domenica 31 agosto 2014

Del perchè “Gesù” è Paolo nel vangelo di Marco (V)

Continua la quinta parte della mia recensione di Mark, Canonizer of Paul, di Tom Dykstra. Per l'intera serie si veda qui.

Il capitolo 4, Defending the Gentile Mission, si apre con una citazione suggestiva.
E il più problematico caso marciano, il viaggio illogico descritto in 7:31, potrebbe non riflettere un'ignoranza geografica ma un desiderio marciano di costruire un percorso di aree non-ebraiche, in linea col tema gentile di questa sezione del vangelo ...
(Joel Marcus, mia libera traduzione)

Se solo fosse vero, mi son detto quando l'ho letto la prima volta, allora è la conferma che davvero TUTTO è stato laboriosamente inventato in Marco. Fin nei minimi dettagli.

È risaputo che Marco è paolino. Ma pochi sanno che Marco attinse a piene mani dalle epistole di Paolo per avere la giusta ispirazione nella sua difesa della politica paolina di apertura verso i gentili.
Quella politica favoriva innazitutto la comprensione di luoghi comuni ebraici altrimenti ostici per  lettori non ebrei.
– i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –,
(Marco 7:3-4)

Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».

(Marco 2:26)

poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»;
(Marco 3:17)

Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».

(Marco 5:41)

guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».

(Marco 7:34)

E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
(Marco 10:46)

E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».
(Marco 14:36)

Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio»,

(Marco 15:22)

Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
(Marco 15:34)

La difesa dei cristiani gentili è esplicita in Marco 11:15-17 :
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: 
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni?  
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».

dove si colloca sulle labbra del Gesù letterario un'allusione alla profezia di Isaia 56:6-8 :
Gli stranieri, che hanno aderito
al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
sairanno graditi sul mio altare,
perchè il mio tempio si chiamerà,
casa di preghiera per tutti i popoli.

(Isaia 56:6-8)

Una volta di nuovo, l''insegnamento di ''Gesù'' non è niente di nuovo che semplicemente la ripetizione di quello è già chiaro nelle Scritture.
(pag. 72, mia libera traduzione e mia enfasi)



La Galilea è esplicitamente associata alle ''nazioni'' pagane in Isaia 9:1 :

In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim [letteralmente, ''il distretto delle nazioni''].

Ormai la geografia stessa in Marco si fa teologia, non Storia.



In Marco, questa terra dei gentili è il sito dell'origine di Gesù, della sua missione riuscita, e della sua destinazione dopo la risurrezione. In contrasto, Gerusalemme - l'esatto compendio dell'ebraicità - è il luogo che lo ha rifiutato e crocifisso. Alla fine del libro (16:7) i discepoli sono informati che se desiderano vedere il Signore risorto devono seguirlo nella terra simbolica dell'unità giudeo-gentile - la Galilea.
(pag. 73, mia libera traduzione e mia enfasi)

Durante la prima parte del vangelo, Gesù attraversa più volte il ''Mar di Galilea''. Per sbarcare di volta in volta ora in aree prevalentemente pagane, ora in area di forte concentrazione ebraica. Perfino il nome stesso, ''Mare'' di Galilea, è una sottile allusione a qualcos'altro.

...Marco inventò il termine ''Mar di Galilea'' per quello che in realtà non è che un grande lago, precisamente allo scopo di aiutare i suoi lettori a cogliere l'allusione al mare Mediterraneo.
(pag.86, mia libera traduzione e mia enfasi)

Durante uno di quei viaggi nel Mar di Galilea/Mar Mediterraneo, quando subentra la tempesta e gli idioti dei discepoli si terrorizzano, costringendo Gesù a intervenire, vediamo qualcosa di strano:

Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.
(Marco 6:48)

Se Gesù non voleva salire a bordo nemmeno collocandosi sulla prua (come spesso ci si immagina la scena) ma semplicemente intendeva camminare avanti a loro, significa che vuole imporre una netta direzione di marcia alla barca dei discepoli (che rappresenta la chiesa): non deve tornare indietro, per paura di andare tra i gentili, per eccessivo zelo verso la Torah, che per il Gesù del paolino Marco è solo una palla al piede in quanto ostacolo alla conversione dei pagani al vangelo di Paolo. Se Gesù calma la tempesta, significa che i giudeocristiani non devono temere di prendere il largo nel Mediterraneo per convertire i pagani, perchè Gesù avrebbe favorito quell'impresa.

Quando Gesù visita ''la regione di Tiro e Sidone'', territorio pagano, ecco come la geografia si adegua in Marco alla sua teologia pro-gentile: tutto al solo fine di rimarcare che Gesù visita i pagani e solo loro.
Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto.
(Marco 7:24)

Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea attraverso il pieno territorio della Decàpoli.

(Marco 7:31)

Si noti nella mappa lo strano percorso che, dovremmo credere (se fossimo folli apologeti), ''fece'' Gesù: nessuna persona sana di mente avrebbe fatto quel percorso, specie se per arrivare da Tiro al Mare di Galilea bastava tagliare per la via più breve. A meno che non fosse il modo di Marco per sottolineare il deliberato indugiare di Gesù in territorio pagano.

Nell'incontro con una donna Sirofenicia, Gesù fa chiaro il punto di Paolo: il suo pane va prima ai giudei, ma quel ''prima'' è inteso allegoricamente solo in senso temporale, non di priorità (un punto che il giudeocristiano Matteo non esiterà a correggere).

Che la Sirofenicia sia greca induce a credere che sia gentile.  Questo è squisitamente paolino:
Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere
(Galati 2:3)


Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
(Galati 3:28)

Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
(Colossesi 3:11)

La storia della Sirofenicia è essenzialmente paolina, perchè è la FEDE che salva sua figlia, e nient'altro:
Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.
(Marco 7:28-30)

Anche l'indemoniato di Generaset è ovviamente gentile. E quando è guarito da Gesù, ha una missione da compiere tra i gentili.

La moltiplicazione dei pani e dei pesci alle moltitudini è una scena che si ripete due volte nel vangelo, separata dall'attraversamento del ''mar di Galilea'' (con tanto di miracolo) e con la seconda scena terminata da una lunga digressione su Gesù che rimprovera l'ottusità dei discepoli.
Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».
(Marco 8:14-21)

Quello che i discepoli, nella loro demenza, non capiscono, è che il primo miracolo dei pani e dei pesci mirava a saziare una comunità esclusivamente ebraica, laddove la ripetizione di quel miracolo al di là del Mar di Galilea/Mar Mediterraneo mirava ad estendere lo stesso beneficio ad un gruppo misto giudeo-gentile, una volta che Gesù/Paolo si era fatto convincere in tal senso dalla fede di una singola pagana, la Sirofenicia.

Ecco gli indizi che suggeriscono l'ebraicità del primo miracolo:

1) avviene non lontano ''nella sua patria'', (''Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono'', Marco 6:1, ''E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.'' Marco 6:6).

2) e dai villaggi della sua regione accorrono i beneficiari del miracolo (''Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.'', Marco 6:33).

3) simbolismo numerico: cinque pani,

Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
...
e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene [δώδεκα κοφίνων πληρώματα]  e quanto restava dei pesci.

(Marco 6:38, 43)

cinquemila uomini,

Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
(Marco 6:44)

dodici ceste avanzate,

e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci.
(Marco 6:43).

5 è il numero dei libri della Torah e 12 sono le 12 tribù di Israele.

Esattamente quei numeri Gesù sottolinea quando si incazza con i discepoli al termine del secondo miracolo:

quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici».
(Marco 8:19)


Il secondo miracolo dei pani e dei pesci ha connotati gentili e non ebraici:

1) segue un lungo viaggio in territorio pagano (vedi la mappa di sopra):
Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea attraverso il pieno territorio della Decàpoli.
(Marco 7:31)

2) il contesto

Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano.
(Marco 8:3)

...indica un gruppo misto giudeo-gentile rispetto a quello totalmente ebraico del primo miracolo.

3) simbolismo numerico diverso dal precedente: quattromila uomini,
Erano circa quattromila. E li congedò.
(Marco 8:9)

 sette pani,
Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette». Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla.
 (Marco 8:5-6)

e sette ceste rimaste alla fine,
Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte [περισσεύματα κλασμάτων ἑπτὰ σπυρίδας].
(Marco 8:8)

4 allude ai quattro estremi della terra, simbolismo alluso nelle stesse parole di Gesù in Marco 13:27 :


Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.


7 rappresenta la ''completezza divina, richiamante alla mente testi sacri come la storia di Genesi dei 7 giorni della creazione'' (pag. 81).
Io avevo pensato invece ai 7 Colli di Roma, città simbolo dei pagani.

Perfino nella variazione del termine greco per indicare le ''ceste'' rimaste al termine di ciascun miracolo si riscontra un deliberato cambiamento tra contesto ebraico e contesto pagano:
e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene [δώδεκα κοφίνων πληρώματα]  e quanto restava dei pesci.
(Marco 6:43)

Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte [περισσεύματα κλασμάτων ἑπτὰ σπυρίδας].
(Marco 8:8)

 In Romani 11:12 la parola πληρώμα (''pienezza'') si riferisce agli ebrei

Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro pienezza! [το πληρωμα αυτων]
(Romani 11:12)

mentre in 2 Corinzi 8:13-14 la parola περισσεύμα (''cose in più'') serve a descrivere la reciproca assistenza tra ebrei e gentili.

Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza [το υμων περισσευμα]  supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza [το εκεινων περισσευμα]  supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:
(2 Corinzi 8:13-14)
 È curioso che Marco chiama ''greca'' (intendendo ''gentile'') la Sirofenicia (preludio al secondo miracolo) mentre poco prima del primo miracolo compare il solo punto in tutto Marco dove usa la parola ''Giudei''.
i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi.
(Marco 7:3)



L'enfasi, in tutte quelle storie, è sul cibo e sui suoi resti, anche quando quei resti sono le misere briciole di cui si sfama la Sirofenicia in virtù della sua fede, anche quando si tratta del ''lievito dei farisei e di Erode'', con somma incomprensione dei discepoli di cosa diavolo questo significhi.

Il pane e i suoi resti sono simbolo della Torah. I giudeocristiani, mentre devono ignorarne l'interpretazione farisaica, devono condividerne l'interpretazione con i cristiani gentili: non devono tenersela esclusivamente per sé. Il Gesù di Marco, ovvero Paolo, abolisce l'esclusivismo ebraico.

In Marco 2:15-17 :
Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

per 4 volte si ripete (e dunque si enfatizza) la condivisione del desco da parte di Gesù insieme a scellerati ''peccatori'': non erano ebrei nella misura in cui il loro essere esclusi dalla società per via del loro lavoro sporco li rendeva simili ai pagani nel loro essere esclusi dai vincoli della Torah.

Anche Paolo chiama ''peccatori'' i gentili in Galati 2:15 :
Noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori,

quello era il modo tradizionale ebraico di considerare i pagani.

Ma Gesù che condivide scandalosamente il desco con ''peccatori'' non è altri che Paolo, il quale anche in Galati si ritrova a dover difendere la sua condivisione del desco con i ''gentili peccatori'' contro la volontà dei Pilastri di Gerusalemme.

L'accettazione dei bambini (terzi emarginati sociali dopo gentili ed esattori) in Marco 9:36-10:16 :
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».  
Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

fa l'ennesimo punto di un ''Gesù''/Paolo che vuole accogliere i gentili e di ''discepoli''/Pilastri che si oppongono al tentativo e finiscono puntualmente rimproverati dal primo.

Da notare come ''Gesù''/Paolo incontra brave persone tra i gentili,  mentre lo stesso ''Gesù''/Paolo incontra cattive persone tra gli ebrei.


In Marco 8:11-12 :
Vennero i farisei e si misero a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno».


la richiesta di un segno da parte di Gesù si ispira alla diretta esperienza di Paolo in 1 Corinzi 1:22-23:

Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani;


Anche la proibizione del divorzio da parte di ''Gesù''/Paolo in Marco 10:11-12

 «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

 è basata sulle istruzioni di Paolo in 1 Corinzi 7:13-16 :
e una donna che abbia il marito non credente, se questi acconsente a rimanere con lei, non lo ripudi. Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ora invece sono santi. Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?



Significativo al riguardo che da nessun'altra parte in tutta la Bibbia la disposizione sul divorzio riguarda ANCHE la donna e non solo l'uomo.

''Gesù'' è Paolo in tutte queste vignette allegoriche.

Il ''Gesù'' che riassume l'essenza della Legge in Marco 12:29-34 :
 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.


non è altri che Paolo quando dichiara:

Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso.
(Galati 5:14)

Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso.

(Romani 13:8-9)

Per ''Gesù''/Paolo l'amore del prossimo conduce al Regno di Dio :
invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio.
(Galati 5:21)

Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo:
(Romani 14:17)

Tutte le altre prescrizioni della Torah vengono relativizzate rispetto all'essenza della Torah che è l'amore per gli altri.

Perfino le regole alimentari ebraiche:
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
(Marco 7:14-19)

Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo.

(Romani 14:20)

Perfino il rispetto del Sabato:
Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
(Marco 3:1-5)

ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
...
Anche Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione.

(Romani 9:2, 22)

Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti.
(Romani 11:25)

Il ''vino nuovo'' (i gentili) devono andare in ''otri nuovi'' (un nuovo approccio alla Torah).
E tuttavia nello stesso tempo, Marco non si impegna in un totale rifiuto dei requisiti del culto della Legge Ebraica per gli ebrei: come consiglia Paolo, i gentili rimangono gentili mentre gli ebrei rimangono ebrei. In piena coerenza, quando Marco raffigura un Gesù che guarisce un ebreo, mostra un Gesù che esorta l'uomo a soddisfare il requisito ebraico di presentarsi ai sacerdoti (Marco 1:44) mentre il gentile che guarisce è semplicemente esortato a proclamare la sua salvezza tra ''i suoi amici'' (5:19).
(pag. 89-90, mia libera traduzione e mia enfasi)


Perchè Marco faceva parlare il suo Gesù letterario in parabole?

L'evangelista non aveva altra scelta se non di intraprendere il suo compito di supportare l'approccio di Paolo all'osservanza della Legge con grande sottigliezza, infatti egli stava proiettando nel passato questioni che non sorsero realmente fino a più tardi. Questo spiega perchè doveva ricorrere ad un esteso utilizzo di parabole nel suo vangelo.
(pag. 90, mia libera traduzione e mia enfasi)

Emblematico in tal senso è il punto teologico dietro la parabola del fico selvatico, allegoria del tempio di Gerusalemme non più all'altezza della sua funzione originaria, perchè irrimediabilmente contaminato dai farisei.
Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città. La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà.
(Marco 11:19-23)


Ma in questo punto è particolarmente suggestivo il particolare evidenziato da Dykstra:
chi ha abbastanza fede, dice ''Gesù''/Paolo, potrà dire  a «questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”» e ciò avverrà.


In Marco 6:46 Gesù va ''sul monte a pregare'', appena prima di ricongiungersi coi discepoli ''camminando sul mare''.

Quel ''monte'' dove Gesù pregava, alla luce del fatto che il ''Mar di Galilea'' è il Mare Nostrum dei romani, è una sottile allusione al monte del Tempio di Gerusalemme, anch'esso luogo di preghiera.  E i demoni che tormentavano l'indemoniato di Generaset furono scaraventati, una volta scivolati nei porci lì di passaggio, nel ''Mar di Galilea'', ovvero nel Mediterraneo. Dunque Gesù ''camminando sul mare'' benedice la missione ai pagani coi discepoli dietro di sè (sebbene timorosi perchè riluttanti a farlo), lasciando alle spalle un monte che era il suo (ormai ex) luogo di preghiera. Mentre gli spiriti impuri che già sulla terraferma abitavano animali impuri (i porci) finiscono anch'essi nel lago romano, ma per annegarvi.

Stessa sorte toccherà allora a quel ''monte'', ovvero al corrotto tempio di Gerusalemme.
Il tempio fisico di Gerusalemme non era di nessun'importanza per Paolo; esso si era in un certo senso ''seccato fino alle radici'' essendo sostituito dalla ''Gerusalemme di sopra'' (Gal 4:25-26). Questa Gerusalemme di sopra era disponibile a tutti, compresi i gentili, dovunque vivevano; quindi ''la casa di preghiera per tutte le nazioni'' era metaforicamente gettata nel mare romano.
(pag. 91, mia libera traduzione e mia enfasi)

sabato 30 agosto 2014

La Chimera della Tradizione Orale (IV)

Continua la quarta parte della mia recensione di Mark, Canonizer of Paul, di Tom Dykstra. Per l'intera serie si veda qui.

Il titolo del terzo capitolo vale più di mille parole: The Chimera of Oral Tradition. Perchè riassume in somma sintesi il grosso, drammatico e ironico insieme, abbaglio che hanno preso e continueranno a prendere tutti i folli apologeti che non si sono ancora risvegliati dal loro letargo religioso a tale amara, nuova consapevolezza.

Il problema:

Da quale fonte  Marco attinse quello che riportò nel suo vangelo?

Le false soluzioni:

Q ?

Ma la sua esistenza è dubbia e ammesso che sia esistito, e ne dubito, arriva decenni dopo Marco.

Il vangelo di Tommaso? Troppo tardo rispetto a Marco.


Testimoni oculari?


Il primo a parlarne esplicitamente (dopo, beninteso, l'autore di Luca e di Giovanni) è nella metà del secondo secolo il vescovo Papia, il quale si disse «persuaso che il profitto tratto dalle letture non poteva stare a confronto con quello che si otteneva dalla parola viva e sonante» degli apostoli e dei discepoli del Signore (in Eusebio, Storia Eccl. III, 39, 4).

Detto così, Papia sembra sano di mente quano sostiene che il ''sentito dire'' aveva maggiore valore di altre fonti che, seppure scritte, non erano da seguire.

Salvo poi rivelare di essere nient'altro che un totale mentecatto e boccalone (un vero folle apologeta!) quando rivela quale fosse il contenuto di tale così prezioso ''sentito dire'' per lui:
Ma Giuda [dopo il tradimento] vagò per il mondo come modello di empietà. La sua carne si gonfiò tanto da non permettergli di passare nemmeno in un varco della larghezza di un carro - e nemmeno la sua testa vi poteva entrare. Dicono che gli si gonfiarono tanto le palpebre che non potè vedere la luce; e i medici non riuscivano a visitargli gli occhi nemmeno con uno strumento, tanto erano sprofondati nella carne. E i suoi genitali divennero più grossi e disgustosi di quelli di chiunque altro; e con sua massima vergogna, non poteva liberarsi senza emettere il pus e i vermi che pullulavano nel suo corpo. Dicono che, dopo aver subito vari tormenti e castighi, morì sulla sua terra, che da allora in poi è deserta e disabitata a causa del fetore. Nemmeno ora vi si può passare accanto senza tapparsi il naso. E questo per i tanti liquidi che fuoriuscirono dalla sua carne quando si riversò a terra (Frammento 4).

Ecco: quella è la tradizione orale.

A parte ''tradizioni orali'' occasionate dall'evidenza stessa della chiesa (e che dunque nulla hanno a che fare con chi originò il movimento), come ad esempio (classico):
Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro.
(Marco 7:15)

...per tradizione orale si intende quanto veniva ricordato a memoria da eventi e conversazioni del passato.

Secondo alcuni, la memoria poteva far brutti scherzi alle volte, restituendo una copia assai dissimile dall'originale oggetto ricordato. Secondo altri la memoria poteva essere utilissima altre volte, specie se si prestava particolare cura, mediante specifiche tecniche mnemoniche, nella preservazione il più possibile fedele di quanto ricordato del principio.

Altri ancora mettono in discussione le stesse fondamenta dell'idea stessa di tradizione orale. Uno dei più seri attacchi a questa teoria proviene dalla penna di Thomas Brodie, il quale persuasivamente asserisce che l'idea di tradizione orale come fonte dei vangeli è nuova (progettata di recente dalla ricerca moderna, e quindi almeno discutibile), infondata (gli argomenti che hanno creato l'ipotesi sono deboli), implausibile (l'ipotesi non spiega la reale evidenza presente nel testo), e non necessaria (spiegazioni alternative sono più semplici e più credibili).
(pag. 45, mia libera traduzione e mia enfasi)

Dykstra apprezza parecchio, nonostante sia storicista, la qualità della ricerca del prete miticista Thomas Brodie e non manca di manifestare apprezzamenti per essa anche nel suo blog (lo definisce ''one of the half-dozen or so greatest New Testament scholars of our time'').

In  particolare, ha denunciato come Brodie è stato COSTRETTO in realtà a ritirarsi dall'insegnamento, nonostante l'istituto cattolico del quale faceva parte (anzi, che aveva lui stesso fondato) avesse ipocritamente sparso in giro la voce che si trattava di una sua libera scelta.
È una vergogna che i folli apologeti cattolici hanno espulso un accademico solo per aver dichiarato nel suo recente libro-memoria di essere giunto, dopo tanti anni di studio, alla conclusione che Gesù non è esistito come figura storica.

Si tratta di una vergogna che addebiterò per sempre a tutti gli affettati apologeti & censori cattolici che ficcano il naso nella seria ricerca scientifica al solo fine di intralciarla con tutti i mezzi a loro disposizione non appena si accorgono che va a mettere in discussione i loro fottuttissimi dogmi.


La critica di Thomas Brodie alla tradizione orale, ripresa e amplificata da Dykstra, si dipiega lungo 3 punti cruciali ai quali l'autore di Mark, Canonizer of Paul ne aggiunge un quarto. Quei 4 punti dunque sono riassunti di seguito.

LA TRADIZIONE ORALE È UN'IDEA NUOVA.

Si tratta di una teoria nata in tempi relativamente recenti ed è dunque anche solo per questo discutibile. Per farla breve, tutto incominciò quando a qualche folle apologeta era balenata in mente la stupida idea di rintracciare la vera essenza del vangelo, la sua vera natura, nel suo originale cosiddetto Sitz im Leben (ambiente nella vita) e non nel suo più immediato contesto letterario circostante.
E poichè è talmente autoevidente che il vangelo è allegoria, non Storia ricordata (lo diventa non appena ci si accorge che il suo significato deriva dall'ordine di eventi in una storia intesa come una singola unità), pensarono bene i folli apologeti, per dare una patina di apparente serietà alle loro disquisizioni su Gesù, di impedire, se non prevenire, questa comprensione del vangelo (immediata perfino a bambini) mediante una decostruzione del testo in ipotetiche parti originariamente indipendenti, chiamate pericopae.

In altre parole, separando ciascuna ridicola vignetta del vangelo dall'altra e dunque svincolandola dal suo contesto, si attribuisce a quella singola vignetta, come fanno i dementi preti cattolici durante le loro messe, una falsa aura di venerabilità (leggi: ''plausibilità storica'') considerandola - a torto - presunta testimonianza di un genuino (per quanto relativamente vago) evento ''storico'' accaduto nel passato, in quel di Judaea.
Brodie lamenta che la nuova teoria della tradizione orale ha addirittura indotto gli studiosi a ridimensionare le relazioni letterarie tra i testi del Nuovo Testamento. Quando sono visti paralleli tra due testi, i paralleli tendono ad essere attribuiti ad una fonte comune nella tradizione orale invece che alla dipendenza letteraria. La conseguenza ultima è che invece di vedere il Nuovo Testamento nella sua totalità come una coesa creazione letteraria nella quale i libri sono tutti letterariamente interdipendenti, ciascun libro è interpretato come un'unità isolata - proprio come ciascuna pericope all'interno di un vangelo è interpretata come un'unità isolata.
(pag. 47-48, mia libera traduzione e mia enfasi)

La cosa ridicola è che, perfino isolando una singola vignetta dello stesso fumetto allegorico dalle altre, il folle apologeta non riesce pur così a fugare l'irrinunciabile sensazione di avere a che fare con una pura invenzione letteraria. Emblematico in tal senso Marco 1:18, il racconto della chiamata che un normale predicatore dovrebbe fare dei suoi primi seguaci, dunque il racconto di un atto banalissimo e umilissimo e come tale ATTESO di trovare nel vangelo, ma che va puntualmente a sorprendere il lettore per il modo assolutamente irrealistico in cui è riportato, Simone e Andrea comportandosi come dementi automi allorchè leggiamo che:
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
(Marco 1:16-18)

LA TRADIZIONE ORALE È UN'IDEA PRIVA DI FONDAMENTO.


Il folle apologeta che per primo introdusse la demenziale idea di una tradizione orale dietro i vangeli pose un assurdo aut-aut ai suoi simili: gli antichi scrivevano solo Storia, oppure (aut) Saga. Quindi se i vangeli non ti sembrano Storia (e difatti NON sono Storia) essi sono Saga, ''dunque'' tradizione orale, ''dunque'' ''Storia''.

Gira e rigira, i folli apologeti ti riempiono di chiacchiere per arrivare a parare dove volevano fin dal principio, ragionando per asserzioni piuttosto che sulla base di dimostrazioni.

Storielle brevi e ripetitive nell'Antico Testamento erano tali perchè frutto di tradizione orale: erano brevi perchè facilmente memorizzabili, dato che gli antichi, assume dogmaticamente il folle apologeta, ''avevano una limitata capacità mentale'' (pag. 50). Non quanto lui, verrebbe da dirgli.

Ma quasi tutta la letteratura antica porta evidenza di forme orali, e questo non significa automaticamente che il contenuto doveva provenire dalla tradizione orale. Tali modelli sono evidenza che la forma del testo fu influenzata dalla cultura orale, non che il contenuto si originò dalla tradizione orale. Inoltre i testi religiosi del primo-secolo come i vangeli furono scritti per l'uso orale, e così modelli di discorso orale devono essere attesi. In verità, fare in modo che un testo suoni come discorso orale è in sé stesso una convenzione letteraria.
(pag. 50-51, corsivo originale, mia libera traduzione e mia enfasi)

Ma non è finita:
il folle apologeta vede una storiella mutare leggermente di poco nel tempo e assume ipso facto che quella variazione (per quanto minima) è sintomo di tradizione orale in azione:
Variazioni minime in storie simili potrebbero indicare un artificio letterario come pure una tradizione orale. In realtà, nella trasmissione orale quelle variazioni sono casuali in natura, ma nella trasmissione letteraria si può spesso identificare dietro di loro gli obiettivi dell'autore, e questo è precisamente quello che gli studiosi possono fare davvero frequentemente nei testi evangelici.
(pag. 51-52, mia libera traduzione e mia enfasi)

Che è lo scopo per il quale ho voluto leggere questo libro.


Ma la follia apologetica non ha limiti!

James Dunn, quintessenza del folle apologeta della peggior specie, tenta addirittura di salvare la chimera della tradizione orale con una farsesca quanto grottesca spiegazione ad hoc grande quanto una casa: era Gesù stesso che insegnava oralmente dunque la tradizione orale fu da lui stesso inaugurata in pompa magna, per finire a depositarsi nei vangeli in forma scritta (rivelandoci che Gesù stesso ''era'' colui che insegnava oralmente).

Guardate la strana ''logica'' di questo demente folle apologeta:

1) la tradizione orale è Storia vera (''Gesù insegnò oralmente'').
2) dunque i vangeli sono Storia ricordata (''i vangeli riportano il fatto storico che Gesù insegnò oralmente'').
3) dunque la tradizione orale è Storia vera (''Gesù insegnò oralmente'').


Dunque quella strana ''logica'' ci dice che 1 implica 2, 2 implica 3 e 3 non è altro che 1. Chiamasi ragionamento circolare.
''La storicità in questo caso è un'assunzione, non un argomento''. 
(pag. 52)

Un altro folle apologeta ebbe almeno la decenza di scomodare Paolo per tentare la sua folle apologia della tradizione orale. Stando a questo folle apologeta (Helmut Koester)  questi due passaggi di Paolo testimonierebbero il suo utilizzo di tradizione orale:
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane...
(1 Corinzi 11:23)

A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture...
(1 Corinzi 15:3)

Ovviamente qui Paolo sta in realtà parlando di aver ricevuto istruzioni del Signore direttamente tramite pura rivelazione celeste. Solo un idiota potrebbe pensare il contrario. O un finto tonto: ovvero un folle apologeta.

È incredibile come qui Dykstra suoni davvero identico ad affermazioni simili lette in On the Historicity of Jesus.

In realtà, se Paolo ammise di ricevere la tradizione oralmente minerebbe dalle fondamenta virtualmente tutti gli argomenti così fortemente avanzati a beneficio della sua personale unica autorità apostolica. Per tutte le epistole lui insiste sulla sua assoluta autorità in quanto apostolo commissionato personalmente dal Signore per predicare il vangelo e determinare per gli altri quel che il vangelo è e non è; se avesse ammesso di ricevere la tradizione oralmente ''dalla comunità'' una tale rivendicazione di autorità cadrebbe nettamente.
(pag. 54, mia libera traduzione e mia enfasi)

Ma se la tradizione orale è priva di fondamento, potrebbe suonare almeno plausibile? Almeno per alcuni? Almeno agli occhi di un folle apologeta ortodosso che disse, nella sua ostinata e infinita protervia, di essere ''possibilista'' sull'eventualità che, tutto sommato, i vangeli, per quanto artefatti, sono il frutto di tradizione orale? (la classica fallacia del possibiliter ergo probabiliter).

Ebbene, la risposta è un sonoro ''NO'' che dovrebbe far riflettere tutti i folli apologeti.

LA TRADIZIONE ORALE È IMPLAUSIBILE.

È plausibile ogni teoria capace di essere verificata sperimentalmente a fronte di tutta l'evidenza disponibile. Perfino se la verifica dà responso negativo, comunque il solo fatto che quella teoria è stata sottoposta ad una tale verifica basata sull'evidenza è di per sè prova che si tratta di una teoria leggermente plausibile, per quanto poco probabile.

Ebbene, questo non è perfino il caso per l'ipotesi della tradizione orale. La teoria della tradizione orale è praticamente tanto utile a spiegare i vangeli quanto lo è a spiegare il contenuto del libro della Genesi: in entrambi i casi, devi ''solamente'' supporre che qualcuno si prese la briga di ricordarsi quanto avvenne e di passarlo alla successiva generazione finchè qualcuno metta per iscritto quanto ricordato.

Chiaramente il solo supporre qualcosa del genere per la storiella della GENESI ti qualifica come idiota prima, e come folle apologeta dopo.

Almeno 30 anni separano il primo vangelo dai presunti fatti ''ricordati'': ci troviamo allora in condizioni migliori rispetto a com'era il caso per il libro della Genesi? Nel caso di Genesi il problema era evidentemente l'enorme distanza temporale che separa il tempo dei presunti ''eventi narrati'' dal tempo di stesura della Genesi. Nel caso dei vangeli il problema è paradossalmente, sotto un'altra forma, lo stesso: in così poco tempo, solo 30 anni!, sei costretto a supporre nascita, utilizzo e termine della tradizione orale. Troppo poco tempo per essere reale.

La tradizione orale andrebbe bene per tempi ''biblici'' (anche se non così ''biblici'' come è evidentemente il caso per Genesi!) ma 30 anni sono pochini, esageratamente pochi, per richiedere la mobilitazione di un'intera ''tradizione orale'' dalle dimensioni bibliche al solo fine completamente ad hoc di spiegare da dove attinse informazioni Marco.

A questo punto i folli apologeti si sbizzarriscono nella fallacia del possibiliter: c'è chi dice che nel passaggio di quelle memorie storiche, i fatti ricordati finiscono mischiati a riflessioni e meditazioni contingenti posteriori, ma così facendo a parte l'impossibilità di provare qualcosa del genere, ancora non hai alcuna garanzia che l'esito finale - il vangelo - contenga anche solo un briciolo di quelle memorie storiche e non invece solo dell'inutile zavorra accumulatasi successivamente durante quel fatidico intervallo di 30 anni dalle origini del cristianesimo.

Per ovviare al problema, altri ancora hanno avanzato la pretesa che il passaparola si mantenne perfettamente fedele all'originale: in fondo, sostengono questi folli apologeti, Gesù stesso avrebbe potuto benissimo usare speciali quanto fantomatiche tecniche mnenomiche ''rabbiniche'' capaci di ficcare una volta per tutte nella zucca vuota dei suoi discepoli almeno ''impressioni fissate e permanenti'', se non le sue ipsissima verba et acta.

Ma se la tradizione orale fosse così a prova di bomba quanto a preservazione delle esatte dottrine di Gesù, perchè Paolo si trovò nella scomodissima situazione di correggere deviata ''tradizione orale'' chiaramente eretica ai suoi occhi? E perchè lo stesso Paolo non sembrò affatto consapevole neppure di una propria tradizione orale?
Mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo voi passiate a un altro vangelo. Però non ce n’è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema!
(Galati 1:6-8)

Se Paolo doveva scrivere l'epistola ai Galati al solo scopo di correggere ''tradizione orale'' che si era già rivelata drasticamente errata nel giro di settimane o mesi dalla sua presenza là, come può qualcuno ragionevolmente supporre che la ''tradizione orale'' rimase affidabile dopo 30 anni?
(pag. 57, mia libera traduzione e mia enfasi)

Un pochettino più di fiducia meriterebbe il folle apologeta Joseph Fitzmyer, il quale almeno parlò di un processo a tre fasi costituente la tradizione orale: (1) insegnamento di Gesù, (2) abbellimento e modifica, (3) formulazione teologica.
A parte il fatto che le reali entità di quell'''abbellimento e modifica'' (la fase due dell'intero processo)potevano di pari misura in qualunque momento distorcere a loro discrezione l'autentico messaggio di un ipotetico Gesù storico, il risultato atteso da quell'implausibile processo è totalmente altro da quello che abbiamo sotto gli occhi (perfino ammettendo un'ipotetica fase (4): ''formulazione letteraria'', oltre alle tre elencate da Fitzmyer). Perchè invece dei vangeli come noi li vediamo avremmo piuttosto dovuto trovare:
...un mosaico di singoli pezzi a-malapena-consistenti tutti uniti insieme con cuciture fin troppo visibili tra di loro.
(pag. 57-58, mia libera traduzione e mia enfasi)

Avremmo dovuto trovare, insomma, qualcosa di simile alle attuali lettere di Paolo, frutto del copia e incolla di precedenti, più numerose e più piccole, lettere di Paolo.


Dappertutto insomma, perfino soffermandosi su singole vignette svincolate dal contesto subentra la totale:

...difficoltà nell'attribuire alla tradizione orale pericopae individuali che si inseriscono tutte così perfettamente nella fabbrica letteraria del vangelo.
(pag. 58, mia libera traduzione e mia enfasi)

Insomma, troppa perfezione, troppa convenienza, troppa allegoria, troppa ironia, troppe allusioni, troppo simbolismo, troppa artificalità, troppa convergenza, troppa complessità, troppa sofisticata elaborazione, troppe interpretazioni, troppo dettaglio per essere frutto anche solo parzialmente di Storia ricordata.


Ammesso (e assolutamente non concesso) di poter scoprire un bel giorno tracce di tradizione orale in Marco, non c'è nessuna via di scampo all'impossibilità di discriminare a dovere le ''parti ricordate'' dalle ''parti inventate'' dentro lo stesso vangelo. Rinuncia all'impresa.

Ormai i folli apologeti degenerano nell'assurdo, non riuscendo a rendere anche solo plausibile almeno la semplice teoria della tradizione orale.

Qualcuno addirittura propose che Marco si stufò perfino lui dell'estrema fragilità e mutevolezza della tradizione orale e si decise a mettere le cose per iscritto una volta per tutte.
Questa proposta, non c'è bisogno di dirlo, è stata definita ''un castello di carte''.

Qualcun altro addirittura propose l'opposto: Marco rimandò di proposito chi aveva occhi per vedere e orecchie per udire alla tradizione orale (specie per la comprensione della risurrezione).

Al culmine del delirio apologetico,
qualcun altro ancora pretendeva di percepire delle fantomatiche quanto improbabili ''dinamiche di rumore'' in ''parti'' dei vangelo, sanza sapere che perfino parlare di ''parti'' di un vangelo suona sospetto a fronte della crescente realizzazione che il vangelo va compreso come una creazione letteraria assolutamente coesa.

Se ipotizziamo qualche grado di veracità storica per la storia come riportata da Marco, è straordinariamente difficile immaginare quelli stessi discepoli fermarsi a memorizzare ciascun dialogo come accadde - o perfino l'essenza di ciascun dialogo - dal momento che Gesù li chiamò. Per avere una percezione dell'implausibilità degli scenari di memorizzazione uno deve pensare seriamente circa le storie reali che sono riportate in Marco e quel che deve essere accaduto se esse occasionavano la creazione di ''impressioni fissate e permanenti''. Considera, per esempio, la storia della donna con una emorragia durata 12 anni (5:25-34). Stando al testo, i discepoli non eranoconsapevoli di ogni cosa che stava accadendo fino a che ascoltarono Gesù comunicare ad una donna che la sua fede la ha guarita. Allora loro avrebbero dovuto rapidamente memorizzare non solo le parole di Gesù ma anche l'intera storia raccontata dalla donna. Qualcosa del genere sarebbe dovuto essere fatto sul posto da discepoli che non avevano alcuna idea di che cosa stava accadendo ( «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”»). Oppure considera le storie delle dispute di Gesù con i suoi nemici nel tempio: se queste fossero provenienti da una tradizione orale memorizzata-all'-origine, quelli stessi ottusi discepoli avrebbero dovuto memorizzare non solo le parole di Gesù ma anche quelle dei suoi oppositori, alcuni dei quali non furono pronunciate neppure a Gesù ma privatamente tra i nemici stessi circa Gesù (11:31-33; 12:14-15, 19-23).
(pag. 60, corsivo originale, mia libera traduzione e mia enfasi)


Chiunque è andato a Messa sa che i vangeli non sono mai letti come una serie di eventi ordinati a formare un intero racconto.
Al contrario vengono letti a pezzi e a pezzetti, focalizzandosi su ciascuno di loro previa separazione dal contesto più grande. E quelle selezioni hanno una causa, per così dire, “stagionale”. Le storielle della nascita di Matteo e di Luca sono enfatizzate a Natale, le storielle della risurrezione a Pasqua. Se mi limitassi a comprendere i vangeli in quel modo, non ci sarebbe nessuna differenza se in un capitolo Pietro e Giovanni osservano Gesù rianimare una ragazza morta mentre in un capitolo successivo sembrano del tutto intontiti al concetto stesso di risurrezione, come se fossero nati ieri. Quell'aspetto diventa drammaticamente incoerente, e diventa dunque conforme allo scopo letterario per il quale fu originariamente inteso, se assumiamo invece che il suo significato deriva piuttosto dall'ordine di eventi in una storia che è letta come un intero. Cioè, se leggiamo quelle storie come se fossero invenzioni letterarie, dei piccoli romanzi. Con buona pace della tradizione orale e di qualunque Storia ricordata.



Ancor più inverosimile come ''Storia ricordata'' è esser costretti a immaginare, pur di salvare la tradizione orale, che i discepoli si sarebbero presi la briga di ricordar nientemeno che un Gesù che dà loro degli idioti e dei satanassi ad ogni piè sospinto:

E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro,
(Marco 7:18)

Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».
(Marco 8:17-21)

Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

(Marco 8:33)

Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio.
(Marco 10:14)

Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.

(Marco 14:37-41)

Per poter esserci una traduzione orale dietro questi ''episodi'' di Gesù, i discepoli sarebbero dovuti essere del tutto l'opposto di come li ha rappresentati la stessa presunta ''tradizione orale'' da loro medesimi preservata: ovvero estremamente efficienti e diligenti stenografi e fotografi di ogni aspetto di Gesù, al limite del più maniacale perfezionismo, nel ricordare le storie. Questo è assurdo, prima ancora che impossibile.


Il fatto che il vangelo di Marco non è considerato una pura invenzione letteraria dai folli apologeti significa poco per me. Per me, in realtà, costituisce DE FACTO un'invenzione letteraria. Sono dei miti che sono stati scritti, e raccontati come se fossero eventi accaduti. Tutto questo rende il vangelo di Marco un'invenzione letteraria, un piccolo romanzo storico.  Per nient'affatto Storia ricordata. Fuggi quell'idea.

Trattarlo come se fosse un piccolo romanzo storico -- e nel contempo esser consapevoli del suo precedente trattamento ricevuto da teologi e da apologeti travestiti da storici come se fosse un breve ricordo di episodi davvero accaduti mischiati a episodi inventati -- solleva interrogativi di fondo, e conduce a precise conclusioni.

La natura dell'opera, e i fatti che gravitano attorno alla sua composizione, ci diranno qualcosa riguardo ai fatti o alle fantasie a partire da cui quella natura fu intrecciata.

Concetti di assoluta verità, non aprirsi al dubbio di una mente razionale, termina in anticipo tale inchiesta.

La consapevolezza della natura dell'opera che si sta leggendo è il miglior rivelatore di fatti storici quando si leggono i vangeli, perchè al 99,99%  il testo è tutto ciò che abbiamo.


LA TRADIZIONE ORALE NON È NECESSARIA.


Fosse almeno l'unica opzione disponibile, allora almeno potresti pure accettarla, in mancanza di altre soluzioni più appettibili per spiegare i vangeli, come extrema ratio.

Questa è ad esempio la percezione del folle apologeta Mark Goodacre (il quale comunque, per aver dimostrato che Q non esiste, è di gran lunga meno apologeta dei suoi indegni colleghi apologeti).

È vero che i vangeli apparentemente:

1) seguono i ritmi del discorso orale.
2) presentano piccole variazioni tra storie simili come quelle che capitano nella comunicazione orale.
3) dipingono una cultura orale quando descrivono un semplicissimo predicatore itinerante per la Giudea.

Ma è anche altrettanto vero che per ogni punto precedente si può trovare una seria obiezione alla luce dell'evidenza:

1) gli scrittori deliberatamente impongono ritmi al testo, specie quando quel testo era scritto per essere letto a voce alta.
2) le variazioni tra storie simili si adattano perfettamente a diverse strategie letterarie (emblematico, in tal senso, come Matteo modifica Marco e dove e perchè).
3) numerosi modelli letterari per i vangeli - come le storie su Elia ed Eliseo - tendono a descrivere artificalmente la stessa semplicità pastorale del profeta itinerante, idealizzando la cultura orale ma non per questo rappresentandola concretamente dalla realtà storica concreta.

Ma in realtà c'è un'altra ''ragione''' che spiega l'eterna riluttanza dei folli apologeti (perfino se ci si chiama Mark Goodacre) a sbarazzarsi dell'implausibile ipotesi della tradizione orale.

Poichè già da più parti si sono realizzati ottimi motivi per sospettare dell'inaffidabilità dei vangeli come fonti storiche, rinunciare a quest'ultimo baluardo chiamato ''tradizione orale'' significa davvero dare il finale colpo di grazia ad ogni tentativo di recuperare un barlume di Storia dai vangeli, e non di storiella, che riguardi un ipotetico Gesù storico.

LA TRADIZIONE ORALE NON AIUTA A COMPRENDERE I VANGELI.

Ossia è totalmente di intralcio alla comprensione della loro reale natura.


I vangeli non saranno mai compresi per quei reali capolavori letterari che sono in realtà se si persiste ostinatamente a vivisezionarli senza posa alla ricerca impossibile di tracce di tradizione orale che non esiste, isolando ogni singola vignetta dalle altre come se fosse assurdamente il solo modo migliore di comprendere l'intero testo.

È giunto il momento di apprezzare gli evangelisti per quelli che in realtà sono stati: non compilatori o redattori, ma AUTORI, SCRITTORI, ARTIGIANI LETTERARI.
Una conclusione è inevitabile:
Nel mondo dell'antichità, e in particolare nella subcultura della società letteraria cristiana ed ebraica, la copia da e la rielaborazione di precedenti testi fu procedura operativa standard per gli autori. Se testimonianza oculare e tradizione orale falliscono entrambi di spiegare il livello di dettaglio che in realtà troviamo nel vangelo, due probabili fonti rimangono: la personale immaginazione dell'evangelista e altri scritti che gli furono disponibili. Altri studiosi hanno persuasivamente dimostrato l'utilizzo di Marco dell'Antico Testamento e dell'epica omerica. Questo libro dimostra l'utilizzo di Marco anche delle epistole di Paolo.
(pag. 65, mia libera traduzione e mia enfasi)


La conclusione dovrebbe essere chiara, ormai.

Non c'è nessuna Storia Ricordata da recuperare nei vangeli.


Nelle parole di Tom Dykstra prese dalla sua recensione di Brodie,
In either case [sia che Gesù è esistito sia che non è esistito] the quest for the historical Jesus is futile, and Brodie’s point that it is a counterproductive effort is well taken.


Solo chi è ignorante di criticismo letterario può asserire, dogmaticamente, che il criticismo letterario manca dei mezzi indispensabili per vagliare e testare adeguatamente le pretese di verità.

E se quelle pretese di verità riflettono solamente i laceranti conflitti tra Paolo e i Pilastri e tra paolini e giudeocristiani, tutto ciò, allora, rimane ancora da indagare, per vedere cosa potrebbero implicare. Alla fine.