martedì 6 maggio 2014

Del perchè Marcione è la ragion d'ESSERE di Luca (I)

Secondo la mia opinione, il vangelo di Luca è nato in risposta e in reazione ad un'eventuale correzione del vangelo di Matteo da parte di Marcione.

Se Luca è successivo al vangelo di Marcione, allora chi è il più antico testimone dei tratti caratteristici di Luca e solo di Luca? Giustino Martire.

Ecco secondo Vridar quali sono i possibili indizi che dimostrerebbero senza alcun dubbio che Giustino era consapevole di Luca:


1. Elisabetta è la madre di Giovanni il Battista (Dialogo con Trifone 84, si veda Luca 1:57).
2. L'annunciazione dell'angelo Gabriele a Maria (Dialogo con Trifone 100, si veda Luca 1:38).
3. Censimento di Quirino (Dialogo con Trifone 78, si veda Luca 2:2).
4. Circoncisione all'ottavo giorno (Dialogo con Trifone 23, 67, si veda Luca 2:21).
5. Gesù che suda sangue (Dialogo con Trifone 103, si veda Luca 22:24).
6. Apparizione ai discepoli di Gerusalemme e non in Galilea, a differenza degli altri sinottici, per preferire la più ebraica Gerusalemme alla Galilea ''dei gentili'' (Dialogo con Trifone 51, si veda Luca 24:36).
7. Ascensione al cielo (Prima Apologia 51, 46, si veda Luca 24:51).


Marcione, secondo me, doveva essere diventato famoso assai prima del tempo creduto, o meglio fatto credere, da una Traditio a lui totalmente ostile,
per via del malcelato interesse tutto proto-cattolico a dipingere qualsiasi eresiarca come un parvenu dell'ultima ora, ritardatario rispetto alla puntuale comparsa della ''vera'' fede: l'ortodossia è venuta ''prima'' mentre l'eresia è venuta assai ''dopo'', compreso dunque Marcione.

Sarebbe occorso molto tempo prima che la fama di Marcione attirasse l'attenzione di Giustino, che stava scrivendo intorno al 150 EC. Ecco perchè mi sembra plausibile supporre che Marcione scrisse il suo vangelo e iniziò a diffonderlo intorno al 130 EC.
I vangeli di Marco e di Matteo sono stati scritti sicuramente dopo il 70 ma non prima della fine del I secolo.

Nel lasso di tempo che separa la stesura del vangelo di Marcione dagli scritti di Giustino, venne aggiunto al vangelo di Marcione il racconto della nascita, ovviamente in linea con la moda greco-romana di attribuire ad ogni eroe degno di questo nome una nascita miracolosa.
Occorre dimostrare ora che Luca abbia copiato, oltre che dal vangelo di Marcione, anche da Matteo. Ma per dimostrare questo è necessario che passi sul cadavere dell'ipotesi Q.


 Oramai non credo per nulla all'ipotesi Q. Almeno quattro indizi mi sembrano abbastanza forti da indurmi con cognizione di causa ad abbandonare quell'ipotesi così in fretta come ne ho sentito parlare.
Il primo indizio.


Luca sembra seguire Matteo in questo punto:
Terminate queste parabole, Gesù partì di là. Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?
(Matteo 13:53-55)

Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:  Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore.  Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».  Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
(Luca 4:14-22)

...e non Marco:

Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Marco (6:1-3)

Non ci sarebbe nessuna ragione per Luca di cambiare la sprezzante domanda retorica di Marco ''non è costui il falegname?'' nel lucano ''non è costui il figlio di Giuseppe?'' senza passare inevitabilmente per l'intermediario matteano ''non è costui il figlio del falegname?''. In altre parole, se la sola fonte che fa di Gesù un ''figlio del falegname'' e non il ''falegname'' in persona è Matteo, da quale altro posto Luca prenderebbe quell'idea? Sembra proprio che tutti i personaggi anonimi in Matteo e in Marco venissero magicamente ''battezzati'' da Luca con tanto di nomi fittizi: così si venne a dare un'identità al padre adottivo di Gesù. Insomma, questa evoluzione da ''falegname'' a ''figlio del falegname'' ed infine a ''figlio di Giuseppe'' a  può avere una logica solo se Luca fosse a conoscenza prima di Marco e poi di Matteo e volesse armonizzarli entrambi assegnando un nome all'anonimo di turno.
Se Q esisteva, allora non dice come si chiama il padre terreno di Gesù, così come non lo dice Marco. Quindi come avrebbe permesso la sola fonte Q a far conoscere a Matteo e a Luca chi è Giuseppe, se non lo nomina affatto? Si tratta di un problema che nasce solo introducendo l'ipotesi Q.



Il secondo indizio:



Se Luca stesse attingendo a piene mani da Marco in questo punto:

E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
(Marco 10:46)

allora avrebbe dovuto aggiungere pure il nome di Bartimeo. Invece rende anonimo il personaggio di Bartimeo proprio come fa Matteo:
Ed ecco, due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava Gesù, gridarono dicendo: 
«Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
(Matteo 20:30)

Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare.
(Luca 18:35)


Marco ha inventato l'episodio per insegnare implicitamente ai suoi lettori qual è il significato in aramaico di ''bar'' quando introduce ''il figlio di Timeo, Bartimeo'', di modo che gli stessi lettori possano fare ottimo uso di quella conoscenza per riconoscere all'istante più tardi il significato del nome di Barabba: ''figlio del padre''.

Intanto Matteo, correggendo Marco secondo le sue necessità, rimuove questa ridondanza inutile per lui perchè non gli va di scherzare sottobanco con gli aramaismi, e divide Bartimeo in ''due ciechi'' anonimi mendicanti. Questo è tipico di Matteo in virtù della sua tendenza letteraria a duplicare singoli oggetti dell'allegoria di Marco: ad esempio Matteo presenta due posseduti da ''Legione'' invece di uno solo come in Marco, due asini su cui Gesù fa il suo ingresso trionfale a Gerusalemme invece di uno solo come in Marco, e così via).


C'è una ragione del perchè Matteo rende anonimo Bartimeo, ma non esiste alcun motivo dietro l'eventuale rimozione del nome Bartimeo da parte di Luca, dunque la soluzione più semplice è che Luca abbia attinto da Matteo senza badare a Marco.

Se infatti Luca avesse attinto solo da Marco e dalla fonte Q, per quale ragione avrebbe reso anonimo pure Bartimeo? Ad esempio Giairo, che compare in Marco, non viene affatto resa anonimo da Luca. Dunque perchè Bartimeo si e Giairo no? Avendo invece nelle sue mani Matteo (o una fonte che usò Matteo), Luca troverebbe giustamente ridondante dal canto suo uno dei due anonimi ciechi di Matteo perchè tutto quello che sa, grazie a Marco, è che uno solo dei due è Bartimeo, perciò nel dubbio mantiene un solo cieco anonimo nella sua versione ed elimina l'altro senza fare troppe storie.


Il terzo indizio.

Un altro colpo fatale a Q è la presenza di Ναζωραῖος in tutti i vangeli successivi a Marco. Q non ha Ναζωραῖος. Dunque da dove potrebbero aver saputo di quell'etichetta Matteo e Luca? Se invece, come sospetto, fu Matteo ad inventarsi Ναζωραῖος (Matteo 2:23) mal ricordandoselo da Giudici 13:5 allora si presenta una chiara traiettoria a spiegare perchè Ναζωραῖος si trova in tutti i sinottici, perfino nel quarto vangelo!, ma non nel primo, Marco. 





Il quarto indizio.

Questo lo devo a Mark Goodacre.



Matteo usò Marco (e non Q) e si prese pure il fastidio di correggerlo dove Marco è impreciso: ad esempio Matteo corregge Marco quando definisce Erode un ''re'' e ripristina per lui il titolo corretto ''tetrarca''.
Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi».
(Marco 6:14)

In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù.
(Matteo 14:1)

...salvo poi non trattenersi dal ripetere il medesimo errore copiandolo da Marco in un altro punto, facendo di nuovo di Erode un ''re'':
Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto...
(Marco 6:26)

Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data...
(Matteo 14:9)

Chiamasi ''fatica editoriale''.

Luca di solito si porta appresso sempre il solito rapporto di 1 a 10 nelle sue parabole e nei suoi miracoli:
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce:
«Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

(Luca 17:11-19)

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice:
“Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

(Luca 15:8-10)

 Nella parabola dei dieci talenti Luca parte già con 10 servi, mentre Matteo ne ha solo 3 :




Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”.
(Luca 19:12-25)



Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
(Matteo 25:14-30)

...ma fa parlare solo 3 servi nel finale della parabola, proprio come in Matteo. E sembra davvero seguire il finale di Matteo quando si ricorda di premiare con l'ultimo talento ''colui che ne ha dieci''.
Sembra logico per Matteo che il tizio ne avesse dieci di talenti dal momento che ne aveva cinque al principio e si limitò a raddoppiarli. Ma in Luca il tizio che aveva dieci talenti finisce coll'averne undici (aggiunge cioè una alle dieci che possedeva). Così o Luca si dimenticò come aggiungere, cosa improbabile (eppure è la conclusione alla quale conduce l'ipotesi di una fonte Q in comune tra Matteo e Luca), oppure, più probabilmente, imitò Matteo.

Un ulteriore colpo di grazia che Goodacre fa contro Q è quando ne sottolinea la natura di documento ipotetico privo anche solo di un singolo esemplare che ne attesti l'esistenza. Del quinto vangelo, quello di Tommaso, pure si dice che come Q è una collezione di detti, eppure Tommaso ha una struttura narrativa decisamente diversa da Q, perchè almeno esordisce ogni detto con ''Gesù disse...'' cosa che Q manca spesso di fare. Q è certamente un documento ipotetico che non ha eguali in nessun'altra letteratura antica cristiana.  È schizofrenico nel suo essere per definizione una collezione di detti astratti, eppure ospitando un mininum di struttura narrativa. E perfino nel suo ordine cronologico: inizia con Giovanni il Battista che predica nel deserto, poi col battesimo di Gesù, poi ancora con la tentazione di Gesù nel deserto, quindi con Gesù avvicinato dai messaggeri di Giovanni, e ad un tratto, bruscamente e senza alcuna ragione, torna indietro alla predizione apocalittica giovannea di colui che deve venire.  Che io sappia, il vangelo di Tommaso non ha una così contorta struttura narrativa di questo genere: anzi, non ha del tutto una trama di questo tipo. Solo detti ''di Gesù''. Se Q esisteva veramente, doveva avere tanto di cronologia e trama narrativa, e ne sarebbero sopravvissuti solo frammenti e neppure una collezione di detti come Tommaso, ma allora andando dritto dritto contro la sua precedente definizione di ''collezione di detti''. Una contraddizione che non riesco a risolvere, tantomeno a concepire, e che mi porta ad abbandonare volentieri la malaugurata ipotesi Q.


Liquidata così l'ipotesi Q, Il più recente dibattito del cosiddetto Problema Sinottico è risultato in un vicolo cieco: le soluzioni meglio stabilite, l'Ipotesi delle Due Fonti e l'Ipotesi di Farrer-Goodacre, sono cariche di un numero di apparenti debolezze. Una possibilità alternativa, che evita i problemi creati da ciascuna di loro, è l'inclusione del vangelo usato da Marcione. Questo vangelo non è una correzione di Luca, ma piuttosto precede Matteo e Luca e, perciò appartiene di diritto al labirinto delle interrelazioni sinottiche. Il modello risultante evita così la debolezza delle teorie precedenti e fornisce interessanti e ovvie soluzioni ad un problema notoriamente difficile.
In fondo, se i canonici Matteo e Luca sono solo versioni aggiornate della medesima allegoria di Marco, perchè non pensare lo stesso della versione di Marcione? Penso che i cristiani successivi avevano ogni ragione di pensare che il vangelo di Marcione derivò da quello di Luca a causa della riverenza di Marcione verso l'imponente figura di Paolo, e per via della leggenda di un Paolo che attinse al vangelo di Luca. Così, avrebbero dovuto fantasiosamente ''implicare'', se Marcione usò il ''vangelo'' di Paolo, allora ''non c'erano dubbi'': Marcione stava'' usando'', e possibilmente mutilando a piacimento!, Luca.



In generale, le ragioni principale che mi fanno sospettare prima facie che c'entra lo zampino di Marcione in Luca, o meglio ancora, che Marcione sia a tutti gli effetti in un modo o nell'altro la stessa RAGION D'ESSERE di Luca, in altri termini il motivo della sua esistenza, sono DUE.

La prima ragione è che Luca, a differenza degli altri due vangeli prima di lui, parte subito in quarta, nel suo incipit, con una micidiale PRETESA DI POSSEDERE LA VERITÀ SU GESÙ CRISTO.  

Questa pretesa così pressante, e tuttavia lanciata all'orecchio del lettore senza citare quale fonte ha usato per corroborare quello che pretende, si può solo spiegare con un crescendo clima di fazioso conflitto settario giunto ormai all'apice della rivalità e della più aspra concorrenza reciproche. E cosa se non il profilarsi dell'incombente e stringente minaccia di Marcione poteva costringere Luca sulla difensiva con tanto di forte pretesa del ''vero''???




Luca percepiva suo malgrado ormai l'assoluto bisogno di vendere l'allegoria come Storia VERA, pena altrimenti di fare il gioco di Marcione in particolare e degli gnostici in generale, decisamente più a loro agio con le allegorie e le loro criptiche allusioni.

La seconda forte ragione che mi induce a credere che se non ci fosse stato il vangelo di Marcione, non ci sarebbe stato parimenti alcun bisogno di un vangelo di Luca, è che in questo vangelo, come dimostra mirabilmente Bart Ehrman in ''Gesù non l'ha mai detto'', Gesù è sempre perfettamente in pieno controllo di sè. Non si abbandona mai all'emozione. Sta insomma sulla buona strada per diventare impassibile al limite dell'antipatia come lo diventerà del tutto nel vangelo di Giovanni.

Solamente in Luca 22:44 :


Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra.


Gesù sembra tradire un'emozione, un'emozione che i folli apologeti Mauro Pesce e Adriana Destro ritengono addirittura risalente al vero ''Gesù storico'', ma ho già fatto notare al lettore qual è la strategia narrativa alla base di quell'emozione (contrapporla cioè alla sonnolenza del tutto inappropriata, per la gravità del momento, dei discepoli di Gesù).
Col risultato che Luca ha ora un motivo in più per descrivere quel ''suo sudore come grosse gocce di sangue che cadevano in terra'', un motivo tutto TEOLOGICO: vuole far capire al lettore che Gesù era di carne e sangue, non era un fantasma, non era un'ologramma, non era un Gesù docetico dalla pelle non sensibile al tatto, non era in poche parole il Gesù impalpabile di Marcione. Chiaramente dunque quel passo di Luca è una correzione anti-marcionita di una fonte precedente.
Ma il Gesù imperturbabile del vangelo di Luca, sempre flemmatico, sempre equilibrato, sempre privo di emozioni, sempre in totale controllo di quello che accadrà nel breve e nel lungo termine, sempre e soltanto concentrato nella realizzazione della sua missione da compiere sulla terra firma prima di poter dire ''tutto è compiuto'', rasenta troppo da vicino il Gesù che dovremmo aspettarci dal vangelo di Marcione: il Gesù docetico che esegue una rapida toccata e fuga sulla terra firma, apparendovi già adulto, con un ombelico praticamente inutile e nella piena consapevolezza degli obiettivi della missione da portare a termine, come un vero e proprio alieno in missione operativa sulla Terra. Luca potrebbe benissimo essersi limitato, oltre a ebraizzare di più un tale Gesù docetico con tanto di midrash, a dargli maggiore consistenza ontologica con Luca 22:44 e soprattutto conferendogli, aiutato certamente in questo dalla moda greco-romana dell'epoca, una miracolosa venuta al mondo da bambino, con tanto di Maria incinta per opera dello Spirito Santo. Se c'è uno spettacolo che ripugna allo gnostico di tutti i tempi, è vedere una donna incinta, prossima a dare alla luce un altro schiavo del Demiurgo e del mondo materiale da lui creato.  

Ma questo mi dà l'occasione di offrire un altro indizio, altrettanto forte, che rivela l'inconfondibile zampino di Marcione nella genesi di Luca e tradendo ancora una volta la priorità del vangelo del primo rispetto al secondo.

Ma di questo ne parlerò in un post successivo.