giovedì 4 dicembre 2014

Elaine Pagels sul più colossale furto d'identità di tutti i tempi

Traduco liberamente dal libro di Elaine Pagels, Revelations: Visions, Prophecy, and Politics in the Book of Revelation (2012, Viking Adult)
le parti che mi interessano perchè riguardano il rapporto tra l'autore dell'Apocalisse e il paolinismo (corsivo originale):


Giovanni di Patmos non cita mai il nome di Paolo - forse come vedremo, perché rimase scettico sull'insegnamento di Paolo e prese le distanze da coloro che l'accettarono. Giovanni dice che Gesù gli disse di mettere in guardia "i santi" di Efeso del fatto che, anche se Dio li ha chiamati ad essere una nazione santa, un "regno di sacerdoti" come Israele,  Satana sta lavorando attivamente con alcuni di loro. Giovanni dice che anche se la gente è stata imbrogliata da "cattivi" che essi venerano come profeti e apostoli, Gesù loda coloro che si rendono conto che alcuni aspiranti leader sono in realtà agenti di Satana: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi''.
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Infatti, quando Giovanni accusa che certi profeti e maestri stanno incoraggiando il popolo di Dio a mangiare cibo "impuro", e a impegnarsi in matrimonio "impuro", sta toccando argomenti che erano scoppiati tra Paolo e i seguaci di Giacomo e Pietro circa quaranta anni prima, un argomento che Giovanni di Patmos continua con una seconda generazione di seguaci di Paolo.  Infatti quando ci chiediamo, chi sono i "cattivi" contro cui mette in guardia Giovanni? potremmo essere sorpresi dalla risposta. Quelli che Giovanni dice che Gesù "odia" assomigliano molto ai seguaci gentili di Gesù convertiti attraverso l'insegnamento di Paolo. Molti commentatori hanno fatto notare che, quando facciamo un passo indietro dalla retorica arrabbiata di Giovanni, possiamo vedere che le pratiche che Giovanni così tanto denuncia sono quelle che Paolo aveva raccomandato. Da quando Paolo aveva predicato come "apostolo delle genti", intorno al 50-66 EC nelle città in tutta l'Asia Minore, in Grecia, e in Siria, lui e i suoi seguaci avevano sostenuto pratiche molto diverse da Giovanni. Quando i convertiti nella città greca di Corinto avevano chiesto a Paolo riguardo alle carni offerte in sacrificio nei templi pagani, per esempio, Paolo scrisse che, poiché "noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo", mangiare carne sacrificale non poteva fare alcun danno. Forse come un ripensamento, aggiunse che l'unico danno possibile potrebbe essere quello di offendere "i deboli", cioè, le persone che non capiscono che le divinità pagane non esistono e quindi considerano tale carne come "impura" - apparentemente comprendendo i rigorosi ebrei osservanti come Giovanni. Cosa circa i rapporti sessuali "impuri", come i matrimoni tra credenti e stranieri? Quando i convertiti di Paolo avevano sollevato la questione, lui consigliò loro di non chiedere il divorzio, in quanto Gesù l'aveva proibito, aggiungendo che tali matrimoni potrebbero beneficiare i partner infedeli, forse anche attirare mariti pagani. Poiché i gruppi a cui Paolo si rivolgeva erano costituiti principalmente da gentili, ebrei rigorosamente osservanti come Giovanni avrebbero potuto dedurre che sanciva i matrimoni misti, che alcuni di loro chiamavano "impurità". I profeti che Giovanni chiama in tono derisorio con i nomi biblici dei disprezzati stranieri gentili - Balaam e Gezebele -, sono probabilmente gentili convertiti all'insegnamento di Paolo. Quel che apparentemente sconvolse Giovanni di Patmos, allora, è che 40 anni dopo la morte di Paolo, egli aveva ancora sentito parlare di quelli che chiamava "falsi profeti" che davano consigli che suonavano sospettosamente simili a quelli di Paolo - dire ai seguaci di Gesù che non importa se hanno mangiato carne sacrificale o si sono impegnati in matrimoni misti. E anche se in realtà Paolo ha diretto questo rilassato insegnamento sull'osservanza della Torah principalmente verso gentili convertiti, le sue lettere mostrano che intense - a volte amare - controversie in materia avevano diviso i seguaci di Gesù fin dall'inizio.
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Come vide Giovanni, i convertiti di Paolo non erano come i pagani che gli ebrei avevano chiamato "coloro che mostrano timor di Dio" e che avevano a lungo cercato di unirsi a loro per adorare il loro Dio. Quei gentili vecchio stile avevano saputo stare al loro posto, mantenendo una rispettosa distanza da quelli nati ebrei, in quanto si sono resi conto che ottenere l'accesso completo alla comunità ebraica richiederebbe loro di cambiare il loro intero modo di vita. Gli uomini avrebbero dovuto subire un intervento chirurgico per diventare circoncisi; entrambi gli uomini e le donne avrebbero dovuto adottare pratiche sessuali, sociali, e alimentari che li avrebbero separati dalle loro ex famiglie e amici prima di poter beneficiare di unirsi al popolo santo di Dio. Per contro, alcuni dei convertiti di Paolo dicevano che, dopo essere stati "battezzati in Gesù Cristo,"  erano buoni come quelli nati ebrei, forse anche meglio. Giovanni, che vede il privilegio di Israele legato all'obbligo di rimanere "santo", è adirato del fatto che dicono di appartenere a Israele, ignorando ciò che richiede la Torah. Per giustificare tale negligenza, questi "aspiranti ebrei" invocano l'autorità del famoso - oppure, Giovanni potrebbe aver pensato, famigerato - missionario Paolo, auto-professatosi "apostolo delle genti".

Sdoganando ufficialmente l'ovvio, ovvero l'evidente insanabile contrasto tra Paolo e i veri giudeocristiani (non quelli sedicenti tali che scrissero il protocattolico vangelo di Matteo), merito della Pagels è di dare con le sue parole preziosa conferma  alle seguenti parole del formidabile Roger Parvus, dal momento che  approfondisce, invece di eliminare, l'ostilità venutasi a creare tra Paolo e i Pilastri dopo l'incidente pretestuoso di Antiochia per provocare lo scisma dei seguaci del primo dalla comunità dei secondi a Gerusalemme.


Ho il sospetto che ciò che l'autore dell'Apocalisse vedeva come persecuzione era diverso da ciò che Paolo intende con quella parola. Per l'Apocalisse, la persecuzione era qualcosa di essenzialmente fisico e vi era lo Stato dietro la persecuzione. Ho il forte sospetto che ciò non era il caso per Paolo,In Galati 5:11 l'Apostolo dice: "Ma se io, fratelli, predico ancora la circoncisione, perché sono ancora perseguitato? In tal caso l'ostacolo della croce sarebbe rimosso."

Qui vede la sua "persecuzione", come in qualche modo causata dal suo rifiuto di predicare mai più la circoncisione. E lui collega questo con la "pietra d'inciampo della croce." Nel contesto di Galati, sembra che la persecuzione di cui sta parlando è opposizione da parte dei giudei cristiani che stavano mandando in rovina il suo lavoro in Galazia. Essi stavano mentendo su di lui e deviando il suo gregge lontano dal suo vangelo di Cristo crocifisso in quello che era osservante-della-Legge.

In 1 Corinzi 4:10-13 e 16 c'è questo:


Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.
... Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!


Qui "perseguitati" si trova con "insultati" da un lato e con "calunniati" dall'altro. L'Apostolo si considera l'oggetto di insulti e menzogne. Così appare di nuovo che la persecuzione era verbale. Se Paolo, come sospetto, era Simone di Samaria, la gente poteva andar dicendo che era un megalomane, o un pazzo, o un imbroglione, o un nemico della vera chiesa. Ma non vi è alcuna indicazione che lo Stato fosse quello che gli stava procurando questo. In Corinzi la persecuzione sembra essergli venuta da ebrei cristiani legati alla chiesa di Gerusalemme.
In 2 Corinzi 4:8-11 abbiamo questo: Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte del Signore Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Infatti noi che viviamo siamo sempre liberati dalla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale.

Qui la persecuzione viene immediatamente circondata da sofferenza che è mentale ("perplessi") da un lato e, eventualmente, fisica ("colpiti, ma non uccisi") dall'altro. Ma non vi è ancora neppure alcuna indicazione che l'autorità civile vi sia dietro. Quindi potrebbe essere che per l'Apostolo, la persecuzione è qualcuno o qualcosa che si oppone a lui o al suo vangelo. Corollario all'opposizione è quello che vede come il prendere la croce di Gesù, vale a dire, "che porta nel nostro corpo il morire del Signore Gesù ... sempre per essere consegnati alla morte a causa di Gesù '." Lui e i suoi seguaci non avevano alcun'aspettativa che lo Stato potesse desiderare di crocifiggerli letteralmente.

In breve: la persecuzione degli ebrei cristiani in Giudea potrebbe essere stata diversa da quella delle chiese paoline. In effetti, gli ebrei cristiani possono essere stati i principali persecutori di Paolo e dei suoi seguaci.

E, come la vedo io, se proto-Marco era Simoniano, il tipo di persecuzione che il Gesù di Marco preparava per i suoi seguaci era persecuzione da ebrei e dagli ebrei cristiani. Ciò ha ricevuto una modifica quando proto-Marco è stato trasformato in Marco canonico da un interpolatore proto-ortodosso. Ho il sospetto che il passaggio è stato in gran parte realizzato con l'inserimento del materiale di Giovanni il Battista in esso, tra cui la grande profezia nel suo 13° capitolo. Se la profezia era originariamente emessa da un uomo che fu "un profeta e più che un profeta", la persecuzione di cui parla è fisica ed è proveniente dallo Stato e dagli ebrei che hanno collaborato con esso.

È praticamente impossibile per i folli apologeti cristiani smentire la concreta possibilità che quello così vividamente descritto da Parvus fosse stato esattamente il caso.

Continua Pagels:


Peggio ancora, dal punto di vista di Giovanni, è che invece di rispettare la priorità di Israele, questi nuovi arrivati parlano di sé stessi - e dei gentili di ogni genere -, come se fossero essi stessi ebrei, reclamando sia il nome di Israele sia le sue prerogative. Giovanni sembra avere queste persone in mente quando dice che Gesù gli ha detto di dire al suo popolo di Filadelfia che "coloro che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono," non sono nient'altro che una "sinagoga di Satana".  Giovanni aggiunge che Gesù assicura i suoi veri seguaci di Smirne di conoscere  che calunnie questa gente sta lanciando loro: "conosco la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana."  ma, alcuni lettori potrebbero chiedere, quando Giovanni attacca la "sinagoga di Satana", non sta parlando di ebrei reali, cioè, dei membri di sinagoghe locali che sono ostili ai cristiani? Quando avverte "coloro che dicono di essere Giudei e non lo sono," non voleva dire il contrario di quello che dice, che in realtà sono ebrei, ma ebrei che non meritano di essere chiamati con quel nome? Molti - forse la maggior parte - studiosi accettarono questa distorta  interpretazione in passato, dal momento che solo questa lettura poteva andare bene a quello che la maggior parte di loro prendeva per scontato e cioè che Giovanni, anche se probabilmente ebreo di nascita, era diventato cristiano al momento in cui scrisse questo libro. Molti hanno anche assunto ciò che un ben informato studioso ha recentemente ripetuto: che "l'ebraismo e il cristianesimo probabilmente sono stati separati da questo momento," che è circa il 90 EC. Gli studiosi cristiani hanno a lungo dato per scontato il luogo comune - il più delle volte non detto - presupposto a priori che "l'ebraismo", come un'entità viente, perdurante, e potente tradizione, effettivamente giunse ad una fine attorno al 70 CE, quando il Tempio di Gerusalemme fu distrutto. Poiché i cristiani tendono a pensare che l'ebraismo era solo una preparazione per il cristianesimo, molti erano soliti datare l'inizio di quello che chiamavano "l'Era Cristiana" dalla distruzione del tempio. L'influente studioso David Aune, che ha scritto tre volumi enormemente dotti come commento al Libro dell'Apocalisse, è consapevole che il linguaggio e i temi di Giovanni indicano che egli è ebreo, eppure lo considera innegabilmente cristiano.
Aune tenta di risolvere l'apparente contraddizione osservando che la vita di Giovanni attraversò quest'apparente transizione. Così egli suggerisce che Giovanni era "un profeta ebraico-cristiano che si era mosso dal giudaismo al cristianesimo a un certo punto della sua carriera."  Oggi, tuttavia, alcuni studiosi mettono in discussione ipotesi come queste, che sporgono nella biografia di Giovanni ciò che molti cristiani avrebbero più tardi immaginato come il corso divinamente guidato della storia, che si figurano "progredire", (come Aune dice che lo stesso Giovanni "progredì") dall'ebraismo al cristianesimo. Ma una volta che facciamo un passo indietro da questa interpretazione per riflettere sul fatto che Giovanni stava scrivendo nel primo secolo - prima dell'invenzione del "cristianesimo", per così dire - possiamo vedere che ciò che scrive non supporta questa visione. Giovanni si vede non solo come un Ebreo, ma considera l'essere ebreo come un onore che coloro che non rispettano il patto di Dio - soprattutto i non-ebrei - non meritano. Infatti, se Giovanni conosce il termine "cristiano", egli non lo menziona mai, tanto meno lo applica a se stesso. Invece, come abbiamo visto, Giovanni, come Pietro, Giacomo, e praticamente tutti i primi seguaci di Gesù, del resto, sempre vede se stesso come un Ebreo che riconosce Gesù come Messia di Israele - non qualcuno che si è convertito ad una nuova "religione''.
...
Ma, potremmo chiederci, si sarebbe Giovanni pronunciato così aspramente - o dire che Gesù l'avesse fatto al suo posto -, sui convertiti al "vangelo" di Paolo da poter chiamare alcuni di loro una "sinagoga di Satana"? Molti dei lettori di Giovanni trovano questo difficile da immaginare. In primo luogo, molti cristiani oggi pensano dell'insegnamento di Paolo semplicemente come ciò che il cristianesimo è. Molti ritengono inoltre che, poiché Paolo e Giovanni sono entrambi seguaci di Gesù, essi sicuramente sarebbero stati d'accordo l'un con l'altro. E molti hanno accettato il racconto di Luca, il che suggerisce che anche se Giacomo e Pietro avessero trovato il messaggio di Paolo sorprendentemente radicale,  avrebbero in effetti concordato sul rifiuto oppure, almeno, sull'accettazione della sua predicazione ai non ebrei. Eppure, anche se Luca muta la storia come fa nel libro degli Atti, dice che il consiglio apostolico guidato da Pietro e Giacomo aveva concluso che i convertiti gentili dovevano osservare almeno alcune linee guida tradizionali - per esempio, dovevano mangiare solo carne macellata in un modo tradizionalmente ebraico ed "evitare la fornicazione."
Paolo stesso non aveva posto nessuna di tali condizioni, scrivendo invece ai suoi seguaci a Roma che i gentili potevano essere "innestati nel"  popolo di Dio semplicemente professando la fede in Gesù e ricevendo il battesimo. Allora Paolo incoraggiò realmente i convertiti gentili a pensare a se stessi come ebrei, come suggerisce Giovanni, o addirittura meglio degli ebrei? Quasi certamente no. Al contrario, le sue lettere mostrano che spesso avvertiva i gentili di non "vantarsi".  Ma il fatto che doveva ripetere questo avvertimento così spesso mostra che trovava molti gentili che si vantavano di essere superiori agli ebrei. Frustrato come era con loro, Paolo potrebbe aver capito che le sue parole avevano incoraggiato i gentili a pensare a se stessi come, spiritualmente parlando, i veri ebrei. Nella sua Lettera ampiamente diffusa ai Romani, per esempio, Paolo aveva scritto che
una persona non è un Ebreo che è tale all'esterno, né è la vera circoncisione qualcosa di esterno e fisico. Piuttosto, una persona è un Ebreo che è interiormente e la circoncisione è una questione del cuore - spirituale, non letterale. Tale persona riceve lode non dagli esseri umani, ma da Dio.
Molto di ciò che Paolo scrisse, infatti, poteva essere letto - ed è da allora stato letto - a significare che Dio aveva diseredato il popolo ebraico in favore dei credenti gentili, che Paolo chiama l'"Israele spirituale", a differenza di coloro che egli chiama "il mio gruppo di affini secondo la carne, che sono Israeliti,"  che appartengono "a Israele secondo la carne".
Nella sua lettera ai Romani, Paolo scrive che "non tutti coloro che sono da Israele sono Israele; Non tutti coloro che sono il seme di Abramo sono i suoi figli" dal momento che "non sono i figli della carne quelli che sono figli di Dio, ma i figli della promessa.''  Scrivendo ai credenti gentili della Galazia, Paolo li rassicura che, anche se non sono nati ebrei, ora che "siete di Cristo, siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa" -  figli di Abramo "nati secondo lo spirito ... come Isacco." Paolo conclude questa lettera benedicendo tutti coloro che appartengono all'"Israele spirituale", che egli chiama "l'Israele di Dio." Al tempo in cui Giovanni di Patmos viaggiò in Asia Minore, allora, egli trovò molti seguaci di Paolo che apparentemente davano per scontato che anche i gruppi costituiti in gran parte da convertiti gentili erano ora diventati, in effetti, Israele. Non c'è da stupirsi, quindi, che quando Giovanni sentì parlare di queste persone che "dicono di essere ebrei, e non sono, ma mentono," trovò oltraggiose le loro pretese.  Anche se non nega il loro rapporto con Gesù, suggerisce derisoriamente che appartengono alla "sinagoga di Satana" e anela al giorno in cui Gesù tornerà per punirli. Infatti Giovanni rassicura coloro che realmente sono ebrei che Gesù ha promesso che al suo ritorno,
''Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato.''
Deluso com'era da tali persone, Giovanni difficilmente avrebbe potuto immaginare quello che egli poteva aver visto come il più grande furto di identità di tutti i tempi: che alla fine i credenti gentili non solo avrebbero chiamato sé stessi Israele, ma avrebbero anche preteso di essere gli unici eredi legittimi dell'eredità del popolo eletto di Dio. Né Giovanni previde che il "vangelo" di Paolo, che aveva adattato il messaggio di Gesù ai Gentili, avrebbe presto fatto traboccare il movimento per creare, in effetti, una nuova religione.
...
Quando Giovanni sente di alcune persone ancora in vita che si stanno promuovendo come "apostoli" di Efeso, lui risponde con allarme. Si congratula con i seguaci di Gesù  a Efeso per averli incontrati con sospetto, testandoli prima, respingendoli poi come bugiardi e "cattivi": Conosco che tu non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi. Giovanni potrebbe aver sospettato che tali aspiranti apostoli stavano giungendo da circoli paolini, dove credenti chiamati apostoli spesso presiedevano, cercando di penetrare gruppi affermati e di guadagnarli alla loro causa.

Sulla natura non cristiana ma ebraica dell'Apocalisse si era già espresso l'accademico John W. Marshall (qui la mia recensione).

Infine la studiosa Elaine Pagels si chiede:


Le rivelazioni di chi, allora, sono genuine - quelle di Paolo o quelle di Giovanni di Patmos? Il futuro del movimento si volgerà a questa domanda - o, più precisamente, su chi si sarebbe fatto accettare come "canonico". Come vedremo, 200 anni più tardi, i leader cristiani influenti scelsero entrambi e li ficcarono nello stesso canone del Nuovo Testamento.

Di nuovo e ancora di nuovo, dunque, si riconferma il ruolo storico del proto-cattolicesimo nella sua proverbiale Reductio ad Unum degli opposti inconciliabili, nel caso specifico: Paolo e l'autore dell'Apocalisse.


"Il cattolicesimo ... cerca di afferrare tutti i gettoni da poker sul tavolo, sbatte tutti fuori dal gioco, e poi pretende  che non sono mai stati lì fino a che il gioco era effettivamente finito. È solo una ridicola, ovvia storia revisionista. "
- Robert M. Price


Aver trasformato illegittimamente un testo di un'altra cultura e di una setta diversa dalla propria in una sorta di Malleus Maleficarum ad uso e consumo della Chiesa Cattolica in ogni occasione contro qualunque genere di eretici ed infedeli costituisce certamente il più grande crimine di origine del protocattolicesimo. E quel crimine continua ancor oggi, ogni volta che un cristiano si appella all'Apocalisse per tuonare contro i segni dei tempi in preda al suo delirio più apologetico.

L'aspetto davvero più importante che devo a questo libro di Elaine Pagels è la sua acuta realizzazione delle gigantesche proporzioni della strumentalizzazione protocattolica dell'Apocalisse, all'incombere del nascente potere politico ecclesiastico ed in soccorso della sua sempre più violenta scomunica e condanna estesa indiscriminatamente a tutti i nemici della Chiesa, che siano pagani, ebrei, gnostici, marcioniti o i seguaci di qualsiasi altra forma di cristianesimo col solo torto di essere considerata eretica dalla Grande Chiesa.
Davvero impressionante come Pagels spiega il processo mediante cui Babilonia divenne il simbolo di tutti gli eretici una volta che Costantino unificò la chiesa a seguito della sua ''conversione'' propagandata con tanto di folle apologeta al guinzaglio (Eusebio di Cesarea). La Bestia era stata usata da allora per esporre gli eretici con lo stesso Marchio e lo stesso Numero e lo stesso Trionfo che l'autore originario dell'Apocalisse aveva invece inteso allegoricamente per l'imperatore romano. Il folle apologeta Atanasio figura ancor più stronzo e bastardo di qualunque altro folle apologeta cristiano, dal momento che l'accettazione dell'Apocalisse nel canone cattolico da parte sua aveva fino ad allora trovato una veemente opposizione pure da un falsario per eccellenza come Eusebio (che interpolò tutto il Testimonium Flavianum nell'opera di Giuseppe Flavio).

Se questo è l'esempio classico per antonomasia del procedimento mediante cui fu attuata l'invenzione della ''Traditio'' ad opera del cattolicesimo nascente, e cioè cooptando tradizioni rivali per coprire sotto il proprio ombrello il maggior numero di hoi polloi allo scopo poi di brandirle contro i propri avversari di turno, allora chi mi impedisce di parlare di ovvia, perdurante e addirittura disonesta auto-invenzione del cristianesimo?

Chi crederà veramente ad una religione così esplicitamente fabbricata dall'inizio alla fine? Solo i dementi folli apologeti cristiani riusciranno a escogitare ''scuse'' e vie di fuga pur di continuare a proclamarsi ''razionali'' pure di fronte ad indegnità del genere, non da ultimo continuando a difendere la propria edulcorata Traditio precisamente al modo tipico di un Eusebio e di un Atanasio, ovvero mediante la medesima, perenne falsificazione della Storia, mentendo e diffamando nel nome di ''Gesù''.

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