domenica 15 marzo 2015

Van Eysinga sul Più Antico Vangelo (ovvero Mcn)

FAVOLE: Le storie diffuse da tutte le religioni della Terra sono favole o racconti inverosimili; solo i racconti della Bibbia sono veri. Chiunque fosse interessato a essere gettato nella fornace eterna deve ritenerle storie autentiche.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Offro qui la mia modesta traduzione in italiano del Capitolo 2 di Radical views about the New Testament, del prof. G.A. van den Bergh van Eysinga. Come il lettore attento noterà, è spiegato con poche ma dense e concise parole la relazione tra il vangelo di Marco e un misterioso ''Più Antico Vangelo'', che da un lato spiega perchè Marco era ad un tempo un vangelo protocattolico e tuttavia ancora in odore di eresia (per l'eretica influenza irrinunciabile del ''Più Antico Vangelo'' su di esso), e dall'altro perchè questo ''Più Antico Vangelo'' sarebbe strettamente collegato col Vangelo di Marcione. Il prof Markus Vinzent ha fatto il grande passo di identificare questo ''Più Antico Vangelo'' esattamente strictu sensu con il Vangelo di Marcione (e così pure il prof Matthias Klinghardt, del cui perspicace spirito analitico mi fido invero di più). Nella traduzione del testo di Eysinga ho sottolineato soprattutto le parti dove si investiga la particolare natura del vangelo di Marco relativamente alla sua natura di reazione al ''Più Antico Vangelo'', ovvero, al Vangelo di Marcione.
Vengo inoltre a sapere da questa lettura perchè mi ricordavo, leggendo i Pensieri di Marco Aurelio, quanto ''gnostico'' suonasse il suo disprezzo (in realtà non gnostico, ma stoico) del mondo, e quanto irraggiungibile fosse il suo ideale di virtù. Inoltre, ultimo ma non per ultimo, vengo pure a sapere quale dev'essere la risposta più razionale e convincente possibile da opporre perfino al più plausibile storicista di mia conoscenza (il prof Stevan Davies, l'unico storicista degno di meritare il titolo di ''Professore'' perchè teorico della seria possibilità di un ''Gesù guaritore posseduto dallo Spirito''):
La questione non è se il cambiamento dell'acqua in vino, la resurrezione dei morti, il camminare sul mare, e così via, erano possibili a quel tempo in conformità con le leggi della natura che anche ora sono imperfettamente a noi note; la questione non è nemmeno se gli uomini li consideravano possibili allora, e grazie a questa superstizione videro più meraviglie di quante noi siamo perfino più capaci di vedere di nuovo (a quest'ultima domanda noi siamo, ovviamente, pronti a rispondere in senso affermativo); no, la domanda è questa: possono questi eventi essere sostenuti da un'evidenza storica soddisfacente; e ci permettono di arrivare ad una qualche conclusione su una certa definita persona che visse in Giudea all'inizio circa della nostra era? Infatti, comunque vero possa essere che una più stretta conoscenza dei fenomeni occulti rimuove molte obiezioni alla possibilità di vari miracoli del Nuovo Testamento, non si guadagna nulla in tal modo per la loro storicità; proprio come l'idillio che noi conosciamo come il Libro di Rut, non è provato essere un'autentica biografia solamente perché non contiene nulla che violi le leggi della natura, nella misura in cui sono a noi note; o come non si può dimostrare che il Libro di Giobbe ci offra le conversazioni reali di un Giobbe e dei suoi tre amici, semplicemente perché è piuttosto possibile che quelli uomini possono essere esistiti, e che essi possono avere tenuto ed espresso le opinioni lì ricordate.
Non manca nel capitolo più di un riferimento disincantato all'illusione dei contemporanei di van Eysinga, che è anche l'illusione dei moderni folli apologeti cristiani o cripto-cristiani sotto mentite spoglie di storici (facendoci capire che davvero nulla è cambiato rispetto ai primi anni del secolo scorso: gli stessi problemi, le stesse domande, le stesse obiezioni e le stesse apologetiche di allora si riscontrano oggi come allora): aggrapparsi ostinatamente al ''Gesù storico'', quasi al punto che ''credere in un Gesù storico'' è addirittura per questi dementi folli apologeti più importante della stessa fede in Dio!!!   Se un Dio esiste, manderebbe all'Inferno i folli apologeti cristiani per prima! Quelli stessi folli apologeti cristiani che non hanno nessun diritto di sputare sulle barbarie dei bastardi islamofascisti quando di quella stessa barbarie  furono loro per primi i precursori, allorchè dopo Nicea distrussero e censurarono e diffamarono e bruciarono così tanti idoli e scritti pagani ed eretici! Puah!!!
Ma fin qui ho solo elencato le principali suggestioni. Dunque mi taccio e lascio ad ogni lettore di trarre liberamente un suo giudizio.





CAPITOLO II.
LA NATURA DELLA STORIA EVANGELICA
In questo capitolo mi propongo, con l'assistenza di ciò che ho imparato dalla critica olandese, di indicare nella mia propria lingua le obiezioni che possono essere sollevate contro l'interpretazione tradizionale dei vangeli.
Possiamo da un punto di vista moderno, supporre che la massima elevazione religiosa ed etica possibile fu raggiunta da un insegnante ebreo di diciannove secoli fa? Coloro che desiderano mantenere la realtà della sua esistenza storica di solito ricorrono alla profezia ebraica per spiegare il meglio che egli ci dona; ma in questo caso come è possibile allo stesso tempo assumere in questo Gesù Ebreo gli elementi che erano necessari per dare al cristianesimo un carattere non-ebraico? I moderni sono troppo zelanti nella loro adorazione di Gesù, e il risultato di ciò è che impediscono la crescita e lo sviluppo del cristianesimo. Se dobbiamo credere agli studiosi moderni che ci hanno dato un quadro della vita e del carattere di Gesù, questo rabbi deve aver avuto una notevole rassomiglianza con quello che potrebbe essere chiamato oggi uno zelante campione ornamentale del protestantesimo liberale. Chiediamoci se l'idealizzato Fondatore del cristianesimo possa davvero avere ancora un significato per gli uomini del nostro tempo rispetto a Socrate o Lutero. La vita religiosa del mondo moderno non può essere dipendente da un individuo, per quanto possa essere stato esaltato il suo personaggio, che appartiene alla remota antichità. Sicuramente è tempo di smettere di ricercare dati biografici nei vangeli.
Gli evangelisti ci dicono fin troppo chiaramente che l'eroe della loro epica non appartiene al cerchio entro cui la critica moderna immagina di doverlo ricercare. I vangeli dicono che Gesù è più che uomo; i critici moderni non sono mai stanchi di ripetere che è un uomo come noi, e il loro razionalismo, come dice efficacemente Kalthoff, cerca di scoprire sé stesso nel più antico cristianesimo. Un esempio celebre e tipico di questa scuola si trova nel nostro tempo in Adolf Harnack, che si dichiara incline verso l'ala reazionaria della critica. Harnack ammette francamente che i vangeli non sono opere storiche, ma furono scritti per scopi di edificazione religiosa; tuttavia, egli li chiama fonti di conoscenza della vita di Gesù, e questo ''perché il loro oggetto coincide in parte con quello di Gesù''.
Ma cosa sappiamo degli oggetti o intenzioni di Gesù a parte i vangeli? Avvertito dalla storia di più di un secolo di analisi critica, la Critica Radicale deve sicuramente considerare con scetticismo il minimum di alcuni fatti a cui Harnack ha ridotto la storia evangelica. Il cristianesimo liberale non può sacrificare il pio predicatore, Gesù di Nazaret; vuole sapere qual era la religione di questo Gesù; e per questi motivi si aggrappa con passione ai magri resti che i critici credono ancora di poter salvare dal naufragio generale. L'elemento miracoloso era stato da tempo scartato dalla Bibbia dai moderni. Eppure, grazie alle investigazioni moderne dei fenomeni occulti, possiamo ora difendere più dei racconti evangelici rispetto a quanto abbiamo potuto prima.
Dev'essere naturalmente previsto che i fenomeni straordinari che sono testimoniati oggi dovrebbero essere riconsiderati per spiegare fenomeni simili nel passato. Un più attento esame, tuttavia, ci avverte che è pericoloso interpretare un enigma mediante un altro. È tipico, tuttavia, dell'umana natura che ciò che è straordinario diventa meno straordinario per la coscienza umana non appena sembra di avere un parallelo altrove. Le guarigioni miracolose effettuato da Gesù, e le sue apparizioni dopo la sua morte, sono da tempo state portate in connessione con la suggestione e l'ipnosi. Renan tentò di gettare luce sui racconti della Resurrezione mediante l'ipotesi di allucinazioni della posseduta Maria Maddalena. Sulla dichiarazione dell'apostolo Paolo che il Signore risorto apparve a lui come l'ultimo di una lunga serie di testimoni oculari, fu fondata col riferimento alla costituzione nervosa di Paolo la cosiddetta ipotesi della visione, in accordo alla quale tutte le storie realistiche di apparizioni del Cristo risorto sono considerate come le versioni materializzate di allucinazioni precedenti. Harnack si ritrova con l'idea che la nostra conoscenza delle possibilità psichiche della mente umana non è abbastanza completa per giustificarci a respingere sbrigativamente l'affermazione che alla possente parola di Gesù i ciechi videro, i sordi sentirono, gli storpi camminarono. In questo modo  la Psicologia e la Psicopatia forniscono una benvenuta spiegazione delle narrazioni straordinarie della Scrittura, che in tal modo ancora una volta guadagna in autorità. Infatti la sinistra del cristianesimo, non meno che la destra, aspetta con sincera passione di trovare la rivelazione più alta e più pura della sua religione nel primo periodo del suo sviluppo, anche se questo è piuttosto contrario alla regola solita, e perciò non si concederà ad alcun prezzo per venire derubato di un fondamento storico per i suoi vangeli. Ma anche il senso comune di persone ordinarie si ribella contro il miracoloso. Che fortuna, dunque, quando il progresso della scienza ci permette di riguardare ciò che era incredibile ieri come occorrenza di tutti i giorni oggi; perfino il telegrafo senza fili e gli aeroplani sono stati scomodati allo scopo di difendere il carattere storico dei miracoli del vangelo.
 È la stessa vista come quella a cui richiamai l'attenzione sopra; si ipotizzano testimoni oculari in relazione ad eventi dei nostri vangeli di cui essi stessi non conoscono la spiegazione. Coloro che adottano questo atteggiamento dimenticano che chiunque che, grazie alla sua profonda conoscenza della natura, scopre le vere cause di questi miracoli, deve necessariamente, ora che ha ottenuto una comprensione approfondita del loro reale carattere, non considerarli affatto come miracoli.
Allucinazioni, trance ipnotica, morte apparente, sono immaginati di aver giocato un grande ruolo negli eventi rimarchevoli che la Bibbia descrive. In aggiunta a questo ci viene detto che era in virtù della sua possessione di eccezionale forza di volontà che Gesù operò sui nervi dei suoi pazienti, e in tal modo riuscì a scacciare gli spiriti maligni.
Questo tipo di esegesi è antistorica e un'occupazione non filosofica, infatti coloro che la perseguono sono privi della capacità di comprendere lo spirito dell'antichità. Gli uomini sono consumati dallo zelo di spiegare  tutto come naturale e ragionevole; ma lo stesso zelo è tanto irragionevole quanto tutto può ben essere. Gli studiosi più preparati si sono per la maggior parte sbarazzati di questo atteggiamento verso i miracoli; ma esso, grazie all'influenza dello spiritismo, non si è affatto estinto.
Il camminare sull'acqua di Cristo (o di Pietro),  è, così è affermato, della stessa natura come la levitazione del corpo dei sonnambuli. La cura a distanza che Gesù effettuò nel caso del servo del centurione a Cafarnao, è messa in relazione con indubbi casi di telepatia noti alla scienza recente. Quando lo stesso risorto Cristo passa attraverso le porte chiuse, anche se è rappresentato come avente un corpo, allora l'appello è fatto immediatamente ai fenomeni di dematerializzazione e rimaterializzazione, che formano un elemento particolarmente attraente nel programma delle moderne sedute spiritiche.
Questi esempi mostrano subito come benvenuto questo tipo di esegesi deve essere necessariamente per coloro che non vorranno congedarsi a qualsiasi costo dal loro Gesù di Nazaret.
Il razionalismo del XVIII secolo che fu efficacemente eliminato con Strauss, è qui riprodotto in un vestito moderno. Il Figlio di Dio dei vangeli è considerato come un uomo simile a Dio che possiede insoliti poteri psichici; ma quello che è uno scandalo per il buon senso comune, e perciò nel più antico periodo della critica doveva essere allontanato via mediante qualche tour de force, può ora senza alcuna difficoltà essere incorporato nel quadro della vita del grande medium, Gesù di Nazaret.
La particolare atmosfera mentale dell'antico Impero Romano è anche quella del Nuovo Testamento. La concezione del diritto naturale era ancora sconosciuta; quindi i miracoli non erano ancora per nulla un problema. Quando noi vediamo l'atteggiamento assunto da ebrei e pagani antagonisti verso l'esorcismo di demoni dai posseduti e gli altri miracoli ricordati nei vangeli, allora ci rendiamo conto di quanto universali erano quelle credenze in quei tempi. I fatti non sono contestati, ma sono privati di ogni significato mediante un confronto con fenomeni simili tra ebrei o pagani.
Noi non proponiamo di negare che in alcuni casi notevoli episodi del Nuovo Testamento possono essere spiegati tramite l'analogia di quei misteriosi fenomeni dei nostri giorni, che hanno attirato una simile attenzione generale. Ma solo una visione superficiale può trovare in questo confronto un supporto per la credibilità dei racconti evangelici in materia di miracoli. I racconti devono prima di tutto portare sul proprio volto i segni della storicità; un'attenta analisi storica deve scoprire quali meravigliose guarigioni e visioni sono supportate da prove soddisfacenti. Nella sfera della critica letteraria e storica sono necessarie le stesse attenzione e precisione che la scienza moderna richiede in un'investigazione psico-fisica dei fenomeni in esame - spiritismo e telepatia. La questione non è se il cambiamento dell'acqua in vino, la resurrezione dei morti, il camminare sul mare, e così via, erano possibili a quel tempo in conformità con le leggi della natura che anche ora sono imperfettamente a noi note; la questione non è nemmeno se gli uomini li consideravano possibili allora, e grazie a questa superstizione videro più meraviglie di quante noi siamo perfino più capaci di vedere di nuovo (a quest'ultima domanda noi siamo, ovviamente, pronti a rispondere in senso affermativo); no, la domanda è questa: possono questi eventi essere sostenuti da un'evidenza storica soddisfacente; e ci permettono di arrivare ad una qualche conclusione su una certa definita persona che visse in Giudea all'inizio circa della nostra era? Infatti, comunque vero possa essere che una più stretta conoscenza dei fenomeni occulti rimuove molte obiezioni alla possibilità di vari miracoli del Nuovo Testamento, non si guadagna nulla in tal modo per la loro storicità; proprio come l'idillio che noi conosciamo come il Libro di Rut, non è provato essere un'autentica biografia solamente perché non contiene nulla che violi le leggi della natura, nella misura in cui sono a noi note; o come non si può dimostrare che il Libro di Giobbe ci offra le conversazioni reali di un Giobbe e dei suoi tre amici, semplicemente perché è piuttosto possibile che quelli uomini possono essere esistiti, e che essi possono avere tenuto ed espresso le opinioni lì ricordate.
Mi sono soffermato molto a lungo su questo punto perché è di grande importanza. Quando si è dimostrato che il racconto evangelico è entro i limiti dell'ordinaria esperienza, non segue in alcun modo che sia stato provato storico. È il vecchio errore che ha continuato a prevalere dal tempo dei  Razionalisti del XVIII secolo a quello dei Teosofi del nostro tempo, un errore che è anche trovato, inoltre, per quanto mascherato nella forma, negli scrittori delle moderne Vite critiche di Gesù. Essi tolgono dai resoconti ricavati dalle loro fonti tutto ciò che è incredibile, misterioso, e soprannaturale; inoltre, tutti gli aspetti che sono evidentemente presi in prestito dall'Antico Testamento, al fine di rendere l'immagine di Gesù più imponente e di abbellire la storia della sua vita, in particolare tutti quegli episodi che sono introdotti mediante parole come ad esempio ''allo scopo che possa essere realizzato quello che scritto dai profeti''; infatti il Nuovo Testamento deve essere la realizzazione di ciò che è profetizzato nell'Antico; inoltre, eliminano come antistoriche molte narrazioni ove sono descritti detti o azioni di Gesù che presuppongono condizioni in cui non Gesù stesso, ma la più tarda comunità cristiana visse detti che un partito o un altro pose sulla bocca di Gesù in un periodo posteriore, quando le contese erano diffuse nella Chiesa, allo scopo di poter avere un'impeccabile autorità di riferimento a sostegno delle proprie opinioni.
Ma, dopo che ci si è sbarazzato di tutto questo, è legittimo ritenere che tutto ciò che rimane è storico, che ogni cosa accadde realmente per la fabbricazione di cui nessuna ragione può essere suggerita? Sicuramente c'è un errore nascosto qui. Questo sistema di eliminazione è solo consentito e legittimo quando abbiamo trovato fondati motivi per ritenere che le narrazioni del vangelo si reggono su un terreno solido e storico, infatti solo sotto quelle condizioni sorge la questione di credibilità o incredibilità.
È vero, come mantengono alcuni oppositori della spiegazione simbolica del racconto evangelico, che in questo modo Alessandro Magno o l'Imperatore Augusto, per non dir nulla di Napoleone e Bismarck, potrebbero essere relegati al dominio della leggenda? Gli esempi sono mal scelti, poichè i casi sono assolutamente differenti. Può sembrare a prima vista ipercritico dubitare del carattere storico di ogni singola caratteristica del racconto evangelico; tuttavia, questo è l'unico punto di vista corretto da prendere verso scritti che non raccontano di Alessandro o Augusto, ma di Cristo o Simon Mago. [La vita e le sorti di quest'ultimo sono descritte per noi negli antichi documenti cristiani che sono solitamente chiamati gli scritti clementini. In un periodo precedente, a causa della influenza di F. C. v. Baur, egli fu considerato come una caricatura di Paolo; oggi la Scuola Radicale Olandese considera il rappresentante dello Gnosticismo anti-ebraico, ossia la Teosofia non come una persona del tutto, ma semplicemente come una figura simbolica.] Le fonti che ci informano su Alessandro o Augusto sono di una natura completamente diversa. Abbiamo dati inconfutabili da parte di contemporanei, i cui resoconti confermano  a vicenda documenti autentici, documenti ufficiali, iscrizioni, le storie di altre nazioni che giunsero in contatto con loro. Per la storia ricordata nei vangeli abbiamo solo i vangeli. Se non sapessimo niente di più su Attila di quello che si legge nel Nibelungenlied, dovremmo essere obbligati a dire: È molto incerto se sia mai vissuto, se non sia altrettanto un personaggio mitico come lo è Sigfrido. Le fonti per la vita di Gesù non sono migliori.
È quindi del tutto ingiusto accusare la Teologia Radicale di ignorare la tradizione. Se vi è almeno una cosa al mondo di cui si può dire che appartenga alla tradizione, è proprio l'immagine del Divino e Soprannaturale Gesù. Noi procediamo solamente lungo le vecchie linee ortodosse, senza per questo motivo né essere né desiderare di essere ortodossi. In un certo senso solo noi siamo un tutt'uno con gli interpreti della scuola soprannaturalista, e cioè, che anche noi, come loro, crediamo che i vangeli intendono descrivere la vita e la storia di un Dio. Non è il nostro Gesù, ma è il Gesù della teologia moderna ad essere una novità, nell'accettare che si rompa con la tradizione di diciotto secoli; si tratta di una pura ipotesi che i miti in cui i primi cristiani diedero espressione ai loro ideali e alla loro filosofia, possono essere prodotti alla fine per mezzo di uno sterile trattamento di razionalizzazione allo scopo di rivelare dati degni di fiducia della vita di una persona storica.
La quantità di conoscenza storica su Gesù deve essere stata già molto minuscola, anche tra i primi cristiani; altrimenti i cosiddetti aspetti storici dei vangeli sinottici non avrebbero potuto essere fusi così presto in una forma simbolica nel quarto vangelo, e neppure poteva appartenere questo quarto vangelo così interamente ad un'altra classe rispetto agli altri tre. Poichè è chiaro, quando leggiamo Giovanni dopo i Sinottici, come liberamente lo scrittore ha trattato la materia dei suoi predecessori; in punti importanti ci dà una favola e una narrazione drammatizzata invece della Storia. È vero, Giovanni, come Marco, inizia con Giovanni il Battista e finisce con la Passione. Ma tra questi due eventi, che sono, del resto, rappresentati in un modo proprio diverso, troviamo in Giovanni molto poco di ciò che i Sinottici ci danno, e anche quel poco con considerevoli modifiche.   Prendete, ad esempio, la storia della purificazione del Tempio, che in Giovanni è il primo episodio nella carriera di Gesù, mentre nei Sinottici è l'inizio della fine. I miracoli del quarto vangelo sono allegorie cioè, eventi che caratterizzano o simboleggiano qualcosa, cioè che hanno un significato interno sotto quello esterno. La resurrezione di Lazzaro insegna che Gesù è il Principe della Vita anzi, di più, la Vita stessa; la guarigione dell'uomo nato cieco, che Gesù è il Portatore di Luce anzi, la Luce stessa; l'alimentazione dei Cinquemila, che Gesù è il Datore del Vero Pane di Vita, anzi, è lui stesso il Pane di Vita. Queste storie sono parabole pure e semplici. L'uomo che scriveva questo libro e i cristiani che lo leggevano e lo custodivano, che pure lo ricevettero nel canone della loro Sacre Scritture, evidentemente non percepivano la grande incongruità che la teologia moderna crede di vedere tra il sinottico Maestro di Nazaret e il Cristo del quarto vangelo.
La questione se Gesù avesse mai avuto una qualche  esistenza storica, è quella che implica già un errore quando posta in questa forma. Infatti il nome stesso Gesù suggerisce alla mente una personalità umana. Noi tacitamente, e come se nessuna dimostrazione fosse necessaria, partiamo col presupposto che i racconti di questo Gesù umano sono giunti fino a noi; questo, tuttavia, è proprio quello che nega la Scuola Radicale.
La storia del vangelo deve essere considerata come il risultato di una tendenza idealizzante nelle sinagoghe ellenistiche della diaspora, che interpretavano gli scritti sacri degli ebrei allegoricamente. La fede ebraica non aveva ancora portato la vera conoscenza di Dio. Gli uomini non potevano, perciò, essere soddisfatti con Mosè. Il suo successore Giosuè, che guidò i figli di Israele nella Terra Promessa, poteva diventare il simbolo della nuova conoscenza divina degli gnostici cioè, i sapienti, coloro che conoscevano, gli intellettuali, i quali, sotto l'influenza della filosofia greca, avevano spiritualizzato l'ebraismo, e lo avevano trasformato in un sistema speculativo. Giustino Martire, nel suo Dialogo con l'Ebreo Trifone, mostra che Giosuè è il nome di Dio Stesso. (Si ricorda che in greco i nomi Giosuè e Gesù sono espressi dalla stessa parola Iesous.) La storia della Passione e Morte di questo Gesù è copiato dai credi dei Misteri di quei giorni. Nei culti segreti di Iside e Osiride in Egitto, il fedele cercò redenzione mediante comunione con il Dio che soffre, mediante unione con il Signore morente e risorto. Il mondo giudeo-ellenistico cadde sotto l'influenza di questa concezione religiosa, e il  Messia ebreo così divenne un'entità intermedia, che figura come un mediatore tra Dio e l'uomo.
L'apparizione di Gesù Cristo, come ricordato nei vangeli, riceve nuova luce, inoltre, dalle opinioni dei teologi di Alessandria sulle rivelazioni di Dio ai santi uomini dell'Antico Testamento. Dio, ci viene detto, è apparso ad Abramo, a Giacobbe, a Mosè. Secondo Filone di Alessandria, fu realmente il Logos ad apparire. Giustino Martire e altri scrittori cristiani dicono che era Gesù Cristo; che essi, infatti, procede ad identificare con il Logos. Per Giustino le apparizioni di Gesù ai Patriarchi non differiscono in alcun modo dalla sua cosiddetta apparizione storica, l'Incarnazione; infatti egli nomina entrambi nello stesso respiro. Così si capisce facilmente come le apparizioni meramente occasionali fecero spazio ad un'apparizione di più lunga durata, di natura più realistica e storica.
L'ideale Uomo Sapiente degli stoici arriva anche in considerazione come elemento esplicativo. Nella filosofia stoica c'era un sentito bisogno di un'immagine tangibile della virtù. Diversi individui, sia mitici che storici, furono posti al servizio di questo scopo in diversi tempi. Dal periodo di Alessandro il Grande, lo spirito del tempo co-operò con gli stoici; la crescita dell'Individualismo insisteva sul rispetto della personalità umana. A poco a poco, tuttavia, l'ideale stoico divenne così alto che difficilmente sembrava apparire di realizzazione vera e propria, e nessuno credeva più che qualcuno in passato lo avesse raggiunto. Quindi tra il 100 e il 50 A.C.  l'opinione diventò universale tra gli stoici che l'ideale Uomo Sapiente non fosse mai esistito. Cicerone dice degli stoici: ''Quando, però, chiediamo chi ha mai raggiunto questo loro ideale, essi stessi, come regola, non tentano di rispondere'';  e Plutarco: ''Da nessuna parte e mai è esistito questo Uomo Sapiente''; Sesto Empirico esprime l'opinione: ''L'uomo che soddisfa il loro ideale di Uomo Sapiente non è ancora stato trovato''; Anzi, troviamo tracce della stessa incertezza anche in Seneca, quando dice: ''Dove troverai tu l'uomo di cui siamo stati alla ricerca in tutti questi secoli? Quando confrontati con il Perfetto, egli solo è l'ultimo imperfetto''.
Solo sotto l'Impero, quando tace la lotta delle fazioni politiche, e gli entusiasmi degli uomini si trasformano nella direzione della religione e della filosofia, solo allora l'ideale stoico dell'Uomo Sapiente rivive, e l'antico credo che è un ideale che può essere realizzato, ritorna. La più tarda Stoa, alla quale sono associati  i nomi di Seneca (circa 3 A.C.-65 A.D.) e Epitteto (nato intorno al 50 A.D.), è una filosofia con un cast religioso. Questo è il motivo per cui Hegel asserì che essi non più meritavano un posto nella storia della filosofia rispetto alle produzioni dei moderni scrittori di sermoni.  Epitteto, soprattutto, spesso parla il linguaggio del più puro teismo; il suo Dio è di una natura spirituale, moralmente buona e perfetta. Lui si preoccupa per l'umanità, dimora vicino loro, e vive in loro come spirito. L'uomo, insegna, raggiunge la sua vera felicità solo attaccando se stesso strettamente a Dio. Così Epitteto chiama Diogene ed Eraclito coreggenti con gli dèi, e parla di loro come uomini ''divini''. Altrove annovera anche Socrate, Zenone, e Cleante come Uomini Sapienti. Tra i romani Catone fu considerato come l'ideale; lo troviamo così descritto anche in Cicerone; ma la sensazione è ancora più forte sotto gli imperatori. Velleio Patercolo, uno storico del primo secolo della nostra era, dice di Catone Uticense: ''Un uomo che si avvicina più vicino alla virtù di qualsiasi altro uomo, e in tutto ciò che riguarda la sua natura deve essere classificato piuttosto con gli dèi che con gli uomini; che mai fece un'azione virtuosa per essere visto dagli uomini, ma perché non poteva fare altrimenti.'' ''Libero da tutte le debolezze umane, era sempre padrone della propria felicità.''; Seneca parla in modo simile di Catone. È Catone che ha in mente, quando dice che dobbiamo scegliere qualche buon uomo, e sempre tenerlo davanti ai nostri occhi, in modo da vivere come se il suo sguardo fosse sempre su di noi. ''Una gran parte dei peccati degli uomini cessano di essere commessi non appena hanno un testimone oculare. La nostra anima deve avere qualcuno da poter onorare, e mediante la cui influenza anche le sue azioni segrete possono diventare più sante''; ''Gli dèi immortali ci hanno dato un esempio migliore dell'Uomo Sapiente in Catone, di quanto fecero nei giorni passati in Ulisse ed Ercole''.
È facile capire che desiderio interiore parla  con le seguenti parole: ''Quando tu vedi un uomo senza paura in pericolo, superiore alla passione, sereno nelle avversità, tranquillo in mezzo alle tempeste, uno che vede l'umanità sotto di lui e gli dèi al suo fianco, non vuoi avere un sentimento di riverenza per uno simile? Non vuoi dire, questo è qualcosa di troppo grande, troppo esaltato, per dover essere considerato della stessa sostanza del corpo senza valore in cui abita? Non dirai, Questo è un Potere Divino sceso sulla Terra, una Potenza celeste da cui lo spirito nobile e saggio è mosso, che disprezza tutte le cose terrene in quanto di nessun conto, e ride di quello che temiamo e desideriamo? Una cosa così esaltata può emanare solo dalla Divinità; pertanto, la più gran parte di essa rimane nel luogo da cui proviene. Proprio come i raggi del Sole raggiungono, è vero, la Terra e tuttavia rimangono nel luogo da cui procedono, così è con il grande e santo spirito, che viene inviato a noi in modo da farci conoscere meglio le cose divine; esso abita in mezzo a noi, è vero, ma rimane inseparabile dalla sorgente. Da lì deriva la sua forza; là si scopre il suo aspetto; si sforza sempre di ritornare a questa sorgente; tra i nostri spiriti soggiorna come un qualche essere superiore. Chi è questo spirito esaltato? È lo spirito di chi si affida alla propria virtù, e a quella soltanto. Se chiedete che cosa sia questa virtù, la risposta è, l'Anima e la Ragione Perfetta'' (Ragione, Logos). ''Infatti l'uomo è un essere ragionevole, e questo è il motivo per cui la sua virtù si perfeziona solo quando adempie il destino della sua ragione''. Da queste citazioni, ed esse potevano facilmente venir moltiplicate, non è difficile vedere come i cuori degli uomini in quei giorni ardentemente bramavano sostegno e forza soprannaturale, dopo una rivelazione diretta dall'alto. Un essere sovrumano deve essere il nostro leader d'ora in poi; Dio deve essere portato più vicino all'uomo mediante l'apparizione in una forma visibile. Il culto degli imperatori si basa sulla stessa necessità. Augusto, che aveva posto fine agli orrori delle guerre civili, fu considerato come il Principe della Pace, il Salvatore, che ci aveva liberato nella nostra necessaria calamità; colui che doveva provocare il ritorno dell'Età dell'Oro era Giove stesso, che era sceso dal cielo per fare la sua dimora tra gli uomini. Così, nel cosiddetto calendario iscrizione di Priene, risalente al 9 A.C., il compleanno di Augusto è descritto come il compleanno di un dio, significando al mondo l'inizio del vangelo di buone notizie che è associato al suo nome; la sua nascita, si legge, è l'alba di una nuova era.
Non siamo affatto sorpresi di trovare che gli studiosi più tardi sono stati talvolta fuorviati dalla colorazione più o meno cristiana che mostra l'immagine dello Stoico Uomo Sapiente. Ad esempio, Arnedee Fleury pensava di aver trovato Cristo nell'uomo perfettamente virtuoso della Lettera 120-esima di Seneca: ''Il Fato ci ha manifestato il grande uomo che non ha mai sospirato nelle disgrazie, che non si è mai lamentato della sua sorte, che ha fatto molti testimoni della sua virtù, e ha brillato anche come la luce splende nelle tenebre; guadagnò per sè stesso il rispetto di tutti gli uomini, perché era pacifico e mite, e altrettanto giusto in cose umane e divine.  Aveva un'anima perfetta, e ascese al punto più alto del proprio essere, oltre il quale non vi è altro che lo spirito di Dio, del cui essere una porzione era scesa in questo tabernacolo mortale''. In questa Lettera 120-esima Seneca dimostra che la conoscenza del Buono si basa su un fondamento storico; dal contenuto della nostra esperienza, da esempi di uomini nobili, arriviamo mediante un metodo storico ad un quadro ideale che non poteva essere creato soltanto dalla fantasia e dalla riflessione. Le caratteristiche di quest'immagine ideale sono vissute in specifici individui, e, dopo essere state amplificate e arricchite in molti particolari, sono state trasferite all'ideale Uomo Sapiente. Nonostante tutto questo, però, l'ideale, anche in Seneca, resta ancora solo un ideale astratto; di più, infatti, non poteva essere previsto da uomini che possedevano così poco del senso storico, come gli stoici.
La scuola alessandrina cioè, la filosofia religiosa che fiorì in Alessandria nell'ultimo secolo A.C. ha tratto nella Sapienza di Salomone (ii, 12-20), l'immagine del dolore innocente che mostra così tanti punti di somiglianza con la storia della Passione nei vangeli al punto da venir frequentemente considerata come un'interpolazione cristiana di un più tardo periodo, una teoria, però, che può non essere supportata da argomenti adeguati. Piuttosto noi dobbiamo supporre che questa descrizione del giusto sofferente servì da modello per l'immagine cristiana dell'Uomo dei Dolori. Ancora prima, Platone, nella sua Repubblica, aveva disegnato uno schizzo dell'Uomo Giusto, e aveva insegnato come, sconosciuto e disonorato, egli vive una vita di sofferenze e persecuzioni. Egli è condannato nel tentativo di testare la sua giustizia, e raggiunge l'altezza suprema della virtù dimostrando di non vacillare anche nell'oppressione. ''L'uomo giusto'', ci racconta Platone, ''sarà flagellato, torturato, imprigionato, accecato; infine, quando ha sopportato tutto questo, egli sarà impalato; poi in esteso imparerà che l'uomo deve mirare a non essere giusto, ma solo ad assumere l'apparenza della giustizia''; Questo può essere stata la fonte da cui l'autore della Sapienza di Salomone derivò l'immagine del giusto nella tribolazione. In ogni caso, è chiaro che lo scrittore conosceva la filosofia greca, e senza dubbio aveva letto il suo Platone.
Fa dire all'empio: ''Cerchiamo di insidiare l'uomo giusto perché è un'offesa a noi, e si oppone alle nostre opere, e rimprovera i nostri peccati contro la Legge, e non cessa di rimproverarci per i nostri atti disordinati. Si vanta di possedere la conoscenza di Dio, e chiama sé stesso il figlio di Dio. Certamente egli ha confuso i pensieri dei nostri cuori; ma quando noi guardiamo su di lui lo troviamo un'offesa, perché la sua vita è così diversa dalla vita di tutti gli altri uomini, e la sue vie sono completamente diverse; siamo considerati da lui come moneta di basso conio, e si tiene lontano dai nostri modi come da una corruzione. Ma conta come felice la fine dei giusti, e lui chiama Dio suo padre. Vediamo se le sue parole sono vere, e cerchiamo di provarlo con ciò che accade alla sua dipartita. Infatti, se il Giusto è il Figlio di Dio, allora Dio sicuramente si prenderà cura di lui, e lo salverà dalla mano dei suoi nemici. Con la violenza e la tortura dobbiamo provarlo, così da poter dimostrare la sua mitezza e un giudizio della sua fermezza. Lo dobbiamo condannare ad una morte vergognosa; egli stesso dice che sarà sicuramente protetto''; ''Tali'', lo scrittore dice, ''erano i loro pensieri; ma errarono, perchè la loro malizia li aveva resi ciechi, e non sapevano i segreti di Dio; si aspettavano che la pietà non dovesse essere ricompensata nella vita a venire, e non sapevano che le anime innocenti sono ricompensati con il dono (della vita eterna)''. Questo breve schema contiene un buon numero di idee ed espressioni cristiane. In Matt, xi, 27, il Salvatore dice che nessuno conosce il Padre se non il Figlio, proprio come l'Uomo Giusto sofferente, nel Libro della Sapienza, dice che chi possiede la conoscenza di Dio, si chiama il figlio di Dio, e parla di Dio come suo Padre. Secondo Giovanni v, 18, gli ebrei vogliono uccidere Gesù ''perché ha detto che Dio era il suo Padre, facendosi uguale a Dio''; e in un altro luogo (Giovanni xix, 7) sono offesi perché si è fatto Figlio di Dio. E proprio come nel Libro della Sapienza gli empi trovano che il Figlio di Dio deve essere salvato solo da Dio, così uno dei due malfattori che furono crocifissi sul Golgotha insieme con Gesù, esclama: ''Se tu sei Cristo, salva te stesso e noi''; e gli astanti gridano: ''Ha confidato in Dio; lo liberi ora se lo vorrà; perché disse, io sono il Figlio di Dio''; (Matt, xxvii, 40). La ''morte vergognosa'' evoca la vergogna della croce. L'errore degli empi nel pensare che la morte segni la fine dell'Uomo Giusto è così descritta dal lato cristiano in 1 Cor. ii, 8: ''Nessuno dei principi di questo mondo conosceva la Sapienza di Dio; perchè se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria''; Ancora una volta, in Giovanni xii, 40, l'incredulità degli ebrei è attribuita alla ''cecità'' dei loro occhi. Secondo questi empi, l'Uomo Giusto è duschrestos (l'opposto di chrestos, che significa sia ''utile, trattabile'' e sia ''buono, morale''); quindi troviamo in Isaia iii, 10, nella cosiddetta Septuaginta cioè, la traduzione greca dell'Antico Testamento: ''Cerchiamo di legare l'Uomo Giusto, perché è duschrestos a noi'', cioè, è l'opposto del ''grazioso, buono''.
È noto che nell'antica letteratura cristiana giochi sulla somiglianza dei due nomi Christos e Chrestos devono essere trovati. Da qualche tempo nel secondo secolo A.D., le parole cominciarono ad essere pronunciate nello stesso modo nel discorso popolare. TB, La Chiesa cattolica e alcuni dei commentatori protestanti hanno trovato in questa breve descrizione della Sapienza di Salomone una profezia di Cristo. Quelli che tenevano questo parere erano più vicini alla verità di coloro che si rifiutavano di vedere qualsiasi connessione tra Sapienza ii, 12, ff, e la storia cristiana della Passione.
Il rappresentante più importante della filosofia alessandrina era l'ebreo Filone, un vero ebreo, ma uno che aveva assimilato la cultura del suo tempo. Noi troviamo la prima colonia di ebrei in Egitto alla fine del sesto secolo A.C. La relazione con i pagani più colti e l'uso della lingua greca deve averli gradualmente condotti in un primo tempo ad assimilare le idee greche. Filone è il tipico rappresentante di questa tendenza ellenistico-ebraica. Lui è inconsapevole che la sua fede ebraica si scontrava con la filosofia greca, e che le due dovevano essere riconciliate. Si rifiuta di abbandonare il suo ebraismo, e rende tutti i suoi studi asserviti alla sua fede.
Per Filone, l'ideale Uomo Sapiente degli stoici era già esistito nella persona di Mosè. Lasciate che i lettori studino la sua vita di Mosè. L'immagine del grande legislatore è là disegnata con tutta la libertà solita in quel momento;  il reale Mosè, che il lettore moderno, con più storici abiti di pensiero, si aspetta di trovare, retrocede nello sfondo, e al suo posto troviamo raffigurato un tipo di carattere, un modo di vita, di cui il reale Mosè serve solo come emblema. Mosè è descritto come il più grande e il più perfetto tra gli uomini; la sua mente era incapace di menzogna. Non c'è da stupirsi che tutti coloro che vengono in contatto con lui sono detti di essere stupiti da lui, e si chiedono che tipo di spirito è che alberga nel suo corpo e se cosa è rivelato sia umano o divino, o è una miscela di entrambi? Mosè ha vissuto una vita ultraterrena; era una specie di santo, la cui vita era in completa armonia con il suo insegnamento. Dio lo ha scelto come degno di condividere il suo potere; questo è il motivo per cui tutti gli elementi gli obbedivano proprio come hanno obbedito al Signore. Egli è chiamato Dio, re, e condottiero; altrove re, alto sacerdote e profeta; mediatore, propiziatore, e intercessore. La mitezza e gentilezza sono le caratteristiche naturali del suo carattere. Pieno di amore verso Dio, egli stesso è amato da Dio.
Altrove in Filone, il Logos (il Divino-Razionale) è rappresentato come visibilmente manifesto nel Gran Sacerdote, l'Unto, cioè,  nella lingua di Filone, il Cristo. Il Logos può solo diventare incarnato in un essere privo di peccato, che non più esiste nella vita reale di quanto esisteva l'ideale Uomo Sapiente degli stoici.  Si sente costantemente l'esortazione: ''Il Logos di Filone è qualcosa a metà strada tra un essere spirituale impersonale e una personalità allegorica; come del tutto diversa è la concezione cristiana, secondo cui il Logos divenne carne (Giovanni i. 14)! Questo è l'elemento specificamente cristiano nella dottrina del Logos, infatti il Logos di Filone non diventa carne''. Questo, tuttavia, è esagerato, se non altro per il motivo di cui sopra che l'idea del Dio incarnato nell'uomo non era estranea all'atmosfera mentale di quei tempi. Anzi, anche nello stesso Filone ci sono alcuni passaggi che suggeriscono l'idea della Parola che diventa incarnata. Per esempio, dove dice: ''Dio prende su di sé la forma di un uomo in modo da aiutare coloro che lo hanno pregato''; e ancora: ''É più facile per Dio farsi uomo che per l'uomo diventare Dio''; E in aggiunta a tutto questo c'era una setta chiamata Doceti e nonostante il fatto che gli ortodossi li bollarono come eretici, erano nondimeno cristiani che dissero che Cristo solamente apparve in possesso di un corpo umano. Dal Battesimo alla Passione, il celeste, soprannaturale Cristo era unito con l'uomo Gesù; tale era l'insegnamento di Cerinto e Basilide. Saturnino, Valentino, e Marcione, invece, pensavano che Cristo esibì una forma umana ai suoi discepoli per mezzo di magia.
Perché la Chiesa protestò contro il docetismo? Perché non fece giustizia all'umanità del Dio-uomo. L'idea di una umanità divina poteva solamente parlare alla moltitudine in una vita, la vita di un uomo. Quindi, come dice A. Drews, l'esistenza storica di Gesù fu un dogma dal principio.
Gesù portò la Chiesa alla vittoria non come personaggio storico, ma come un'idea; questa idea di un essere che era sia divino sia umano è stato l'elemento ispiratore nel cristianesimo. È vero, il ''Verbo fatto carne'' nel quarto Vangelo è ancora un essere divino, la cui personalità è indefinita come quella del Logos di Filone. É come se l'evangelista fosse ansioso di  non pregiudicare la divinità ponendo troppo accento sulla umanità.
La posizione nei vangeli sinottici è più o meno la stessa; in loro, anche, Gesù è il Dio-uomo. Questo fu chiaramente riconosciuto da van Manen (1842-1905), il ben noto studioso, che ha mantenuto la non autenticità  di tutte le lettere paoline, e quindi apparteneva alla Scuola Radicale Olandese, anche se ha continuò a credere fino alla fine che un reale Gesù storico deve aver formato lo sfondo dei nostri racconti evangelici. A proposito di questo Gesù non osava dire nulla di certo. Si tratta di una prova lampante del calmo, esente da pregiudizi, senso critico di van Manen che, nella sua analisi scientifica del Nuovo Testamento, non mancava mai di riconoscere l'elemento soprannaturale come parte essenziale  di esso, sebbene il suo senso comune come dato di fatto non era in sintonia con questo elemento. A suo parere il Più Antico Vangelo (vedi pagina 50) si originò tra gli gnostici, che erano del tutto carenti del senso storico; è per questo che tali fatti storici sulla vita di Gesù come erano noti ai primi cristiani furono distorti al di là del riconoscimento mediante tutti i tipi di accrescimenti speculativi. Così van Manen trovò spazio per il miracoloso, l'antistorico, il pittoresco, che non solo riconobbe nei nostri vangeli sopravvissuti, ma anche ipotizzò che fossero esistiti perfino nel Più Antico Vangelo.
Nell'inverno del 1886-7 fu trovato ad Akhmim, nell'Alto Egitto, un frammento del Vangelo di Pietro, un'opera che esibisce peculiarità molto suggestive, che fanno pensare molti critici piuttosto ad un'apocrifa produzione del secondo secolo che ad un antico e primitivo documento.  Furono proprio quelle peculiarità che van Manen, paradossale come questa vista deve apparire a molti, considerò come prova dell'alta antichità del Vangelo di Pietro. In questo frammento della storia evangelica la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù sono descritte una dopo l'altra. Il detto sulla croce, come ivi fornito, è: ''Mio potere, mio potere, tu mi hai abbandonato''; e in questa parola  ''potere'' (Dynamis) sono stati fatti dei tentativi per trovare una prova della posteriore natura docetica di questo vangelo.  Van Manen colloca questo passaggio nella stessa categoria di altri che citano lo Spirito di Dio, o il Potere dell'Altissimo, che coprì Maria; o, ancora, con Marco v, 80, dove si dice che Gesù stesso sentì che il potere era andato via da lui. Nel campo della ricerca scientifica il mio maestro possedeva in un insolito grado il dono di un senso sano e sobrio; non mancò di distinguere tra il suo Uomo ideale e il Cristo descritto nei vangeli; come studioso aveva troppo rispetto per i vangeli per renderli gli esponenti delle proprie opinioni personali e ideali. La ricerca di parole autentiche di Gesù, e il tentativo di ricostruire la vita di Gesù, li considerava una stupida perdita di tempo. Non aiuterebbe a riportare un ipotetico Proto-Marco (di cui, ad ogni modo,  due studiosi non danno lo stesso racconto), e un'altrettanto ipotetica raccolta di detti; e da quei due procedevano ad estrarre l'immagine di una persona vivente, che in realtà altro non è che il riflesso della personalità del critico stesso.
Tra quei teologi che sono privi di formazione filosofica, il bisogno di autorità è ancora sentita; al posto dei dogmi della Chiesa e della Santa Scritture, che hanno ceduto agli attacchi della critica razionale, è consuetudine ormai presentare le parole e le azioni di Gesù.
Gli studiosi della scuola moderna sono altrettanto incapaci come i loro fratelli ortodossi di rifuggire da questa schiavitù a fatti storici. Anche se sono meno creduloni dove concerne il soprannaturale, si aggrappano proprio altrettanto ostinatamente ai loro ''fatti''. Per entrambi allo stesso modo la reale apparizione storica di Gesù sulla terra è la cosa essenziale. Quello di cui sono alla ricerca è la certezza, una narrazione coerente, una vita ben delineata, un vangelo libero da fin troppo mescolanza con l'ebraismo. Dopo che il soprannaturale è stato eliminato e ci si è sbarazzato di tutto l'incredibile, il vangelo di Marco rimane la miglior risorsa per i cristiani illuminati di oggi che desiderano mantenere l'illusione, che essi hanno ancora molto in comune, di un certo Gesù di Nazareh. Questo è precisamente ciò che intendeva Marco; il suo scopo è quello di raccomandare il suo vangelo a circoli illuminati tramite la sua forma irreprensibile e i suoi plausibili contenuti. Il Più Antico Vangelo, che non possediamo più, fu probabilmente scritto in greco con una progressiva tendenza anti-ebraica; questo può essere visto chiaramente dalla sua versione gnostica (vedi sotto), di cui restano ancora frammenti. I nostri vangeli sinottici derivano da una versione aramaica di questo Più Antico Vangelo. Matteo vi ha dato un  colore ebraico.  Le simpatie ebraiche di Marco erano meno pronunciate, e perciò viene di tanto in tanto più vicino al Più Antico Vangelo. La sua tendenza cattolicizzante, in altre parole, il suo sforzo di conciliare ed unire parti opposte è evidente. Queste due caratteristiche spiegano facilmente la maggiore popolarità che Marco gode ancora rispetto a Matteo. Marco si sforza di essere realistico. Nonostante ciò, tuttavia, la maggiore semplicità del suo stile, che dovrebbe essere una prova certa della sua maggiore antichità, suggerisce piuttosto gravi sospetti. W. Wrede ha dimostrato agli studiosi moderni come hanno completamente trascurato l'elemento dogmatico in Marco. Fin dal principio, la sua descrizione dell'attività di Gesù immediatamente dopo il  suo inizio (Marco i, 28, 45, rispetto a ii, 1 iii, 6) suggerisce seri dubbi non solo se Marco scrisse Storia genuina, ma se mai intese di scriverla.
La fama di Gesù si diffuse immediatamente attraverso l'intera regione di Galilea, e il lebbroso, nonostante il fatto che gli fosse espressamente vietato di pubblicare la notizia della sua guarigione, cominciò a proclamare così forte al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti, dove la gente si affollava intorno a lui da ogni parte. Poi, come se nulla fosse accaduto, tornò a Cafarnao, e il suo incredibile successo è improvvisamente seguito da un timore di attentati alla sua vita da parte delle autorità ebraiche, con i cui rappresentanti teneva varie dispute.
In risposta ai nostri avversari che dicono, ''Questo non è narrazione drammatizzata'',  noi rispondiamo con calma, ''Questo non è Storia''. In tutto il suo libro Marco pone l'accento sulla dottrina di Gesù piuttosto che sui suoi miracoli, i quali, infatti, ci insegnano poco più del suo potere sugli spiriti immondi. Il secondo evangelista è un uomo che ha non solo un sistema dogmatico egli stesso, ma attribuisce perfino al suo Cristo tendenze dogmatiche.   Ciò è in armonia con le sue simpatie gnostiche, alle quali perfino Ireneo manifesta attenzione. Questo campione dell'ortodossia consiglia gli eretici gnostici di fare uno studio imparziale di questo libro, come antidoto al loro docetismo. Per i lettori con un pregiudizio, allora, l'opera apparve pericolosa; senza un adeguato commentario approvato dalla Chiesa, poteva eventualmente suggerire la separazione di Gesù da Cristo, e poteva dare un colore alla vista che non Cristo, ma Gesù, soffrì. Come dato di fatto, leggiamo in Marco di un Cristo spirituale, che è guidato dallo Spirito, e che mediante lo Spirito conosce cosa altrimenti è nascosto agli uomini (i, 10, 12; ii, 8; iii, 3; ix, 35, ecc), e attraverso lo Spirito è Signore del dominio di demoni, un potere che perfino i suoi nemici non possono fare a meno di riconoscere, anche se introducono la clausola che qualifica il suo spirito come impuro.
In realtà, le idee, Spirito e Figlio, cadono insieme in Marco (Marco iii, 29); il fallimento a riconoscere lo Spirito in Gesù è il più grande di tutti i peccati. In perfetta armonia con questo è la maestà esaltata del Signore, che disdegna di dare alcun conto delle sue azioni, e la sua serenità imperturbabile. La Gnosi (e con essa il Più Antico Vangelo) insegnò, Conoscenza è essenziale alla salvezza. Dopo che era stata scritta la versione ebraica del Più Antico Vangelo, quest'idea era in qualche misura respinta sullo sfondo; nel caso di Marco, che stava avanzando nella direzione di una Chiesa universale, l'idea ricorre, ma in una forma più ecclesiastica; l'enfasi non è posta più così tanto sulla conoscenza (gnosi) quanto sulla dottrina (didaché). Sembra quasi come se Marco, nel suo tentativo di fare piena giustizia alla grandezza soprannaturale di Cristo, sentisse il bisogno di attribuire al medesimo, a modo di correttivo, certe emozioni che gli impediscono di essere rimosso completamente dalla sfera dell'umanità: quindi già anticipando lo spirito dell'insegnamento successivo della Chiesa, che era quello di proporre la dottrina di due nature in Cristo.
Il Più Antico Vangelo è già stato menzionato più di una volta; è necessario ora parlare di esso più estesamente. La connessione reciproca di tutti i vangeli a noi noti o interamente o parzialmente è già una prova che doveva esistere prima di loro un Vangelo originale, che fu utilizzato sia direttamente che indirettamente nella composizione di tutti gli altri. Questa ipotesi è supportata dalla tradizione, dal linguaggio dei vangeli, e dai risultati di ricerche storiche e critiche. Com'era questo Più Antico Vangelo può essere solo approssimativamente indicato. Probabilmente il suo contenuto, confrontato con quelli dei nostri vangeli canonici, era molto scarso. Non conteneva nessuna descrizione della genealogia di Gesù, della nascita, della prima educazione, o dell'incontro con Giovanni il Battista; e neppure c'era qualcosa in esso circa il battesimo nel Giordano o la tentazione nel deserto. Si limitava per lo più ad uno schizzo della discesa dal cielo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio; la sua apparizione a Cafarnao; il suo esorcismo dei demoni; la predicazione del regno dei cieli; la Transfigurazione; la sua Passione, Morte e Risurrezione.
Circa il maestro o predicatore religioso della Galilea non diceva niente di importante. Il vangelo utilizzato dall'eretico Marcione, che ci è parzialmente noto dalle opere dei suoi avversari, fu più strettamente correlato di quanto lo fossero i nostri vangeli canonici al Più Antico Vangelo, e getta, in ogni caso, qualche luce su questo oscuro soggetto.
La speculazione mitologica, che, nella misura in cui rimase nella regione dell'astratto, non poteva appellarsi ad alcuna grande cerchia di lettori, fu drammatizzata nel vangelo nella forma di una visibile materiale personalità, che fu destinata ad esercitare una più potente influenza sul genere umano di quanto mai potevano neppure Mitra, Attis e Osiride, le figure divine dei culti misterici del periodo. Cristo non è solo l'ideale uomo sapiente o, meglio, l'uomo santo degli stoici, ma anche l'Idea platonica del Bene, di un significato che crea il mondo. Proprio come ogni uomo può essere considerato come un mondo in miniatura, così anche il mondo può essere considerato come un essere umano su larga scala, un ''Uomo Celeste''.
Questa concezione si trova nel ben noto inno Purusha nel Rigveda, e anche in vari sistemi gnostici. Il confronto con fenomeni religiosi o esempi di idealizzazione aiuta altrimenti a illustrare ciò che è peculiare e simbolico sulla figura di Cristo, come rappresentato nei vangeli. In India vediamo anche l'unione del divino e dell'umano, il primo essendo più sottolineato; nel Buddha, per esempio, l'elemento puramente umano è estremamente minuscolo. In lui, anche, il Verbo si è fatto carne; che vale a dire, alla Parola del Mito è attribuita una quasi-storica esistenza carnale. Ma non è un'umanità che soddisfa la mente occidentale; non troviamo in essa nessuna personalità. L'ideale stoico procede in una direzione opposta; con gli stoici Dio non diventa uomo, ma l'uomo diventa Dio; anzi, l'Uomo Sapiente è perfino superiore alla divinità. ''C'è una misura''; dice Seneca, ''in cui l'Uomo Sapiente si erge sopra Dio; Dio non sente la paura, perché tale è la sua natura; l'Uomo Sapiente non teme, perché egli stesso si è elevato sopra la paura''; E altrove, ''Dio sta al di fuori della sofferenza, l'Uomo Sapiente sopra di essa''; L'antico Dio della credenza  popolare era davvero non più un Dio secondo le idee dei stoici; il loro sano buon senso trasformò il fin troppo antropomorfico Zeus in un deistico ''Essere Supremo''; ma si rendono conto che questa astrazione non è un vero Dio.
Il vero Dio lo cercano nella Divinità cosciente dell'Uomo Sapiente. Questo Dio, però, ancora una volta è considerato come qualcosa di puramente formale e astratto cioè, ''apatheia''; (Cioè, l'indifferenza verso tutto).
Il concreto appare solo nell'ideale cristiano del Figlio dell'Uomo, che mediante sofferenza e morte entra nella gloria; che, anche se è il soprannaturale naturale Figlio di Dio, deve tuttavia essere perfetto mediante la sofferenza, e con la sua morte porta la redenzione degli uomini. L'Uomo Sapiente stoico muore perché l'ideale e il reale non possono essere riconciliati. Anche Cristo muore; ma anche la sua morte è solo un episodio della sua vita; perché egli rivive come oggetto del culto della comunità. Un figlio muore allo scopo di fare molti figli di Dio; la morte è superata da lui. La vita dello Spirito presuppone sia la vita che la morte.
Anche se in India il Buddha è il Dio che è diventato uomo, tuttavia né la sua divinità né la sua umanità è perfetta. Nella lettura delle sue azioni, esperienze, e sermoni, ci manca l'elemento puramente umano che si rivela a noi grazie all'individualismo dell'Occidente, che ha ricevuto un tale forte impulso dalla dottrina degli stoici.
Il divino nel Buddha è il divino della Religione Naturale. Il Cristo dei vangeli è molto più umano e molto più divino. Riteniamo che egli riflette sia la trascendenza del Dio degli ebrei sia l'individualismo del pensiero ellenico. Per questo motivo la biografia popolare che i vangeli ci offrono soddisfa sia il semplice e sia il sapiente. La classe intermedia degli uomini colti, intelligenti, o la trascura con una sprezzante scrollata di spalle o insiste nel trovarvi in essa un substrato storico, che per la natura del caso difficilmente può essere niente di più che l'immagine dello stoico Uomo Sapiente. Cristo è chiamato nelle Scritture il secondo Adamo. Dobbiamo, quindi, andare a discutere se il primo Adamo fosse un personaggio storico? Diciamo, É sicuramente non impossibile che visse una volta un uomo che abitò in un giardino molto proficuo, e che diede nomi agli animali, come Cuvier e Buffon hanno fatto spesso da allora? Ma parlando sul serio, Adamo è qualcosa di più di una persona storica; lui è la grande personificazione della nostra stessa umanità naturale. La nostra umanità spirituale, che non può esistere senza la sua controparte naturale, è caratterizzata in Cristo. Proprio come il Vecchio Adamo è per sua natura latente in tutti noi, così, anche,  il nostro uomo spirituale, Cristo, dev'essere risvegliato in noi dallo Spirito Santo.
Il naturalismo buddista insegna l'irrealtà delle cose terrene. L'Uomo Sapiente degli stoici riconosce la realtà terrena, ma lo considera indegna. Diverso da entrambi è l'ideale cristiano, che sperimenta la realtà del peccato e della morte terreni con sofferenza acuta, ma allo stesso tempo riconosce loro pieno significato come mezzo tramite il quale il celeste è rivelato all'uomo. Quando la Chiesa primitiva era così molto insistente con il lato storico del suo insegnamento, questo era dovuto allo spirito storico occidentale, e quando la critica ora getta dubbi su quest'antica storia, lo stesso spirito storico occidentale è ancora al lavoro. In una storia che è destinata ad essere sia un ritratto che una allegoria, il vangelo riproduce davanti ai nostri occhi la storia - la storia eterna di Dio e dell'uomo. Quando i vangeli dicono di Gesù che parlava in parabole e senza una parabola non parlava loro, allora possiamo ragionevolmente aspettarci la stessa cosa dagli stessi apostoli che ci parlano di lui; i loro sforzi letterari, di cui nostri vangeli canonici sono alla fine i successori, portarono alla costruzione di una grande parabola; un drammatizzata narrazione con un significato profondo, che fu gradualmente fraintesa e considerata come Storia, quando l'ultima parola non rimase più ai pochi che erano sapienti, ma alla moltitudine non illuminata che ora fece sentire la sua voce nella Chiesa. C'è una notevole differenza tra i nostri vangeli canonici e i vangeli apocrifi successivi; mentre le storie nei primi sono intesi come allegorie dagli gnostici ellenistici, gli Illuminati, gli autori dei vangeli apocrifi, d'altra parte, che non sono più filosofi, ci offrono solo infantili storie di miracoli.
Senza voler fare violenza a un movimento vivente come la storia della critica del vangelo forzandolo nel letto di Procuste di uno schema prestabilito, non possiamo non rilevare, tuttavia, in esso una certa sequenza razionale nelle sue fasi di progresso. Innanzi tutto viene il punto di vista della fede ortodossa, che non conosce nessun problema. Alla luce della rivelazione o meglio nell'oscurità del mistero tutto è o comprensibile o incomprensibile, secondo l'interpretazione che abbiamo posto su di esso. Poi segue il punto di vista dell'esegesi razionalizzante, che è ancora incapace di rendersi indipendente dalla Santa Scrittura, e con l'aiuto del buon senso si sforza di effettuare un compromesso eliminando l'elemento miracoloso dai miracoli della Bibbia. Dopo questo razionalismo astratto arriva il razionalismo concreto; quel razionalismo storico e critico che ci ha dato numerose istanze della vita di Gesù. Il rappresentante più illustre di questa scuola in Olanda era JH Scholten. Pierson, che da ragazzo aveva assorbito l'insegnamento dell'ortodossia pietistica, ma sotto l'influenza della filosofia empirica era diventato agnostico, attaccò Scholten; dal suo punto di vista indipendente egli non necessitava più di interpretare le Scritture in accordo con i dogmi ortodossi o moderni, e lui negò l'esistenza storica del maestro Gesù di Nazaret. I risultati positivi di Scholten e quelli negativi di Pierson furono combinati nel simbolismo di Loman, che riuscì a effettuare una più alta unione  e sintesi dei due; la storia del vangelo è, è vero, una Storia, ma non la storia di un individuo, ma della Chiesa, che ha creato la storia mediante un atto di intuizione spontanea. D. F. Strauss aveva richiamato l'attenzione nell'assistenza della mitologia per spiegare l'origine dei vangeli; Bruno Bauer aveva assunto un evangelista primitivo con una mente creativa; Loman trovò il vero evangelista creativo nella Chiesa stessa, che vide il riflesso delle sue proprie esperienze al di fuori di sé.
Van Manen oppone il simbolismo di Loman e prende la seguente posizione: i vangeli ci danno, è vero, la storia di un uomo; quest'uomo, tuttavia, resta inconoscibile a noi, ed è descritto come Dio-uomo dal principio. Infine il professor Bolland combina le opinioni di van Manen e Loman considerando la storia del vangelo come la storia del Dio-uomo, che deve la sua esistenza terrena alla necessità della Chiesa (o, in altre parole, alla moltitudine non-filosofica), semplicemente perché come pura Idea egli deve necessariamente rimanere a loro sconosciuto. L'immagine di Cristo fu così deliberatamente creata nell'interesse della Chiesa, e fu senza dubbio derivata dagli gnostici, che possono facilmente essere supposti di aver vissuto nell'Alessandria dei giorni di Filone e in seguito.
Prima di Bolland gli studiosi della critica radicale olandese avevano prestato poca attenzione alla connessione tra il più antico cristianesimo e la filosofia del periodo. Le dotazioni filosofiche e di formazione che sono necessarie per la soluzione del problema in questione erano per la prima volta unite in Bolland, egli stesso un professore di filosofia, che era di casa come pochi altri sono stati nel mondo del pensiero dell'antichità, e in particolare aveva fatto uno studio speciale del più tardo stoicismo e della filosofia di Filone. In numerosi scritti, che, come c'era da aspettarsi, furono a volte aperti alla critica in questioni di dettaglio, Bolland, dopo aver raccolto tutto il materiale che è stato finora messo a disposizione, ha cercato di dire la parola che deve portare ordine in questo caos. La parola, secondo lui, è Teosofia, in cui non solo il fattore poetico che è portato alla ribalta da Loman, ma anche il fattore filosofico, riceve adeguata considerazione.
In quale altro modo si può spiegare il fatto che le forze di cultura greca si arresero al cristianesimo? La saggezza delle grandi scuole filosofiche ha trovato un rifugio e risiede nascosto nel vangelo; così il platonismo di Alessandria, Filone, e il tardo stoicismo sono tutti fattori che sono di primaria importanza in ogni indagine sull'origine del cristianesimo.
A questo proposito Bolland sta più vicino a Bruno Bauer; il primo, tuttavia, ha avuto il vantaggio di tutto il lavoro che è stato fatto dagli studiosi olandesi fin dai tempi di Bruno Bauer nel continuare la sua opera e il suo approccio a vecchi problemi con freschi criteri per la loro soluzione.
(Radical views about the New Testament, pag. 24-58)

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