lunedì 26 gennaio 2015

Matteo: Finto Giudeo-Cristiano, Autentico Proto-Cattolico −o del perchè «Suonare Ebreo» ed «Essere Ebreo» non sono la stessa cosa!

Il lettore avrà notato quante volte ho bollato con una certa punta di acredine l'autore del vangelo di Matteo come finto giudeocristiano, ma in realtà autentico proto-cattolico.

 



E l'antipatia per Matteo certamente aumenta quando vedo quello stronzo demente folle apologeta cattolico di Lorenzo Noli rimproverare con tanto di consueto astio apologetico il suo degno bastardo equivalente acharyano Pier Tulip esattamente l'unica e sola volta in cui quest'ultimo - sia lodato Gesù Cristo! - si limitò a enunciare  finalmente una profonda verità (una volta tanto, dopo tutte le scemenze che l'idiota diffonde e continua a spargere nel net, degno accolito della setta che trova la sua Dea e il suo Guru in quella autentica vergogna di noi miticisti che è Miss Acharya Murdock): e cioè che la frase ''il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli'' non può essere una frase scritta da ebrei.

Francamente trovo vergognoso che Lorenzo Noli liquidi a mera ''opinione'' quella che deve essere un Fatto così auto-evidente per ogni individuo di buon senso da non avere bisogno di ulteriori sofismi e armonizzazioni di sorta per nasconderne la lettura più difficile (e dunque più vera): e cioè che l'antigiudaismo è connaturato alla proto-ortodossia e dunque anche al cattolicesimo autentico (esattamente come il Jihad è connaturato al vero Islam). Ma si sa: i folli apologeti cristiani come Lorenzo Noli sempre insisteranno sul profondamente assurdo quando il chiaramente ovvio è troppo sconfortante da ammettere per la salvaguardia dei loro fottuttissimi dogmi.  


A farmi sospettare per prima che Matteo non è un vangelo veramente giudeocristiano (a differenza dell'Apocalisse) è stata dapprima la frequentazione di un forum ebraico aperto a gentili dove osservavo un curioso fatto insolito: l'eccessiva enfasi quasi maniacale con la quale sedicenti cristiani cattolici o protestanti, affluendo da ogni parte in quel forum, facevano e fanno di tutto per spacciarsi da ebrei e per suonare ebrei ed esperti nel Tanak meglio degli stessi ebrei e non senza un ammiccamento continuo dei primi ai secondi per persuaderli intimamente alla conversione a Cristo con tanto di messaggi subliminali degni della peggiore propaganda politica. E la medesima follia apologetica era palesemente manifesta nei folli Ebrei per Gesù.



Da questo punto di vista rimarrò profondamente debitore ad alcuni Ebrei conosciuti nel net per avermi insegnato quanta preziosa (e scandalosa pietra di inciampo!) costituisca la loro identità nel denunciare per l'eternità le continue menzogne cristiane sulla presunta ebraicità dei loro 4 vangeli canonici.  

Ma non mi limitavo al pregiudizio. Mai.

A convincermi ulteriormente in quella direzione è stata la lettura di un articolo del prof Matthias Klinghardt, che costituisce uno dei primi tentativi in questo secolo di dimostrare che Matteo fu scritto dopo il Vangelo di Marcione (al pari del vangelo di Luca) e in reazione ad esso. E certamente il prof Vinzent ha contribuito in seguito ancora di più a spiegarmi lungo quali linee Matteo dispiega tutta la sua apologetica protocattolica anti-marcionita nel suo vangelo (e dirò certamente di più a tal proposito in un post futuro), gettando la maschera di ''giudeocristiano'' per rivelare il suo vero volto di protocattolico desideroso di una sfacciata quanto utopica Reductio ad Unum.
Senza coinvolgere Marcione ma giungendo da altre premesse, già un altro accademico, addirittura prete cattolico,
Bartosz Adamczewski, applaudì Matteo per essersi spacciato - con successo a quanto pare, per tutto il Medioevo e fino ad oggi -, come un vangelo scritto da ebrei cristiani per ebrei cristiani, senza ovviamente mai esserlo per davvero.

Per quanto riguarda il vangelo di Matteo, la conclusione di Adamczewski è netta: l'autore di quel vangelo era un finto giudeocristiano, ma vero protocattolico. E per giunta basato su Atti degli Apostoli, quanto di più cattolico (e di tendenziosamente, apologeticamente ''cattolico'' nell'accezione più negativa del termine) si possa immaginare dell'intero Nuovo Testamento:
Il vangelo di Matteo è il terzo vangelo narrativo cristiano. Fu composto dopo i vangeli di Marco e Luca e dopo gli Atti degli Apostoli, così nel 130-140 EC circa. Più precisamente, numerosi dettagli del racconto matteano, come per esempio l'assenza di ogni riferimento al Tempio e ai suoi sacerdoti in Matteo 1-2 (a differenza dei testi più antichi tematicamente ad esso relativi, Luca 1-2 e Atti 1:1-6-7) e, d'altra parte, la presenza di allusioni agli impuri gentili poichè liberamente entranti nell'area del Tempio (Matteo 21:14; diversamente Luca 14:21) e che erigono simboli pagani nel 'luogo santo' ebraico (ἐν τόπῳ ἁγίῳ: Matteo 24:15; si veda Atti 6:13; 21:28; diversamente Marco 13:14) suggerisce che il vangelo di Matteo fu composto dopo la disfatta della rivolta di Simone bar Kosiba, così nel 135-140 EC circa.
Il luogo della composizione di Matteo era più probabilmente lo stesso di quello del vangelo di Marco e quello delle opere lucane, precisamente Efeso o più in generale l'Asia. Il vangelo di Matteo appartiene al gruppo degli scritti del Nuovo Testamento relativamente tardi che furono composti con l'uso della procedura di uso sequenziale ipertestuale non delle lettere paoline e post-paoline (si veda Romani, Galati, Efesini, 2 Tessalonicesi, 2 Pietro, Marco, Luca, e Atti) ma degli Atti degli Apostoli (si veda Ebrei, Apocalisse, e Giovanni).

(Constructing Relationships, Constructing Faces, Peter Lang, 2011, pag. 151, mia libera traduzione e mia enfasi)

Queste parole segnano per me ogni rinuncia ad investigare ancora oltre su un vangelo, quello di Matteo, che non ha nulla da dirmi perchè è solo pura propaganda pubblicitaria protocattolica, troppo tarda per contare veramente qualcosa nella ricerca delle Origini.
Nonostante il fatto che Matteo veicoli un numero di idee specificamente post-lucane, specialmente quella di un'unità della chiesa giudeo-gentile e quella della transizione necessaria del vangelo dagli ebrei ai gentili (con entrambi quelli aspetti ecclesiologi autorizzati e supervisionati dal carattere narrativo etopoietico di Pietro), esso fu per secoli  considerato il vangelo più antico, più apostolico, più ebraico, più giudaico, e storicamente più affidabile. Matteo evidentemente ebbe successo, mediante l'uso della tecnica dell'etopoietica, nella composizione di un'opera che si presentava distintintamente giudeocristiana e, per questa ragione, apparentemente apostolica. In realtà, Matteo è il vangelo che probabilmente influenzò di più la Chiesa fino ai tempi moderni.
(pag. 154-155, mia libera traduzione e mia enfasi)

E non è finita. Ancora credevo di essere il solo al mondo nel ritenere decisamente più forte di me ogni scetticismo sulla presunta ebraicità dell'autore del vangelo di Matteo.

Mi sbagliavo. Ancora una volta grazie a Vridar (ma anche Neil mi ringrazia ogni tanto!) sono giunto a conoscenza di un blogger anonimo miticista che la pensa esattamente come me su Matteo e su altre questioni (condividiamo entrambi un profondo disprezzo per la ''ricerca'' di Acharya, per dire). Quixie sa certamente molte più cose di me, dunque invito tutti i lettori del mio modesto blog a leggerlo attentamente e con cura.


Sottopongo in particolare al lettore la sua efficace dimostrazione della natura gentile e affatto giudeocristiana del vangelo di Matteo. Quixie non specifica ancora, salvo che nel suo commento di risposta, come la pensa in merito alla relazione tra Marcione e Matteo, ergo provvederò io in futuro a spiegare perchè la natura protocattolica di Matteo (più precisamente, l'anti-giudaismo tipico e congenito di ogni protocattolico che si rispetti) si manifesta ancor più quando si legge quel vangelo in contrapposizione al Vangelo del Signore di Marcione di Sinope (e al suo altri-giudaismo).
CONTINUITÀ - MATTEO E I SUOI EBREI PER GESÙ DEI PRIMI GIORNI

La maggior parte degli studiosi del Nuovo Testamento ritiene che Matteo fu probabilmente scritto da un "giudeo-cristiano." Io sfido quell'idea, anche se è vero che questo autore utilizza intenzionalmente citazioni e simboli biblici in tutta l'opera pur di evocare una 'percezione' ebraica per la sua storia. Non c'è dubbio su questo. Più di ogni altro evangelista, l'autore di Matteo si basa sulla corrispondenza anche degli aspetti più banali della vita e delle azioni di Gesù con ciò che pensa siano proclamazioni profetiche della Bibbia ebraica, con l'obiettivo di dipingere Gesù come loro "compimento". Ma a parte queste superficiali affettazioni ebraiche, egli non sta sostenendo una prospettiva che è particolarmente ebraica sotto tutti i punti di vista. La continua citazione di scritture di Matteo in questo motivo  del "compimento" ha condizionato generazioni di cristiani a vedere in particolare Matteo come un  vangelo "giudeo-messianico". Egli impartisce simbolismo ebraico in ogni angolo e in ogni fessura che può. Eppure, anche se i simboli che usa possono essere quelli della Bibbia Ebraica, l'insegnamento non è necessariamente così.

Ci sono sicuramente momenti in cui il narratore di questo vangelo si impegna in qualche retorica veramente brillante (il discorso della montagna, per esempio, contiene alcune autentiche gemme). Tuttavia, ci sono altre volte nella narrazione quando sembra usare la Torah sfacciatamente, ambiguamente - anche erroneamente - forzando, permettendo ciascuna e tutte le interpretazioni plausibili che possano far avanzare il suo messaggio tipologico su Gesù, il nuovo Mosè, il figlio di Davide. In quei momenti si può dimostrare che la sua comprensione dell'ebraismo contemporaneo è carente. Esploreremo alcuni di quei casi tra breve.


Ho dedotto in precedenza che il vangelo di Marco fu probabilmente scritto da un gentile per un pubblico gentile. Uno schiacciante consenso dice che il vangelo di Marco non solo precedeva, ma fu usato da, gli altri due sinottici nella composizione dei rispettivi vangeli. Io sto con quell'idea. Domanda: Matteo, apparentemente il più ebraico degli evangelisti, che apparentemente viveva in o vicino alla Giudea (Antiochia?), avrebbe scelto di basare la versione della storia di Gesù che sta componendo per la sua propria comunità sull'opera di un gentile che scriveva per altri gentili nell'occidente (probabilmente in o vicino a Roma)? Sapendo come resistenti all'assimilazione religiosa erano gli ebrei, [1] io trovo difficile credere che un pio ebreo palestinese avrebbe scelto un difettoso testo gentile  (difettoso o almeno inadeguato, altrimenti perché modificarlo?) per farne il fondamento del suo proprio manuale di reclutamento per questa setta apparentemente ebraica. In realtà, si potrebbe dire che Matteo compose la sua versione della storia proprio come una correzione del nobile tentativo di Marco. Egli usò la storia precedente come un trampolino di lancio per la sua composizione. Il Gesù di Marco non è divino abbastanza per Matteo, però. Il Gesù di Marco non è "ebreo" abbastanza per le particolari esigenze didattiche di Matteo. Marco necessitava di un aggiornamento, concluse l'autore di Matteo. Il fatto che Marco fu utilizzato come modello dà ad ognuna delle allusioni alla Scrittura ebraica in Matteo, per quanto abbondanti, un'impressione di finzione, non solo a causa dell'appropriazione dell'autore del vangelo gentile di Marco, ma soprattutto per il suo implicito affronto al rigido monoteismo che era il primo requisito di una fede ebraica. In questo vangelo, a differenza di Marco, le persone effettivamente si prostrano davanti a, e persino adorano, Gesù. [2] Gli ebrei di quel tempo avrebbero subito trovato aberrante la cristologia nel Vangelo di Matteo, direi.

Pietro (Cefa - sono la stessa persona?) è uno dei soggetti preferiti di Matteo. Ci sono più storie su Pietro in questo vangelo che in qualsiasi altra. Il fatto che a parole tanto è dato all'apostolo dei circoncisi in questo libro ha portato molti a pensare che l'autore era ebreo-cristiano, altrimenti perché porre tanta enfasi su questo personaggio? Raccogliamo da Atti e dalle lettere di Paolo che Pietro era l'apostolo sostenuto dalle prime varietà ebraiche del cristianesimo. Ha senso sotto l'ipotesi di Matteo come ebreo. Ma, allora devo chiedere, perché Giacomo non è mai menzionato in questo vangelo, se non per ripetere la caratterizzazione di Marco della famiglia di Gesù come antagonista? Non è questa una sorta di doppio standard? Non era Giacomo il capo della comunità di Gerusalemme?

Penso che il vangelo di Matteo, invece di avere una provenienza giudeocristiana, sia il prodotto di un gruppo di buon-intenzionati timorati di Dio che si erano accinti a posare come eredi gentili legittimi della tradizione ebraica dopo che la Galilea e Gerusalemme e dintorni erano stati distrutti e i loro abitanti (i pochi che erano sopravvissuti) si furono dispersi.

Mi rendo conto della grandezza del ghiacciaio che sto prendendo a pugni qui (cioè dicendo che il vangelo di Matteo non è poi un'opera così ebraica per i miei occhi), ma trovo incredibilmente difficile conciliare i contenuti di Matteo con una paternità tradizionale ebraica. Se facciamo una distinzione tra la forma e il contenuto del vangelo, il suo aspetto di dissimulazione può essere visto più facilmente. Questa difficoltà era infatti la scintilla che inizialmente pose in moto il mio scetticismo e che mi portò a mettere in discussione la validità dell'opinione tradizionale del Nuovo Testamento come opera di "ebrei".


Discernere l'ebraismo ...

Il vangelo che conosciamo come vangelo di Matteo è una grande introduzione al metodo esegetico ebraico noto come tipologia. La tipologia è una sorta di portentoso simbolismo, dove un 'tipo' è una persona o cosa nelle scritture ebraiche, che prefigura una persona o cosa nel Nuovo Testamento. Il diluvio di Noè, per esempio, è stato interpretato come un 'tipo' del battesimo in questo senso. David è il re perfetto. Elia il profeta perfetto. Mosè il liberatore. Si tratta di "tipi", tutti pertinenti alla leggenda di Gesù. La tipologia è infatti una delle lenti ermeneutiche più comuni attraverso i quali i vangeli sono composti e interpretati. Ogni evangelista aveva la sua preferita impostazione tipologica della storia di Gesù. Marco gradiva il libro di Isaia e vide Gesù come il Figlio sofferente. Egli inoltre derivò dal ciclo di Elia/Eliseo. Matteo usa Gesù-come-Mosè come il suo tipo preferito. Anche a Luca piace Elia.

Lo schizzo di Matteo è altamente idealizzato. Una cosa importante da tenere a mente nella nostra analisi del Nuovo Testamento è che la tipologia che un autore sceglie come suo modello compositivo influenzerà ciò che i suoi personaggi devono fare per soddisfare quel tipo. La verosimiglianza storica non è l'intenzione compositiva principale dell'evangelista. Seguendo gli scelti tipi dell'autore, ogni cosa che Gesù è ritratto come aver detto e fatto nel vangelo di Matteo si adatterà al suo particolare mix tipologico di Gesù come il Nuovo Mosè e come il Nuovo Davide - Gesù come liberatore e come re. [3] In altre parole, il concetto che abbiamo imparato a conoscere come "Messia" (Cristo).

La 'presenza' di Dio è uno dei concetti più importanti per l'autore di Matteo. Nella sezione di apertura parla di "Dio con noi", e chiude anche il vangelo con un epilogo simile, facendo dire a Gesù: "Io sono con voi". Così vediamo che Matteo riflette una cristologia nettamente superiore a quella che in precedenza abbiamo visto all'opera in Marco. L'autore di Matteo comprende che Gesù è l'"incarnazione" più esplicitamente di quanto fa Marco. Per Marco, Gesù divenne il Messia al momento del suo battesimo. In Matteo, Gesù era, come direbbe Lady Gaga, "nato così."

Un tema centrale nel vangelo di Matteo è il "compimento". Almeno dodici volte in questo vangelo l'autore dice 'questo fu fatto per realizzare una scrittura'. Gesù è ritratto come il compimento divino del piano di Dio per la salvezza di Israele, come un'incarnazione cristologica che soddisfa due tipi molto chiari: Mosè e Davide. Questi due tipi erano (e sono) in effetti parte integrante della pratica e modo di pensare ebraici. L'immagine da "profeta Mosè" di Gesù in Matteo ci permette uno sguardo ancora in un altro metodo ebraico di esegesi all'opera nel pensiero dei primi cristiani, quello del pesher. Il Pesher è una sorta di esegesi esoterica carismatica. Attraverso il pesher si cerca di trovare non solo un significato più profondo, come nel midrash, ma anche il significato segreto di un passo biblico. Questo approccio presuppone che la bibbia è intrisa di strati di significati al di là del letterale che sono applicabili a tempi futuri. Si può dire che il pesher sia una sorta di "decodifica" della scrittura.  Il "Profeta Mosè" del Deuteronomio divenne un tema favorito nell'antica retorica cristiana. Gesù è creduto il compimento di questa profezia presunta della venuta di un profeta. Ma, nonostante la tendenza degli apologeti a vedere Gesù tra ogni riga della scrittura, non riesco a vedere come questo breve versetto predica specificamente Gesù. Questo potrebbe essere "pesher," valido suppongo, ma è solo una vaga affermazione arbitraria per me, un tratto di fervida immaginazione cristiana, l'esito di una mineraria quotazione ad hoc, in realtà, e non molto di più. Si basa su nient'altro se non il desiderio di scritture che corrispondano ad un tipo prescelto.

Matteo segue da vicino lo stesso ordine (o cronologia) in cui la storia è raccontata nel vangelo di Marco. Dispersi attraverso la storia sono cinque pezzi di materiale aggiuntivo che Matteo aggiunse, ma la struttura generale e cronologia interna è fondamentalmente la stessa di Marco.


Il vangelo si apre con una genealogia di Gesù, che risale a Davide, e, per estensione, ad Abramo. L'autore pone tre serie di quattordici generazioni tra queste figure. Si scopre che il numero 14 dà come risultato "Davide" nello schema ebraico alpha/numerico. [4] Coincidenza? - (Risposta: No. Tipologia.)

Anche se Matteo ama citare la bibbia, a volte risulta solo in errore. Un famoso errore da questa sezione introduttiva è la sua citazione di Isaia, "una vergine concepirà." [5] I traduttori della Settanta (LXX) hanno tradotto male la parola ebraica "almah" (fanciulla) nel greco "Parthenos"  (vergine). I primi cristiani si aggrapparono a questa svista e la sfruttarono nel loro zelo di dipingere Gesù come un'incarnazione del divino. La traduzione errata è l'ultimo dei loro problemi, tuttavia, infatti il passaggio citato non è nemmeno una profezia messianica! Esso descrive l'invasione siro-efraimita di Giuda e l'assedio di Gerusalemme da parte degli eserciti combinati del Regno del Nord e la Siria (circa 735 EC). Il bambino che era nato per la fanciulla qui era un segno di Dio che l'assedio sarebbe stato tolto e che Gerusalemme avrebbe continuato a fiorire. La "profezia" era quindi completamente soddisfatta circa 730 anni prima della nascita di Gesù.

Si tratta di un doppio errore- è sia irrilevante e sia un errore di traduzione. Io credo che la ragione per cui questa particolare citazione divenne così diffusa nel primo cristianesimo è semplicemente perché gli esegeti cristiani, gentili greci che non vedevano nulla di insolito intorno a nascite vergini, [6] proprio non catturarono l'incongruità, perché non c'erano ebrei in giro per correggerli (di nuovo, credo che questa assenza è cruciale per il grande quadro delle origini cristiane).
Come la storia comincia a prendere forma, vediamo che tutta la narrazione della nascita è essenzialmente un parallelo della storia di Mosè in Matteo. Gli astrologi, il massacro dei bambini di sesso maschile, la connessione egiziana - la correlazione è inevitabile.

Inoltre, il primo esteso ruolo parlante di Gesù in Matteo conferma ulteriormente che la tipologia di Mosè è deliberata. Nel discorso della montagna, per esempio, Gesù parla sul "monte", che ricorda il dono della Legge a Mosè (Ch 5). Curiosamente, egli dice: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge ...". Qualcuno stava accusando Gesù di fare questo? Un Ebreo? Che abolisce la Torah? Il punto di Gesù 'in questo discorso, è, naturalmente, che non solo abbiamo bisogno di aderire alla legge, noi dobbiamo superare i farisei in questo! Non è un'opposizione alla Legge, si tratta di un gratuito superamento dei suoi vincoli. Questo lungo ed elaborato discorso sulla compassione è un'esortazione alla giustizia. Le cosiddette "antitesi" che seguono, invece di opporsi alla Torah, sono una serie di allusioni alla Torah in cui Gesù sottolinea la necessità di andare ancora più in profondità nella propria conformità alla Legge che semplicemente attenersi alla sua lettera. Questo deve essere fatto eliminando non solo i peccati in questione, ma eliminando anche le loro fonti, avidità, lussuria, ira, ecc . Ho capito. Questo discorso, direi, ha la sensazione di essere un pensiero autenticamente midrashico ebraico. Qualche pensiero profondo fu dato alla sua composizione. È il punto più vicino in cui il vangelo di Matteo parla di reale prassi ebraica, in quanto chiarisce la Torah, invece di chiarire il significato messianico di Gesù. Il discorso inaugurale di Gesù in questo vangelo è ben scritto. È la perla di grande valore. Ma è fugace. È l'eccezione piuttosto che la regola. Più spesso, come quando un midrash in questo vangelo comporta una predizione della venuta di Gesù, invece di illuminare un qualche punto della legge, si percepisce come una specie d'esultanza cristiana per Gesù, più di quanto non faccia un midrash genuino. Ai miei occhi,  quel "midrash" sembra poco più che un'affettazione.

Il capitolo 12 introduce per un attimo ancora un altro breve ma marginale confronto tipologico. Matteo ha Gesù che si dipinge come Giona questa volta. Gli viene chiesto dei segni. Si rifiuta di dare segni. OK ... tre giorni nel ventre di un pesce ... lo capisco.

C'è una cosa in Matteo che non ha paralleli negli altri sinottici, però. Questo vangelo evidenzia un animosità estrema e diffusa tra gli ebrei e i primi cristiani. Matteo fa dire a Gesù che la gente dovrebbe ascoltare quello che i farisei insegnano, ma non comportarsi come loro, perché non praticano ciò che predicano.

Allora, che cosa fanno i farisei farlo di così terribile? Beh ... essi pagano la decima. Sono elitari pigri. ("Guai a voi, scribi e farisei. Ipocriti!" Viene ripetuto un sacco di volte). Impediscono alla gente di entrare nel regno dei cieli, senza volervi andare loro stessi. (Questo ricorda la caratterizzazione di Paolo dei suoi avversari galati.) Essi 'attraversano il mare e la terra per fare un solo proselito e poi fanno quel convertito un figlio della Geenna.' Io trovo l'ultima frase particolarmente problematica. Gli ebrei  veramente attraversavano il mare e la terra per convertire la gente? Questa è una novità per me. Gli ebrei sono mai stati conosciuti per essere missionari? Data la scarsità di evidenze testuali, possiamo solo concludere che gli ebrei di Matteo non sono altro che il bersaglio di vendicativi insulti da parte dell'autore, che riflette la pratica di una più tarda, più sviluppata chiesa istituzionale, che è sicuramente post-"divisione."

Al momento della composizione del vangelo di Matteo, dopo la distruzione del Tempio, la grande varietà che una volta era il giudaismo aveva cessato di esistere. Da questo momento in poi si era ridotto a solo due scelte, ciascuna con la pretesa di essere l'erede "reale" della tradizione ebraica. Questi due gruppi avevano diversi modi di riempire il vuoto spirituale/affettivo lasciato dalla distruzione del Tempio. I cristiani (se la continuità è garantita) "spiritualizzarono" il tempio. I resti di quello che fu una volta il partito fariseo invece si dedicò allo studio della Torah, una volta che il Tempio fu conquistato, che era quello per cui avevano lavorato i loro padri prima di loro, l'ultima volta che erano stati privati del culto del Tempio (cioè durante l'esilio babilonese). Questo è, naturalmente, un incapsulamento eccessivamente semplicistico delle differenze tra quei pretendenti alla tradizione, ma non è del tutto impreciso.


Un equivoco notevole delle tradizioni giudaiche nel vangelo di Matteo viene dalla scena del processo davanti al Sinedrio.
     "Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza
e venire sulle nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?»."

(Matteo 26:63-68 si veda Marco 14:60-65)


In questo episodio, si vede il sommo sacerdote che si strappa le vesti in segno di giusta indignazione per l'audacia della risposta di Gesù. Cosa c'è di sbagliato in questo quadro? Beh, per cominciare, la lacerazione delle sue vesti in questo modo era espressamente vietata al sommo sacerdote secondo le leggi del Levitico. [7] Oltre a questo divieto esplicito nella Torah, questo presunto rimando biblico è fuori contesto. In ogni punto nelle Scritture ebraiche in cui si fa riferimento a questa pratica di straziarsi le vesti, è sempre una dimostrazione di profonda angoscia e dolore. [8] Da nessuna parte nella Bibbia lo stracciarsi delle proprie vesti è espressione del tipo di rabbia o indignazione ritratti in Marco e in Matteo (Luca omette questo dettaglio del tutto, forse si è reso conto della gaffe?). Ci si potrebbe aspettare da parte di un evangelista decisamente gentile come Marco che trascuri quel dissonante bit: siamo abituati a trovare Marco in errore sulla Bibbia ebraica, quindi una deliberata cooptazione di un simbolo ebraico malcompreso per aggiungere dramma al suo racconto (per quanto incorrettamente possa essere fatto), per aggiungere un danno alla beffa, per così dire, dev'essere previsto, ma Matteo è considerato essere il più ebraico dei vangeli. Sicuramente egli conosce meglio. Giusto?

A quanto pare no.

Un'altra caratteristica unica di Matteo è la famigerata cattiveria "il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli". Alcuni hanno cercato di spiegare l'apparente antisemitismo in questo passaggio facendo appello al suo contesto "ebraico". Il pungiglione di questa offesa è apparentemente ridotto una volta che noi "realizziamo" e accettiamo che Matteo era un ebreo che scrive per altri ebrei. La famigerata frase diventa quindi solo un interno battibecco ebraico secondo questo punto di vista. Io non sposo affatto quell'idea, però. Il fatto che nessun gruppo venisse individuato contro un gruppo concorrente nel passaggio si riflette nell'esatta formulazione che l'autore ha scelto:
και αποκριθεις πας ο λαος ειπε το αιμα αυτου εφ ημας και τα τεκνα ημων


E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» 

Si può sostenere che "tutto il popolo" consisteva di soli farisei, ma questo sarebbe solo un caso di scusa speciale. Il passaggio non è su una setta di ebrei che accusa un'altra. Si tratta ovviamente di un cristiano che incolpa gli ebrei categoricamente. Si tratta di un fatto inevitabile. Data l'animosità tra i due gruppi, non c'è da meravigliarsi che gli ebrei avessero respinto i primi cristiani ad ogni occasione in cui gradivano farlo, nonostante le pretese dei secondi di seguire la Torah ancor più strettamente di quanto facessero i farisei. Il conflitto che era solo accennato in Marco è intensificato per  diventare un completo odio viscerale per il tempo in cui Matteo scriveva, sottolineando più volte l'ipocrisia dei farisei. Il capitolo 23 ha tutta una raccolta di detti di Gesù su come i farisei fossero tutti ipocriti.

Ancor più interessante, Matteo commette più errori goffi nella citazione di scitture di quanti ne fa Marco. Il capitolo 27:9 è un esempio, fa riferimento a un versetto di Geremia che non esiste [9].

Un altro esempio è uno dei più grandi errori del Nuovo Testamento, per come la vedo io. Ho evidenziato la sua variante marciana, in un post precedente, ma merita di venir ripetuto, così poco convincente come pezzo di esegesi io trovo che esso sia:

Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo. 
(Matteo 22:41-46)

Questo, come ho mostrato in precedenza, è un altro doppio smacco. Innanzitutto, questo è un altro esempio di un errore di traduzione andato selvaggio. L'essenza di esso è che le due parole ebraiche tradotte nella stessa parola "Signore" nel Salmo 110, sono due parole completamente diverse nell'originale ebraico. Pertanto, questo è un equivoco che potrebbe essere fatto solo da qualcuno solo superficialmente familiare con la Septuaginta. Gesù, che è detto essere stato un Ebreo altamente devoto particolarmente versato in lingua e scritture ebraiche (con grande "autorità"), avrebbe saputo meglio piuttosto che equiparare "Yahveh" con "L'Adoni" in questo modo, soprattutto quando tutto ciò che l'esegesi fa è rafforzare l'idea che Gesù è "l'uno". Ma questo non è niente ancora. Questo episodio tradisce non solo questo errore di traduzione, che ritrae anche i farisei che ascoltavano come esterrefatti dalla sorprendente capacità midrashica di Gesù. Questo è dove risiede la più grande fandonia, a mio parere. In verità, se avesse detto una cosa del genere, i farisei a cui egli disse ciò - fanatici nel loro studio delle Scritture, e inclini a lunghe esposizioni midrashiche su questo e tutti gli altri Salmi - avrebbero immediatamente corretto sul posto l'errore semantico di Gesù. Chiunque abbia anche una conoscenza solo superficiale dell'ebraico avrebbe potuto farlo. Eppure, in questo racconto evangelico, la sua sola citazione di questo Salmo è sufficiente a renderli tutti senza parole e muto stupore. Questo semplicemente non sarebbe potuto accadere nella realtà, come ho già sostenuto nel post su Marco.
Qui mi viene in mente un vecchio film di Gesù che ho visto una volta, in cui la scena della donna sorpresa in adulterio è raffigurata in maniera altrettanto impraticabile, allo stesso modo insostenibile. La folla, sul punto di lapidare la donna, diventa improvvisamente sottomessa e sgomenta e cadono le loro pietre in una sola volta alla calma dichiarazione di Gesù '"scagli la prima pietra". Gesù parla e l'intero universo cade in ginocchio, come se fosse E. F. Hutton o qualcosa del genere. Solo un  ingenuo e pio bisogno di "credere" potrebbe convincere uno a pensare che la tendenza psicologica fin troppo umana della gente a correggere errori religiosi (Hai guardato ai forum ultimamente?) poteva essere sospesa così facilmente dai rabbini a cui si rivolge Gesù. Gesù avrebbe certamente potuto vincere una discussione con i suoi detrattori, per quanto ne sappiamo, ma un argomentazione dev'esserne seguita. Quello è il punto. Questa rappresentazione semplicistica dell'istantanea sottomissione farisaica è completamente irrealistica. Si tratta di un cartone animato. Non solo non è mai accaduto come descritto, ma esso dipinge gli ebrei in una luce polemica come ottusi incompetenti.

Che dire di Giacomo? . . . . . . . . . .

Come in Marco, così in Matteo.

In questo vangelo, Giacomo è menzionato solo una volta in relazione alla famiglia di Gesù che lo crede pazzo. Questo è tutto. Se l'ubiquità  di Cefa in questo vangelo è evidenza di un'origine dalla chiesa di Gerusalemme di queste tradizioni, come alcuni hanno sostenuto, allora di che cosa è evidenza il silenzio quasi totale riguardante Giacomo, considerando la sua importanza nelle epistole paoline? Voglio dire, Giacomo era (secondo gli Atti anche, e per Tommaso), il leader di Gerusalemme. Perché è menzionato solo una volta in Matteo, solo di passaggio in questo "più ebraico dei vangeli"? Vedere l'importanza di Cefa in quest'opera  come prova in qualche modo di una continuità tra Giacomo e Paolo poteva solo essere specioso.


In chiusura, in riflesso di tutto questo, il mio punto di vista di Matteo, credo, è che esso sia la testimonianza di qualcuno che adottò una storia (!) gentile circa un eroe ebreo come base di sostegno della sua ricostruzione della stessa storia, al fine di farla sembrare più ebraica di quanto Marco l'avesse lasciata. Le aggiunte da lui recate variano da quelle splendidamente sublimi (beatitudini) a quelle incompetenti (a quanto pare non incontrò mai una profezia che non gli piacesse). Ma "suonare ebreo" ed "essere ebreo" non sono la stessa cosa. Come ho cercato di mostrare, mentre passavo in rassegna le lettere di Paolo, un conto è indicare l'uso di simboli ebraici e citazioni bibliche nell'opera in questione per valutare il suo pedigree ebraico, ma la funzione didattica del vangelo nel suo insieme tradisce superficiale qualità di questo copioso riferimento a tali simboli. A tal proposito questo vangelo mi ricorda il movimento evangelico contemporaneo noto come "Ebrei per Gesù." Come Matteo, anch'essi hanno cooptato il simbolismo della Scrittura e la tradizione giudaica per promuovere il proprio marchio di cristianesimo evangelico. Essi incorporano questi simboli nei loro servizi e nella loro retorica, arrivando addirittura a celebrare Seders pasquali (!!) in cui la porzione omiletica della cerimonia è dedicata alla re-interpretazione dei vari elementi del rito attraverso una precisa lente cristiana. Ormai, tutti sanno che gli Ebrei per Gesù iniziarono e rimasero un'impresa evangelica cristiana. L'incauto potrebbe non vedere l'inganno in gioco - caveat emptor e tutto quel jazz, ma la colpa è loro. In ogni caso, è stato dopo aver avuto una discussione con uno di questi Ebrei per Gesù che ho iniziato a pensare alla possibilità che affettazioni di Matteo potrebbero essere un'analoga appropriazione indebita dell'ebraismo. Non solo è possibile appropriarsi indebitamente dell'ebraismo, qui c'era un esempio proprio davanti ai miei occhi. E ci sono altri che affermano di essere la vera espressione della fede di Abramo: l'Islam, il Sionismo Nero, il il Mormonismo, il Rastafarianesimo, ma credo che gli Ebrei per Gesù li superano nella loro cooptazione manifesta del simbolismo coinvolto. Ma, ancora una volta, un conto è includere simboli ebraici in una narrazione, e un'altro conto è usare tali allusioni ebraiche per sostenere che l'ebraismo è stato sostituito dalla comparsa di un Dio-uomo. Nessuna quantità di citazione scritturale riuscì a convincere un Ebreo di seguire un Dio-uomo. L'evidenza che gli ebrei in generale respinsero ad ogni occasione le innovazioni teologiche cristiane è forte. Matteo può essere pure più ricco di simbolismi ebraici rispetto al suo predecessore, ma la dottrina del Dio-uomo che tira fuori lo rivela per quel costrutto gentile che in ultima analisi, innegabilmente, è. Come può non essere così, con Marco come il suo scheletro di base? Pensateci.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -


1 - Avrebbero preferito morire piuttosto che lasciare le immagini di Caligola nel Tempio, per esempio.

2 - Matteo 8:2, 9:18, 14:33, 15:25, 28:9, 28:17.

3 - vedi The New Moses di Dale Allison per un'esplorazione approfondita della tipologia di Mosè in Matteo.

4 - Questo mi sembra una sorta di pesher al contrario all'opera altrettanto. Questo tipo di numerologia mistica è molto diffusa nelle successive esoteriche, mistiche tradizioni della Kabbalah.

5 - Matteo 1:23 - si veda Isaia 7:14.

6 - la concezione divina era un attributo comune in innumerevoli leggende dell'eroe. Ogni salvatore divino degno di questo nome ha avuto una nascita verginale.

7 - Si veda Levitico 10:6 e Levitico 21:10

8 -1 Samuele 15:22-23, e 1 Re 11:29-35 sono un paio di esempi. A volte è vestito di sacco e col capo cosparso di cenere, che sono anche espressioni o simboli di lutto.

9 - Il parallelo più vicino a questa citazione è Zaccaria 11:12-13, ma anche questa non è un'esatta corrispondenza.

Nessun commento: