lunedì 7 aprile 2014

Si scrive «allegorìa» ma per il folle apologeta cristiano si legge: «apologia»

Se c'è qualcosa che mi ha spinto a nutrire un sincero disprezzo verso i folli apologeti cristiani è il loro continuo rovellarsi su quelle allegorie che sono i loro testi sacri per trovarvi una ricostruzione plausibile del loro Gesù ''storico'' preferito (guardacaso troppo esageratamente simile al loro agognato Cristo della Fede).

Ma il problema con l'esegesi delle allegorie è la loro totale assenza di vincoli e regole del gioco valide davvero per tutti, cristiani e non. Quale vincolo si deve rispettare nell'interpretazione di un'allegoria? Come si fa a distinguere che si sta facendo una esegesi corretta e non errata? Questa presuppone una domanda che tocca una nota dolente: come facciamo a sapere che si sta estraendo il reale significato del testo e non si sta invece INSERENDO il proprio significato nel testo?

Se colgo sul fatto i cristiani nel vizio di prendere la Bibbia ora come allegoria -- diciamo, Adamo ed Eva -- e ora come Storia letterale -- vedi l'Incarnazione, la crocifissione, la risurrezione di Gesù -- allora che razza di ''seria e profonda metodologia'' stanno seguendo questi folli apologeti cristiani? Per essere una metodologia VALIDA si dovrebbe innanzitutto cercare di persuadere ogni ateo di buon senso della sua validità, in modo che arrivi alla loro medesima conclusione. Questa qui è allegoria. Questa qui invece devi prenderla alla lettera.


Ma so benissimo di che razza di ''metodologia'' si tratta. Le parti che sono riconosciute allegoriche dal folle apologeta di turno sono solo le parti della storiella non ritenute essenziali per il suo cristianesimo, non compromettendone affatto l'esistenza. Al contrario, le parti che sono ritenute essenziali per mantenere in piedi la ''verità'' dell'intera struttura (e sovrastruttura, possibilmente) devono essere prese alla lettera. Quelli di loro che vogliono sembrare più maturi e post-moderni degli altri diranno che devono essere prese più o meno alla lettera, dove quel ''più o meno'' dà la misura della loro malcelata ipocrisia.

Eppure, pur così, si vede subito che un metodo del genere non funziona, perfino se ti ostini a chiamarlo ''metodo storico-critico'' o qualcosa del genere. E perfino i cristiani tra loro non concordano su quali parti del vangelo sono allegoriche e quali no.

 A me sembra invece che l'intero vangelo di Marco sia solo una grande gigantesca allegoria.


Basta vedere  centinaia di episodi in quel vangelo che furono chiaramente intesi ad essere simbolici o allegorici.


Ad esempio, prendo Marco 14:3-9:
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».

Perchè trattasi di un'allegoria? Tanto per cominciare, si dia un'occhiata all'etimologia del nome del villaggio: Betània, byt anya. La parola significa letteralmente ''casa della sofferenza/casa del pianto''. È solo una coincidenza che Gesù capiti in un villaggio chiamato Casa della Sofferenza per vedervi l'azione di una donna che presagisce la sua futura sepoltura? Chi è questa donna? E perchè sa già che Gesù presto morirà? La donna è anonima, eppure diventerà famosa nella misura in cui il vangelo sarà predicato in tutto il mondo. Col paradosso che una persona anonima è oggi famosa in tutto il mondo, quando nell'Antichità per essere famosi la prima cosa che occorreva avere, se esistiti o meno, era un NOME.


Lo stesso tipo di allegoria si ripete con Bètfage, che significa Casa dei Fichi Acerbi. Di solito gli atei ''utili idioti'' (per gli apologeti) prendono in giro il delirante Gesù che se la prende con un povero fico selvatico per non portare frutto proprio quando è fuori stagione. Comunque, giusto dopo la maledizione dell'albero di fico, Gesù purifica il Tempio e dopo la purificazione del Tempio col baccano che ne è conseguito, l'albero di fico è essiccato.
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage [ossia, la Casa dei Fichi Acerbi] e Betània [ossia, la Casa della Sofferenza], presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli...
...  
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània
[la Casa della Sofferenza], ebbe fame. [in Marco 11:1 Bètfage e Betània sono villaggi vicini] Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. [Gesù trova un albero di fichi primaticci proprio presso la Casa dei Fichi Acerbi] Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.

Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: 
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni?  
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
[questi sono indizi di Midrash, non di una ''profezia realizzata'']


La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato».

(Marco 11:1, 12-17, 20-21)
    
Quindi Marco non ha fatto altro che inserire l'episodio della maledizione e purificazione del Tempio ebraico tra la maledizione del fico selvatico e il suo essicamento.... ...nella Casa dei Fichi Acerbi.

Alla luce di tutto questo simbolismo, è abbastanza chiaro concludere che Marco non ha inteso nient'altro che un'allegoria della distruzione del Tempio ebraico e della fine del culto relativo per i secoli dei secoli: l'albero di fico rappresenta infatti lo stesso Tempio ebraico e il suo essicamento rappresenta la distruzione del Tempio. Forse è addirittura possibile che Marco, collocando appositamente la Casa dei Fichi Acerbi vicino Gerusalemme, intendeva facilitare l'associazione tra le due sedi: Gerusalemme è la stessa Casa dei Fichi Acerbi perchè la religione ebraica non è più capace di produrre frutto gradito a Dio.

 Quando ho letto con gusto il libro memoria del miticista accademico nonchè prete cattolico Thomas Brodie, Beyond the Quest for the Historical Jesus: Memoir of a Discovery, che racconta della sua travagliata presa di posizione da un Gesù storico ad un Gesù mitico, mi ha colpito fin da subito l'enfasi posta dall'autore ad un interessante dettaglio particolare riguardo l'uso di Marco della parola ''falegname'', come si traduce di solito la parola greca  tekton.
Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
(Marco 6:1-6)

  
Per cominciare, Brodie parte dal contesto. Si parla dell'importanza dei miracoli di Gesù agli occhi del popolo. Quei miracoli sono relativi, secondo Brodie, ai temi della ''creazione, vita e morte (Marco 4.35-5.43)''. Inoltre, lo studioso identifica in questa parte di Marco una 

...significativa dipendenza letteraria sul libro (della Septuaginta) della Sapienza. A partire da Sapienza 10, numerosi capitoli del libro della Sapienza parlano sia del ruolo di Dio come creatore e datore della vita e sia del fallimento di parecchie persone a riconoscere Dio come il vero  technites, il supremo artigiano (Sapienza 13:1; si veda Sapienza 13.22, la Sapienza technites panton, ‘l'artefice di tutte le cose’).

Al contrario la visione del popolo è limitata dal tipo di visione trovata in un falegname (il tekton, Sapienza 13.11); cioè tutto ciò che possono vedere è solo un umile falegname.
    “Il popolo stolto in Sapienza 13:1-9 non riconosce il  technites, il supremo artigiano, e rivolge le sue attenzioni invece ad oggetti inanimati come quelle che il tekton produce   (Sapienza 13:10-14:4). E il pubblico di Nazaret non riconosce la presenza del Creatore in Gesù l'artefice di miracoli ma riesce a concentrarsi solamente sul mondo della falegnameria, e così chiamano lui un tekton.”

Da questo dettaglio Brodie deriva una conclusione che dovrebbe essere, a mio avviso, piuttosto ovvia.
La Sapienza 13, 

 Davvero stolti per natura tutti gli uomini
che vivevano nell'ignoranza di Dio.
e dai beni visibili non riconobbero colui che è,
non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere.
Ma o il fuoco o il vento o l'aria sottile
o la volta stellata o l'acqua impetuosa
o i luminari del cielo
considerarono come dei, reggitori del mondo.
Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dei,
pensino quanto è superiore il loro Signore,
perché li ha creati lo stesso autore della bellezza.
Se sono colpiti dalla loro potenza e attività,
pensino da ciò
quanto è più potente colui che li ha formati.
Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature
per analogia si conosce l'autore.
Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero,
perché essi forse s'ingannano
nella loro ricerca di Dio e nel volere trovarlo.
Occupandosi delle sue opere, compiono indagini,
ma si lasciano sedurre dall'apparenza,
perché le cosa vedute sono tanto belle.
Neppure costoro però sono scusabili,
perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo,
come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?
 (Sapienza 13:1-9)

specialmente la sua spiegazione del fallimento della gente nel saper discernere dovutamente le vere opere del Creatore, limitandosi ad osservare solo i meri prodotti di un semplice tekton,
    “...offre un'adeguata spiegazione adeguata all'uso di Marco di tekton; spiega pienamente i dati di Marco. In essenza: una volta che è intravista la connessione letteraria, la spiegazione storica non è più necessaria; va al di là di quello che è necessario per spiegare i dati.(mia enfasi)

Queste parole hanno il suono di una conclusione davvero convincente. Naturalmente, basarsi solo su questo episodio per escludere la possibilità che Marco abbia in mente delle vaghe dicerie orali su un Gesù storico è un errore. Ma sotto la ragionevolissima ipotesi che Marco sta utilizzando altra letteratura -- ad esempio il libro della Sapienza -- nella costruzione del suo racconto, quest'acuta osservazione di Brodie calza davvero a pennello. L'ipotesi alternativa, ad esempio il classico quadretto ''storico'' che vuole Gesù un umile falegname, rischia davvero di accumulare ipotesi-zavorra, perchè rende il racconto di Marco il risultato del miscuglio del libro della Sapienza con il ricordo di un fatto storico, cioè:


Marco 6:1-6 = ispirazione dal libro della Sapienza 13 + ricordo orale di un fatto storico + il Fatto storico che Gesù era un falegname di Nazaret.

...che chiaramente è una spiegazione peggiore di quella che fa volentieri a meno delle ipotesi-zavorra non necessarie.


Ovviamente, in termini bayesiani, questo sta a significare che dovrei decidere sulla storicità o meno di un nucleo storico dietro l'episodio a seconda della probabilità che assegno a priori rispettivamente: alla possibilità che Marco utilizzi una fonte storica, alla possibilità che ricorra alla tradizione orale, oppure alla possibilità che attinga da letteratura precedente.

Un'altra evidente allegoria è quella sottesa all'urlo dell'indemoniato geraseno, ''Il mio nome è Legione perché siamo in molti''.

Tanto per cominciare, Gerasa è lontanissima dal Mare di Galilea al contrario di quanto descrive Marco.
Ricordando che il vangelo di Marco è stato scritto probabilmente in reazione alla distruzione di Gerusalemme nel 70 EC, si notano, attraverso le preziose informazioni tramandateci da Flavio Giuseppe, dei possibili paralleli tra

1) Roma che conquista Gerusalemme nella Storia

e

2) Gesù che conquista Gerusalemme nella favola.

1) L'inizio della missione di conquista di Gerusalemme:

-- il generale romano Tito parte da Cesarea

-- Gesù parte da Cesarea:
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.
(Marco 8:27-32)

2) i romani si riprendono con la forza la colonia romana di Gerasa caduta in mano ai ribelli zeloti.
Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.  I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.  Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
(Marco 5:1-20)

Si noti il ''doppio significato'' (ἀλληγορία, appunto) delle parole utilizzate da Marco:

1) Gerasa: colonia romana relativamente importante, popolata in gran parte da pagani, temporaneamente occupata dai ribelli zeloti e importante nodo strategico sulla via per Gerusalemme. Un leader zelota, Simone, era di Gerasa.

2) Legione: il nome del Demone allude anche all'unità principale dell'esercito romano.

3) Porci: per gli ebrei era un appellativo dispregiativo dei pagani. E la Legione conquistatrice aveva un Cinghiale nel vessillo.

4) Duemila:  questo sembra un eco del numero di prigionieri presi dai romani dopo l'espugnazione di Gadara (duemiladuecento). [1]

5) Annegarono: Nell'assedio romano di Gadara il più orribile strumento di tortura e sterminio dei ribelli zeloti sbaragliati fu l'annegamento. [1]


Insomma, ci sono troppe coincidenze che aprono alla concreta Possibilità che l'autore avesse una ragione letteraria in mente per selezionare Gerasa e non pensò affatto di raccontare un evento storico quanto piuttosto di fare l'ennesimo punto teologico: la storia sembra basata davvero sull'impossibile e perciò è priva di un nucleo storico.

Quindi con una Storiella che non può essere Storica sembra davvero Possibile che ''Marco'' decise di instaurare apposta un confronto immaginario tra la Pacifica conquista di Gerusalemme da parte del Messia invisibile Gesù e la fin troppo evidente Violenta espugnazione romana di Gerusalemme. L'Ironia che forse ''Marco'' non visse abbastanza a lungo per poter apprezzare, è che, alla finale resa dei conti della Storia (quella vera), ''Gesù'' finì davvero per conquistare Roma pacificamente.


Infine, un altro piccolo esempio, molto istruttivo a dispetto della sua piccolezza: si tratta infatti di un ''episodio'' evangelico che non prevede passeggiate sulle acque, terremoti, stelle cadenti, veli autosquarciantisi, zombies, cadaveri che risorgono, mani bucate, vergini immacolate e quant'altro!!!!!!!!!!!!

Sarebbe naturale aspettarsi da parte dei seguaci di un predicatore che ALMENO la cosa più banale & ovvia che possa fare un predicatore, ovvero raccogliere seguaci a destra e a manca lungo la via, sia descritta nel modo più semplice e ovvio possibile, essendo presupposto a priori come fatto storico.

Ebbene, si veda come descriverebbe Marco un tale ipotetico fatto storico:
Mentre passava lungo il mare di Galilea, egli vide Simone e Andrea, fratello di Simone, che gettavano la rete in mare, perchè erano pescatori. Gesù disse loro: ''Seguitemi, e io farò di voi dei pescatori di uomini''. Essi, lasciate subito le reti, lo seguirono.

Notato qualcosa di strano? I discepoli mollano le reti come degli zombi, senza opporre la mimima obiezione. Troppo innaturale. Troppo anomalo. Troppo inumano.


Quello che ha fatto la Third Quest finora, e che i folli apologeti cristiani allegramente e alacremente continuano a fare incompetenti e disinformati come sono, è di fantasticare su cosa avrebbe potuto scatenare quella così prona fedeltà dei primi discepoli: ma così facendo, hanno ''RAZIONALIZZATO'' e ''ARMONIZZATO'' invano l'episodio, peggio ancora, hanno fatto di più: LO HANNO RESO INNATURALMENTE ''REALE''. Oppure lo hanno sostituito con qualche altra storia simile ma che presenta quello che manca al vangelo: ''verosimiglianza storica''.

E così si ritrovano tra le mani, al posto di ciò che intese davvero Marco, qualcosa che trovano decisamente più facile da immaginare nella vita reale.
Nella Storia.
Estendete il loro esercizio in gratuita immaginazione e fantasy storica virtualmente su tutti i casi dei vangeli, e allora vi ritrovate davanti tutta la 'materia' di cui si dicono esperti e di cui sono fatti i loro ''sogni'' & ''giochini'', e che non li rende affatto dissimili dai dilettanti allo sbaraglio che si divertono a ricostruire i loro bizzarri Gesù storici eretici, alla faccia del loro ostentato *metodo scientifico*.

Ma esiste una soluzione più semplice che spieghi quell' ''episodio'' perfino nel suo aspetto più innaturale, senza ricorrere a fantasie di sorta?


Certo che esiste. Il midrash dalle Scritture ebraiche.
Partito di lì, Elia incontro Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimosecondo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro ad Elia, dicendogli: ''Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò''. Elia disse ''Va' e torna, perchè sai bene che cosa ho fatto di te''.
(1 Re 19:19-20)

I discepoli di Gesù superano in tempistica efficienza Eliseo: non si preoccupano nemmeno di congedarsi dai genitori, non si guardano indietro neppure per un solo istante, il loro innaturale automatismo è un artificio letterario INTENZIONALMENTE VOLUTO per ricordare al lettore originario (che non è affatto un eschimese a differenza nostra) come stavolta si sta di fronte ad un novello Elia, anzi a qualcuno ancora più potente di Elia, visto l'evidente progresso nella velocità di reazione del discepolo chiamato rispetto all'invito del chiamante. Un punto tutto TEOLOGICO, dunque, malcelato dietro un punto squisitamente LETTERARIO.

Quell'episodio è SOLO la parabola TEOLOGICA di una chiamata DIVINA. Punto. Stop.

NON è la storiella di un predicatore carismatico che attira a sé come una calamita.

Un semplice parabola. Ficcarci un evento storico nella parabola o dietro la parabola non aiuta affatto a comprendere la NATURA di quella storiella, ma anzi ne DISTRUGGE l'essenza. Se si parla di Marte in una rivista, occorre fare attenzione innanzitutto se si è nella pagina scientifica o nella pagina di Coming Soon Television, altrimenti si rischia di non comprendere la NATURA di ciò che si legge.

L'autore del Primo Vangelo pretese che i suoi lettori vedessero qualcosa di storico dietro quel quadro letterario?

Non lo so. Nessuno lo sa, se ci fosse davvero quella pretesa, nel primo vangelo.

Ma sicuramente posso fin d'ora riconoscere che lo scopo di Marco era di scrivere la storiella di una chiamata divina e che ogni tentativo di sostituire la storiella con qualcosa di ''storicamente plausibile'' costituisce l'esatta negazione della funzione originaria di quella storiella. Farne l'esatto opposto di quello che ne voleva farne Marco.

E come quell'episodio, così ogni altro dei vangeli funziona allo stesso modo: come una parabola o una lezione teologica di qualche tipo.

  L'IMMAGINAZIONE STORICA 

    DISTRUGGE I VANGELI.



Ci sono tanti esempi di pura allegoria come questi in Marco
(ad esempio il nome ''Pietro'' che è tutto un programma, l'''episodio'' di Barabba, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ecc.) ma poichè i cristiani non-gnostici (e qui uso la parola ''gnostico'' per indicare semplicemente chi sa riconoscere l'allegoria sottesa al racconto del primo vangelo) leggono Marco prendendolo quasi sempre alla lettera, quello che abbiamo nei successivi vangeli sinottici Matteo e Luca, e nella successiva traditio cattolica,  non sono altro che ''correzioni'' e abbellimenti della medesima, unica allegoria. La sola ragione della loro lettura letteralista era -- storicamente -- perchè i cattolici, a differenza degli gnostici, ritenevano che la piena ''storicità'' di Gesù e una lettura letteralista della sua ''vita'' fossero essenziali per mantenere in piedi la fede proto-cattolica e la sua coesione, una fede che tutti i cristiani attuali hanno ereditato, perchè fu l'unica che trionfò, alla fine.


 Così io non ho nessun problema con l'allegoria quando la si intende per quella che è, se nel vangelo di Marco o nel libro di Giona ''che visse nella Balena''. Il problema intrinseco all'impiego che fanno i folli apologeti cristiani dell'allegoria (e mi riferisco ai cosiddetti ''cattolici adulti'', che in accademia prendono il nome di ''cristiani liberali'') è che la vogliono usare esclusivamente come extrema ratio per difendere la loro fede da possibili critiche. Ad esempio con la risurrezione di Lazzaro perfino un prete nel suo sermone domenicale è costretto a dire che quello di Giovanni in merito è un puro racconto simbolico, ma l'importante per lui è fare il punto teologico di turno (e preservare impliciter la letteralità delle parti più ''importanti'' del vangelo).

Il più grande problema nel modo in cui i proto-cattolici  prendevano l'allegoria, come la prendono tuttora i cristiani di oggi, è che distrugge la bellezza originaria delle scritture ebraiche al solo fine di scimmiottarle a dovere per farle calzare (goffamente) a pennello con una conclusione cristiana già assunta a priori. Aveva ragione Marcione a dire che il cristianesimo e il giudaismo non hanno nessuna relazione se non meramente superficiale e che perciò i cattolici avrebbero dovuto restituire agli ebrei le Bibbie di cui si erano fraudolentemente impossessati.

Per farla breve, il problema che ha l'apologeta cristiano quando legge un'allegoria nel vangelo è che sempre e comunque, di nuovo e ancora di nuovo, farà di essa un uso distorto al solo scopo, trito e ritrito, di provare la ''verità'' del suo cristianesimo, al di là se risponda al nome di Giustino Martire nel 150 EC o di Jerim Bogdanic Pischedda [2] nel 2014. A differenza di Marco, non esiste nessuna bellezza, nessun senso di pura arte, nella sua allegoria. C'è solo apologia.


[1]
Scrive Flavio Giuseppe:
Placido, fidando nei suoi cavalieri e imbaldanzito dai precedenti successi, si diede a inseguirli e fino al Giordano fece strage di tutti quelli che raggiunse; poi compresse lungo la riva del fiume la massa, che non riusciva a superarlo per l'impetuosa corrente alimentata dalle recenti piogge, e le schierò di contro le sue forze. I giudei furono spinti a battersi dal non veder via di scampo, e si distesero il più possibile lungo la riva, dove vennero raggiunti dai proiettili dei romani e caricati dai cavalieri che ne ferirono molti facendoli precipitare nel fiume. Quindicimila furono quelli che essi uccisero, mentre un numero incalcolabile venne costretto a gettarsi da sé nel Giordano.  I prigionieri ammontarono a duemiladuecento, e insieme si fece un gran bottino di asini, pecore, cammelli e buoi.  Questo fu il disastro più grave patito dai giudei, e le sue proporzioni apparvero ancora maggiori perché non solo era disseminato di morti tutto il paese attraverso il quale erano fuggiti e il Giordano era ricolmo di cadaveri, ma questi avevano riempito anche il lago Asfaltite dove in gran numero li aveva trascinati la corrente.
(Guerra Giudaica, Libro IV:433-437, mia enfasi)

[2] Jerim Bogdanic Pischedda è un fiero apologeta cattolico attivo nella blogosfera autore di un articolo, con tanto di prefazione di PhD, che intende ''confutare'' chi nega che i chrestiani di Tacito nominati in Annali 15:44 siano gli stessi cristiani seguaci di Gesù ''detto Cristo''. Qualcosa che ancora non mi trova convinto e che intendo probabilmente criticare in futuro, in un prossimo post sul famigerato, controverso passaggio dello storico romano sui chri/estiani.