sabato 8 novembre 2014

Sulla Risposta del prof Markus Vinzent ad un mio interrogativo intorno a Marcione & il Midrash

C'è così poca immaginazione tra i folli apologeti che perfino il termine ''immaginazione'' diventa una parola sporca. Tuttavia devo mettermi nella condizione di poter decodificare la religione invece di accettare per verità rivelata quello che i folli apologeti hanno tutto l'interesse a farmi credere. Ecco perchè dobbiamo studiare il fenomeno Marcione senza nessun pregiudizio di sorta, pena altrimenti di farci dettare dai folli apologeti l'odiosa agenda di loro gradimento.


Traduco dall'inglese la risposta del prof Markus Vinzent ad un mio interrogativo:
Caro Giuseppe,
Grazie per quelle nitide osservazioni e per le domande (vedi sotto). L'ipotesi che Marcione non avrebbe potuto scrivere un testo che è così midrashico e si avvale di ed è un parallelo ad una storia dell'AT (io non lo definirei un errore) si basa su due pregiudizi che Sebastian Moll ed io stesso abbiamo cercato di sfidare. Laddove la principale tesi di Moll nel suo 'L'Arci-eretico Marcione' (Tubinga, 2010) è che Marcione non respinse l'AT, ma l'utilizzò costantemente come il contrasto contro il quale leggere il suo NT -  io  preso una visione leggermente diversa, anche se credo che, a questo proposito, Moll ha ragione.
In primo luogo, noi dobbiamo iniziare con Tertulliano che solleva la tua stessa domanda  - perché Marcione utilizza  tutti quei nomi dell'AT (come Gesù, Figlio dell'uomo ...), e tutte quelle storie dell'AT (Davide, i profeti) per spiegare che il suo Gesù non ha nulla a che fare con l'AT, i profeti, Israele. Se il suo Gesù è venuto fuori dal nulla, perché allora perdere tempo con l'eredità ebraica? Quest'interrogativo, tuttavia, non perviene al fondo di ciò che Marcione stava cercando di raggiungere, e lo legge attraverso le lenti di Giustino ed Ireneo i quali hanno sviluppato l'antitesi di Marcione in un antigiudaismo mirante alla sua sostituzione.
Come ho cercato di mostrare nel mio articolo su 'Marcione l'Ebreo' (disponibile su academia.edu), Marcione, come giustamente osservato da Moll, è ossessionato con le Scritture ebraiche. È tutt'altro che non familiare con loro. Al contrario, ha una conoscenza molto buona di loro, vede la loro forza (esse sono un'affidabile testimonianza del Creatore - ma in quanto tali, non trasmettono alcun avvistamento nel trascendente Dio e nel suo Messia), li prende alla lettera (che non esclude che anche lui ha capito le allegorie, per esempio, le allegorie militari che portano verso un messianismo ribelle sotto forma di Bar Kokhba), e li cita estesamente nelle sue antitesi, e si avvale anche di loro nel Vangelo, simile a Paolo nelle sue lettere.
Il particolare passo di Luca 7 è un esempio calzante. Qui, Marcione (nell'apertura, Luca, però, armonizza il testo ancora di più con 1 Re, vedi la deviazione di D nel Nestle-Aland) costruisce una storia anti-tetica a quella del Profeta Elia. In 1 Re la donna ha paura del Profeta e lo accusa di essere venuto per punirla per le sue cattive azioni e quindi di uccidere il figlio, e il profeta passa queste accuse al Dio di Israele (1 Re 17: 18-20). Al contrario, non vi è alcuna parola su cattive azioni nella storia di Marcione (Luca 17:11-7 par). Questo Gesù ha misericordia e chiede alla madre di 'non piangere'. Gesù non lotta con Dio, non lo accusa di essere un assassino, né ha bisogno di chiedere a Dio di riportare in vita il figlio. Gesù agisce in modo semplice e salva il figlio e lo restituisce alla madre. Anche la reazione della gente è messa come antitesi. Mentre in 1 Re la madre confessa che Elia è un uomo di Dio, nella storia di Marcione non c'è una parola sulla madre, invece, è detto che 'tutti' (il che include la madre del figlio) furono presi dalla paura. O in altre parole: la gente non comprende una tale misericordia non impegnativa, un Dio d'amore. Quando Tertulliano sottolinea l'ultima affermazione di questa pericope che il popolo lodava un Dio che si è preso cura del suo popolo e ha inviato un 'grande Profeta' - ha giustamente chiesto, quale Dio è qui. Tertulliano comprese che nella storia di Marcione si trattava del Dio trascendente, non del Creatore, che doveva aver agito in questa storia e che ha dimostrato per mezzo di Gesù di preoccuparsi del suo popolo. Ma quando Tertulliano aggiunge che questo messaggio non differisce da quello dei profeti (e aveva già in mente Elia), lui mancò di sottolineare che Marcione aveva costruito questa pericope in netto contrasto con quella di Elia. Mentre in Elia il popolo loda un Dio e il suo profeta, che deve essere temuto, in Marcione il popolo teme coloro che essi stimano.
Se non mi sono sbagliato con il mio 'Marcione l'Ebreo', Marcione deriva (come già Harnack assunse) da una famiglia di proseliti ebrei, di conseguenza, egli non solo conosceva le Scritture ebraiche in profondità, ma aveva anche una buona conoscenza delle antiche tradizioni farisaiche e rabbiniche. La sua opera personale di stesura del vangelo, perciò, era una sorta di fusione di più antiche tradizioni, redatta in un modo altamente sofisticato, quasi cinico (abbiamo un approccio simile nel Vangelo di Giuda), che mostra le incongruenze delle Scritture ebraiche e fornisce la base per la necessità di un 'Nuovo Testamento' che corrisponda alla novità della rivelazione del Dio sconosciuto.

La delucidazione da me richiesta era la seguente, che traduco:
Salve prof Vinzent,

Gradirei avere una breve spiegazione ad un'assillante domanda:

Un'obiezione comune contro la priorità del Vangelo di Marcione è che vangeli sono in gran parte ri-narrazioni midrashiche delle Scritture ebraiche: Marcione, che ha respinto la validità delle scritture ebraiche, non avrebbe ''mai'' scritto un tale vangelo.

Lei pensa che Marcione stesso non avrebbe mai fatto questo - cioè, perlustrato l'AT alla ricerca di passi da utilizzare come materia prima da cui partire per creare un racconto su Gesù? Di Marcione si dice che abbia creduto che l'AT va inteso alla lettera, non allegoricamente.

Ad esempio,gli episodi del figlio del Centurione e del figlio della vedova di Nain del Vangelo di Marcione sono chiaramente una riscrittura midrashica di 1 Re 17: 1-24: ladddove Elia poco dopo resuscita dai morti il figlio della vedova, Gesù poco dopo si imbatte in un corteo funebre e fa risorgere l'uomo che sta per essere sepolto, ancora una volta il figlio di una vedova, questa volta da Nain. Luca apre il suo episodio con la stessa apertura da 1 Re 17: 17: "Ed accadde dopo" // "dopo questo ..." Il figlio della vedova è morto (1 Re 17: 17b; Luca 7: 12b). Elia gridò con angoscia (1 Re 17: 19-20), a differenza di Gesù, il quale, però, dice alla vedova di non piangere (Lc 7,13). Dopo un gesto (Elia prega lo spirito del ragazzo di ritornare, verso 21;. Gesù comanda al ragazzo di alzarsi, 7,14), il morto risorge, dimostrando la sua rianimazione gridando (1 Re 17:22; Luca 7 : 15). Reso il suo servigio, il taumaturgo "lo diede a sua madre" (1 Re 17:24; Luca 7: 15b, identici alla lettera). I presenti glorificano l'eroe (1 Re 17:24; Luca 7: 16-17).

Se io trovo in un vangelo molte allusioni sottili e implicite a passi dell'AT (come quelli di cui sopra), cosa significherebbero tali allusioni a tutti coloro che non hanno familiarità con l'AT? Essi possono mantenere solo il loro potere letterario tra i lettori che conoscono e amano l'AT.

Se presumo a priori che Marcione era riluttante a perlustrare l'AT alla ricerca di punti materiali e allegorici, dovrei negare di conseguenza, che Marcione lo interpretò allegoricamente come un implicito riferimento ad Elia (e all'AT). Ma l'evidenza sopra mostra chiaramente che tutti quei riferimenti allegorici sono strettamente inerenti al suo Vangelo.

Dov'è l'errore in questo argomento? Molte grazie per sottolinearmelo.

Giuseppe



Ad un primo sguardo, emerge chiaramente che il prof mi ha dato due risposte diverse.

La prima risposta si basa parzialmente sull'episodio midrashico per se, in particolare, prendendo ad esempio quel particolare episodio che gli ho sottoposto alla sua attenzione, relativo al figlio della vedova di Nain, dove il Midrash da una storia parallela di Elia è troppo evidente per poterlo eludere. Ebbene, l'argomento del prof Vinzent è così convincente che a mia volta io non posso eluderlo in alcun modo: l'intero punto del Midrash da Elia è di contrapporre antiteticamente Gesù ad Elia, non semplicemente far emulare Gesù ad Elia.

Non si tratta neppure di un superamento di Elia, a pensarci bene, allo scopo di rimarcare semplicemente la superiorità di Gesù.

No: la reazione di Gesù è davvero diversa da Elia pur ''agendo'' in un contesto del tutto simile a quello di Elia.

Ora riesco per estensione a spiegarmi da solo anche Luca 5:11 (
Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono.): l'automatismo quasi ottuso dei discepoli nel seguire Gesù senza fiatare e senza nemmeno concedersi il lusso di salutare i propri genitori fa il punto esattamente opposto a quello di Eliseo nel seguire Elia previo prima congedo dai suoi genitori: laddove Elia permetteva ad Eliseo la continuità con la tradizione dei Padri, continuità riflessa simbolicamente nel commiato ossequioso dai genitori, Gesù nega a priori ai discepoli la possibilità di un congedo simile perchè seguire Gesù significa dover abbandonare tutto del mondo e del suo Creatore, cessare di essere ebrei per diventare non gentili (come avrebbe desiderato un protocattolico in virtù del suo innato antigiudaismo) ma proseliti del Cristo.

Ecco perchè Celso aveva Marcione e i marcioniti come bersaglio polemico in mente quando accusò:
Cosa v'ha preso, o cittadini, sì che abbandonaste la legge dei padri e, sedotti da colui col quale or ora abbiamo parlato, vi lasciaste ingannare in modo tanto ridicolo e disertaste da noi per passare ad un altro nome e ad un'altra vita? Solo ieri o l'altro ieri, quando punimmo costui che vi menava in giro, voi avete sconfessato la legge dei padri. Ovvero, come mai partite dalla nostra religione e poi, procedendo, la disprezzate, pur non potendo dichiarare per la vostra dottrina altra dottrina che la nostra legge?
(Origene, Contra Celsum, II, 1, 4)

Io considero conclusivo quest'argomento. È un Fatto che il midrash presente in Luca, specie dove è implicito, riflette esattamente l'antitesi di Marcione tra vecchio e nuovo.

Dunque questa spiegazione del prof ha l'enorme merito di far cadere l'unica seria obiezione sollevata da parecchi studiosi contro la paternità marcionita di urLuca. Ad esempio, così si esprimeva il prof Price, a questo punto, devo concludere, erroneamente (laddove interpreta le intenzioni di Marcione):
La seconda ragione per dubitare che Marcione conobbe qualche vangelo scritto è l'impressionante fenomeno della quasi-totale dipendenza delle storie evangeliche su corrispondenti passi dell'Antico Testamento. Una raffica di studiosi che comprende Randel Helms, Thomas L. Brodie, John Dominic Crossan, ecc., hanno illustrato di nuovo e di nuovo come questo e quel passo evangelico probabilmente si originò come una riscrittura cristiana di questo o quel passo dell'Antico Testamento. Cosa un testamento faceva fare a Mosè, l'altro lo faceva fare a Gesù. Riempi nel nome. Cosa fece Davide? Giosuè? Elia? Eliseo? Risulta che pure Gesù lo fece, e perfino nelle stesse parole descrittive! Quando uno assembla il meglio e il più convincente di quei studi i risultati sono davvero illuminanti: si può fare un convincente argomento per la derivazione di virtualmente ogni storia evangelica da fonti dell'Antico Testamento. Come teniamo conto di questo? Perchè il rapido interesse nella riscrittura delle scritture ebraiche come un libro su Gesù? La politica cattolica fu trattenere l'Antico Testamento ma rileggerlo come un libro su (la predicazione di) Gesù e il cristianesimo. Se questa procedura fosse rimossa, come fece Marcione, cosa rimaneva? Si doveva riscrivere l'Antico Testamento per renderlo esplicitamente circa Gesù! In questo modo, l'Antico Testamento degli ebrei divenne, come direbbe Martin Lutero, “was Christum triebt.” Ma questo non era accaduto al tempo di Marcione. Marcione mai avrebbe usato l'Antico Testamento in questo modo, data la sua antipatia per il libro. Una tale riscrittura deve aver sembrata troppo vicina alla cristianizzazione allegorizzante dei cattolici (di cui essa non era, dopo tutto, se non un'altra versione, creando antitipi per giustificare tipologia!). Come vedremo, i marcioniti si unirono al gioco una volta che videro altri giocarvi, ma questa sarebbe stata una mossa di ripiego, come  i luterani che non potevano andar fino in fondo con Martin Lutero e relegare Giacomo e Giuda ad un limbo semi-canonico.  Fabbricando nuova scrittura (tradizioni evangeliche) loro potevano cooptare qual che essi ancora (colpevolmente) gradivano del vecchio. Così non c'erano ancora vangeli per lo stesso Marcione da includere nella sua nuova scrittura, ma solo epistole che non mostrano alcun segno di consapevolezza di alcun vangelo.   Ma presto ci fu un coinvolgimento marcionita nella produzione dei vangeli. Il vangelo di Marco, ad esempio, mantiene quel che può difficilmente venir chiamato qualcos'altro rispetto ad una visione marcionita dei buffoneschi dodici discepoli  e ad una visione gnostica dell'insegnamento segreto che, nonostante la loro posizione privilegiata, i dodici semplicemente non rischiarano. Oppure pensa alla Trasfigurazione (Marco 9:1-8): come si possono mancare le implicazioni marcionite della disposizione da parte di Marco di Gesù, Mosè (la Torah) ed Elia (i Profeti) in una specie di allineamento della polizia, seguita dall'intervento del Padre che, dei tre, Gesù solo deve essere ascoltato e onorato? E Marco, naturalmente, si riferisce a Gesù che offre la sua vita in riscatto per molti (Marco 10:45). Anche se Marco manca di comunicarci a chi Gesù starebbe pagando questo riscatto, ce lo comunica Marcione. Egli lo pagò al Creatore, e nessun teologo non-marcionita ha prodotto un miglior candidato. Ci si chiede se perfino il nome del Vangelo di Marco riflette consapevolezza del carattere fondametnalmente (anche se non completamente) marcionita del libro. 
(The Christ-myth theory and its problems, pag.881-383, mia libera traduzione e mia enfasi)

Non altrettanto convincente è la seconda risposta del prof, con tanto di rimando ad un suo articolo, Marcion the Jew (disponibile su academia.edu e che recensirò su un futuro post) dove il prof vuole dimostrare che è possibile applicare (già dal titolo deliberatamente provocatorio) una Reductio ad Judaeum su Marcione per motivarne la sua profonda conoscenza del Midrash e della letteratura sacra ebraica. Non tanto ne sono convinto, seppure rimane una plausibile possibilità.

Intanto, che Marcione non fu un antisemita, e che nemmeno l'intero gnosticismo lo fosse, è secondo me una profonda verità. Alle chiare parole del prof Vinzent in merito (tradotte liberamente dal pdf):
 Marcione non incolpò nè i giudei nè i gentili, e neppure vide qualche ostilità tra giudei o gentili contro Cristo. Invece, egli attribuì ostilità al Creatore del mondo e della carne, che egli credeva ignorante del messaggio di Cristo. Solo anti-marcioniti come lo stesso Tertulliano, che volle salvaguardare Dio, il Creatore e Salvatore, portò l'altro-giudaismo di Marcione ad una conclusione anti-giudaica mediante cui i giudei stessi divennero  gli ''istigatori di odio'', mentre Paolo fu rimosso dall'ebraismo ''per la costruzione del cristianesimo''.

...fa eco pure il prof Robert Price, il quale così commenta:


Marcione del Ponto, nella Turchia settentrionale di oggi, fondò una chiesa nel primo-medio II secolo. Era una denominazione cristiana, ma Marcione teneva che i dodici apostoli avessero mal compreso le intenzioni del loro maestro. È un'opinione chiaramente condivisa dal Vangelo di Marco.  Marcione insegnò che i dodici apostoli mischiarono il Giudaismo con i nuovi dogmi del cristianesimo, come se tentassero di porre nuovo vino in vecchi otri. Mentre Marcione non era un antisemita, ed egli rispettava l'ebraismo come una fede separata, lui credeva che Gesù fosse il figlio di un più alto Dio rispetto a Geova. Il Dio ebraico aveva creato il mondo materiale e ordinato la Legge Mosaica. Ma Gesù venne a rivelare una diversa, più amorevole deità, il Padre di Gesù, che non punisce nessuno ma esercita soltanto amore. Il Padre era disposto ad adottare le creazioni dell'inferiore Dio come suoi propri figli.
Marcione credeva che Paolo insegnasse quello che intendeva Gesù - la nascita di una nuova religione separata dall'ebraismo.

(Robert Price, The Amazing Colossal Apostle - The Search for the Historical Paul, pag. 192-193, mia libera traduzione e mia enfasi)

Tuttavia, contro il prof Vinzent, non credo che il background di provenienza di Marcione fosse così ebraico come lui lo dipinge. Non è necessario, per l'argomento precedente, questo secondo argomento a sostegno dell'ebraicità di Marcione. Il primo argomento è così forte e autoevidente da potersi reggere in piedi da solo, al di là della verità o meno del secondo argomento. Per spiegare la profonda dimestichezza di Marcione col Midrash, una volta appurato indipendentemente in virtù della sola evidenza testuale che l'intero punto del Midrash in UrLuca è squisitamente marcionita - non è per nulla necessario postulare un Marcione emerso da un background ebraico.

In fondo Marcione attinse dalla Septuaginta, non dal Tanak. Egli era un ellenista al pari dei protocattolici che corruppero e usurparono il suo Vangelo. Fu accusato da Tertulliano di aver fatto la sua donazione monetaria alla chiesa
“primo calore fidei” (tradotto: alla prima fiamma della fede), ma non è chiaro dalle parole di Tertulliano se la fede in principio abbracciata da Marcione fosse quella del cattolicesimo oppure più semplicemente la fede nel Dio creatore dell'ebraismo (a indicare il suo essere stato un noachide).

Mi risulta un pò sospetta (di apologetica) l'insistenza con la quale il prof vuole introdurre a tutti i costi un'ipotetica continuità di fondo tra l'ebraismo del I secolo (e in particolare l'ebraismo marginale di Paolo e dei Pilastri in primis) e l'ebraismo che poteva aver respirato Marcione se davvero lui e/o la sua famiglia d'origine fosse stata frequentatrice della sinagoga. Marcione poteva benissimo aver iniziato come protocattolico (così, ad esempio, Roger Parvus) e dunque, al pari dei protocattolici, provenire da un ambiente ellenistico e neoplatonico interessato alla religione e alla morale ebraica, ma non per questo un ambiente ebraico in senso stretto.

Earl Doherty descrive alla perfezione cosa intendo per proto-cattolicesimo (in un futuro post descriverò un'origine identica, nel II secolo, per il fenomeno noto come gnosticismo):
Non c'è nessun dubbio che esso avesse radici nell'ebraismo. Predicò l'adorazione monoteistica del Dio ebraico, un Dio presentato come di gran lunga superiore a quelli dei pagani. Per informazione su questo Dio guardò alle scritture ebraiche. Collocò grande valore su un modo di vivere fondato sull'etica ebraica - di nuovo, qualcosa presentato come superiore alla filosofia etica dei pagani. Allo stesso tempo, derivò dal Platonismo il concetto di un Figlio di Dio, un ''secondo Dio'' o Logos (Parola), una forza divina attiva nel mondo e servendo da intermediario tra Dio e l'umanità. Nel secondo secolo anche di più che nel primo, quest'idea del Logos si respirava nell'aria della maggior parte delle filosofie greche come pure dell'ebraismo ellenistico. Per gli apologeti, questo Logos era l'emanazione del Dio ebraico, il suo ''Figlio''. Quindi la religione degli apologeti è stata etichettata ''biblica-platonica'' o ''platonismo religioso con un cast giudaizzante'', sebbene era nel processo di rimuovere da quelli ebrei le antiche promesse del loro Dio e perfino le loro personali scritture.  Sembrerebbe che sia cresciuta a partire da circoli misti di pagani e della diaspora ebraica, i quali si erano immersi nella filosofia greca. (Giustino e altri, compreso il movimento gnostico, offrono evidenza di sette eretiche ebraiche, con parecchi gentili associati, che avevano approfondito un'enorme distanza dalla tradizionale lealtà e pensiero ebraici). C'è pochissimo che suggerisce che la religione degli apologeti del II secolo derivava dal ramo del I secolo dello sviluppo cristiano circostante Paolo. E  neppure c'è qualcosa del focus dei vangeli sul Messia o la fine del mondo. Le opinioni degli apologeti sulla salvezza sono radicate nel misticismo greco, non sulla martirologia ebraica per il peccato. Invece, le due espressioni sembrano come rami separati di un albero davvero esteso. Un altro aspetto è il fatto che in quasi tutti gli apologeti noi troviamo una totale manzanza di un senso storico. Loro non parlano della loro religione come di un perdurante movimento con tanto di specifico secolo di sviluppo alle sue spalle, mediante un inizio in tempo, luogo e circostanze, e una diffusione in specifiche simili. Alcuni di loro dichiarano quel movimento davvero ''antico'' e guardano indietro alle radici nei profeti ebrei piuttosto che all'esistenza di un recente Gesù storico. In questo, naturalmente, sono molto simili agli scrittori di epistole del I secolo.
Giustino, e chiunque riconvertì il vangelo di Giovanni per includervi il Prologo con il suo inno che eguaglia il Logos a Gesù, giunse a credere che il Verbo intermediario, lo spirituale Figlio di Dio, era stato incarnato in una figura umana come raccontata nei vangeli. Ma questo è vero per gli apologeti nella loro totalità? Infatti il fatto impressionante è che della mezza dozzina di apologeti principali fino all'anno 180 - dopodichè, Ireneo, Tertulliano, Clemente di Alessandria e Origene sono tutti fermamente ancorati nella tradizione evangelica - nessuno, ad eccezione di Giustino, introduce un Gesù storico nelle loro apologie del cristianesimo contro i pagani.

(Earl Doherty, Jesus: Neither God Nor Man - The Case for a Mythical Jesus, pag. 476-477, mia libera traduzione e mia enfasi)

La paternità di Marcione del primo Vangelo in assoluto potrebbe fornire la risposta a quel ''fatto impressionante'': il concetto di ''Gesù storico'' avrebbe messo rapidamente radici fin dove veniva letto, contestato o apprezzato, il Vangelo di Marcione.