venerdì 16 maggio 2014

Una recensione al libro «The Power of Parable» di John Dominic Crossan, o del reale Potere della Parabola

John Dominic Crossan è un accademico storicista che avrà pure un sacco di difetti, essendo solo l'ennesimo studioso che si guarda allo specchio e vede ''Gesù''. Tuttavia di tutta la sua produzione, un solo libro penso che sia davvero degno di leggere, perchè solo quello ha colto perfettamente nel segno circa la natura dei vangeli, seppure non dimostrando affatto la storicità di Gesù ma al contrario dando ulteriori motivi per minare la fiducia nella stessa. Mi riferisco al suo libro del 2012: The Power of Parable: How Fiction by Jesus Became Fiction about Jesus (New York: HarperOne, 2012).


In quel libro Crossan sceglie di vedere nella parabola il metodo principale per la comprensione del contenuto e della natura dei vangeli. Io avrei usato il termine allegoria ma probabilmente siamo lì, nel campo della pura fiction, nonostante Crossan invano si faccia in quattro per far trapelare la rassicurante possibilità di eventi storici intrecciati alla parabola e risalenti a Gesù.
 Come a volte si ha l'impressione che un panteista sia solo un ateo che non vuole ammettere di essere ateo, così lo storicista John Dominic Crossan in quel libro parla come un miticista che invano non vuole ammettere di esserlo.

Nonostante questa grossa pecca di Crossan nell'assumere a priori la storicità di Gesù, tuttavia è di enorme importanza il fatto che rende possibile ai lettori sospendere temporaneamente il bisogno di una conferma storica delle storie al fine di meglio riconoscere la loro reale veste di parabola. Qualcosa che rende Crossan decisamente più serio rispetto ad altri apologeti, come ad esempio Mauro Pesce & Adriana Destro.


Interessante, da una prima occhiata a parti consistenti del libro, soprattutto l'evoluzione del significato delle parabole man mano che venivano scritti nuovi vangeli. Un'evoluzione che tutto sommato è proprio quello a cui avevo da sempre pensato, e che dunque rimarrà probabilmente la mia migliore cornice interpretativa in cui collocare i quattro vangeli (ovviamente non trascurando quale secondo me è la soluzione preferita al cosiddetto problema sinottico).

Cominciamo dal primo di essi.

Marco: in questo vangelo son presenti due storie sulla guarigione della cecità da parte di Gesù, e tre casi in cui la cecità risulta inguaribile. Se Gesù ha successo nel ridare la vista a ciechi che non sono suoi seguaci in  8:22-26  e 10:46-52,
Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
(Marco 8:22-26)


E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
(Marco 10:46-52)



lo stesso Gesù risulta incapace di sanare la cecità della sua cerchia di discepoli, ovvero i Dodici in  Marco 8:31-10:45.
Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».  
Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per
questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro. Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi». Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà». Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

(Marco 8:31-10:45)


Questa è la sintesi del messaggio che vuole veicolare Marco:
  gli anonimi recuperano la vista, i non anonini non riescono a recuperarla. Questo vale anche per le donne: la donna anonima che unge Gesù comprende che dovrà morire, laddove le donne con tanto di nome al sepolcro non riescono neppure a comprendere il monito dell'angelo. Crossan pensa addirittura che perfino l'autore del primo vangelo scelse l'anonimato (''Marco'' essendo un nome posteriore assegnatogli) pur di ribadire questo punto. La critica ai Pilastri storici, i primi che avevano esperito le visioni del Gesù Risorto, è evidente. Quelli come Paolo, che hanno il solo torto di non aver partecipato alle prime rivelazioni, ora possono e devono vedere meglio dei Pilastri.

Quindi ne deriva un particolare che avevo trascurato: Marco, il primo vangelo, il creatore, per dirla tutta, dell'entità ''Gesù di Nazaret'', ci sta dicendo che era sbagliato o al più incompleto il modo in cui i primi apostoli VIDERO Gesù. I primi mistici visionari erano ciechi. I mistici come Paolo, come Marco, invece, vedono più chiaramente. E devono ringraziare ''Marco'' per questo.



Matteo: Crossan nota come questo autore preferisca indugiare nella funzione polemica della parabola, come monito rivolto all'indirizzo di qualcuno. Crossan riconosce che questo è farina del sacco di Matteo, non di Gesù e propone una spiegazione. Al tempo della stesura di questo vangelo, era in atto uno scontro intra-familiare all'interno dell'ebraismo, tra i giudeocristiani e i farisei esponenti del nascente rabbinismo talmudico. Successivamente alla distruzione di Gerusalemme nel 70 EC, ''la centralità dei sacerdoti e il sacrificio nel Tempio fu sostituito -- per sempre -- da quello dei rabbini e dello studio della Torah'' (pag. 193). A questo punto Matteo probabilmente considerava ancora sé stesso come perfettamente parte della comunità ebraica a tutti gli effetti. Perciò il dibattito acceso che lo vede impegnato coi farisei (anche se parla a nome di Gesù) in merito a chi considerare fedeli maestri della Torah e legittimi guardiani della tradizione avrebbe sollevato una questione di critica importanza.

Luca-Atti : in base all'evidenza archeologica, Crossan conclude che Luca era stato un gentile ''timorato di Dio'' convertito al cristianesimo. Il suo vangelo tradisce la tormentata questione del suo tempo sullo status privilegiato degli ebrei rispetto ai cristiani, status che si rifletteva anche nel permesso imperiale concesso senza esitazione ai primi di praticare la loro religione, ma non concesso, oppure concesso con parecchia diffidenza, ai secondi a causa del crescente dubbio se considerarli davvero ebrei o membri di un'altra religione non licita. I cristiani erano ancora veri ebrei (come si sforzava ancora di ribadire con tutte le ragioni Matteo) o  non avevano nulla più da spartire sostanzialmente con gli ebrei, seppure richiamandosi alle loro Scritture? La risposta di Luca è che i cristiani erano ora i soli veri ebrei, perchè gli ebrei avevano rifiutato il loro Messia e con lui anche il loro destino. Di conseguenza erano i cristiani, ora, a meritare i privilegi e la tolleranza che erano prima riservati dall'Impero agli ebrei, giacchè il solo futuro riservato a quest'ultimi era la conversione a Cristo.

Il cristianesimo è, dice Luca-Atti, il vero Ebraismo, la sola valida continuità di quell'antica e riverita religione e non l'arrivo di qualche nuova religione sbucata dal nulla. (pag. 213)

Ovviamente quella di Luca era tutta apologia, perchè la realtà era l'esattamente opposto: Luca non è un ebreo come non lo sono i cristiani attuali. Come non lo fu Marcione, del cui vangelo quello di Luca costituiva sicuramente una reazione.   



Un esempio di parabola polemica rivolta contro la sinagoga è Luca 4:16-30 (probabilmente una modifica di un episodio simile presente nel vangelo di Marcione).
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:  Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore.  Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».  Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
(Luca 4:16-30)


 La conclusione della storia appare in Atti a partire dal capitolo 23, con Paolo condotto sotto scorta, in realtà un'autentica guardia del corpo, per condurlo a Roma, dove può solo allora predicare senza ostacoli, perchè lo scopo ideale di Luca è stato infine ottenuto: la tolleranza riservata agli ebrei è finalmente riservata a San Paolo, ovvero al cristiano Luca. Si trattava ancora di un pio sogno di Luca, giacchè i cristiani dovevano meritare quella tolleranza solo dopo Diocleziano. Ad ogni caso, per Luca, tolta la patina superficiale di ebraicità del suo vangelo (perchè sappiamo qual era la funzione di tale patina, ovvero re-ebraizzare il vangelo di Marcione), la fede cristiana è una fede romana, non ebraica. Il Novus Israel ha soppiantato totalmente il vecchio Israele. Il cristianesimo è una religione gentile e quello che rimane dell'ebraismo è stato assorbito in esso. Matteo non si era spinto ancora a tanto, giacchè si era solo a limitato a contrapporre l'ebraismo cristiano contro l'ebraismo farisaico, e non come Luca il cristianesimo per se contro l'ebraismo in toto. Lo Spirito Santo per Matteo spirava ancora a Gerusalemme, ma per Luca si è trasferito oramai a Roma.



Giovanni:
Crossan suggerisce che l'autore del quarto vangelo era un samaritano convertitosi al cristianesimo (è curioso che anche lo gnostico Simon Mago proveniva dalla Samaria), il che spiegherebbe perchè sapeva così tanto dell'ebraismo anche se ''era chiaramente fuori di esso e contro 'i Giudei' '' (pag. 241).

Al pari dell'autore di Luca-Atti, Giovanni attacca l'ebraismo da fuori, non da dentro come Matteo. Ma Giovanni attacca anche il cristianesimo non da fuori ma dal suo interno, come fece Marco. E attacca il cristianesimo cristallizzatosi nei vangeli sinottici: perchè si erano limitati a interpretare quello che Dio FA in Gesù e non a vedere quello che Dio È in Gesù. Sui miracoli di Gesù e non sul MIRACOLO che è Gesù.


Ma soprattutto mi piacciono le ultime parole finali di Crossan:


''Il potere delle parabole di Gesù sfidava e abilitava i suoi seguaci a co-creare con Dio un mondo di giustizia e amore, pace e non violenza. Il potere dell'esistenza storica di Gesù sfidava i suoi seguaci provando che almeno un essere umano poteva cooperare pienamente con Dio. E se uno solo poteva farlo, perchè non gli altri? Se qualcuno poteva farlo, perchè non tutti?'' (pag. 252).


Sembra arrivare molto vicino a toccare le note più profonde di almeno una delle ragioni per le quali era necessario scrivere un vangelo, IL PRIMO, storicizzando come effetto collaterale il Gesù mitico di Paolo.

Poco prima, Crossan si chiedeva retoricamente quale sarebbe stato il caso se Martin Luther King non fosse mai esistito, a dispetto dell'intrinseca bontà del suo messaggio. In quel caso, il messaggio poteva essere rifiutato ''con lo sbrigativo commento che esso era tutto per davvero amorevole, ma non avrebbe funzionato -- non ora, non qui, e forse mai da nessuna parte''. Ma poichè Martin Luther King era esistito veramente allora siamo più motivati a sperare di poter farcela anche noi come lui a realizzare il nostro Sogno sulla terra firma.


Sosituisco nell'ultima frase ''Martin Luther King'' con ''Gesù'' ed ottengo:

Ma poichè Gesù era esistito veramente allora siamo più motivati a sperare di poter farcela anche noi come lui a realizzare il nostro Sogno sulla terra firma. [1]


Quindi ecco una buona ragione morale per creare un Gesù storico dal nulla, a tavolino.



L'evangelista che crea un episodio di sana pianta nei modi che sappiamo (il midrash sostituendo i nostri migliori ''effetti speciali'' cinematografici), si sentiva co-creatore insieme a Dio del mondo nuovo che auspicava realizzare, nelle macerie del vecchio mondo post-70.
Il lettore che leggeva il suo episodio di sana pianta era a sua volta portato a sperare nella realizzazione di quel mondo, implicato da quell'episodio.

Ma sorge allora la domanda: per Marco quell'allegoria, quella meravigliosa mega-parabola, che fu il suo racconto, fu venduta davvero come Storia sin dal suo primo originale manoscritto? Sono propenso a rispondere di sì. Perchè, per quanto fantastica, solo qualcosa venduta come Storia può meritare l'attenzione di altri autori perchè veicoli i loro messaggi mediante una nuova versione di quella medesima Storia.

Se uno crede già nella bontà del messaggio di una Entità celeste, gli manca davvero poco continuare a credere a quel medesimo messaggio con maggior zelo di prima, previa soltanto opportuna traduzione di quel messaggio, e di quell'Entità, nei termini di una descrizione di quanto è avvenuto nel passato.

La differenza che corre tra sapere che il Signore degli Anelli è un mito, e sapere che la vicenda del Mahatma Gandhi è reale, sta nella consapevolezza che ciò che si può solo sognare nel primo caso si potrebbe anche ripetere in virtù del secondo.

Plutarco aveva da recitare il ruolo di biografo di Romolo per convincere che si poteva diventare nuovi Romoli persino al suo tempo (emulando Romolo come Teseo), perchè Plutarco credeva già alla sua storicità ancor prima di mettere mano alla penna e raccogliere a tavolino tutti i vari ''si dice...''.

Marco aveva da recitare il ruolo di agiografo di Gesù per convincere che si poteva emulare Gesù persino al suo tempo, co-creando con Dio un nuovo mondo, perchè Marco credeva già alla sua storicità ancor prima di mettere mano alla penna e raccogliere a tavolino tutti i vari ''è scritto...''.


Marco voleva antropomorfizzare l'angelo Gesù di Paolo sulla terra firma per dimostrare che almeno un essere umano poteva cooperare pienamente con Dio, che almeno un essere umano poteva meritare di essere il Figlio pre-esistente e celeste rivelato tramite visioni mistico-spirituali ai primi apostoli, che almeno un essere umano poteva essere il Messia così tanto a lungo atteso nelle Scritture, sullo sfondo apocalittico di un mondo crudele dove il Tempio era stato raso al suolo e dove messia liberatori dai romani sembravano tardassero per sempre ad arrivare.

E se uno solo poteva farlo, perchè non gli altri? 

Se qualcuno poteva farlo, perchè non tutti?


Questo il motivo morale. Ma esisteva anche un'altra ragione più grettamente materiale e più inconscia eppur presente, ben messa in evidenza implicitamente anche nel libro di Crossan, ma che posso benissimo io fin d'ora esplicitare.
  
E se poteva profittarne Marco, perchè non Matteo?  
E se poteva profittarne Matteo, perchè non Marcione?  
E se poteva profittarne Marcione, perchè non Luca?  
E se poteva profittarne Luca, perchè non Giovanni?
Ed eccoci qui.


Dunque Marco SENTIVA che Gesù era ''storico'' persino se non era ciò che scrisse a convincerlo di questo (perchè ciò che scrisse era lui, Marco, che lo stava totalmente inventando a tavolino). E se Marco SENTIVA che Gesù era storico prima ancora di crearlo a tavolino sta solo a significare che sentiva l'ESIGENZA interiore di crearlo, per aggiungere solo un formale SIGNIFICATO al suo interiore e più profondo sentore. 



[1] Io proporrei un esempio più moderno, e forse anche leggermente più calzante. Se tra le tante favole a disposizione, Hollywood sceglie di giocarsi tutti i suoi migliori ''effetti speciali'' tramite la realizzazione di un film-evento qual è la fantastica trilogia del Signore degli Anelli, allora il motivo, per quanto possa essere meramente economico e commerciale (fare il boom del botteghino), è non solo politico (esaltare il regno del bene che è la Democrazia occidentale) ma anche sociale: permettere di far sognare veramente, nel modo migliore possibile, la ''realtà'' del Bene che vince sul Male.
E come il Signore degli Anelli, così The Passion di Mel Gibson, con la differenza che quest'ultimo film la gente è andata a vederlo calandosi ancor di più nella piacevole ''sensazione'' della ''Storia Ricordata'' quando in realtà non vedeva altro che fiction storicizzata. E né si può negare che Mel Gibson sia esponente di una certa versione integralista del cattolicesimo, quindi anche nel suo caso abbiamo parte della sua invenzione che permette di toccare qualcosa di storico: e cioè l'ideologia dell'inventore nel mondo reale.