giovedì 2 gennaio 2014

Del mio naturale diritto di confrontare i libri tra loro

Un testo con un esordio del genere:
''Al tempo di Re-tal-dei-tali, c'era una volta un sacerdote chiamato Tal-dei-Tali''
è subito riconoscibile come mera istanza di quella che si potrebbe benissimo chiamare tradizione del ''C'era una volta''. C'è sempre la possibilità che un libro di Storia inizi in questo modo, e tuttavia rimane il tipico esordio anche, e soprattutto, di fiabe e romanzi fantastici.

Eccone alcuni esempi, tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm:
C'era una volta un re che aveva un parco nel quale si trovava un albero che aveva delle mele d'oro.
(L'uccello d'oro)

C'era una volta in Svizzera un vecchio conte che aveva un unico figlio.
(I tre linguaggi)

C'era una volta una principessa superba che non sapeva più cosa inventare per appagare la sua alterigia.
(L'indovinello)
Così Luca:
Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote di nome Zaccaria...
(Luca 1:5)
E così il mito:
E nacque dunque il Càos primissimo; e dopo, la Terra dall'ampio seno, sede perenne, sicura di tutti gli Déi...
 (Esiodo, Teogonia II:116)

Agli inizi del mondo c'era solo acqua. Whee-me-me-owan, il Grande Capo Lassù, viveva su nel cielo tutto solo. Quando decise di fare il mondo, venne giù in luoghi dove l'acqua è poco profonda e cominciò a tirar su grandi manciate di fango, che divennero la terraferma. 
(Mito degli Indiani Yakima)

In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
(Genesi 1:1-2)

Questo è il racconto di come tutto era sospeso, tutto calmo, in silenzio; tutto immobile, tranquillo, e la distesa del cielo era vuota. 
(Popol Vuh)

E, naturalmente, Giovanni:
In principio era il Logos, il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio.
(Giovanni 1:1)
Per contrasto, del tutto priva di ogni funzione mitica fondativa, la Vita di Talete inizia così:
Erodoto, Duris, e Democrito hanno concordato che Talete era il figlio di Examias e Cleobulina, e apparteneva ai Telidi, che sono Fenici...
(Diogene Laerzio I:22)
Si potrebbe forse pensare che l'informazione sui genitori in Diogene Laerzio sia più adatta da confrontare alle genealogie in Matteo o Luca, ma Luca fa risalire la genealogia a Dio, ed entrambi, Matteo e Luca, stanno preservando una ''tradizione'' dell'ascendenza davidica del Salvatore, laddove nessun principio teologico del genere informa l'informazione di Diogene Laerzio sui genitori e sulla città-natale di Talete. Che Talete sia ''il figlio di Examias e Cleobulina'' non giova ad alcun interesse teologico di Diogene Laerzio, perchè a priori costui manca di interessi teologici: non è membro di una chiesa e come tale non vuole cooptarne altri.

Questi soli minuscoli esempi sono più che sufficienti a fare il mio punto: ovvero, che io ho il diritto di confrontare tra loro interi testi (e non solo le loro minuscole parti), un'operazione che John P. Meier e altri ''accademici' trascurano spesso e volentieri di riconoscere, per la sola ragione che è una funzione del deprecato criticismo letterario.

C'è dunque una differenza tra un racconto la cui natura letteraria è puramente inventata, perchè magari è un mito fondativo, e una biografia.

Ma occorre fare attenzione a non minimizzare l'utilità del criticismo letterario anche in un'altra occasione. Ad esempio, quando ci si rifiuta di utilizzare il Nuovo Testamento per notare le somiglianze tra il culto di Cristo e le religioni misteriche greco-romane dell'epoca. L'errore è di credere che il testo sacro esiste essenzialmente non per essere guardato attraverso ma per essere fissato solo con gli occhi del credente. Introducendo la stessa differenza che corre tra il simbolismo e l'allegoria: il primo non rimanda ad altro, a differenza del secondo.

Ma il vero critico letterario non si sforza di vedere a tutti i costi attraverso il quadro (l'errore dello storicista fissato con gli indizi del suo agognato ''Gesù storico'' da setacciare a tutti i costi), e né si limita a fissare il quadro (lo stesso errore dei fondamentalisti). Semmai vede nel quadro. Si tratta di un errore nel quale sono incappato pure io, quando accusavo i Folli Apologeti di vedere un pò troppo attraverso il vangelo. La mia critica era ed è giusta, ma l'argomento che mi convinceva della sua bontà era fallace, e a sua volta partorito, senza che lo sapessi, dagli stessi apologeti. E che apologeti! Nientemeno che i Padri stessi della Chiesa.

Per loro, infatti, il testo è La Bibbia, scritta dalla chiesa & per la chiesa. ''Gesù è il Signore'' (Romani 10:9). Come tale, Gesù è un personaggio che appare con la Genesi e termina con il Libro dell'Apocalisse. Ovviamente si tratta di una descrizione teologica, non letteraria. Solo se uno accetta che Dio in persona ''ha scritto'' la Bibbia  pensa che sia non solo vietato, ma anche impossibile leggere attraverso la Bibbia o vedere nella Bibbia.
Ma il criticismo letterario non pensa affatto di ricondurre tutti i libri del Nuovo Testamento, e ancor più tutti i libri dell'intera Bibbia, sotto la penna di un solo autore ispirato, che poi non può essere altri che Dio stesso.

Quella è una faticaccia armonizzante degna dei Folli Apologeti.

Il critico letterario si interroga semplicemente sulla natura del testo che sta leggendo, e la risposta è sempre storicamente determinata. Non si tratta, nel caso particolare dei vangeli, di rinnegare la Storia dietro il testo, ma di rinnegare la Storia nel testo. Ed esiste un colossale Abisso tra cosa nella Storia ha mosso ''Marco'' a scrivere il suo primo vangelo, e cosa di storico esiste veramente nel suo vangelo. Ogni scrittore è indotto a scrivere da precise cause storiche e reali, che non si possono negare, anche se è sempre possibile perderle di vista per sempre. Ma l'affidabilità del suo scritto come fonte storica è tutt'altro che garantita a priori, specie se si tratta di un vangelo.

Il quadro non esiste per spaccarlo a tutti  i costi e vedere presunti oggetti reali che ci sono dietro, magari scegliendo tra i cocci del quadro appena frantumato quelli che più suonano ''reali'' e scartando gli altri. Così agisce irrazionalmente lo storicista, che si chiami John P.Meier o Mauro Pesce.

E il quadro nemmeno esiste per poterlo guardare fisso acriticamente e basta, in totale assortimento religioso, perchè solo un interesse teologico mira a rendere il quadro lo sguardo di Medusa che tutto pietrifica, impedendone così l'esame non solo al critico letterario ma anche agli storicisti.




Sarebbe come dire che un'ostia consacrata, quella che i fedeli prendono durante la Messa cattolica, non si può confrontare con il pane non consacrato perchè è dogmaticamente il Corpo di Dio. Chiaramente questo vale solo per il credente. Perchè l'ostia, consacrata o no, non cambia la sua vera natura.

Allo stesso modo, il quadro (del vangelo) esiste per essere contemplato. Ha una funzione, e un contenuto narrativo. Siamo interessati alle scene ivi rappresentate, ai materiali usati, agli artisti autori del quadro, alle loro tradizioni, come pure alle tradizioni di diversi tipi di quadri per obiettivi di comparativismo letterario. Perchè chiarire la sua vera natura letteraria è la Regola Numero Uno.