lunedì 30 giugno 2014

REQUIEM AETERNAM HISTORICO JESU

In questo luogo nel 1987 non è accaduto nulla.
—Targa sul muro di Woody Creek Tavern,
Woody Creek, Colorado

Nella sua ultima lettera «al nobilissimo e dottissimo» E. Oldenburg (Ep. LXXVIII), scritta da Spinoza il 7 febbraio 1676, e che ha quasi il sapore di un commiato), il filosofo dice:
«Sono d'accordo con voi nell'intendere letteralmente la passione, la morte e la sepoltura di Cristo; ma intendo allegoricamente la sua risurrezione».
(mia enfasi)


Certo, il mistico, il santo Spinoza non aveva forse il coraggio di dichiarare apertamente la morte di Dio. Ma la coerenza coi suoi principi speculativi non gli impediva affatto di affermare senza esitazione che Cristo (al quale, del resto, non riconosce la natura divina: e come avrebbe potuto farlo, se Deus = Natura? In realtà, affermare che Dio è la Natura, significa affermare tout court che Dio è morto) era inesorabilmente morto per sempre.
E Spinoza iniziò, con quelle parole, il criticismo dei testi sacri del cristianesimo, essendo stato dunque il primo a separare nei vangeli quello che riteneva pura invenzione, letteratura, allegoria, mito da quello che riteneva (sebbene ancora a torto) Storia letterale.

Scoprire, a distanza di secoli, che Gesù è mito non significa altro che immergere il caro, vecchio ''Gesù storico'' -- ormai divenuto tutt'uno col Cristo della fede per i cristiani più liberali, come pure per i teologi travestiti da storici nonchè folli apologeti -- nell'impersonalità assoluta del Nulla, sicchè l'itinerario della ''Ricerca del Gesù Storico'' che è stato tracciato negli ultimi 200 anni, considerato nella sua realtà più vera, cioè deterso da quello spirito apologetico cristiano di fondo che troppe volte ne ostacola un'esatta comprensione anche al critico ateo più scaltro, si riduce ad un ben poco attraente viaggio verso l'impersonalità: al che vuol dire alla negazione della realtà intima di Gesù per gli antichi cristiani, di quel nucleo personale che ne costituì in qualche modo, sia pure da puro mito, l'essenza più umana e, tolto il quale, ora, il cristianesimo diventa nient'altro che un flatus vocis.

Al pari di qualsiasi altra religione morta dell'Antichità.


Una volta intravista la concreta possilità di concepire l'originario Gesù come frutto di sogni, visioni e rivelazioni dei primi apostoli come Paolo, pensare Gesù diviene per logica conseguenza un facile sforzo di depersonalizzazione del Gesù - di ogni Gesù - precedentemente inteso, comunque immaginato. E dunque della negazione stessa della Tradizione cristiana sopravvissuta finora. La quale, non avendo più consistenza ontologica, poichè non è che l'esito della storicizzazione di quell'entità cosmica e indifferenziata che è il Gesù arcangelo celeste di Paolo, deve farsi riassorbire da quel mito che, avendola prima generato, ne richiede ora la morte. Morte che va intesa in senso metafisico prima ancora che naturale. Infatti, una volta che il cristiano antico aveva posto quale principio ontologico quello del ''Gesù storico'' - principio che gli derivava dall'aver egli storicizzato il Gesù mitologico sulla Terra come un uomo divino, con una famiglia terrena, amici e nemici, completo di atti e detti,  - ha costretto ogni cristiano successivo per raggiungere il summum bonum a tendere necessariamente verso il ''Gesù storico'', e quando lo ha fatto senza più infingimenti di sorta, al vaglio della ragione critica finalmente sprigionata, culminando nell'inevitabile annullamento del proprio essere più sinceramente cristiano.

E qui non posso fare a meno di notare come troppi sedicenti storici, ma in realtà meri dementi folli apologeti (vedi Mauro Pesce), quando affrontano il caso ''Gesù storico'',  non s'immedesimano, a mio avviso, quant'è necessario con il significato che il termine ''Gesù'' aveva negli antichi cristiani e ne parlano come se avessero a che fare con un essere storico in realtà mai morto e sempre esistito, sempre presente nel mondo nonostante non l'averlo mai calcato.

Se invece, si tenesse presente che il Gesù dei primi cristiani è un arcangelo celeste, e nient'altro, tanti discorsi, tante tesi e supposizioni vane cadrebbero da sé, e non si complicherebbero le cose inutilmente!

Ma uno strumento, e tale è stato finora e magnificamente il ''Gesù storico'', è perfetto solo quando compie la funzione assegnatagli.

Perchè, come ben spiega Spinoza:
«...quando un artigiano, nella fabbricazione di un pezzo d'opera, s'avvale di un'ascia, che ben fa il suo servizio, quest'ascia ha adempiuto al suo fine e alla sua perfezione. Se tuttavia, questo artigiano pensasse che quest'ascia lo ha ben servito e, perciò, dsiderasse lasciarla riposare... quest'ascia sarebbe distratta dal suo scopo, e non sarebbe più un'ascia. Così l'uomo, fino a che è una parte della natura, deve seguire le leggi della natura, e sta qui il culto di Dio; e così, fino a che fa ciò, è beato».
(Breve Trattato, II, cap. XVIII, mia enfasi)

Non si può non vedere allora nella ricerca del Gesù storico una tensione davvero unica verso Dio, ma è una tensione destinata a cadere miseramente come il volo di Icaro, poichè il ''Gesù storico'', come s'è visto in maniera oramai più che evidente, può dire tutto, può fare tutto, fuorchè accogliere le aspirazioni dei suoi devoti «ricercatori» verso di lui: ovvero essere esistito.

E qui mi sovviene ancora una volta l'immensa profondità, più attuale che mai, della sentenza spinoziana:

«chi ama Dio non può sforzarsi affinchè Dio lo ami a sua volta»
(Etica, V, 19)


Perchè riscoprire l'originario, mitologico Gesù di Paolo significa dover negare l'elemento essenziale che costituisce la vitalità della Tradizione cristiana: l'individualità, ovvero la stessa personalità, del ''Gesù storico'', poichè tale elemento non può rientrare nella logica di un'entità angelica invisibile mai scesa sulla Terra.

venerdì 27 giugno 2014

REQUIEM AETERNAM JESU




Finalmente posso incominciare a leggere un libro che dimostra l'elevata improbabilità di un Gesù storico. Nonostante l'evidenza non sarà mai purtroppo conclusiva e risolutiva della questione, nè in un caso nè nell'altro, nonostante dunque la sicurezza non è mai completa, nonostante sia ancora una possibilità la storicità di Gesù, non è più possibile recuperarlo dai vangeli, per il modo così profondo in cui lo hanno completamente mitologizzato, da rendere impossibile estrarre qualche verità su un eventuale Gesù storico.
In realtà, tutta l'evidenza a favore di un ipotetico Gesù storico è straordinariamente povera, scarsissima, confusa, e se c'è - ed è dubbio che c'è - è troppo celata e nascosta per poter meritare l'oneroso nome di ''evidenza''.


On the Historicity of Jesus: Why We Might Have Reason for Doubt (Sheffield-Phoenix 2014),  illustrerà finalmente tutta la migliore -- e solo la migliore -- evidenza che c'è per un Gesù mitico e per un Gesù storico, denunciando tutti gli errori fatti finora.
Richard Carrier possiede un Ph.D. in Storia Antica e ha pubblicato studi accademici sul soggetto debitamente recensiti da altri accademici, non solo in riviste scientifiche ma anche in questo libro. Sheffield-Phoenix è la casa editrice dell'università di Sheffield. Anche il libro che fa da opportuno prequel, Proving History: Bayes's Theorem and the Quest for the Historical Jesus, che ha il merito di denunciare l'intrinseca fallacia dei metodi utilizzati finora dagli storicisti nel vano tentativo di difendere la storicità di Gesù, ha passato formalmente la peer rewiew accademica. Così non si tratta dell'ennesimo dilettante: una critica comune volta finora a chiunque proponeva l'ipotesi mitica. In realtà, numerosi professori nel campo stanno iniziando a riconoscere che l'agnosticismo sulla storicità di Gesù è decisamente più giustificato di quanto sia stato proclamato finora dai folli apologeti. 

Il libro dovrò ancora cominciarlo a leggere.

Ma dalle prime, privilegiate recensioni del libro, l'unica recensione critica che considero davvero seria viene da uno storicista e fan di Dale Allison (il quale è un rinomato studioso storicista che considero molto intelligente - l'esatto contrario di un Bart Errorman, di un Maurice Casey o di un Mauro Pesce, per intenderci - nonostante etichetterei pure lui un apologeta cristiano), Loren Rosson.

(Si veda anche per completezza l'unica critica che Carrier riceve dal Jesus Agnostic Raphael Lataster)

La recensione di Loren Rosson potrebbe valere davvero come quella più obiettiva e imparziale (ma sarei curioso di leggere la recensione di Carrier della sua recensione) e mi consente fin d'ora di commentare alcuni suoi punti. Innanzitutto trovo ipocrita da parte di Rosson ''stupirsi'' di trovare in OHJ un Richard Carrier storico obiettivo totalmente diverso dal Richard Carrier blogger pungente polemista anticristiano. Prima di leggere il suo ultimo libro, non c'era nemmeno bisogno di conoscere personalmente Richard Carrier per capire che chi vuole introdurre nel dibattito accademico la tesi mitica di Earl Doherty sull'originario Gesù celeste mai sceso sulla terra è tutt'altro che uno sprovveduto o un manicomiale fattucchiere dilettante come Pier Tulip in cerca di fama e danaro.

E non posso che congratularmi con lui quando Rosson dice:
For instance, he rightly dismisses the historicist evasion that Paul doesn’t mention Jesus’ earthly life because he didn’t care about it (pp 517-518).

È ora francamente di piantarla con quello che è stato il pretenzioso argomento-scusa dei folli apologeti Bart Errorman, Maurice Casey e Mauro Pesce, nonchè di apologeti cattolici del net come Gianluigi Bastia o Jerim Pischedda, tutta gente demente che pretende di nascondere un drago nel garage.

Ma come spiega il Rosson il silenzio di Paolo su Gesù?
Dicendo che per Paolo il Gesù storico era un vero e proprio intralcio al suo vero obiettivo:
Paul needed an anti-circumcision gospel (on the basis of a continually delayed parousia), which only the (convenient) heavenly Christ could provide.

La parola chiave qui è ''convenient'': il Rosson sta dicendo che era più conveniente e utile PER PAOLO appellarsi al Gesù celeste per rimediare in sostanza non solo al difetto del Gesù storico (aver fallito la profezia sulla fine, da ogni fallito apocallitico che si rispetti) ma per approfittarne in ultima istanza a stravolgerne del tutto il messaggio ai fini della sopravvivenza della chiesa tra i gentili, contro, se necessario, la volontà dei Pilastri.

Ma è proprio la parola chiave ''convenient'' il punto di debolezza della sua critica Se è conveniente PER PAOLO appellarsi al Gesù mitico per fargli dire ciò che si vuole, SAREBBE altrettanto conveniente PER GIACOMO (ovvero, per il ''partito dei circoncisi'') appellarsi al Gesù storico per rimediare alla ribellione del riottoso Paolo e costringerlo ad abbassare la cresta. E se sarebbe conveniente per Giacomo ricorrere al Gesù storico nella misura in cui lo fosse stato per Paolo ricorrere al Gesù mitico pur di vincere la partita, sarebbe altrettanto LEGITTIMO il mio diritto di aspettarmi che l'inevitabile riflesso di una situazione del genere - ossia la situazione di un Giacomo che si appella al Gesù storico per rivendicare la sua autorità contra Paolo - emerga a piena luce nelle lettere di Paolo... ...e tuttavia non emerge nulla di tutto questo!

Nessuna evidenza che la stroncatura del riottoso Paolo richiese di fare il nome di un Gesù storico.
Nessuna evidenza di riflesso dell'utilità di un Gesù storico per gli oppositori giudeocristiani di Paolo nelle sue lettere.
Nessuna evidenza dell'imbarazzo di Paolo per mancare del sostegno sotto i suoi piedi di un Gesù storico del cui supporto godono invece i suoi avversari.
Nessuna evidenza in chi si spacciò per Pietro o per Giacomo (nelle rispettive forgery dell'uno o dell'altro), e dunque in chi avrebbe avuto maggior motivo, a fronte della riottosa evoluzione di Paolo e dei paolini in direzione anti-circoncisione (per non dire anti-giudeocristiano), di condannarne le pretese minandole alla radice, appellandosi alla testimonianza - perfino falsa - di un Gesù storico ipotizzato oggetto dell'esperienza di un Pietro o di un Giacomo.

Ecco perchè Rosson si sbaglia quando dice:
There is nothing improbable about an apostle who never knew Jesus, and was at loggerheads with those who did, and who wanted to avoid any reference to his earthly business.

Sostituisci qui sopra la parola ''improbable'' con il termine ''impossible'' ed otterrai un'affermazione vera.

Paradossalmente, Loren Rosson si dice possibilmente propenso ad accettare la conclusione di Robert Spencer sull'inesistenza storica di Maometto, laddove io invece, avendo letto il libro di Spencer, ritengo ancora leggermente più probabile la storicità di Maometto rispetto alla storicità di Gesù, in virtù del solo documento noto come Doctrina Jacobi.


Un altro esempio dell'uso improprio che fa Loren Rosson dell'aggettivo ''probabile'' o ''improbabile'' è quando dice:
It’s at least as likely (and I think slightly more so, again based on the distribution of death metaphors in the Pauline corpus) that Jesus’ historical martyrdom took on a heavenly atoning function, than that the starting point was a celestial atoning Christ.

Ma il fatto che la morte di Gesù venga rappresentata da Paolo il più delle volte (anche se non, come riconosce lo stesso Rosson, nel maggiore significato che Paolo voleva attribuirgli, ossia quello dell'espiazione celeste dei peccati dell'uomo) nei termini metaforici e quasi ''realistici'' di un martirio, questo potrebbe pure significare un contesto terreno per la morte di Gesù: e allora? Questo significherebbe storicismo? Per la tesi miticista, Gesù poteva essere stato crocifisso perfino sulla Terra durante le poche ore della sua missione sulla Terra (esattamente la tesi del formidabile Roger Parvus) e ancora essere completamente mitologico ab initio. E come rappresenterebbe un ebreo come Paolo la crocifissione terrena di un angelo mitico se non nei termini di un martirio simile a quello presente in IV Macc. 17:21-22 (citato da Loren Rosson:  “an atoning sacrifice”) ?

Fu lo stesso Carrier ad assicurarmi la possibilità dello scenario di Parvus (anche se non la sua probabilità) dunque se assumo per ipotesi quella possibilità (e posso farlo con la stessa libertà con cui Rosson assume gratis la sua possibilità di una morte da martire di Gesù), la conclusione di Rosson continua ad essere del tutto compatibile sotto il paradigma storicista: che Gesù muore e risorge in Paolo, come un martire ebreo e/o come un dio pagano, è del tutto compatibile con il miticismo, quanto lo è con la storicità.

E infine, lo storicista Rosson si sente di impugnare ancora una volta il famigerato argomento di ''Giacomo, il fratello del Signore'', contro Carrier. E per obiettare che cosa, in sostanza?
Even if you know nothing of Acts 15, it’s not hard to see the power struggles implied in Gal 1-2.

Per quanto non conosca ancora appieno l'argomento di Carrier su Galati 1:19 (e 1 Corinzi 9:5, con riferimento anche a Galati 2) - e dunque riserbandomi il giudizio finale per un altro momento -, tuttavia mi sembra di percepire fin d'ora che l'implicazione:

lotta di potere & rivalità → Gesù storico

è un'implicazione fallace. E per due ragioni:

1) quella lotta di potere & rivalità si può spiegare benissimo anche sotto l'ipotesi del Gesù mitico (l'autorità di Giacomo invidiata da Paolo derivandogli dall'aver visto il Cristo risorto PRIMA di Paolo, e non dall'aver conosciuto il Gesù storico AL CONTRARIO di Paolo)

2) non c'è evidenza (vedi sopra) che Paolo dovette affrontare un Giacomo che si appellava ad un Gesù storico, e addirittura vediamo un pseudoGiacomo che NON si appella al Gesù storico perfino rivalutando le opere in funzione antipaolina (il che marcia contro la storicità).

Dove concordo pienamente con Loren Rosson è quando si unisce ad Allison, a Goodacre e a Carrier nel ripudio dell'utilità del criterio di imbarazzo:
On whole, I take it that scholars like Allison and Goodacre, and now Spencer and Carrier, have struck a significant blow against the criterion’s utility.

Il che comporta come conseguenza principale di rinunciare a priori ai vangeli come fondamento della storicità di Gesù.

Al pari di Loren Rosson, anch'io posso gridarlo forte:
I enjoy seeing Bayes’ Theorem in action;  it’s a wonderful integration of math and the social sciences.

Ecco il più vero e sincero riconoscimento dell'onestà intellettuale di Richard Carrier che sia mai provenuta da uno storicista e addirittura da un fan di Dale Allison:
Some of Carrier’s judgments are objectionable, but not greasy; I never felt he was abusing our trust.

''Mai ho pensato che stesse abusando della nostra fiducia''.

Magari quel folle apologeta Jerim Pischedda, o quello scellerato apologeta di Valerio Polidori e i loro dementi lacchè anonimi del net si fossero espressi così a proposito del prof. Carrier, invece di contaminare la rete con le loro manicomiali diffamazioni sul suo conto.

Ormai lo storicista Loren Rosson non è più ''supremamente fiducioso'' della storicità di Gesù come lo può essere un folle apologeta come Mauro Pesce:

Nor is it a crackpot theory that Jesus began as an apostolic fantasy until historicized 40 years later. Especially if you deny the existence of Q, as I dislike admitting that I do, and allow that the meager amount of early evidence — Paul’s eight letters, possibly Hebrews — evince high Christology and do little to hint at an historical Jesus. I believe Paul does this more than Carrier grants, but not so as to leave me supremely confident.(mia enfasi)


E così l'oramai Jesus Agnostic con propensioni leggermente storiciste Loren Rosson conclude:
For anyone who teaches courses on the historical Jesus, I stand by my previous list of recommendations, though I have added Carrier’s work to it (I’d already included Arnal’s The Symbolic Jesus, which is a hop away from mythicism). If I were an instructor, I might use Allison’s trilogy and Carrier’s duology, to provide students with the best of what historicism and mythicism have to offer.

Parole che per me significano che, lungi dall'essere solo al punto di inizio (come auspicherebbe lo stesso Carrier, ad dire il vero) nella questione della storicità di Gesù, siamo oramai, almeno quelli di noi che hanno seguito attentamente il dibattito da parecchio tempo, già oltre il punto di non ritorno: non è più ragionevole supporre un singolo individuo storico all'origine del cristianesimo. In realtà le prove puntano lontano da una conclusione del genere. Quello che vediamo invece è un record storico completo privo di corroborazione per i vangeli, un ambiente teologico darwiniano brulicante di Gesù rivali, Cristi, vangeli e sette concorrenti lungo la frangia religiosa dell'impero romano (e che languono là per tre secoli); indicazioni che la prima generazione del cristianesimo nasce come versione ebraica dei culti misterici, e che tutte le confuse, contraddittorie informazioni "biografiche" di Gesù derivano da una deliberata allegoria. Un'unica figura fondativa non è solo inutile per spiegare tutto questo, è ingiustificata.

Gesù è una leggenda, come re Artù o Robin Hood o Ned Ludd. Potrebbe esserci stato qualche individuo nel passato reale che ispirò delle storie su di lui, ma non è parte della documentazione storica, e i vangeli costruiti attorno a lui quasi certamente portano pochissima rassomiglianza ad una realtà oramai perduta. È semplicemente un cattivo storico (o un folle apologeta cristiano) chi si inventa razionalizzazioni pur di ''recuperare'' invano una misteriosa quanto ipotetica figura non documentata da un così distante e lontano passato.

Complessivamente, l'evidenza di un Gesù storico evapora ad un più approfondito esame, laddove l'evidenza contro il Gesù storico comincia in pari misura ad emergere e a sembrare via via più convincente.

I più antichi documenti, le lettere autentiche di Paolo, non mostrano nessuna conoscenza definitiva di un Gesù che ha visitato la terra di recente, e contiene numerosi passi che implicano invece l'esatto contrario. I vangeli sono pure finzioni letterarie, e Atti degli Apostoli è solo un romanzo storico. E nient'altro scritto del Nuovo Testamento risalente al I secolo attesta un Gesù storico. In realtà, la seconda lettera di Pietro, l'ennesimo falso proto-cattolico, si inventa una testimonianza ad un Gesù storico per combattere altri cristiani che la stavano negando. Per quale motivo avresti fatto qualcosa del genere se l'esistenza storica di Gesù fosse stata riconosciuta da tutti? Si tratta certamente di un inquietante e profondo interrogativo. Ma un interrogativo che manca di una risposta definitiva, purtroppo. Eppure ancora alzerà l'asticella del dubbio ancor più in alto.
Al di fuori del Nuovo Testamento tutta l'evidenza per Gesù o è fabbricata del tutto oppure esiste un forte e legittimo sospetto che lo sia, oppure si limita soltanto a ripetere (e a volte ad elaborare goffamente) quel che già è stato dichiarato nei vangeli (e quindi non possono in ultima istanza corroborarli). E quell'''evidenza'' è successiva al I secolo: perfino i testimonia flaviana furono interpolazioni aggiunte più di un secolo dopo). E quello è tutto ciò che c'è.
Abbiamo qualche eco nella letteratura cristiana del secondo secolo del fatto che Gesù era in origine concepito come un'entità cosmica e per nulla affatto un uomo terreno. Così di nuovo l'interrogativo rispunta: fu davvero così? La preponderanza dell'evidenza risponde: sì.

Questo non significa che ogni cosa pretesa a favore dell'ipotesi del mito di Gesù è valida o profonda. Per accorgersene è sufficiente dare un'occhiata (ed è anche troppa!) alla totale demenza astroteologica di un dilettante fattucchiere da strapazzo come Pier Tulip. Un sacco di false affermazioni e cattivi argomenti sono stati usati per cercare di raggiungere la conclusione che Gesù non è mai esistito.


Uno dei principali scopi di OHJ è di escludere una volta per tutte tutto questo bastardo trash del net dalla discussione seria e focalizzarsi solo su quello che ha veramente valore, a livello storico e a livello logico. E quando si agisce veramente così, il caso a favore di un Gesù storico risulterà alla fine estremamente debole.


Ci sono oltre due miliardi di persone nel mondo che si auto-identificano come cristiani, ma la quasi totalità di essi non sa quasi nulla di come la loro fede è iniziata. La cosa più incredibile che non sanno è che Gesù di Nazaret fu un personaggio immaginario creato da Marco, Matteo e Luca.

Quando gli evangelisti portarono Gesù di Nazaret alla luce, dettero al Figlio un volto.
Nel primo secolo della nostra era, quando nessuno storico Gesù era ancora entrato in scena, una ricca panoplia di fedi nel Figlio/Cristo/Salvatore stava fiorendo lungo la metà orientale dell'Impero romano, espressioni della nuova filosofia del Figlio intermediario, concependo diverse vie alla salvezza per suo tramite. Come nella maggior parte di questi scoordinati movimenti, forze centripete infine attirarono questa diversità in un comune polo centrale, e gli elementi più forti, più vantaggiosi e più attraenti costituirono sè stessi un nuovo centro, una nuova ortodossia. Questo sviluppo più tardo divenne poi lo standard con cui le più antiche manifestazioni furono valutate, e il presente fu letto indietro nel passato.

giovedì 26 giugno 2014

Del perchè, se Erodoto dubitava A PRIORI di Talmossi, è legittimo dubitare A PRIORI di Gesù

La mappa del mondo per Erodoto.


Nel post precedente avevo parlato dell'Archetipo dell'eroe mitico, e di come, applicando la Legge della contaminazione del Dubbio di Stephen Law, sia assolutamente legittimo fondare IN LINEA DI PRINCIPIO il dubbio sulla storicità di Gesù quando si considera tra le mani i soli vangeli (tutti dipendenti sul primo di essi, quello di Marco).

Ricordo cosa dice il Principio di Contaminazione del Dubbio in breve:
Dove testimonianze e/o documenti intrecciano assieme un racconto che unisce affermazioni banali, con una quota significativa di affermazioni straordinarie, e ci sono buone ragioni per essere scettici su queste affermazioni straordinarie, allora ci sono buone ragioni per essere scettici anche circa le affermazioni banali, almeno finché non si possieda una buona prove indipendente della loro verità.

Ebbene, ecco una semplice e chiara applicazione pratica di questo profondissimo Principio che ci giunge direttamente dall'Antichità:


Prima di toccare l’Istro sconfisse come primo popolo i Geti, che si ritengono immortali. Infatti i Traci che vivono sul promontorio Salmidesso sopra le città di Apollonia e Mesambria, i cosiddetti Scirmiadi e Nipsei, si erano arresi a Dario senza combattere. I Geti invece optarono per la follia e furono subito ridotti in schiavitù, benché fossero i più valorosi e i più giusti fra i Traci.
Essi si ritengono immortali in questo senso: sono convinti che lo scomparso non muoia propriamente, bensì raggiunga il dio Salmossi. Altri Geti questo stesso dio lo chiamano Gebeleizi.
Ogni quattro anni mandano uno di loro, tratto a sorte, a portare un messaggio a Salmossi, secondo le necessità del momento. E lo mandano così: tre Geti hanno l’incarico di tenere tre giavellotti, altri afferrano per le mani e per i piedi il messaggero
designato, lo fanno roteare a mezz’aria e lo scagliano sulle lance. Se muore trafitto, ritengono che il dio sia propizio; se non muore, accusano il messaggero, sostenendo che è un uomo malvagio, e quindi ne inviano un altro; l’incarico glielo affidano mentre è ancora vivo. Questi stessi Traci di fronte a un tuono o a un fulmine, scagliano in cielo una freccia pronunciando minacce contro Salmossi, perché credono che non esista altro dio se non il loro.
Come ho appreso dai Greci residenti sul Ponto e sull’Ellesponto, questo Salmossi era un uomo che sarebbe stato schiavo a Samo, schiavo di Pitagora figlio di Mnesarco.
Poi, divenuto libero, si sarebbe assai arricchito e avrebbe fatto ritorno, da ricco, nel proprio paese. Poiché i Traci conducevano una vita grama e rozza, Salmossi, che conosceva il sistema di vita degli Ioni e abitudini più progredite di quelle dei Traci
– avrebbe frequentato i Greci, e fra i Greci Pitagora, che non era certo il savio più scadente –, fece costruire un salone, in cui ospitava i cittadini più ragguardevoli; fra un banchetto e l’altro insegnava che né lui né i suoi convitati né i loro discendenti sarebbero morti, ma avrebbero raggiunto un luogo dove sarebbero rimasti per sempre a godere di ogni bene. Mentre così operava e diceva, si costruiva una stanza sotterranea. E quando la stanza fu ultimata, Salmossi scomparve alla vista dei Traci: scese nella dimora sotterranea e vi abitò per tre anni. I suoi ospiti ne sentivano la mancanza e lo piangevano per morto; ma egli dopo tre anni si mostrò ai Traci e in tal modo i suoi insegnamenti risultarono credibili.
Questo si racconta che abbia fatto Salmossi. Io questa storia di Salmossi e della camera sotterranea non la rifiuto, ma neppure ci credo troppo; penso comunque che egli sia vissuto molti anni prima di Pitagora. Se vi sia stato un uomo di nome Talmossi o se sia il nome del loro dio locale per i Geti, chiudiamo qui la questione. I Geti insomma, con tutte le loro convinzioni, furono sconfitti dai Persiani e subito si aggregarono al resto della truppa.

(Erodoto, Storie, IV, 93-96, mia enfasi)


Talmossi (Σάλμοξις).


Erodoto non sta facendo altro che applicare a sua insaputa la Legge di Law: per lui, il Dubbio è fondato A PRIORI sulla pretesa dei Traci che Talmossi sia storicamente esistito. Nonostante è agnostico sulla sua storicità, Erodoto comunque non lo ritiene contemporaneo di Pitagora, dunque in pratica dubitando sostanzialmente di tutto quanto si diceva su di lui. C'è da dire che Erodoto, da buon greco, disprezzava i Traci in quanto barbari, quindi aveva una ragione per dubitare delle loro insistenti pretese in materia di religione, e tuttavia questo non lo rende, come avrebbero ipoteticamente reagito i Folli Apologeti adoratori di Talmossi, ''fautore sottobanco di una nascosta agenda apologetica anti-trace''. Semmai lo rende decisamente più obiettivo e razionale, cosa insolita per un uomo dell'Antichità. 

Quindi, se Erodoto se la sente di dubitare PRIMA FACIE della storicità di Talmossi perchè il sospetto sulla sua presunta risurrezione si estende su ogni altro dato biografico della sua esistenza...,

...a maggior ragione chiunque legge i vangeli e si accorge dell'incredibile numero di miracoli, incoerenze, fantasie e storielle ivi presenti, non dovrà sentirsi affatto in colpa se gli subentra immediatamente dopo il puro e semplice sospetto che Gesù, PRIMA FACIE, possa non essere mai esistito.
 
Questa è esattamente la probabilità a priori implicata dai vangeli,
che è altro dalla probabilità definitiva, e tuttavia che in qualche modo potrebbe o non potrebbe condizionarla nel calcolo finale bayesiano. La probabilità a priori del genere è giustificata dal fatto che un esempio pratico specifico e indiscutibile ci arriva da uno storico antico come Erodoto.



Come Erodoto con Talmossi, così io, dopo aver letto i soli vangeli e prima ancora di considerare tutta la restante evidenza extra-evangelica, mi sento in pieno diritto di concludere à la Erodoto, usando pressochè le sue medesime parole:
Questo si racconta che abbia fatto Gesù di Nazaret. Io questa storia di Gesù di Nazaret e della risurrezione non la rifiuto, ma neppure ci credo troppo; penso comunque che egli sia vissuto molti anni prima di Marco. Se vi sia stato un uomo di nome Gesù o se sia il nome del loro dio particolare per i Cristiani, chiudiamo qui la questione.

Ma, a differenza di Erodoto, che si disinteressò totalmente del caso Talmossi e non lo approfondì (rimanendo Talmoxis Agnostic per il resto della sua vita), la questione sul Gesù storico o mitico la riprenderò in realtà non appena mi arriverà il tanto atteso libro di Richard Carrier, On the Historicity of Jesus.

Dell'Archetipo dell'eroe mitologico

Nel 1936 Lord Raglan scrisse un libro dove tenta di razionalizzare l'antico archetipo religioso dell'eroe estrapolando le sue caratteristiche comuni, e classificando di conseguenza gli eroi delle varie mitologie. Più le caratteristiche si adattano ad uno specifico eroe, meno è probabile che doveva trattarsi di un personaggio reale, e dunque quel personaggio mitologico nacque probabilmente secondo un metodo ben collaudato di creazione dell'eroe. Al di sotto della soglia di cinque caratteristiche che Raglan enuncia nel suo libro, allora aumenta la probabilità di avere a che fare con un personaggio reale. Le caratteristiche sono le seguenti:. 
  
1. La madre dell'eroe è una vergine di sangue reale.
2. Suo padre è un re e 
3. spesso un parente della madre, ma 
4. le circostanze del suo concepimento sono insolite, ed
5. egli è anche noto per essere il figlio di un dio
6. alla nascita si fa un tentativo per ucciderlo, ma
7. egli è condotto via, e
8. allevato da genitori adottivi in un paese lontano 
9. non si riporta nulla della sua infanzia, ma
10. raggiunta la maturità torna o va al suo futuro regno.
11. Dopo una vittoria su re o giganti, draghi, o bestie selvaggie
12. sposa una principessa, spesso la figlia del suo predecessore e
13. diventa re.
14. Per un periodo di tempo regna senza complicazioni e
15. prescrive leggi, ma
16. perde poco dopo il favore degli dei e/o del suo popolo ed
17. è spodestato dal trono e dalla città, dopodichè
18. va incontro ad una morte misteriosa
19. spesso in cima a una collina.
20. I suoi figli, se ne ha, non gli succedono al trono.
21. Il suo corpo non è sepolto, ma comunque 
22. ha uno o più santi sepolcri.

Ad ogni eroe mitico viene dato un punteggio di 22 punti a seconda di quanto strettamente la sua biografia segue queste caratteristiche. Per Raglan, Edipo merita il più alto punteggio con 21 punti su 22, tra i personaggi del tutto mitologici, laddove Mitridate incredibilmente, pur avendo 22 punti, è un personaggio storico. Ecco la graduatoria degli antichi eroi:

     Mitridate VI Eupatore re del Ponto 22
     Edipo 21
     Krisna 21
     Teseo 20
     Mosè 20
     Dioniso 19
     Artù 19
     Romolo 19
     Gesù 19
     Perseo 18
     Watu Gunung di Java 18
     Ercole 17
     Llew Llaw Gyffes 17
     Maometto 17
     Bellerofonte 16
     Beowulf 15
     Buddha 15    
     Giasone 15
     Mwindo 14
     Zeus 14     
     Nyikang, eroe del Sudan 14
     Nicola II zar di Russia 14
     Sansone 13   
     Robin Hood 13
     Pelope 13
     Apollo 11
     Sigfrido 11
     Sunjata, il Re-Leone del Mali 11
     Achille 10
     Odisseo 8
     Harry Potter 8


Gesù è in quarta posizione. Secondo la scala di Raglan, è più probabile la storicità di Harry Potter rispetto a quella di Gesù.

Jesus Potter, Harry Christ, del miticista Derek Murphy, esamina gli impressionanti paralleli miologici tra le due figure.

































Il mito di Gesù nei vangeli sembra seguire quasi perfettamente lo stampo per la creazione di un eroe religioso.
Questo naturalmente non significa necessariamente che Gesù non è mai esistito: sarebbe comunque una strana coincidenza, se fosse capitato ad un Gesù storico nel passato reale di seguire quasi alla perfezione il modello della creazione dell'eroe (e a maggior ragione sarebbe una strana coincidenza considerando che già lo è per re Mitridate del Ponto, rispetto a tutti i 22 aspetti appena elencati). Ma credere ancora, a dispetto di questo, che Gesù fosse una figura storica reale, impone di rispondere ad un inquietante interrogativo: perché non APOLLO a sua volta? Perché non ODISSEO, pure? La storicità di Odisseo è più probabile dell'esistenza di Gesù, ed Odisseo discese nientemeno negli "inferi", e si prestò ottimamente, agli occhi dell'autore del primo vangelo, come controfigura di Gesù.

Chiaramente il Dubbio va a contaminare anche le parti della ''biografia'' di Gesù che non fanno parte dell'archetipo dell'Eroe mitico. 

mercoledì 25 giugno 2014

Del Gesù storico «minimale»

Sorge un problema di identificazione non appena ci si accorge che nella Judaea del I secolo più di un ebreo poteva ben fregiarsi del nome di Yehoshua. Quale di quelli fu il Gesù storico, per gli storicisti?

Restringiamoci ai soli Gesù del I secolo finiti crocifissi. Quale di quelli fu il Gesù storico, per gli storicisti?

Restringiamoci ancor di più: quanti predicatori di nome Gesù finirono crocifissi nel I secolo in Judaea

Suppongo per amor di me stesso che il requisito di essere un predicatore e di aver per nome Gesù siano indipendenti tra loro, come pure lo sono dal requisito della morte sulla croce.

Allora gli storicisti saranno costretti a scegliere il loro presunto uomo, mettiamo, tra un centinaio di candidati che soddisfano quei tre requisiti.

Ma perfino se la loro scelta dovesse cadere tra soli 10 candidati, non è affatto garantito che uno di quelli sia il vero e autentico Gesù finito allegorizzato nei vangeli (perchè è un Fatto che i vangeli allegorizzano sic et simpliciter) in tale proporzione da meritare la targa di ''Gesù storico''.

Dato che non esiste alcuna prova della storicità di Gesù, l'ipotesi A sia ''Gesù non è esistito''. E l'ipotesi B sia ''Gesù è esistito''. Accetto la sua esistenza solo se c'è una prova.

Quindi nella misura in cui non esiste alcuna prova che colleghi uno, e uno solo, di quei 10 o 100 o 1000 o 10000 Gesù alle ''azioni'' riportate nei vangeli, allora non esiste alcuna base per poter parlare di un ''Gesù storico''.

Un comune argomento storicista a favore della storicità di Gesù fatto da atei in buona fede (non dai dementi folli apologeti) suona più o meno così:
Sappiamo soltanto che ci fu un ebreo di nome Gesù che predicò e fu crocifisso. Per il resto non abbiamo nessuna evidenza. Quello che uno crede attingendolo dai vangeli è precisamente quello: un credo.

Questo tipo di dimostrazione ha però il vizio di non dire davvero nulla, perchè si va a confondere l'ovvia incertezza naturale inerente alla concatenazione o meno di eventi indipendenti: ''chiamarsi Gesù, aver predicato, essere finito crocifisso''. Alla quale occorre aggiungere ulteriori due eventi (forse non indipendenti del tutto tra loro) ''finire mitologizzato in Paolo prima, e allegorizzato nei vangeli dopo''. Questi due ultimi eventi non li ritengo francamente indipendenti tra loro dato che ad alcuni, me compreso, potrebbe sembrare quasi inevitabile che il paolino Marco allegorizzasse nel primo vangelo l'oggetto di fede del proprio mentore Paolo, al di là o meno dell'effettiva esistenza storica dell'entità che venerava Paolo sotto l'attributo del Figlio e del ''Cristo Gesù''. E sappiamo com'è finita: che tutti gli altri vangeli altro non sono che riscritture della medesima, deliberata allegoria.

Quindi i requisiti minimi richiesti ad un vero Gesù storico degno di questo nome sono:
-chiamarsi Gesù
-aver predicato
-essere morto sulla croce, e una croce romana
-finire mitologizzato da Paolo

Ovviamente quando dico Paolo intendo anche i Pilastri, ma mi limito a Paolo per la semplice ragione che ci ha lasciato delle epistole (sperabilmente) di suo pugno, a differenza dei secondi.

Se non avessimo avuto Paolo,
Gesù non comparirebbe in nessuna fonte scritta e quindi più che alla Storia, apparterrebbe alla pre-istoria, con l'inevitabile conclusione del genere: è esistito oppure non è esistito con medesima, spiaccicata probabilità, allo stesso modo in cui non sapremo mai se un velociraptor ha dilaniato un triceratopo nel Giurassico nel giorno x e nel luogo y al preciso istante z.


Ma fortunatamente abbiamo Paolo,
e anche altri autori di epistole che precedono i vangeli. E perfino il pre-paolino inno ai Filippesi.


Quindi sono cautamente ottimista almeno su questo punto. Alla domanda
è esistito Gesù?

per quanto la risposta non sarà mai certa e definitiva (ma cosa lo è?), comunque si avvalorerà del confortevole e sacro sigillo della Probabilità.

E il Teorema di Bayes è il suo profeta.

martedì 24 giugno 2014

È chiaro che Gesù fu un'invenzione

Non vi è naturalmente alcuna prova che Gesù Cristo fosse una figura storica. Non c'è nessun accordo sul tempo e sul luogo della sua nascita. Non si può dimostrare che nacque il 25 dicembre - l'idea che nacque quel giorno deriva da una riscrittura di antiche credenze pagane. Nessuno è sicuro in che anno nacque. Matteo suggerisce che la sua nascita avvenne al tempo di Erode ma Luca ci offre come periodo quello di Quirino, governatore della Giudea - 14 anni dopo la data di Matteo. In un'improbabile difesa di questo fatto, i teisti hanno pensato che questo conflitto fosse un deliberato dispositivo così da non potersi più negare l'infallibilità delle scritture. Tertulliano, un antico autore cristiano disse nel suo De Carne Christi, ‘è sicuro perchè è impossibile…’ Si, è giusto. Contraddizioni significano che è tutto vero. Aggiungi a quello il fatto che un gran numero degli antichi scritti cristiani fossero o bugiardi o totali falsificazioni e siamo lasciati col domandarci se il Codice Da Vinci non sia poi così cattivo dopo tutto. 
...
I primi apologeti cristiani ebbero addirittura l'audacia, tra altri crimini letterari, di riscrivere le opere del pagano Porfirio, esponente principale del Neoplatonismo e un critico della loro religione, per fare in modo come se lui stesse concedendo loro ragione quando non stava facendo invece nulla del genere. Rattopparono assieme un manoscritto pro-cristiano chiamato la Filosofia degli Oracoli e ci appiccicarono alla fine il nome di Porfirio. Perseguirono addirittura la distruzione delle altre opere critiche. Lo storico della chiesa del diciottesimo secolo Mosheim scrive, ‘I padri della Chiesa considerarono un pio atto l'impiego dell'inganno e della frode...’. Milman, un altro storico posteriore, scrivendo sui primi missionari cristiani, dichiara: ‘la pia frode fu ammessa e confessata.’ Il vescovo Ellicott nel tardo diciannovesimo secolo ammise, ‘Fu un'epoca di frodi letterarie…’ Una buona quantita di letteratura classica da parte di autori come Platone e Aristotele soffrirono anche la manomissione di ‘pseudo-epigrafi’ (persone che compivano false attribuzioni) ed è ora noto che gran parte dei libri del Nuovo Testamento ha sofferto delle mani clandestine e sporche d'inchiostro dei falsari. Joseph McCabe (1867–1955), un tempo prete cattolico, in seguito riconobbe l'errore delle sue vie e diventò un ateo. Realizzò che era tutto un mucchio di menzogne e scrisse numerosi libri (più di ogni altro ateo, in realtà) sulle assurdità e atrocità della chiesa cattolica. I suoi libri comprendono La falsificazione dell'Antico Testamento, Menzogne Religiose, Gesù visse davvero?, e Abbiamo bisogno della religione? Perfino qualcuno allevato nella tradizione teistica poteva vedere che era tutta una frottola. L'ebreo e studioso alessandrino Filone visitò Gerusalemme durante il tempo in cui Gesù avrebbe operato i suoi miracoli. Strano a dirsi, Filone in tutte le sue opere, non fa nessuna menzione di qualcuno di nome Gesù. Non ha mai udito di lui. Ad un certo punto, lui illumina la distinzione e il significato tra i due nomi Osea e Gesù, definendo il nome Gesù come ‘salvatore del popolo’. Questo punto sarebbe stato una grande occasione per menzionare Gesù il supposto operatore di miracoli. ‘Oh, ad ogni modo, c'è questo tipo qui che non si bagna i sandali.’ Ma Filone non lo fa mai. Perfino Origene, capo della scuola cristiana di Alessandria e successore di Clemente, quando stava difendendo il cristianesimo da Celso, il grande razionalista e medico, doveva ricorrere ad appellarsi alla mitologia pagana per provare che la storiella di Cristo fosse reale. Non poteva offrire neppure un briciolo di evidenza ma disse che non era più incredibile delle storie degli dèi greci e romani.  (Così, non vero per nulla, allora.) Origene contraddisse sé stesso dicendo, circa la storia,‘È spesso davvero difficile e a volte quasi impossibile stabilire la sua verità mediante evidenza che sia considerata efficace’. In altre parole, non disponeva di un indizio se Gesù fosse esistito o meno. Nessuno dei primi padri fondatori della chiesa cristiana poteva provare l'esistenza del loro primo promotore così ricorsero all'imbroglio. Giustino Martire, un altro primo apologeta cristiano (100–165 AD), disse più o meno la stessa cosa nel capitolo 21 della sua Prima Apologia, una difesa filosofica delle sue credenze, indirizzata da lui all'imperatore Antonino Pio. Scrisse, ‘Quando diciamo anche che il Verbo, che è il primogenito di Dio, fu prodotto senza unione sessuale, e che Egli, Gesù Cristo, nostro maestro, fu crocifisso, morì e risorse, e discese al cielo, non proponiamo nulla di diverso da quello che voi credete riguardo coloro che considerate figli di Giove.’ Perfino Paolo, il più grande apostolo e autore dell'antico cristianesimo, non sa nulla di un salvatore nato miracolosamente. Non fa nessuna menzione di una nascita verginale (un'idea che potrebbe essere stata il risultato di un errore nella copiatura dei manoscritti, in ogni caso) in nessuna delle sue 7 epistole. E quelle sono più antiche dei vangeli. L'idea era sconosciuta a Paolo, come lo era a tutti cristiani di quel tempo. La madre vergine e il Fantasma Santo (che cosa mai sia?)  non erano parte dei ‘dogmi’ del nuovo culto. Paolo è ignorante dei miracoli come pure del messaggio di Gesù. Poteva lui davvero predicare la ‘nuova via’ senza saperequalcosa del Discorso della Montagna o della storiella del giovane ricco e della cruna dell'ago o dello spezzare del pane in picnic su larga scala all'aperto? Non una volta in nessuno dei suoi scritti Paolo menziona qualcosa connesso a quel che i teisti credono che fece il messia biblico. In realtà molte delle epistole di Paolo presentano il tipico linguaggio delle religioni misteriche degli dèi che muoiono e risorgono. Quando Paolo stava insegnando, i vangeli dovevano ancora essere scritti.
Quando l'antica chiesa fu per la prima volta stabilita, i vangeli dovevano ancora essere scritti. Ripeto, ancora da essere scritti... Questo è disperatamente importante e degno di un film di Oliver Stone. La chiesa fu priva del suo testo fondativo. Il Gesù dei vangeli non era ancora in esistenza. Nessuna immagine di lui apparve fino all'ottavo secolo e perfino allora si trattò di un volto indefinibile e sbarbato nello stile dell'arte bizantina. Il suo ritratto doveva assai più ad Alessandro il Grande - l'archetipo del dio re - che influenzò l'ebraismo, il cristianesimo, l'induismo e l'islam. 

Le storie che circondano Gesù furono composte assieme da un intero esercito di fonti che comprendono paganesimo, zoroastrismo e mitraismo (la nascita di Mitra, si dovrebbe far notare, fu accompagnata dalla veglia di  pastori e i riti mitraici comprendevano battesimo e pasti comunitari). La figura di Gesù ha tratti in comune con personaggi mitici come Adone, Osiride e Dioniso. Prendi Tammuz, l'antico dio dei sumeri e dei fenici, per esempio. Egli era nato da una vergine, era morto a causa di una ferita mortale nel suo costato e risorse dopo tre giorni dalla sua tomba e la lasciò aperta con la pietra ruotata a lato. È chiaro che Gesù fu un'invenzione. Egli fu un nuovo capostipite di un nuovo filone del culto impostato e condotto da Paolo, l'antico equivalente di Joseph Smith, di L. Ron Hubbard o Peter Griffin, che fondò  la ‘Chiesa dei Fonz’ in Family Guy


La gente vi aderiva allora come abbraccia oggi le infantili idee di miracoli, le teorie del complotto, i codici della Bibbia (secondo Michael Drosnin, autore de Il Codice della Bibbia, si pensava che il mondo dovesse terminare nel 2006 in un olocausto nucleare -- abbiamo perso qualcosa?) e antichi astronauti.  Questo è proprio la punta sottile di un enorme iceberg teistico elaborato a partire da menzogne. Perchè la chiesa antica impiegò tali tattiche? Perchè mentire, imbrogliare e impiegare falsificazioni? Era semplicemente perchè Gesù non era esistito e i primi cristiani ricorsero ad una cospirazione indotti dalla disperazione?  

Le suggestioni del giorno presente per cui gli attacchi alla religione costituiscono un complotto ateo non è nulla di nuovo, naturalmente, ma è un altro esempio di quanto resistenti sono le religioni costituite al cambiamento e alle critiche. Ancor più importante, rivela quanto timoroso è il teismo di una discussione serrata e ragionevole. I teisti sanno che il loro sistema di credenze non è nient'altro che un castello di carte in attesa del collasso.
(Nick Harding, How to Be a Good Atheist, pag. 81-84, mia libera traduzione e mia enfasi)

lunedì 23 giugno 2014

Dell'Angelo necessario

L'ANGELO NECESSARIO


Io sono l'Angelo della realtà,
intravisto un istante sulla soglia.

Non ho ala di cenere, né di oro stinto,
né tepore d'aureola mi riscalda.

Non mi seguono stelle in corteo,
in me racchiudo l'essere e il conoscere.

Sono uno come voi, e ciò che sono e so
per me come per voi è la stessa cosa.

Eppure, io sono l'Angelo necessario della terra,
poichè chi vede me vede di nuovo

la terra, libera dai ceppi della mente, dura,
caparbia, e chi ascolta me ne ascolta il canto

monotono levarsi in liquide lentezze e affiorare
in sillabe d'acqua; come un significato

che si cerchi per ripetizioni, approssimando.
O forse io sono soltanto una figura a metà,

intravista un istante, un'invenzione della mente,
un'apparizione tanto lieve all'apparenza

che basta ch'io volga le spalle,
ed eccomi presto, troppo presto, scomparso?


(W. Stewens, da Angel surrounded by paysans, mia enfasi)
L'Angelo necessario (Adelphi, 2008) è un libro del filosofo veneziano Massimo Cacciari che, a detta dello stesso autore, ambisce ''a chiarire il problema teologico e filosofico dell'Angelo'', problema che fa del testo l'ennesimo, incomprensibile polpettone gnostico come ne esistono fin troppi in giro, e che tuttavia non assilla evidentemente l'autore: ''ma coloro i quali mai hanno meditato la sentenza plotiniana «sempre l'anima metaforizza», continueranno a ignorarlo. E così sia.'' Dunque mi si perdonerà se, dopo averci dato una rapida occhiata, non ho capito una grinza del libro.

Eppure ne subisco il fascino suggestivo. Perchè va ad esplorare i mille rivoli diversi in cui si è ''approfondita'' nelle varie epoche e istanze mistico-filosofiche l'angeologia.

L'interesse per gli angeli mi deriva dal fatto che il Gesù di Paolo era un arcangelo celeste e ipostasi divina, entità cosmica, pre-esistente al mondo e co-creatore con Dio stesso.

E nella descrizione che dà Massimo Cacciari della figura dell'Angelo per se, immancabile sopravviene in me il continuo riferimento all'oggetto dell'estasi paolina:
Nel suo guidare dalle cose visibili alle invisibili, l'Angelo è figura di quella anagogia, di quel sensus anagogicus, che attiene alla vita futura e alle cose celesti. Esso edifica, anzi: fonda la speranza per la Gerusalemme celeste, oltre il movimento allegorico, che attiene alla edificazione della fede, e a quello della tropologia, che edifica la carità. L'anagogia può condurre hic et nunc ad una sorta di visione dell'eschaton, «ad contemplanda mysteria caelestia». Ma per quanto alto voli, mai neppur essa potrà disvelare il vero Volto di Dio. «Quaerite faciem eius semper; ut non huic inquisitioni, qua significatur amor, finem praestet inventio, sed, amore crescente, inquisitio crescat inventi» (Agostino, In Psalmos, 104).
Lo studio della Scrittura e l'ascesa attraverso i suoi sensi possono concludersi nella grazia dell'ek-statis che il volo anagogico-angelico rappresenta. Le ali dell'Angelo attengono alla contemplazione. Ma neppure quelle dell'intelligenza angelica, le più rapide di tutte, giungono all'identificazione con il Punto del loro desiderio. Esse testimoniano della libertà spirituale raggiunta rispetto al 'servizio' nei confronti della lettera e della Legge, piuttosto che del perfetto godimento del Fine. Così il simbolo compare anche in Dante: le «penne» liberano dalle «sirene»: «ma dinanzi da li occhi d'i pennuti / rete si spiega indarno o si saetta» (Purgatorio, XXXI, 43-63). Se l'uomo sa non volgere «le penne in giuso», potrà, ad immagine dell'Angelo, 'liberamente' muoversi, immediatamente aderire, grazie alla forza della sua attenzione, al Punto cui è spiritualmente diretto; come l'Angelo, egli potrà finalmente fare ciò che gli piace: «lo tuo piacere omai prendi per duce» (ibid., XXVII, 131).

(pag. 19-20, mio grassetto)

Anche per Paolo e per i primi apostoli la rivelazione e visione personale dell'entità angelica chiamata Gesù dava il diritto al titolo stesso di Apostolo, ossia il diritto di parlare in vece di Dio, dopo esserne divenuto, assieme alle Scritture, canale di ricezione del Suo Messaggio mediante la visione dell'arcangelo celeste che muore e risorge.
Con relativo danno conseguente, o almeno potenziale minaccia, per chiunque ambisse a proclamare l'essenziale unicità del vangelo di Cristo, fosse pure lo stesso Paolo. Ma quella riottosa diversità di Cristi celesti rivali è l'esatta conseguenza dell'assenza fin dal principio di un ''Gesù storico'' in grado almeno lui di mettere tutti d'accordo, sia pure con la sua sola mera presenza recente in Judaea.

Ma merito di Massimo Cacciari, dal mio modesto punto di vista, è di rappresentare con estrema dovizia di particolari il pattern, ripetitivo nei secoli, del profeta (o mistico gnostico, islamico o cattolico non fa differenza) che vede l'Angelo e riceve dall'Angelo il messaggio da rivelare all'umanità. E il tratto costante di queste continue estasi e unioni mistiche con l'Angelo, il suo lato più oscuro e sinistro e tuttavia più profondamente inquietante, è altresì la costante minaccia della sempre latente e insidiosa '''disincantata' negazione della figura angelica'', ovvero il rischio per lo stesso mistico di percepirne, al risveglio drammatico della coscienza,  l'assoluta inconsistenza ontologica.

IL CORPO DELL'ANGELO

Il profeta è l'uomo la cui anima è giunta alla perfezione, il cui intelletto è divenuto intelletto in atto. Egli può perciò intendere la Parola di Dio (le forme incorruttibili dell'Intelligenza agente, Nous Poietikós) e vedere gli Angeli: l'Angelo spirituale perfettamente immateriale si trasforma per il profeta in un'immagine che egli può vedere (Avicenna, La Métaphysique du Shifâ', a cura di G. C. Anawati, vol. II, Paris, 1985, pp. 169-170). Ma occorre sempre mantenere ferma la differenza tra questo segno, la sua ri-velazione, e il significato, di cui è solo ad-verbum. Tanto la tradizione mistica europea, quanto il sufismo islamico non cesseranno dal mettere in guardia contro le seduzioni che il segno, in quanto tale, può produrre. In al-Ghazâli, prima e in Ibn 'Arabi, poi, la preoccupazione di purificare la visione angelica da ogni influsso psichico-mentale è dominante. Proprio per il suo ineliminabile tratto sensibile, la visione rimane pericolosamente affine ai caratteri dello stesso 'sogno' diabolico. Perciò il confine con ogni cura tracciato (cfr. Asìn Palacios, El Islam cristianizado, Madrid, 1981, pp. 233-239). L''immaginazione' angelica non può accompagnarsi a fenomeni allucinativi, a stati di agitazione, di confusione, di vaga inquietudine. Essa è un'emozione estatica, per così dire, assolutamente chiara e precisa. Essa in-forma con parola che non lascia dubbio. Esprit de géométrie mistico!
Le visioni angeliche andranno, dunque, distinte con esatto discernimento dalla generica moltitudine delle  «aprehensiones imaginarias» che possono prodursi naturalmente in noi per il nostro temperamento o anche per le pratiche ascetiche cui ci sottoponiamo; ma in quanto tuttavia anch'esse 'usano' della 'porta' all'anima rappresentata dall'immaginazione o phantasia, e dunque debbono 'tenere' al sensibile, mai potranno risolvere in sé l'anelito all'unione.  «Para poder estar desasida, desnuda, pura y sencilla» (san Juan de la Cruz, Subida del Monte Carmelo, II, 16, 6), l'anima dovrà 'liberarsi' anche di tali visioni, o, meglio, dovrà appunto intenderle come semplice ad-verbum dell'Amato. Tra tutte le creature, nessuna ha somiglianza essenziale con Dio, e perciò Davide, parlando di quelle celesti, dice:  «Non est tibi par inter deos, Domine» (Sal, 85, 8),  «e chiama dèi gli angeli e le anime sante» (san Juan de la Cruz, Subida, II, 8, 3).
Che questo discernimento non debba affatto concludersi in un dubbio radicale sulla funzione dell'Angelo, o addirittura nella sua negazione, lo mostra santa Teresa, la quale, da un lato, distingue, come san Juan, fantasia da visione immaginaria, e visione immaginaria (che si vede con gli occhi dell'anima) da quella «grazia insigne» che fa sentire il Cristo vicino, senza che neppure gli occhi dell'anima possano vederlo (Vita, XXVII) -- ma tuttavia, dall'altro, gode della apparizione del Puer dalla lunga freccia d'oro con la cuspide infuocata. A tale apparizione  «il corpo partecipa alquanto» (ibid,. XXIX) ed è perciò di minor pregio di quella 'visione' di Cristo che nessuna immagine può contenere e a cui nessuna immagine si accompagna; tuttavia la Santa non dubita un istante della sua provenienza celeste.
Il mistico, insomma, discerne, con quella chiarezza che sempre ne caratterizza la parola, la figura dell'Angelo, senza in nessun modo 'oltrepassarla' o renderla oziosa. Nell'esperienza mistica l'Angelo è l'intermediario tra la dimensione puramente estetica della phantasia e la Visione invisibile, sovra-immaginativa: 'salva' la prima nell'ultima, ma, ad un tempo, ri-vela l'ultima nella prima. Soglia d'estremo arrischio, come in questo libro continuamente si ripeterà - ma necessario arrischio, a meno di non fraintendere in toto la parola mistica come dia-bolicamente negatrice dell'estetico e non realistica consapevolezza del suo essere bivio. Su tale bivio Angelo e Demone stanno, perfettamente distinti nella loro inseparabilità. Distinzione radicale, poichè l'apparizione angelica è donata dal Principio (ed è, dunque, il Principio che qui in realtù [si] media) e ordinata nell'amore al Principio. Inseparabilità, poichè essa coinvolge sempre una dimensione visibile, sensibile *1*[Perfino nel centro del fuoco, nel cuore del Roveto Ardente, appare ancora una morphé, un agalma, una forma sensibile, per quanto splendidissima e  «a nessuna delle cose visibili comparabile». Questa figura-non-figura, questa forma invisibile, quest'icona dell'Invisibile, Filone la chiama col nome di Angelo (Filone, De vita Moisis, I, 66).], analoga a quella del sogno, della fantasia, dell'immaginazione o di quel «sillogizzar sognando» (Tasso, Il Messaggero, in Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, 1958, p. 253), che sono gli stessi mezzi per cui quell'amore e quell'ordine possono anche essere dimenticati, strumenti per eccellenza del Seduttore.
In molti casi, la 'disincantata' negazione della figura angelica non nasconde che disagio o paura di fronte al pericolo che rappresenta. Ma esso è stazione obbligata per chi, come santa Teresa o san Juan, riceva la grazia eccelsa della Visione invisibile, dell'immagine eterna che si dà soltanto nella perfetta assenza di immagine (e dunque nel perfetto annullarsi di ogni dimensione psichica e dello stesso Io). A tale immagine siamo 'vocati' dall'Angelo. Gli Angeli ci infondono questo spirito «di vacazione, di unione. Essi come trombe infondono quel suono a noi incognito, dico da pochi conosciuto e da manco participato» (Maria Maddalena de' Pazzi, Le parole dell'estasi, a cura di G. Pozzi, Milano, 1984, p. 85). Anche se l'Angelo, come afferma Lutero, non potesse neppure intercedere per noi, pure da lui proverrebbe tale benedizione, il suono dell'Incognito. E con la benedizione dell'Angelo si compie la lotta di Giacobbe. 

 (pag. 147-149, mio grassetto)

E quando ''Questa figura-non-figura, questa forma invisibile, quest'icona dell'Invisibile, Filone la chiama col nome di Angelo'' non posso non ricordarmi del nome che lo stesso Filone assegnò al suo Angelo o Logos impersonale «a nessuna delle cose visibili comparabile», ossia Gesù.


E quando Massimo Cacciari avverte:
Tanto la tradizione mistica europea, quanto il sufismo islamico non cesseranno dal mettere in guardia contro le seduzioni che il segno, in quanto tale, può produrre. In al-Ghazâli, prima e in Ibn 'Arabi, poi, la preoccupazione di purificare la visione angelica da ogni influsso psichico-mentale è dominante.

...non fa che ribadire la costante necessità, per gli οἱ πολλοί non sufficientemente mistici come il profeta, di rappresentare col SEGNO e con le sue immancabili ''seduzioni'', ciò che nella sua più pura ed elevata concezione merita invece di appartenere al dominio dell'invisibile e là di rimanervi per l'eternità.

Lo stesso problema, lo stesso contrasto ''bellezza della visione versus bruttezza dell'allegoria'' -- specie quando l'allegoria è orrendamente storicizzante quando maneggiata dagli οἱ πολλοί --, è intravisto a chiare lettere da Earl Doherty laddove così osserva, dopo aver decantato la qualità artistica delle Odi di Salomone:
Nella misura in cui alcuni filoni del pensiero ebraico videro sempre più Dio come uno spettro emanante in un flusso continuo di azione, impulsi di sapienza divina, della Legge, di grazia salvifica e di figure o forze redentrici,  e del riscatto di forze o figure redentrici, crearono per se stessi una ricchissima dimensione spirituale e un universo mistico le cui sottigliezze sono state in gran parte a noi perdute e la cui visione ha da tempo cessato di parlare ai tempi che sopraggiunsero in seguito. Anzi, era una fase che degenerò abbastanza rapidamente in qualcosa di meno ricco, meno mistico, e tuttavia di più accessibile, non appena sette elitarie si ampliarono in popolari movimenti religiosi. Non appena questa preponderante volta spirituale, illuminata dalle scritture sacre, scese al mondo materiale e venne tradotta in storia mondana, perse gran parte della sua meraviglia, e la scrittura si degradò a ricettacolo di mere profezie di eventi legati alla terra.  Chi ne soffrì fu la letteratura cristiana, perché d'ora in poi fu costretta a calpestare la terra. Si potrebbe sostenere che nessun poeta in grado di eguagliare l'autore delle Odi di Salomone fu mai più prodotto.
(Jesus: Neither God Nor Man: the case for a mythical Jesus, pag. 278, mia libera traduzione e mia enfasi)

Insomma, la '''disincantata' negazione della figura angelica'' di cui parla Massimo Cacciari e che minaccia ''disagio o paura di fronte al pericolo che rappresenta'' per il mistico, emerse in tutta la sua concreta evidenza quando l'arcangelo Gesù fu sostituito in tutte le sue occorrenze (perfino dove occorreva l'angelo o il Figlio ma non il nome di Gesù), dal malinteso ma persuasivo concetto di ''Gesù storico''. 
Il processo che portò a domare quella riottosa diversità all'insegna del ''Gesù storico'' e del più insistente ''Ipse dixit'' è vividamente così descritto dal prof. Price:

I nascenti cattolici bisognarono di una garanzia più oggettiva per le loro rivendicazioni dottrinali e istituzionali. Dire che Gesù Cristo era apparso ad un eremita in stato di trance e disse così e così era incontrollabile. Ci si ritrovò ben presto a disagio e paralizzati dall'indecisione quando si basò la propria vita su tale effimera autorità, con nessuna garanzia obiettiva per credere alla profezia del Cristo interiore. L'insistenza di Luca-Atti su un'interpretazione ufficiale della Scrittura avanzata da un carnale Cristo risorto ai suoi discepoli, e da lì in poi ermeticamente sigillata e consegnata a vescovi-successori, fu un passo necessario verso l'istituzionalizzazione. ''Il resto di voi può andare pure ad avere le vostre visioni'', dissero i vescovi, ''ma noi abbiamo il reale deposito della verità. Divertitevi pure con i vostri oracoli. Noi abbiamo la Chiesa. Noi abbiamo un obiettivo Gesù che morì e risorse nella carne e non apparve in forme diverse simultaneamente a diversa gente, comunicando loro cose diverse.'' Più o meno così si espresse la gerarchia.
Sicuramente Pagels e Talbert hanno ragione, ma così aveva ragione pure Arthur Drews, che aveva già approfondito ulteriormente lo stesso concetto. Egli realizzò che non si trattava di una mera questione di apparizioni post-mortem di Gesù conflittuali tra loro. Non c'era mai stato uno storico Gesù sulla terra. Gesù fu un rivelatore celeste dentro il cuore di ognuno.

(Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle: The Search for the Historical Paul, pag. 137, mia libera traduzione e mio grassetto)

Ma questo accadde dopo. Dopo che l'anonimo autore del vangelo di Marco si sedette a tavolino per scrivere una storiella.