venerdì 3 gennaio 2014

Dell'incapacità dei Folli Apologeti di riconoscere il preciso Fatto storico nella natura dei vangeli

Gli studiosi che più mi sorprendono non sono i vari Ehrman, i vari Pesce, i vari Meier, i vari Casey, tutti apologeti ancora persuasi di poter separare il mito dalla storia nei vangeli. La qualità della loro ricerca è chiaramente superata. Come assolutamente prevedibile è la loro agenda apologetica. Al contrario, mi meraviglio di studiosi che riconoscono che la natura di un testo può rivelare sorpendenti dati storici, che la natura letteraria di un testo e la realtà storica sono fortemente intrecciati tra loro in un rapporto reciproco di causa-effetto. E tuttavia gli stessi studiosi non sembrano cogliere appieno le implicazioni verso cui la loro stessa ricerca tende sempre più, di nuovo e ancora di nuovo, ad ogni ritrovamento o presa di coscienza. Questi autori, anche se cristiani, sono intellettualmente onesti e vanno sicuramente rispettati. Sanno riconoscere attraverso l'analisi della natura del testo che le storie nei vangeli sono miti, leggende, racconti fantastici.  Si sono accorti che la lettura di fonti più antiche, che era praticata ad un certo momento nel calendario liturgico, è sostituita da una lettura del vangelo che si adatta perfettamente  alle stesse occasioni liturgiche, rimembrando i suoi precursori nei suoi temi e nei dettagli. 

Ne consegue, allora, che gli eventi dei vangeli hanno un'origine letteraria, ma poca o nulla base storica in realtà. Quindi il Discorso della Montagna è modellato sulla consegna dei Dieci Comandamenti sul monte Sinai da parte di Mosè. Il miracolo dei pani e dei pesci è modellato sul miracolo della manna nel deserto, o sul miracolo di Elia della giara di farina (1 Re 17:11-15):
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un pò di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; su, fà come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni.
La resurrezione della figlia di Giairo deriva la sua ispirazione dalla risurrezione di un bimbo morto grazie ad Elia (1 Re 17:21-24).
Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore Dio mio, l'anima del fanciullo torni nel suo corpo». Il Signore ascoltò il grido di Elia; l'anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elia prese il bambino, lo portò al piano terreno e lo consegnò alla madre. Elia disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elia: «Ora so che tu sei uomo di Dio e che la vera parola del Signore è sulla tua bocca».
L'ascensione di Gesù al cielo è modellato su un'ascensione simile da parte di Elia (2 Re 2:11).
Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo.
Il racconto di Matteo del piano di sterminio di Erode dei bambini ebrei maschi e la fuga in Egitto ri-racconta i pericoli del bambino Mosè in Esodo 1 -- e così via. A causa del numero e della stretta somiglianza dei paralleli letterari, diventa ovvio, completamente a parte da tutte le considerazioni sulla plausibilità o meno di un episodio ''realistico'', che gli eventi dei vangeli sono invenzioni a-storiche. In breve, pura invenzione.

Uno di questi studiosi che destano meraviglia è ad esempio il vescovo anglicano John Shelby Spong, che così scrive:
Questa analisi biblica mi rivela piuttosto chiaramente che la tradizione evangelica, oltre ad essere una rielaborazione midrashica della storia di Gesù basata sulle scritture ebraiche, era organizzata anche attorno all'anno liturgico degli ebrei sotto la cui influenza la storia cristiana era nata. Questo significa che il vangelo di Marco non è né biografia e né storia nella misura in cui è memoria raccolta, informata e influenzata dalle scritture ebraiche e organizzata secondo pratiche di adorazione ebraiche. Se possiamo leggere questo vangelo con occhi ebrei, diventiamo coscienti che non abbiamo in questo racconto molto di cosa Gesù realmente disse e fece, nella misura in cui abbiamo una cronaca dell'impatto di cosa disse e fece, incanalata da Marco attraverso la storia degli ebrei. Il contenuto di questo vangelo sembra essere esistito prima come una predicazione cristiana durante le lezioni della sinagoga e come il tentativo cristiano di interpretare Gesù in termini delle grandi festività dell'anno liturgico ebraico. In verità, quando uno diventa consapevole di questo principio informativo, si chiede in che modo possibile si possa leggere il vangelo di Marco se non mediante occhi ebrei e sperare di comprendere qualcosa di quanto dice. [1]
Ebbene, gli studiosi che, pur riconoscendo questa conclusione, ancora credono ciecamente ad un Gesù storico (e sono poco noti al grande pubblico, rispetto ai soliti mostri sacri), mi stupiscono, per la loro incapacità di andare fino in fondo nell'esplicitare le debite relazioni causali tra la storia e la natura del testo -- tra Flavio Giuseppe e il vangelo di Luca, ad esempio.

Si tratta di un fallimento nel riconoscere che c'è molta più avvalorante conferma della natura mitica di Gesù di Nazaret nella Storia che abbiamo, e molta più avvalorante evidenza nel Mito di una vicenda storica che ha originato la stesura del primo vangelo e quindi di tutti gli altri dipendenti dal primo.

La domanda cruciale da farsi è allora la seguente:

Se i vangeli sono invenzioni liturgiche [2] create per replicare, amplificare, o sostituire le lezioni dell'ebraismo del II Tempio, quale fu la motivazione della loro creazione?  Che bisogno esisteva, di cui abbiamo una forte conferma, di una invenzione midrashica, a questo punto della storia ebraica?

E a quel punto gli studiosi di cui poco prima avevo esaltato la profonda onestà intellettuale, compiono un fatale passo falso. A onor del vero, si tratta di un errore di valutazione, non del ripetersi della solita irrazionale politica apologetica di John P. Meier, di Bart Ehrman, di Mauro Pesce e altri mostri sacri del genere.

Questi studiosi sembrano timidamente suggerire, basandosi sulla loro intuizione, che fu qualche potere carismatico nella personalità di Gesù che motivò tutto questo sforzo letterario. Sempre il solito ritornello dell'impatto carismatico di un solo individuo che non è stato tuttavia capace di arrivare agli onori della cronaca storica del tempo.

Ma possiedo una prova migliore, che è disponibile sotto i nostri occhi, al posto della semplice, astratta ''sensazione'' del Carisma di un Grande Uomo all'origine.


La risposta è trovata nella Guerra Giudaica di Flavio Giuseppe e nei vangeli. La motivazione che spinse a creare i vangeli agì in perfetta sincronia con le necessità teologiche di una nuova setta ebraica. Quella motivazione comprendeva il bisogno, in qualche modo, di sopravvivere alla imminente distruzione culturale degli ebrei. Furono gli ebrei ad essere crocifissi -- letteralmente, e in gran numero. La Guerra Giudaica è piena zeppa di racconti di migliaia e migliaia ammazzati e accatastati uno sull'altro nelle vie di Gerusalemme, e di crocifissioni ad nauseam. Flavio Giuseppe descrive come Tito aveva crocifisso gli ebrei fuori le mura della città secondo una precisa strategia del terrore:
Spinti dall'odio e dal furore, i soldati si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime. 
(Guerra Giudaica, Libro V:451)
Così scrive Spong:
Ad un qualche punto in questo processo la luce affiorò. Non so cos'era quel punto, ma credo che fu reale. In qualche punto l'oscurità delle loro menti scomparve, i loro occhi si aprirono, e furono in grado di fissare nella realtà di Dio; e Gesù fu incluso in quella realtà. Essi videro lui vivo. Essi videro lui proprio nel cuore e nella vita di Dio. Ti prego di non minimizzare o banalizzare quella ''visione''. Non fu di un corpo resuscitato emergente da una tomba, ma quello fu il solo modo in cui poter narrare la loro convinzione che la morte non poteva contenere lui. Non fu nelle apparizioni simili ad un fantasma in una stanza superiore o nel villaggio di Emmaus, ma quello era il solo modo in cui potevano narrare la loro convinzione che ''noi abbiamo visto il Signore''.
(estratto da Liberating the Gospels, mia enfasi)
E invece, contro Spong e contro tutti coloro che, come lui, non hanno il coraggio di portare alle estreme conseguenze la scoperta della natura profondamente allegorica e midrashica dei vangeli, penso che fu la vita e la cultura degli ebrei, presi collettivamente, che la morte non poteva contenere. Fu  l'oppressione romana della cultura ebraica -- oltre all'eventuale distruzione, fino allo sterminio, di Gerusalemme nel 70 EC --, che è un Fatto storicamente confermato,  ad essere alluso chiaramente nei vangeli, e che è suggerito nel personaggio stesso chiamato Gesù (Matteo 1:21 : ''egli salverà il suo popolo dai loro peccati''), il quale riflette il Servo Sofferente di Isaia capitolo 53.
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
E' cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.
 Gesù è una creazione midrashica da parte di una cultura sotto assedio, intesa a incarnare e a idealizzare quella cultura, e a figurare come l'eroe santo e immortale che trionfa su, e attraverso, la sua particolare persecuzione e morte. Non è determinabile, tenendo conto dei soli vangeli, se il Gesù dei vangeli fu ''basato'' su un personaggio reale, ma ormai si può dimostrare che il personaggio che appare nei vangeli è una creazione letteraria, perchè tutte le azioni che Gesù compie nel racconto evangelico sono fabbricate a partire da materiale teologico pre-esistente per scopi teologici e culturali. La distruzione della cultura ebraica e lo sterminio del popolo ebraico, comunque, non furono invenzioni. Di quelle due premesse, nessuno studioso cristiano intende dar sufficiente peso alla seconda.

Oltre alla conferma storica del fatto che furono gli ebrei, collettivamente, che furono crocifissi, che soffrirono e morirono, e che risorsero nuovamente in una forma diversa (come cristiani), esiste una dimostrazione letteraria e midrashica della tecnica allegorica utilizzata per rappresentare questo fatto storico. In Esodo 4:22, Dio parla, dicendo:
 Così dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito.
 Il vangelo di Matteo riconosce questa tradizione e automaticamente eguaglia Gesù con il nuovo Israele riferendosi a una profezia realizzata:  
Fuori dall'Egitto chiamai mio figlio 
(Matteo 2:15; Osea 11:1) 
Israele fu il figlio di Dio nel linguaggio profetico dell'Antico Testamento: ed è in connessione all'Esodo che Gesù è chiamato così.

L'''Uomo dei Dolori'', cantato nel Messia di George Frederick Handel, e che i cristiani tipicamente associano a Gesù, non deve essere trovato nei vangeli, ma invece nel Libro di Isaia, dove è il Servo Sofferente che simboleggia il popolo di Israele.

Così Spong:
Io sospetto che questo profeta posteriore all'Esilio sviluppò questo simbolo così da poter aiutare la sconfitta nazione ebraica a comprendere che il loro futuro non risiedeva nella grandezza, nel potere, o nella gloria. Il futuro della nazione ebraica come il popolo di Dio risiede piuttosto nell'essere fedele anche quando la nazione era la vittima sofferente dell'ostilità dei popoli vittoriosi del mondo. Ma questo particolarizzato ritratto di una nazione che si sentiva vittima, ma nondimeno affermata da Dio, fu rapidamente incorporata dagli antichi cristiani nella storia di Gesù. Luca sembrò particolarmente soddisfatto di questa associazione e intrecciò la storia di Gesù con la storia del servo sofferente di Isaia su una base completamente chiara.
L'ovvia inferenza da derivare da questa fusione di idee è che Gesù e il Servo Sofferente/Uomo dei Dolori rappresenta la stessa cosa nella collezione evangelica di episodi attinti e inventati: il popolo di Israele, che stava per essere crocifisso. E' interessante che il cristiano Spong non deriva questa semplice inferenza logica. Perchè è scontato, per un critico letterario, derivare questo tipo di parallelismo, avesse egli avuto a che fare con qualsiasi altro paio di libri. E apparentemente Spong non lo fa perchè, come John P. Meier, come Bart Ehrman, come Mauro Pesce, come tutti gli accademici del Sindacato di Gesù, fare così andrebbe in serio conflitto infine con i suoi interessi teologici, interessi dichiarati esplicitamente in passaggi rassicuranti per i fedeli come:
Non posso concepire un modo che mi porterebbe a rifiutare la storicità di Gesù.

il secolarismo non soddisferà le profonde aspirazioni spirituali che continuano ad accendere nei cuori di quelle religiose creature senza speranza che chiamiamo Homo Sapiens. Così dobbiamo cercare qualche altra alternativa...
È perfettamente comprensibile e forse pure coerente che un vescovo episcopale come Spong debba provare tali sentimenti, ma gli obiettivi teologici non sono compatibili con gli obiettivi storici post-illuministici. Agiscono (perchè devono agire così) come una barriera contro una mente aperta. E contro quella stessa barriera, quel muro di silenzio, vado a sbattere, ogni volta che in passato ho discusso con i Folli Apologeti. [3]

[1] tratto da Liberating the Gospels: Reading the Bible with Jewish Eyes SF HarperSanFrancisco 1996, mia enfasi.

[2] mi riferisco alla interessante scoperta di John Shelby Spong, vescovo anglicano, secondo cui una delle necessità degli evangelisti era di creare, entro l'ambiente della nuova setta messianica nata nel seno dell'ebraismo, del materiale didattico per le feste ebraiche annuali e le osservanze religiose in sostituizione delle letture delle scritture ebraiche (cioè dell' ''Antico Testamento''). Si veda Liberating the Gospels: Reading the Bible with Jewish Eyes SF HarperSanFrancisco 1996. In generale, i vangeli erano scritti da cristiani per cristiani, per vendere specifici dogmi, dottrine, e morali cristiane, in competizione con altre sette cristiane che insegnano altre cose diverse. Erano modellati come modelli di istruzione (Gesù è un archetipo per come l'ideale missionario cristiano doveva comportarsi in determinate occasioni) e rafforzamento della fede (per inspirare e motivare i cristiani a non venire meno all'osservanza dei dogmi e alla fede in mancanza di prove), e a preferire certi dogmi rispetto ad altri (ad esempio, in fatto di resurrezione, Marco & Matteo sembrano essere i soli vangeli allegoricamente dalla parte di Paolo, contro la nuova versione della risurrezione introdotta da Luca & Giovanni). Erano anche progettati per avere un doppio significato (come si fa dire esplicitamente a Gesù in Marco 4:11-12).

[3] Una delle cose che trovo più frustrante nel tentativo di giudicare la forza reale della tesi che Gesù non è mai esistito è come poveramente viene sostenuta la tesi opposta, che Gesù è ''sicuramente'' esistito.
Questa è in realtà una delle cause che mi ha portato dalla mia posizione iniziale di scetticismo nei confronti di un'origine mitica di Gesù al totale scetticismo sulla storicità di Gesù. In passato, a stupirmi degli storicisti era solo il modo grottescamente ridicolo in cui litigavano tra di loro per promuovere ciascuno il proprio Gesù storico, ma poi in seguito ci fu la realizzazione improvvisa che stavano facendo terribilmente dei cattivi argomenti, perché non avevano in realtà alcuna prova reale dell'esistenza storica di Gesù: e quando si è privi di una vera prova, non puoi far altro che battere e ribattere di continuo i pugni sul tavolo sugli stessi punti triti e ritriti (Tacito, Giuseppe Flavio, ecc.), sperando così che una Bugia, ripetuta più volte, possa diventare Verità.
Ogni Folle Apologeta del Gesù storico entra ed esce martellando i pugni sullo stesso tavolo senza presentare alcuna prova. Ogni volta. Dopo un pò inizi a pensare che stai discutendo con qualche specie di Fondamentalisti perché seguitano a dire "Sono aperto al tuo punto di vista, ma non sono d'accordo", per poi ribattere di nuovo che la prova è evidente e si è un idiota se non la si vede. Pur di non accorgersi della loro totale scemenza e malafede.