' ha lo stesso significato di un altro monito:
...chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello.
 (Marco 13:15-16)
Non si tratta di direttive specifiche a cui ciascuno deve ottemperare a seconda di dove si troverà nel momento fatidico, pena la morte. Bensì espressioni simboliche a significare che la fine del mondo è alle porte. Ma la fine del mondo ha veramente un reale significato per gli ebrei che vivono nel punto C: un significato che è completamente inevitabile e mentalmente opprimente.

Si tratta del fatto storico che gli studiosi hanno totalmente fallito di sottolineare adeguatamente, nonostante a fronte di una enorme, immediata visibilità di quel fatto storico.
Infatti, rispetto alle nebbiose profezie escatologiche del vangelo, quella visibilità si trova chiaramente in Flavio Giuseppe.
Rispetto ai paralleli sottolineati tra il Libro di Daniele e i vangeli, quella visibilità ricompare nell'immaginario del primo e dei secondi, oltre che nell'esplicito riferimento al primo fatto esplicitamente nei secondi.

Ecco dunque non solo il Figlio dell'uomo e l'abominio della desolazione, ma anche l'espressione ''non per mani umane'':
Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mani umane, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò.
 (Daniele 2:34),

Per la sua astuzia, la frode prospererà nelle sue mani, si insuperbirà in cuor suo e impunemente farà perire molti: insorgerà contro il principe dei prìncipi, ma verrà spezzato senza intervento di mani umane.
 (Daniele 8:25) 

«Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde.
 (Marco 14:58-59)
 ''dormienti'' che si destano:
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
 (Daniele 12:2)

...sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono.

 (Matteo 27:52)
un bianco luccicante e apparizioni splendenti:
Molti saranno purificati, resi candidi, integri, ma gli empi agiranno empiamente: nessuno degli empi intenderà queste cose, ma i saggi le intenderanno.
 (Daniele 12:10)

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.

 (Marco 9:2-3) 

E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
 (Matteo 17:2)

Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.

 (Matteo 28:3-4) 

Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

 (Luca 9:29)

Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante.
 (Luca 24:4)

...ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù.
 (Giovanni 20:12)

 l'intero tròpos dell'Uomo dei Dolori, ecc.


Si tratta dello stesso tipo di libro nello stesso tipo di situazione storica.

E dove, esattamente, c'è il punto C ?

Naturalmente gli studiosi discordano sull'esatta datazione dei vangeli, ma c'è oramai un diffuso consenso per quanto riguarda la composizione del primo vangelo, intorno al 70 EC. Se quella data è corretta per Marco, e se tutti gli altri sinottici furono completati tra l'80 e il 100 EC, allora è ancora più decisamente probabile che tutte le ''profezie gesuane'' si riferivano in realtà al 70 EC, il momento per antonomasia della demolizione dell'intero universo ebraico. Non c'è nessuna giustificazione per pensare altrimenti.

Quindi l'esortazione a ''fuggire sui monti'':
...allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, ...
 (Matteo 24:16)
è tutt'uno con il monito a chi è sulla terrazza di non scendere al piano di sotto, alla prima avvisaglia di tutti i segni apocalittici:
...chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, ...
 (Matteo 24:17).
E quando i falsi idoli verranno posti nel tempio, il tempio è distrutto, guerre e rumore di guerre accadono, falsi profeti sorgono, e ''la fine verrà'':
Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta».
 (Matteo 24:2)

E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine.
 (Matteo 24:6)

Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti.
 (Matteo 24:11)

Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.
 (Matteo 24:14)
la predizione non è offerta per nulla come una specie di tattica militare difensiva: sarebbe ridicolo pensare così! Invece si tratta di una descrizione poetica del momento quando il tempo si ferma ed essere giovani non ha più valore di essere vecchi. Il sole si oscura e il Figlio dell'Uomo sopraggiunge sulle nubi:
Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno
il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del
cielo con grande potenza e gloria.

 (Matteo 24:29-30).
Ma ''nessuno conosce'' il giorno esatto, neppure il Figlio. Solo il Padre conosce:
Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.
  (Matteo 24:36)
Il Padre soltanto, al tempo in cui Gesù fa la predizione - e tutti i lettori del libro, i quali da allora hanno fatto esperienza o almeno udito della fine del mondo, e che hanno sperimentato anche un tipo di parusia nella forma di una nuova religione.

Naturalmente, la parusia verrebbe ad essere interpretata, di lì a poco, prossima a realizzarsi nel futuro ''indefinito''. Che è esattamente il tipo di lettura anti-storica che entra in gioco non appena il lettore, Folle Apologeta del Gesù storico ''profeta apocalittico'', perde di vista (intenzionalmente?) le allusioni al Fatto Storico del 70 EC, o i simboli generati da quel Fatto Storico.

[1] È ridicolo che a fare questo errore madornale è un autentico mostro sacro degli storicisti, ovvero Maurice Casey, l'unico da cui ci si può aspettare ora, in virtù della sua fama di accademico non credente (seppure ex-cristiano), una seria confutazione della tesi che Gesù non è mai esistito, dopo il totale fallimento ''di fatti e logica'' da parte di Bart Ehrman.
Paradossalmente, Maurice Casey commette quell'errore proprio in quello che doveva essere il suo crudele attacco d'esordio contro i miticisti, e per di più lo commette contro un suo collega accademico, Robert M. Price. Con le seguenti parole:
Price prima dichiara che [il vangelo di Marco] deve essere stato scritto dopo il 70 EC, sulla falsa assunzione che le apocalissi, di cui la maggior parte di esso non è, sono sempre scritte dopo gli eventi che sono immaginati di predire. Le predizioni di Marco non sono comunque accurate abbastanza da essere state scritte dopo l'evento.
 (fonte,mia enfasi).
Pardon??? ''Le predizioni di Marco non sono comunque accurate abbastanza da essere state scritte dopo l'evento'' ? Non si trova qui, da parte di Casey, la stessa totale incomprensione di come funziona la letteratura apocalittica denunciata in questo post?
Le predizioni di Marco dovevano essere criptiche abbastanza da poter suonare verosimili in bocca a ''Gesù'', ossia prima del 70.  Esattamente come le predizioni di Daniele dovevano essere criptiche abbastanza da poter suonare verosimili in bocca a ''Daniele'', ossia prima di Antioco Epifane.

Suggerirei al Folle Apologeta Maurice Casey, e a tutti i suoi fan, in gran parte credenti (perchè?), di leggersi il capovaloro di Thomas L. Thompson, The Messiah Myth : The Near Eastern Roots of Jesus and David (2005, Basic Books), e precisamente laddove dice:
...per fare un argomento che un tema specifico appartiene alle più antiche fonti dei vangeli non è sufficiente associarlo con la storia. I temi interconnessi che hanno portato Weiss e Schweitzer - e la ricerca a loro successiva - di parlare di Gesù come di un profeta apocalittico non riflettono i movimenti religiosi del primo secolo AEC. Gli elementi tematici di un'era di salvezza divinamente predestinata, un compimento messianico del tempo e un giorno di giudizio che reca con sé una trasformazione del mondo da un tempo di sofferenza alle gioie del regno sono tutti elementi primari di una tradizione letteraria coerente, identificabile secoli prima dei vangeli e ben nota a noi dalla Bibbia e dai testi per tutto l'intero Medio Oriente antico. Il linguaggio mitico che gli studiosi del Nuovo Testamento descrivono come ''apocalittico''  è anch'esso davvero antico. Questo linguaggio è radicato nella Bibbia Ebraica e domina molto della letteratura ebraica del secondo e del primo secolo AEC. Per esempio, la parabola di Luca della venuta del regno di Dio come un ''giorno'' del destino, confrontando il giorno in cui viene il figlio dell'uomo con i ''giorni'' di Noè e Lot (Luca 17:20-37), parla della rapidità della venuta del regno e di una necessità di tenersi sempre preparati ad esso; parla anche della sua arbitrarietà. Viene e ancora non viene. E come il lampo, ma prima il figlio dell'uomo deve soffrire ed essere rifiutato da ''questa generazione''. Un motivo ripetuto intorno all'arbitrarietà del sopraggiungere della morte separa colui ''che è preso'' da colui ''che è lasciato dietro''. La parabola iniziò con una domanda dei Farisei: ''il regno verrà con segni manifesti?'' La risposta negativa di Gesù si avvicina al tema della volontà divina, citando un proverbio ironico di Giobbe sullo stesso motivo:  ''Dove sarà il corpo, là anche le aquile si raduneranno'' (Giobbe 39:30).
...
 Comprendere la figura di Gesù come storica
, come la ricerca del Gesù storico ha incoraggiato, distorce la nostra lettura. È solo nel mondo immaginario della speculazione accademica che ritroviamo il profeta fallito di Shweitzer. Naturalmente il suo profeta deve morire sbagliandosi; infatti attraverso i circa 20 secoli che separano Schweitzer dai vangeli, il regno che trasforma questo mondo non è venuto. È Schweitzer che si è sbagliato. Nessun storico può essere sorpreso da questo. Nel reale mondo storico dei testi e della letteratura antica, un profeta che parla di un giudizio cosmico che inaugura il regno di Dio non è né nell'errore e neppure è fallito, ma è una figura in un mondo letterario. Il profeta rimane una metafora del mito e della letteratura, dove occupa un ruolo pieno di significato. L'anacroniscmo della ricerca odierna della storicità - che definisce la Bibbia in termini non condivisi dai suoi autori - ha reso orfani i nostri testi. Attribuire attese errate circa la fine del mondo ai vangeli attribuisce loro un significato che essi non portano. Il mito del regno di Dio trova la sua dimora in un'ancestrale tradizione letteraria. Prima di chiedersi se gli episodi e le scene che strutturano la storia della vita di Gesù siano basate su eventi, necessitiamo di uno sguardo alla funzione delle storie nell'antichità. Le storie della nascita e del battesimo di Gesù, del suo insegnamento e della sua opera taumaturgica, della sua sofferenza e crocifissione -- come pure le storie della sua resurrezione -- realizzano una coerente funzione chiaramente definita. Insieme, incarnano una tradizione ben salda di discussione che ha formato il giudaismo a cui appartengono i vangeli.  Che essi abbiano potuto creare attese tra i lettori della tradizione non definisce la loro intesa funzione.

 (mia enfasi)
La conclusione è inevitabile: perfino presupponendo un ipotetico Gesù storico, non sappiamo nulla di lui. Nemmeno se fu un profeta apocalittico. Ma solo che morì crocifisso e che fu creduto risorto. Vale a dire: cosa ci dice Paolo del suo Gesù, se ipotizziamo che il suo Gesù fu un ebreo che visse e morì sulla terra firma.
Il lettore si meraviglierà allora, come me, di scoprire che questa è la miglior teoria storicista possibile in assoluto più probabile: che di Gesù, se è veramente esistito, non sappiamo nulla di nulla e non ricordiamo nulla di nulla. Solo il Mito.