sabato 23 agosto 2014

Della mia Recensione di On the Historicity of Jesus di Richard Carrier

On the Historicity of Jesus
Why We Might Have Reason for Doubt
di Richard Carrier
Sheffield Phoenix Press, 2014 712 pagine

Se devo giudicare On the Historicity of Jesus con un solo, pregnante aggettivo in grado di catturare tutti i possibili significati che potrei dargli e le innumerevoli suggestioni ricevute, potrei dire che si tratta di un libro COMPLETO.

Il che significa: se non ti convince quel libro sulla sua tesi principale, allora dovrai aspettare il ritrovamento di qualche perduta epistola cristiana anteriore al 70 EC che possa indurti a tornare sui tuoi passi in merito alla questione della storicità di Gesù.

Ma fortunatamente, non è il mio caso. Perchè OHJ fa avanzare davvero la qualità della migliore ricerca. Desideravo un progresso rispetto alle posizioni pur ottime di Earl Doherty, e realizzo con soddisfazione che l'ho trovato.

Cercherò di essere estremamente breve e sintetico nella mia recensione di OHJ, mirando soprattutto ai capitoli che ritengo costituire la sua ossatura imprenscindibile.

Trovo OHJ, nonostante le note capacità logico-analitiche del suo autore, un pò zavorrato di troppi contenuti d'esordio e di background (fin troppo scontati, in fondo) specie all'inizio, nella misura in cui lo scopo è di instaurare un dialogo serio e proficuo con il miglior interlocutore storicista.
Prescindendo da quella zavorra pur necessaria ''per amor di discussione'', vado subito a ciò che più mi ha colpito.
Trovo estremamente utile la definizione di storicità minimale nel capitolo 2. Davvero essenziale quanto basta per capire cosa significa in fondo concepire un Gesù storico: ritenere in poche parole che gli autori di epistole, Paolo in primis, intendevano per Gesù un uomo vissuto di recente in Giudea, perfino quando tutta la loro attenzione era rivolta ad un'entità cosmica con lo stesso nome prossima di lì a poco a invadere tutto il quadro.

Si tratta dunque di sapere se il Gesù delle lettere cristiane della prima ora è un avatar celeste del vero Gesù storico, oppure se è invece il ''Gesù umano dei vangeli'' il mero avatar terrestre che ha storicizzato il Gesù mitologico delle originarie epistole, non essendoci in realtà mai stato nessun Gesù storico sulla Terra.

Ho usato apposta l'espressione ''Gesù umano dei vangeli'' perchè quel Gesù, appunto, è solo umano, non storico. Gli evangelisti cioè hanno voluto veicolare deliberatamente l'umanità di Gesù, non la storicità di Gesù. E pensare un Gesù umano non significa necessariamente pensare un Gesù storico. O almeno, potrebbe significare la medesima cosa solo se si è in possesso di reale evidenza dell'esistenza storica di Gesù.

Che i vangeli non confermano la storicità di Gesù, e neppure la negano, è ben dimostrato da Carrier, anche se non penso che il suo libro sia il migliore ad aver dimostrato qualcosa del genere. Ritengo insuperabile in tal senso più il libro di Thomas L. Thompson, The Messiah Myth: The Near Eastern Roots of Jesus and David, sebbene meno conciso e analitico.

Dunque prima ancora di leggere OHJ già sapevo per mio conto che è impossibile dai vangeli riuscire a tirare somme certe sulla questione storicità o meno.

Carrier ha l'indubbio merito di avanzare una teoria plausibile - ma ecco, è solo una teoria, per se indimostrabile - di come possa essere accaduto la transizione dal ritenere i vangeli quelli che sono in realtà (mera allegoria) a quelli che non sono e non saranno mai (Storia, oppure mitologia mischiata a Storia).


1. All'origine del cristianesimo Gesù Cristo fu pensato essere una deità celeste molto simile ad ogni altra.
2. Come numerose altre deità celesti, questo Gesù 'comunicò' coi suoi soggetti solamente mediante sogni, visioni e altre forme di divina ispirazione (come per esempio profezia, passata e presente).
3. Come alcune altre deità celesti, questo Gesù fu originariamente creduto di aver subito un'ordalia di incarnazione, morte, sepoltura e risurrezione in un reame soprannaturale.
4. Come per numerose alte deità celesti, una storia allegorica di questo stesso Gesù fu poi composta e raccontata entro la sacra comunità, che lo collocò sulla terra, nella Storia, come un uomo divino, con una famiglia terrena, compagni, e nemici, completo di atti e detti, ed un descrizione terrena delle sue ordalie.
5. Successive comunità di adoratori credettero ( o al meno pensarono) che questa sacra storia inventata fosse reale (e  non allegorica oppure solo ''in aggiunta'' allegorica).
(OHJ, pag. 53, mia libera traduzione e mia enfasi)


Sebbene i punti finali 4 e 5 di quella teoria fanno parte a rigor di termini della definizione del miticismo minimale, tuttavia penso che possano benissimo valere perfino sotto l'ipotesi minimale di un Gesù storico.
Specie alla luce di quanto lo stesso Carrier è molto vicino a esplicitare nell'analisi conclusiva sui vangeli:

I vangeli furono prodotti da comunità di fede per la predicazione, l'insegnamento e la propaganda, e non come inchiesta biografica disinteressata o perfino interessata. Non esiste nessun indizio in loro di una ricerca per determinare cosa disse o fece Gesù realmente. Non esiste nessun indizio di fonti o di ragioni per preferire un'affermazione rispetto ad un altra o di tentativi di interpretare dati contradditori o perfino qualche menzione dell'esistenza di reali resoconti alternativi (perfino se sappiamo che ne erano a conoscenza - perchè tutti chiaramente li hanno usati come materiale sorgente). Ogni autore fa solo dire o fare a Gesù qualunque cosa vogliono. Cambiano la storia come conviene loro e trascurano di menzionare di aver fatto così. Fabbricano artifici letterari e narrazioni simbolici quotidianamente. Frequentemente riscrivono storie classiche e bibliche e solo inseriscono Gesù in loro. Se intenzionati a fare tutto quello (e chiaramente lo erano), gli autori dei vangeli chiaramente non avevano alcun interesse in ogni reale dato storico. E se non avevano nessun interesse a ciò (e chiaramente non lo avevano), non avevano bisogno di un Gesù storico. Anche se ci fosse stato uno, egli fu totalmente irrilevante ai loro scopi e progetti. Quelli sono quindi non storici. Essi sono mitografi; romanzieri; propagandisti. Essi stanno deliberatamente inventando quel che presentano nei loro testi. Ed essi stanno facendo ciò per una ragione (perfino se noi non possiamo sempre discernere quale sia quella). I vangeli semplicemente devono essere analizzati come tali. Noi dobbiamo smettere di pensare di poterli usare come fonti storiche.  
(OHJ, pag. 508-509, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)


In fondo, cos'hanno fatto i vangeli se non storicizzare il Cristo celeste dei primi cristiani, PERFINO se quel medesimo Cristo celeste fosse servito a sua volta ad eclissare già un insignificante (o imbarazzante) Gesù storico?

Ecco perchè i vangeli non mi dicono e non mi possono dire nulla sul Gesù storico o mitico: essi aggiungono solamente ulteriore nebbia mitologica ad uno strato che è già, che era già, mitico. Ebbene, il cuore vero della questione consiste nel vedere se quello strato mitico abbia avuto la funzione storica di eclissare un autentico Gesù storico celato dietro di esso oppure se costituisce da solo l'essenza, la vera essenza (teologica), di qualunque concetto di ''Gesù'' giunto più tardi, esautorandone praticamente alla radice ogni pretesa di consistenza ''storica''.

Per un esempio piccolo ma estremamente significativo di cosa significa ritenere i vangeli totalmente inutili come evidenza di storicità (o, alternativamente, di mito) è sufficiente leggersi lo stato penoso dell'accademico storicista di turno, come esemplificato da questo post di Giovanni Bazzana.


Costui è sicuramente un Folle Apologeta: si noti infatti come descrive sbrigativamente la tesi dei miticisti. Non si preoccupa nemmeno di tradurre ''mythicists'' in italiano con ''miticisti'', per timore di commettere chissà quale blasfemia contro il Sindacato dei Folli Apologeti a cui appartiene.

Ecco come ''riesce'' quest'idiota a trovare un nucleo storico dietro i vangeli. Testuali parole:

In realtà, il fatto che Marco e seguaci abbiano attribuito l'accusa ai nemici di Gesù ha, secondo me, un grosso valore storico: Gesù doveva aver detto qualcosa di cui ci si vergognava un pò, ma che non si poteva tacere perchè tutti l'avevano sentito. Direi che lo scenario più probabile prevede un Gesù che profetizza la distruzione del Tempio (un pò come nel Vangelo di Tommaso 71) come segno escatologico e poi aggiunge che egli stesso o Dio con un intervento diretto l'avrebbero ricostruito. Visto che la cosa di fatto non si verificò i redattori dei Vangeli hanno provveduto a sminuire l'imbarazzo attribuendo tutto a dei "falsi testimoni" e a normalizzare collegando la profezia con quello che, secondo loro, sarebbe successo al solo Gesù.

Questo è un esempio dell'applicazione del criterio di imbarazzo: si assume a priori (non importa se sbagliando o meno) che Gesù doveva essere imbarazzante su qualche punto - e per essere tale, che un Gesù storico doveva esistere - per poi denunciare la prima spontanea contraddizione nei vangeli considerato (a torto) l'effetto di quell'imbarazzo: pur di arrivare a questo risultato, non si esita a ritenere in qualche modo più veritiere e vicine al fatto storico le parole d'accusa dei nemici di Gesù al suo processo. A costo di sorvolare rapidamente sul fatto che lo stesso ''Marco'' si sia però presa la briga di qualificare come ''falsi'' quei testimoni e in disaccordo tra loro: se ''Marco'' aveva narrato di un episodio di Gesù al Tempio, è il ragionamento dell'apologeta cristiano, allora ''Marco'' non può rimangiarsi la parola e dare del falso a chi accusa Gesù in relazione al Tempio, perchè altrimenti molto probabilmente ''Marco'' intende nasconderci qualcosa, e quel qualcosa è un Gesù storico che non solo ''profetizza la distruzione del Tempio ... come segno escatologico'' (per poi ricostruirlo Dio o lui di persona), ma per di più manca il bersaglio e quindi è doppiamente imbarazzante agli occhi di ''Marco e seguaci''. Apocalittico megalomane e per giunta fallito sotto gli occhi di tutti: meglio un Gesù di tal sorta piuttosto che nessun Gesù, nella scommessa dei folli apologeti.

Che la testimonianza di avversari non sia da trascurare è sempre buona cosa: non sono forse io a credere da ultimo alla storicità di Maometto in virtù del solo documento polemico anti-musulmano noto come Doctrina Jacobi? Ma il punto qui è che stiamo trattando con l'opera di un evangelista, non di un anti-cristiano contemporaneo. È ''Marco'' che sta parlando in vece dei ''falsi testimoni'', e non altri.

Perchè ''Marco'' aveva ogni ragione, coerentemente alla sua narrazione, di ritenere in errore quei testimoni, ma quella ragione esula del tutto da ogni imbarazzo relativo ad uno storico Gesù, checchè ne dica quel folle apologeta di Giovanni Bazzana.

Così Carrier:

Quando Gesù purifica il tempio lui cita Geremia 7.11 (in Marco 11.17), la cui particolare narrazione porta fin troppi paralleli casuali per essere accidentali: entrambi Geremia e Gesù entrano nel tempio (Geremia 7.1-2; Marco 11.15), fanno la medesima accusa contro la corruzione del culto del tempio (Geremia che cita una rivelazione dal Signore, Gesù che cita Geremia), e predicono la distruzione del tempio (Geremia 7.12-14; Marco 14.57-58; 15.29).
Sebbene quella è detta essere una falsa accusa in Marco, considerato Marco 13.1-2, dove Gesù invero predice la distruzione del tempio (e prima ancora, sebbene più elusivamente, in 11.12-21), e considerato il contesto di 'Geremia' a cui lo stesso Gesù  allude, quello che è falso circa l'accusa è non la predetta distruzione ma che Gesù farebbe la distruzione. Marco sta quindi esibendo conoscenza del fatto che i romani lo distruggerebbero nel 70 EC. Da qui, di nuovo, Marco sta scrivendo dopo quell'anno, e sta componendo una storia romanzata d adeguare - un avvistamento già confermato altrove dalla conoscenza di Marco della distruzione del tempio (Marco 13; ad esempio 13.2). Quindi Marco può ancora avere inteso che Gesù disse veramente cosa riportano i suoi accusatori ma non lo ha inteso alla lettera - ed è prendendolo alla lettera che le loro accuse diventano false, un tema di incomprensione tra i suoi nemici, che fraintendono l'allegorico per il letterale, che Marco ripete per tutto il suo vangelo. Il riferimento di Marco ai 'falsi testimoni' (pseudomarturoi) sarebbe allora un'allusione ai 'falsi profeti' (pseudoprophetai) che in modo simile accusarono Geremia al processo (Geremia 26.7-11; nella Septuaginta, 33.7-11). Nonostante la loro accusa era vera: Geremia aveva predicato la distruzione del tempio. Ed è per questo 'crimine' che Geremia viene processato, proprio come Gesù (Marco 14.57-58 e 15.29), e nonostante Geremia è assolto (Geremia 26; LXX: 33), egli dice che Dio risparmierà la città e il santuario se i giudei si pentono dei loro crimini (Geremia 26.13), ma loro non lo fanno, e naturalmente il tempio (il primo tempio) è distrutto da un'armata straniera. Il parallelo che questo deriva col fato del secondo tempio, parimenti distrutto da un'armata straniera, e nell'immaginario cristiano perchè i giudei fallirono di pentirsi dei loro crimini, è l'ovvia intenzione di Marco.
(OHJ, pag. 432-433, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)


L'evidenza di un Gesù famigerato fallito apocalittico megalomane esistito nel passato reale evapora.

Una volta scoperto un plausibile motivo letterario dietro quella falsa accusa, una volta appurata in altre parole la sua natura di pura finzione letteraria mitografica coerente al resto dell'opera - che va a negare il suo essere manifestazione di presunto imbarazzo - , e alla luce di tutto il resto del racconto evangelico che fa propendere tutte le probabilità verso quello essere esattamente il caso (ovvero un'unica, coerente, semplice parabola teologica sul Cristo della fede cristiana) allora salta ogni possibilità perfino astratta di poter separare con successo nei vangeli l'ipotetico Gesù della Storia dal Cristo teologico: se l'evangelista non mirava dapprincipio e fino alla fine a quella distinzione, allora non possiamo farla neppure noi. A meno di non essere folli apologeti nell'anima, a meno di non essere degli idioti, come è entrambe le cose il ''convinto'' Giovanni Bazzana.

Il suo errore (credere che i falsi testimoni sono nel giusto quando accusano Gesù di aver predetto la distruzione del Tempio) è paradossalmente lo stesso dei falsi testimoni in Marco: scambiare l'allegorico per il letterale. Ovvero compiere impropriamente una lettura letteralista del vangelo marciando così contro la natura stessa di quel testo profondamente allegorico.

Ti rivelo il segreto, o lettore, di come comprendere veramente il vangelo di Marco e tutti gli altri (egregiamente esposto da Nicholas Covington qui ma che riproduco con le mie parole): quando ti accorgi che il significato simbolico dato ad un episodio del vangelo non ti suona simbolico abbastanza, ma anzi recalcitri e senti il sospetto che non sia del tutto simbolico, allora quello è il campanellino d'allarme che sei in errore e hai sbagliato da qualche parte, perchè ''il fatto che non ti appare del tutto simbolico a te non significa che intende veicolare una verità storica''. 

E se perfino sei così sospettoso da diffidare della verità di queste parole, allora seguita a leggere il post di Nicholas Covington allorchè introduce questo aneddoto:

 If an archaeological dig turned up documents from an ancient cult, and we found that 4/10 of the documents were symbolic, 5/10 were plausibly symbolic, and the remaining tenth had no known symbolic explanation, we would chalk that up to our incomplete knowledge of history. No one would grasp at straws and try to save some of the stuff as historical, but that’s exactly what New Testament scholars insist is the case. The overall pattern of the gospel material suggest they are probably myths, a conclusion which is more readily explained under the Christ myth theory than the historical Jesus theory.


Ma sono le epistole di Paolo il vero campo di battaglia sulla storicità di Gesù, allora, se non altro perchè tolti i vangeli perchè oramai inutili a risolvere la questione, rimangono solo loro da esaminare.

Dunque la mia recensione vorrebbe distinguersi dalle altre per focalizzarsi soprattutto sul capitolo 11, The Evidence of the Epistles, determinante, a mio parere, nello spostare il lato della bilancia dalla parte del mito di Gesù.

Ecco il titolo e i paragrafi di cui è composto quel capitolo.

11. The Evidence of the Epistles

1.    The Passion of Pliny the Elder
2.    The Peculiar Indifference of Paul and His Christians
3.    Epistles from the Pillars
4.    The Earliest Gospels
5.    The Gospel in Hebrews
6.    Things Jesus Said
7.    The Eucharist
8.    Things Jesus Did
9.   Women and Sperm
10.    Brothers of the Lord
11.   Weighing the Evidence

E' interessante la struttura in cui sono disposti.
Nel primo paragrafo, The Passion of Pliny the Elder, Carrier pone come esempio di cosa ci saremmo dovuto attendere, almeno prima facie, da parte di un Paolo così fortemente innamorato di un Gesù morto e risorto per tutti noi, il vivido e suggestivo ricordo di ogni dettaglio della morte di Plinio il Vecchio da parte di suo figlio adottivo, Plinio il Giovane, su richiesta dell'amico parimenti assai interessato Tacito.
Inutile ricordare che questo non è chiaramente il caso per Paolo e Gesù, visto come ad ogni occasione il primo manca puntualmente di parlare del Gesù storico per dilungarsi invece sul Gesù celeste esperito tramite solo rivelazione & scritture.

Il secondo paragrafo è quello che serve a mantenere il punto generale di Carrier, il suo principale ed essenziale Argomento Forte contro la storicità di Gesù, su tutti i paragrafi successivi, dal 3 al 10.

E quell'argomento non è un mero argomento del silenzio, per quanto forte, come valeva per Earl Doherty. Ma è piuttosto la SORPRESA di trovare un silenzio così profondo su Gesù in circa 20000 parole scritte da Paolo, 20000 parole scandite dalla ripetizione, per la bellezza di 280 volte almeno, dei nomi ''Gesù'' e ''Cristo''.

La parola chiave qui non è SILENZIO, ma SORPRESA. E così Richard Carrier ha superato in un colpo solo tutti i miticisti precedenti.

Quello è tutto semplicemente bizzarro. E bizzarro significa inatteso, il che significa infrequente, il che significa improbabile. Coerentemente, gli storicisti devono spiegare perchè nelle lettere di Paolo non esistono dispute circa cosa disse o fece Gesù, e perchè nessun esempio specifico dalla sua vita è mai riferita come un modello, neppure per incoraggiare o impartire qualcosa o per risolvere qualche disputa, e perchè le sole fonti che Paolo sempre riferisce per qualcosa che afferma di sapere circa Gesù sono private rivelazioni e messaggi nascosti nelle scritture (Elemento 16), e perchè Paolo appare di non sapere della presenza di qualche altra fonte che non siano quelle (come, ad esempio, persone che conoscevano Gesù). Qualunque spiegazione gli storicisti escogitano per quelle curiosità deve essere dimostrabilmente vera, e non qualcosa che solo fabbricano per spiegare l'evidenza. Perchè tale ''realizzazione di scuse'' rischierebbere la fallacia di gerrymandering, che necessariamente abbassa la probabilità a priori della tua teoria dal momento che tu devi assumere fatti che non sono in evidenza e che non sono resi probabili da ogni evidenza che c'è.
(OHJ, pag. 515-516, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto).

 
Non occorre lavorare all'Istituto Nazionale di Statistica per capire che è impossibile nascondersi dietro un dito fingendosi di non essere SORPRESI dal silenzio di Paolo su Gesù:

Per esempio, supponi che per ogni dato capitolo delle lettere di Paolo ci fosse solo probabilità 1 su 20 (un mero 5%) che lui menzionerebbe o descriverebbe qualche fatto definitivamente storico circa Gesù. Ci sono oltre sessanta capitoli nelle lettere di Paolo. Perfino se una tale menzione in ognuno di quei capitoli è così improbabile (1 su 20), che non ci sarebbe nessuna menzione in ognuno di loro è perfino più improbabile: P(nessuna) = 1 - (0.05)^60 = 0.046 (approssimato), in altre parole, meno del 5%. Il che significa che c'è più di una probabilità del 95% di avere almeno una di tale menzione. Così il fatto che non abbiamo nessuna è bizzarro. E ciò assumendo che ogni capitolo avesse solo una chance del 50% di menzionare qualcosa del tipo inteso, la quale è di sicuro irrealisticamente bassa. Numerosi capitoli avrebbero beneficiato altamente da una tale menzione o potevano difficilmente essere stati scritti senza riferire una tale cosa, e se Gesù è esistito, numerosi capitoli sarebbero stati specificamente circa la sua predicazione o i ricordi della gente di lui, o per usare loro come esempi o promesse o per discutere o dibattere o difendere loro (o rispondere alla curiosità di qualcuno su di loro).
(OHJ, pag. 518-519, nota 13, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)

Prima di leggere OHJ, gli unici due contro-argomenti storicisti che mi sembravano in qualche modo plausibili per neutralizzare la minaccia implicita in questa assillante e frustrante SORPRESA provocatami dall'assordante silenzio di Paolo erano sostanzialmente due:

1) l'argomento di Mogens Müller: Paolo poteva avere un IMPATTO simile nella sua vita solo da parte di un essere storico, non da un fantasma.

2) l'argomento dell'IMBARAZZO: l'apostolo dei gentili cercava di evitare deliberatamente ogni menzione del Gesù storico perchè non poteva vantare una conoscenza del Gesù storico al pari di coloro che lo avevano accompagnato in vita, come Pietro e Giacomo, ''il fratello del Signore'', con conseguente danno al suo prestigio e alla sua autorità.


Impressiona la facilità con cui Carrier fa fuori in poche righe l'argomento di Mogens Müller:


Non c'è semplicemente nessuna fonte nota a Paolo, a lui o a ognuno, se non scritture e rivelazioni dal suo celeste Gesù. E ciò non fa che escludere uno storico Gesù.
Mogens Müller tenta di salvare Gesù da questa conclusione ammettendo che non c'è nulla nelle lettere di Paolo che confermi che Gesù è esistito di recente ma che 'noi bisogniamo, comunque, di una più estesa comprensione del predicato 'storico'' quando usato in connessione con la persona di Gesù', tale che:


'storico' non dovrebbe essere impiegato semplicemente in connessione a tentativi di ricostruire dettagli della vita e insegnamenti di Gesù, trattandolo solamente come una figura del passato. Il predicato 'storico' dovrebbe essere permesso di comprendere anche il suo impatto come ci è stato veicolato attraverso i significati attaccati alla sua vita...' [Mogens Müller, 'Paul: The Oldest Witness to the Historical Jesus', in 'Is This Not The Carpenter?', (ed. Thompson e Verenna), pag. 117-30 (120-121).]

Ma in quel senso di 'storico', il Cristo mitico, il Cristo che Paolo avrebbe detto che realmente è esistito, che vive e muore e risorge nello spazio esterno - sarebbe anche un Gesù 'storico'. Il termine allora diventa privo di significato - a meno che Muller voglia pensare che Paolo avesse ragione, c'è realmente un Gesù Cristo vivente nello spazio esterno. Ma quella è una questione per la teologia, non per la Storia. Ad ogni modo, gli effetti di queste rivelazioni 'del Signore', e di come fu capito dalla lettura delle scritture, sarebbero allora la causa di tutti gli 'effetti' su Paolo e sulle sue idee che Müller poi cataloga. Quelli effetti perciò non possono distinguere tra storicità minimale e miticismo minimale. Lo studio di Müller è perciò impotente. In realtà, il fatto che Müller deve ricorrere a questa tattica, che egli sia costretto a concedere che Paolo mai parla di uno storico Gesù nell''altro' senso, dovrebbe essere riconosciuto strano, ed è per sé conferma che la tesi miticista rende questa evidenza più probabile.
(OHJ, pag. 522, mia libera traduzione e mio grassetto)

Per avere ragione invece sul secondo argomento - la presunta ''ansia'' di Paolo per non godere della conoscenza del Gesù storico al pari dei suoi oppositori giudeocristiani, [''ansia'' spesso ribattezzata più cinicamente ''invidia'' di Paolo verso i giudeocristiani] - Carrier abbozza una prima sintesi del suo contro-argomento, la quale però l'ho pienamente compresa - e apprezzata - solo al termine dell'intero capitolo (precisamente al termine del paragrafo 10. Brothers of the Lord, il cui tema è strettamente connesso a quel topic).

Il paragrafo 2 infatti termina con l'assicurazione che, una volta dimostrato che per ogni punto finora considerato puntatore esplicito o implicito ad un Gesù storico esiste un'interpretazione alternativa miticista dello stesso che è di pari misura probabile (se non di più), allora niente più impedirà alla SORPRESA di quella assurda congiura del silenzio, che non è tale sotto l'ipotesi del mito ma lo è veramente sotto l'ipotesi della storicità, di tramutarsi prima in ANOMALIA,
poi in IMPREVEDIBILITÀ,
dunque in RARITÀ,
infine in IMPROBABILITÀ.

Tradotto: Improbabilità di un Gesù storico nelle epistole autentiche di Paolo.

Dunque i successivi paragrafi mettono in discussione uno per uno ogni presunto punto 'storicista' delle epistole di Paolo, delle epistole attribuite ai Pilastri e dell'epistola agli Ebrei, fidando almeno nella parità, quanto a probabilità di interpretazione, con la rispettiva esegesi 'miticista' dei medesimi punti.

3.    Epistles from the Pillars
4.    The Earliest Gospels
5.    The Gospel in Hebrews
6.    Things Jesus Said
7.    The Eucharist
8.    Things Jesus Did
9.   Women and Sperm


Questi capitoli non ti convincono dell'inesistenza storica di Gesù, ma neppure ti confermano la sua storicità. E difatti rimani frustratamente e noiosamente Jesus Agnostic durante tutta la loro lettura.
Dopo un primo rapido vaglio critico di questi punti, posso dire che i paragrafi 3 e 4 mi lasciano pressochè indifferente, il paragrafo 5 è suggestivo ma non poi così tanto, i paragrafi 6 e 8 mi lasciano parimenti indifferente, il paragrafo 7 mi convince veramente che l'Eucarestia fu appresa da Paolo solo per rivelazione (ma in realtà già lo sospettavo fortemente prima di leggere OHJ), il paragrafo 9 mi ha fortemente impressionato perchè l'interpretazione storicista del famoso passo di Galati 4.4 ''nato da donna, nato sotto la legge'' fa davvero acqua da tutte le parti, mentre è perfettamente spiegabile e comprensibile sotto l'ipotesi del mito.


E infine arriviamo, dopo la bellezza di 582 pagine dall'inizio del libro, al fatidico paragrafo 10, Brothers of the Lord, il più illuminante e determinante di tutto quanto il poderoso volume di Carrier, quello che ho apprezzato di più, perchè supera a mio parere in rapporto di 10:1 per qualità e originalità dell'interpretazione, e per grado di potere esplicativo, tutto il resto - a volte monotono perchè già studiato e prevedibile oppure perchè troppo enigmatico e ambiguo per risolversi in una conclusione o nell'altra -, dell'evidenza scandagliata in precedenza.
10 sole pagine di quel paragrafo - da pag. 582 a pag.592 - di cui la metà per l'analisi di 1 Cor. 9.5 e l'altra metà per l'analisi di Gal .19. Dieci sole pagine che riducono in mille pezzi ogni possibilità ancora di rivedere l'evidenza con gli stessi occhi di prima.


Dopo aver dimostrato a mio parere efficacemente ed elegantemente che in 1 Corinzi 9.5 :

Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?

...i ''fratelli del Signore'' altro non sono che tutti i generici cristiani non apostoli, si passa ad esaminare il passo più controverso di tutta la letteratura cristiana antica del I secolo :

11 Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano;
12 infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
13 Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo,
14 superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
15 Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque
16 di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno,
17 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
18 In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni;
19 degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.
20 In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mento.
21 Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilìcia.
22 Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo.


Ecco per sommi capi il punto del libro al riguardo. Mi sforzo di essere conciso e nel contempo di non trascurare nulla.


FATTO 1: Giacomo il Pilastro non è il fratello di Gesù.


Il fratello del Signore può essere lo stesso Pilastro Giacomo di Galati 2?
Si, ma se lo è, allora non si tratta del fratello biologico di Gesù perchè Giacomo il Pilastro è noto dai vangeli essere fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo.

Come prova conclusiva su questo punto è sufficiente rendersi conto che gli insiders più intimi del fittizio Gesù dei vangeli sono proprio Pietro, Giacomo e Giovanni:

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro.
(Marco 9.2)

...ovvero le stesse 3 persone che figurano in pompa magna come Pilastri in Galati 2:9 :

...e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi.
(Galati 2.9)

...e dunque Giacomo il Pilastro è definitivamente non il fratello di Gesù.

Nei vangeli i fratelli di Gesù quando ridotti al lumicino nel loro anonimato hanno soltanto un'ovvia funzione mitografica: contrapporsi, in tutto simili ai giudei ''increduli'', col loro reputare pazzo Gesù e il conseguente disconoscimento dei primi da parte del secondo, alla vera famiglia di Gesù che è la chiesa. Perfino i loro nomi, quando compaiono, sembrano troppo simili ai nomi dei principali personaggi dell'Antico Testamento per essere solo una coincidenza. Sembrano non solo privi di un riflesso diretto o indiretto della loro influenza sulla chiesa primitiva, ma addirittura privi di ogni personalità: mere comparse letterarie sullo sfondo.

Per dare ironicamente un'idea della ridicola funzione simbolico-letteraria sottesa all'allusione a ''sua madre e i suoi fratelli'' nel vangelo (Marco 4:31) allorchè fanno la loro comparsa da totali anonimi meritandosi puntualmente il ripudio da Gesù,  mi diverte pensare alla parte dei cortigiani nell'aria di Verdi del suo Rigoletto che esordisce con tanto di :

''Cortigiani, vil razza dannata!''

Chiaramente, nessuno sospetterà che quei ''cortigiani'' in Verdi abbiano una funzione altra rispetto alla loro mera introduzione simbolica contro la quale far risaltare mirabilmente l'ira del protagonista. Parimenti per ''sua madre e i suoi fratelli'' nel vangelo di Marco: solo i folli apologeti possono credere che riflettano una qualche consistenza storica dei fratelli carnali di Gesù nel passato reale, e non invece SOLTANTO una totale consistenza simbolico-teologico-letteraria.


Nel frattempo, nella tendenziosa propaganda proto-ortodossa nota come Atti degli Apostoli, perfino se la morte prematura di Giacomo figlio di Giovanni nel capitolo 2 getta qualche ombra di dubbio sul suo essere ancora lui il Giacomo con funzione da Pilastro in Atti 15 (quest'ultimo non viene detto chi sia, se il figlio di Zebedeo, se il figlio di Alfeo oppure il fratello di Gesù), è troppo inaffidabile come Storia (oltre che troppo tardo cronologicamente) per poter influenzare il nostro giudizio in merito alla vera identità del Pilastro Giacomo: inoltre quando avviene il cosiddetto concilio di Gerusalemme (Gal. 2.9), Giacomo figlio di Giovanni nell'epistola ai Galati è ancora vivo e dunque non può essere che lui il Giacomo inteso in Atti 15 che presiede un identico ''concilio''


Dunque lo storicista è costretto, se vuole sperare in un Giacomo fratello carnale di Gesù, a ritenere quel Giacomo NON il Pilastro Giacomo di Galati 2.

FATTO 2: Giacomo ''il fratello del Signore'' NON è apostolo.

Il contesto di Galati 1 è determinante. Paolo si sgola a più non posso per convincere i Galati cristiani che ha parlato solo con Gesù durante un'allucinazione, e solo e soltanto DA LUI ha appreso il vangelo, da persecutore che era, e dunque non stava cercando di truffarli rivelando loro le stesse parole sentite da qualche altro cristiano e spacciandole per proprie, perchè era DAVVERO messo a parte del vangelo unicamente per rivelazione celeste, senza saper nulla prima d'allora di Cristo o di cristiani.

...senza saper nulla prima d'allora di Cristo o di cristiani.

Tombola.

I Galati volevano sentirsi dire queste parole da Paolo, perchè altrimenti non lo avrebbero riconosciuto apostolo. In altre parole, se Paolo avesse detto loro di aver appreso del vangelo tramite tradizione orale, allora i Galati lo avrebbero ostracizzato, rinnegato, bestemmiato ed espulso dalla comunità quale impostore e truffatore nonchè esecrabile usurpatore del titolo onorevolissimo di Apostolo. Perchè Apostolo era di diritto solo colui che riceveva diretta rivelazione divina da parte del Gesù celeste.


Dunque Paolo si affretta a dire, per rimarcare ancora di più come sia sbucato dal nulla unicamente perchè messo al corrente su cosa fare da Gesù Cristo in persona, ''suo Figlio in me'' (Gal 1.16), E NON DA ALTRI, come non sia neppure andato da coloro che ''erano apostoli prima di me'' (Gal 1.17) ma abbia fatto anzi un ampio giro pur di non passare da Gerusalemme, arrivando perfino in Arabia, e poi a Damasco. Insomma, totalmente INDIPENDENTE & ISOLATO. Non aveva da ringraziare nessuno fuorchè sé stesso se godeva del privilegio di conoscere e dialogare durante un'allucinazione con Gesù Cristo in persona.  Paolo era un uomo libero, inviato da Gesù e solo da lui. Un vero APOSTOLO.
E perfino quando giunge infine a Gerusalemme, vi passa solo 15 giorni, per non incontrare nessun altro cristiano per la bellezza di altri 14 anni.

Di fronte ad una simile testimonianza così appassionata, ti verrebbe la voglia di credere alle parole di questo Paolo così fieramente e ansiosamente geloso della sua indipendenza, se non fosse che gli mancava solo una cosa per corroborare definitivamente il suo punto: elencare i soli cristiani che aveva conosciuto durante quella così breve permanenza a Gerusalemme per 15 giorni e allontanare il sospetto che avesse carpito da loro il vangelo spacciandolo per proprio.

Perchè Paolo perfino giura di aver visto cristiani solo durante quei fatidici 15 giorni: infatti giura su Dio che nessuno in Giudea lo conosceva, nessuno lo aveva incontrato, né prima e neppure dopo quei 15 giorni.

20 In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mento.
21 Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilìcia.
22 Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo.

Quindi aveva incontrato solo due cristiani.

E quei due cristiani erano Pietro e Giacomo.

Ma perchè dire quella frase così strana e complicata?

18 In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni;
19 degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

Una possibilità sarebbe che Paolo intendeva dire:

Mi sono CONSULTATO con Pietro, ma poi VIDI solo Giacomo.

Questo aprirebbe interessanti prospettive sotto il paradigma della storicità: forse che Paolo si era solo consultato con Pietro per persuaderlo ad avere da lui carta bianca, ma aveva visto solo di sfuggita Giacomo e dunque ne aveva approfittato per non mettere al corrente quell'acerrimo oppositore giudeocristiano di quello che di lì a poco avrebbe combinato tra i gentili, ergo costringendo quel Giacomo a realizzare solo a fatto compiuto il terremoto che avrebbe provocato Paolo svendendo il vangelo ai gentili con tanto di rinuncia della Torah, con conseguenze che si sarebbero riverberate più tardi allorchè i Pilastri avrebbero in seguito revocato a Paolo la sua eccessiva libertà con la Tradizione intralciando in tutti i modi la sua azione.

Ma nonostante sia suggestiva questa interpretazione, essa presuppone due cose, entrambe ERRATE:
1) che Giacomo ''il fratello del Signore'' sia lo stesso Giacomo il Pilastro di Galati 2 e dunque apostolo. (E abbiamo visto che non è così).
2) ammesso e concesso che Paolo nella cruda realtà reale avesse evitato astutamente di parlare con Giacomo il Pilastro strappando solo dall'apostolo Pietro quello che da lui voleva (ossia totale carta bianca presso i gentili), allora perchè riportare l'accaduto in quello strano ambiguo e sospetto modo? Perchè non enfatizzarlo invece nella luce più favorevole a Paolo? Perchè non far MEGLIO capire che vide solo Giacomo ma non parlò con lui, e dunque parlò solo con Pietro, dunque confermando di non aver parlato con nessun altro (se non con il più autorevole degli apostoli) e dunque di essere un vero apostolo per volontà esclusivamente divina (cioè costituito tale mediante rivelazione celeste) ?

Come ben sottolinea Carrier, non ha importanza la reale misura di quanto Paolo fosse mendace coi Galati e ci tenesse a vendere solo la sua versione dei ''fatti''.

Ciò che conta è cosa voleva propinare ai Galati, al di là se Paolo fosse verace o mendace nelle sue pretese.

La propaganda di Paolo, il suo cavallo di battaglia, o la sua semplice verità, era che non aveva carpito da nessuno il vangelo di Cristo ma lo aveva appreso unicamente durante un'allucinazione.

Che ti piaccia o no, questa è la cruda verità che spiega magnificamente tutta quella sua interessata enfasi sulla sua indipendenza e autonomia di apostolo, il suo aver evitato, per quanto gli fosse stato possibile (far credere), ogni altro apostolo e ogni altro cristiano.

L'argomento di Paolo, la sua propaganda, la sua campagna pubblicitaria, diventa immensamente più forte, più efficace, più persuasiva, se confermasse che aveva parlato solo con uno, E UNO SOLO, degli apostoli, meglio ancora se IN VECE DI TUTTI QUANTI LORO, e con nessun altro apostolo, se non qualche mero testimone NON apostolo lì presente di passaggio all'avvenuto incontro.

Et voilà: il tutto quadra con 1 Cor 9.5.

Come in quel contesto, infatti, l'espressione ''fratelli del Signore'' serviva ottimamente a distinguere gli apostoli dagli altri cristiani (entrambi fruitori di un privilegio ingiustamente non concesso a Paolo, nonostante lui essere come Cefa, sia un ''fratello del Signore'' e sia un apostolo), così in Galati 1.19 quella medesima espressione ''il fratello del Signore'' è introdotta in ordine di distinguere appositamente gli apostoli - incontrati da Paolo nella sola figura di Pietro, rappresentante di tutti loro - da chi apostolo non è, ossia il cristiano Giacomo, il mero ''fratello del Signore''.

Ecco perchè Paolo sente il bisogno di non troncare la frase ''fratelli del Signore'' al solo ''fratelli'' in 1 Cor 9.5, e ''il fratello del Signore'' in solo ''il fratello'' in Gal 1.19 : se non l'avesse fatto in quelle due occasioni, non avrebbe introdotto la distinzione a lui necessaria in quelle due pur distinte circostanze tra apostoli e semplici ''fratelli'' non apostoli.

Carrier fa pure notare come in 1 Cor 9.5 :


Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?


...solo le donne CREDENTI hanno il diritto di viaggiare senza lavorare in compagnia dei loro mariti apostoli e/o non-apostoli: le donne non credenti sono escluse. Perciò per evitare che per ''fratelli'' nell'ipotetica espressione:


Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli e Cefa?

...vengano erroneamente intesi solo i ''fratelli degli apostoli'' - e dunque sia i fratelli credenti sia quelli NON credenti perchè ancora rimasti ebrei non cristiani - egli sente la necessità di specificare che intende SOLO i ''fratelli'' cristiani (biologici o meno), ovvero tutti ''i fratelli del Signore''.


Dunque Paolo in realtà voleva dire solo questo:

Io non incontrai altro degli apostoli, a meno che tu conti fratello Giacomo (che ci incontrò ma non era un apostolo).


A questa conclusione, dice Carrier, erano già pervenuti numerosi biblisti, perfino se (ovviamente) ancora dell'idea che quel Giacomo fosse il fratello carnale di Gesù, per quanto NON apostolo.

Dunque Carrier porta come prova conclusiva di questa interpretazione (che Giacomo, chiunque fosse, non era apostolo) l'articolo di Paul Trudinger, '[Heteron de ton hapostolon ouk eidon, ei me iakobon]: A Note on Galatians I 19' del 1975, contro la cui conclusione l'unica critica, sollevata nel frattempo da un altro studioso, è perfino fragile e fallace (perchè postula che Paolo avesse scritto una frase ancora più strana di quella presente attualmente in Galati 1.19).

Questa traduzione alternativa di Galati 1.19:

Oltre agli apostoli io vidi solo Giacomo il fratello del Signore

è dunque quella più probabile in base al contesto e alla luce dei nuovi argomenti portati da Carrier.
Perciò:

Paolo allora starebbe semplicemente classificando un incontro con 'Cefa' come un incontro con 'gli apostoli' (come anticipato in 1.17), e poi assicurandosi di nominare tutti  i cristiani che incontrò in quell'occasione (Cefa e Giacomo) in anticipazione della sua affermazione che nessuno in Giudea lo aveva mai visto (1.22). L'ultima affermazione sarebbe una menzogna se egli avesse incontrato qualche cristiano, perfino uno che non fosse un apostolo, durante la sua visita a Cefa (in 1.18). Così Paolo deve nominare tutti i cristiani che incontrò in quell'occasione. E, mentendo o no, quel numero bisognava che fosse basso per far valere il suo argomento. In piena coerenza, Paolo dice che c'era solo un altro: fratello Giacomo.
(OHJ, pag.590, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)



Quindi, sempre in ottemperanza al proprio scopo - convincere i diffidenti Galati che non aveva carpito il vangelo da nessuno ma lo aveva appreso parola per parola da Gesù in quanto solo da lui divinamente PRESCELTO - Paolo sottolinea in tutti i modi come si sia tenuto a debita distanza per parecchio tempo da Gerusalemme, come non abbia incontrato nessun'anima viva con cui confidarsi sul vangelo, nè apostoli nè cristiani, come abbia incontrato solo l'apostolo Pietro e come, per assicurare di non mentire quando ci tiene a sottolineare (giurando su Dio) che non incontrò nessun cristiano in Giudea NEPPURE DOPO l'incontro con Pietro (perchè ancora poteva, dopo quell'incontro, essere accusato di tradire Pietro e farsi carpire il segreto del vangelo da qualche altro cristiano a danno dei Galati creduloni), dice che l'unico cristiano che incontrò oltre all'apostolo Pietro fu solo Giacomo. Punto. Stop.

Ecco perchè crolla, nell'attimo stesso in cui ho letto le parole finali del paragrafo 10 del capitolo 11 di On the Historicity of Jesus, l'ultimo argomento anti-miticista che avesse ancora qualche forza ai miei occhi prima di leggere OHJ.

Ovvero l'argomento che Paolo fosse ''invidioso'' di Giacomo fratello di Gesù e del primo apostolo Pietro perchè a differenza sua erano privilegiati agli occhi dei cristiani in virtù dell'aver stretto la mano al Gesù storico in persona. Talmente ''invidioso'' da essere ''ansioso'' di eclissare del tutto ogni scomoda menzione del Gesù storico rea di ricordargli drammaticamente la sua vulnerabilità di Apostolo scelto da un fantasma e non da un concreto, storico Gesù.


In realtà, l'intero argomento di Paolo in Galati 1-2 è che la testimonianza umana era evidentemente diffidata dai Galati, al punto che Paolo doveva negare di essersi mai basato su di essa, e doveva insistere invece che ottenne tutta la sua informazione per diretta rivelazione, e che neppure si confidò con qualcun altro nella chiesa per anni (egli è perfino costretto a giurare su questo). Egli chiaramente doveva pensare in questo modo per persuadere i Galati che il suo vangelo fosse legittimo. Così i Galati solamente credevano a diretta rivelazione. Ciò non fa nessun senso se non sul miticismo minimale. Come poteva Paolo fare questo argomento se c'era un Gesù storico e perciò compagnie di testimoni oculari e una famiglia di Gesù ancora in vita e attiva nella chiesa la cui autorità non poteva mai essere elusa in tale maniera e la cui diretta testimonianza sarebbe sicuramente essenziale alla decisione di tutta l'autorità dottrinale all'interno della chiesa? I Galati eventualmente potevano non aver voluto che Paolo provasse nient'altro se non che ottenne la sua informazione dai testimoni oculari la cui autorità sarebbe allora essenziale. Solo se non ci fossero tali testimoni oculari la sua rivelazione sarebbe la definitiva caratteristica dell'autorità apostolica, e solamente allora Paolo dovrebbe difendere il suo basarsi su nient'altro che su quella, in quanto solamente allora i Galati accetterebbero ciò - rigettando la testimonianza umana invece come illegittima (come apparentemente essi stavano facendo). Altrimenti Paolo dovrebbe insistere qui che lui apprese il vangelo dai primi testimoni e poi giurare che essi possono confermare ai Galati che lui si era rigorosamente attenuto a quello che loro comunicarono a lui. Ma ciò non è quel che pensa.
È una curiosa questione. Come può quel che Gesù disse e fece in vita non essere importante ad ogni cosa in Galati 1-2? Come può Paolo mai parlare di ciò, quando i suoi oppositori starebbero parlando di ciò tutto il tempo? Essi avrebbero intentato argomenti contro Paolo, o ponendo domande e sfide a lui, citando testimonianza da e circa lo storico Gesù, che Paolo sarebbe stato indotto a rispondere, o almeno a indirizzare. Non ci sarebbe stato alcun modo plausibile per Paolo di poter vincere ogni argomento mai neppure affrontando l'evidenza dei suoi oppositori o neppure riconoscendo che esisteva. Paolo poteva altrettanto bene star scrivendo a sé stesso per tutto il bene che ciò gli avrebbe fatto. Tuttavia quello non è quel che vediamo accadere in quelle lettere. L''ansietà' che Paolo è supposto avere avuto sul suo non essere un testimone oculare mai appare. È una moderna finzione.
(OHJ, pag. 526, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)


FATTO 3: la definizione di apostolo come di colui che sente delle voci dall'angelo Gesù durante un'allucinazione non è un'invenzione di Paolo, ma è un'assunzione a priori fatta dai Galati.

Insomma, che apostolo fosse chi sentiva delle voci provenienti unicamente dall'angelo Gesù non è un'idea di Paolo per sostituire la precedente definizione di apostolo come ''inviato da uno storico Gesù'' e farla franca sui veri apostoli. Infatti i Galati, colti da Paolo nell'atto di giudaizzare nuovamente (ovvero rispettare la Torah perfino se di estrazione gentile) volevano farsi assicurare da Paolo, se davvero dovevano sottomettersi al suo invito di rinunciare alla Torah, che fosse sincero nella sua pretesa di essere un apostolo, ovvero di essere uno che aveva esperito Gesù Cristo durante un'allucinazione. Paolo doveva dimostrare di essere sincero nelle sue pretese dimostrando di essere un vero apostolo.
Se così non fosse, infatti, non avrebbe alcun senso che Paolo si faccia in quattro per dire come abbia fatto totalmente terra bruciata attorno alla comunità di Gerusalemme, sfuggendo qualunque cristiano come la peste. E perfino quando era necessario incontrarli, incontrò solo Pietro in vece di tutti gli apostoli. E poichè nella sua folle apologia di sé stesso Paolo si spinse a giurare di non essere conosciuto da nessun cristiano nell'intera Giudea, come necessaria eccezione che conferma la regola si affretta a nominare l'unico cristiano che lo aveva visto, oltre all'apostolo Pietro.

Dunque quel Giacomo viene introdotto per rispondere alla necessità di Paolo di far vedere quanti così pochissimi cristiani aveva conosciuto prima di allora in Giudea (e dunque quanto improbabile sarebbe stata l'accusa o l'insinuazione o il semplice sospetto di aver carpito dall'apostolo Pietro o dal cristiano Giacomo tutti i segreti del vangelo su Gesù che andava predicando ai Galati).

Quel Giacomo non viene introdotto perchè era entrambi fratello di Gesù e un personaggio importante nella chiesa e un apostolo. Ma unicamente per il suo essere l'unico cristiano non apostolo che aveva visto Paolo. Semplice ''fratello del Signore''. Il che esclude che fosse stato per puro caso ANCHE il fratello biologico di Gesù.

Lo storicista Loren Rosson  così critica questo punto cruciale di OHJ nella sua recensione del libro:

Finally, a word about Gal 1:19, which in Carrier’s view is “the only real evidence” historicists have from Paul’s letters. He argues that James “the brother of the Lord” is fictive kinship language rather than biological, as Paul wants to distinguish Christians generally from apostles specifically (p 590), which means of course that he’s not referring to James the pillar. It’s not a convincing argument. Paul would have little reason to bring up a lesser non-apostolic James in the context Gal 1-2, as such a figure would be beneath mentioning. Paul is referring to the apostle James who in fact is the biological brother of Jesus, and who has to be acknowledged, because he’s a thorn in Paul’s side being a rival authority in the Antioch incident as it now bears on the Galatian situation.

Ma non vedo il motivo per cui non sarebbe ''degno di menzionare'' un fratello generico Giacomo alla luce della necessità di limitare il più possibile, senza destare sospetti tra i Galati, il numero di cristiani dai quali Paolo era stato visto (e che potevano essere sospettati potenziali sostituiti all'angelo Gesù come istruttori del vangelo). Paolo poteva aver visto anche altri cristiani. Nel passato reale, Paolo poteva perfino essersi fatto confidare tutti i misteri del vangelo da più apostoli e da più cristiani. Poteva pure essere Giacomo ad avergli spifferato tutto. Ma Paolo, perfino così, doveva assicurare i Galati che era riuscito ad entrare nella chiesa e ad avvicinare il supremo apostolo  Pietro (per farsi consegnare carta bianca tra i gentili) incontrando il minimo numero possibile di altri cristiani, e cioè solo il fratello Giacomo.

Dunque Loren Rosson dovrebbe in primo luogo dimostrarmi dov'è l'evidenza che per i Galati (non per Paolo, per i GALATI) ''apostolo'' era solo il testimone oculare o il parente di Gesù e non invece il prescelto dal Gesù celeste. Se non riesce a dimostrarmi questo, allora sono naturalmente portato a pensare che i Galati avevano preso quella definizione di ''apostolo=vittima di allucinazione'' dalla comunità originaria di Gerusalemme, ovvero dagli stessi Pilastri e dallo stesso Pietro.

Perchè era a quella definizione che Paolo cercava faticosamente in tutti i modi di attenersi. Doveva semplicemente dimostrare di essere giunto dall'altro capo del mondo sapendo magicamente di Gesù senza sapere nulla di coloro che lo avevano ''visto'' prima di lui. Ma quello che Loren Rosson non riesce a capire (perchè magari è un Folle Apologeta) è che non è stato Paolo a dettare questa nuova regola del gioco. Erano già stati i Galati a fissare queste regole del gioco (chi ritenere apostolo e chi no) perchè le avevano ereditate così come erano dai Pilastri. Quelle regole erano antiche.

Quindi l'unica ANSIA tutta paolina che vedo in Galati 1 è nella pretesa quasi ossessiva di aver rispettato quella fatidica, pre-esistente regola del gioco: Paolo aveva davvero comunicato unicamente con l'angelo Gesù e dunque, per questo solo fatto, era a tutti gli effetti un apostolo come gli altri.

Evidentemente, se ancora aveva da farsi riconoscere ANSIOSAMENTE quel ruolo di apostolo nel momento in cui scriveva ai Galati, era perchè nel frattempo i giudeocristiani gli avevano mosso opposizione in tutti i modi, non esitando ad insinuare tra i Galati il malcelato sospetto che lui NON fosse in realtà un apostolo, ovvero NON avesse in realtà ricevuto una genuina rivelazione celeste da parte dell'angelo Gesù perchè aveva carpito il vangelo da qualche cristiano e/o apostolo prima di entrare ufficialmente nella comunità.

Il sospetto è ben fondato:

se qualcuno che non hai mai visto prima viene da te e mostra di sapere tutto di te e dice di sapere tutto di te perchè lo ha saputo in sogno, dovrebbe convincerti di non aver conosciuto nessun'altro che ti conosca a parte tuo padre (che non ti mentirebbe mai spifferando tutto su di te al primo estraneo) e a parte qualcuno che ti conosce appena di sfuggita e non profondamente (e che dunque non potrebbe mai avergli rivelato tutte quelle cose su di te).

Solo a quel punto tu potresti essere maggiormente indotto a credergli.

Ma evidentemente non riusciresti mai a liberarti dal sospetto che quel tale sappia così tante cose su di te perchè le ha carpite da qualcun altro che invece ti conosce a fondo.

L'errore degli storicisti è un peccato di ingenuità, a questo punto. Perchè pensano da moderni. Non si mettono nei panni di Galati e pensano che Paolo si stia rivolgendo a noi moderni e non ai Galati.

Chiaramente il primo sospetto che ci viene quando leggiamo superficialmente la lettera ai Galati, ossia lo stesso sospetto che subentra quando qualcuno pretende di sapere tutto su di noi perchè lo ha saputo in sogno, è che quel tale sta spudoratamente mentendo perchè i sogni e le visioni e le allucinazioni non sono ''reali''. Non sono ''storiche'' PER PRINCIPIO. Per noi moderni sono reali e storiche solo le testimonianze di chi ha visto e toccato con mano Gesù. Noi moderni siamo devoti a San Tommaso.

Ma per gli antichi Galati i sogni, le visioni e le allucinazioni che qualcuno pretendeva di avere (o effettivamente aveva) lo erano veramente: ''reali'' e ''storiche''. Se tu fossi un antico Galata, Il dubbio ti sarebbe sorto A PRIORI non quando sentivi qualcuno la prima volta pretendere di avere avuto una visione di Gesù, ma quando udivi IN UN SECONDO MOMENTO da qualcun altro il sospetto che non si trattava affatto di una visione di Gesù ma di un'usurpazione dell'esperienza allucinatoria altrui.
La realtà della visione, se questo sospetto non subentrava successivamente, non era mai in discussione. Tant'è vero che quando Paolo lotta con altri apostoli (2 Cor 11.4, Galati 1:6-9) e lancia anatemi su di loro, non dà loro dei bugiardi, ma li accusa di aver visto un altro Gesù e di promuovere un altro vangelo. Dunque confermando che essi ''vedevano'' davvero - al pari di lui - un'entità metafisica e tale entità metafisica era davvero Gesù, solo che mal interpretavano il suo messaggio e al più gli attribuivano un falso vangelo, facendolo diventare un ''altro'' Gesù. Le stesse accuse che Paolo avrebbe ricevuto dai giudeocristiani più radicali. Dunque confermando che anche per questi ultimi, Paolo ''vedeva'' Gesù. Se l'accusa di ''vedere ma tradire'' Gesù non servì ad ostacolare Paolo, dovevano accusarlo allora di aver carpito l'esperienza della ''visione'' da qualche altro apostolo o cristiano e di averla spacciata come propria. Ancora una volta, non passò mai alla mente di qualcuno l'idea che la visione personale del Gesù celeste non fosse evidenza di un Gesù ''storico'' per se.

CONCLUSIONE

Penso che Carrier sia troppo generoso a fissare ''per amor di discussione'' pari probabilità all'interpretazione storicista e miticista di Galati 1.19 (seppure dice che personalmente crede che quel passo sia 2 volte più probabile sul miticismo rispetto alla storicità). Per me quel passo di Galati non è per nulla atteso sotto l'ipotesi della storicità. Vi è atteso con probabilità vicine allo zero.

Dunque l'unica evidenza apparentemente ''evidente al di là di ogni ragionevole dubbio'' di un Gesù storico nelle epistole viene a evaporare rapidamente. L'esistenza di un fratello biologico per Gesù ora mi sembra perfino più improbabile della stessa esistenza storica di Gesù.

Nel passato reale Gesù potrebbe ancora essere esistito come individuo storico, ma non ho più nessuna evidenza della sua esistenza. Quell'evidenza non esiste nelle lettere. E se esiste, mi sfugge totalmente, perchè è ben mimetizzata dietro un'interpretazione miticista di quella stessa evidenza altrettanto plausibile. A dire il vero, ora non so più come immaginare un ipotetico (e sottolineo ipotetico) Gesù storico se non posso neppure dire che avesse fratelli di sangue.
Come quando un'astronauta si getta tragicamente dalla sua navicella spaziale nello Spazio Vuoto e non ha più alcun modo di farvi ritorno, e man mano scompare lentamente nel buio: così mi sembra un eventuale Gesù storico ancora ostinatamente presunto dietro le lettere di Paolo. Svincolato del tutto, perchè ignorato, anzi escluso, da ogni tradizione giunta fino a noi che possa ricordarlo. E ignorato, anzi escluso, viceversa per lo stesso motivo. 

On the Historicity of Jesus ha l'indubbio merito di avermi convinto che Gesù non è mai esistito come personaggio storico nella misura in cui lo permette l'evidenza, tutta l'evidenza disponibile. Non so se nel passato reale un Gesù storico è esistito o meno. Ma quello che so è che non esiste nessuna buona ragione per credere all'esistenza di un uomo dietro i vangeli e le epistole. Ci sono solo i vangeli e le epistole.