sabato 4 aprile 2015

Le Vere Origini del Mito Cristiano


ISTRUZIONI CRISTIANE: Consistono nel raccontare sacre favole e nel combattere la ragione dei fedeli da istruire. Queste sublimi funzioni appartengono esclusivamente al clero che gode del diritto divino di rendere i popoli sufficientemente imbecilli e pazzi per soddisfare i loro interessi. 
 (Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Il cristianesimo, pur avendo radici ebraiche, arrivò dopo, non prima, in Israele. Gesù, gli apostoli e Paolo non sono mai esistiti. Tutta la letteratura sacra cristiana, tranne il primo strato dell'Apocalisse, risale al II secolo e fu prodotta da ebrei fortemente ellenizzati della Diaspora, non dagli ebrei meno ellenizzati di Israele. Furono i primi, non i secondi, ad inventare e storicizzare gradualmente la figura non-storica nota come ''Gesù detto Cristo'' e a retrodatarla nell'Israele pre-70, sulla solida ''roccia'' ebraica. Quando il cristianesimo infine arrivò in Israele, i veri ebrei non potevano che considerarla come una religione del tutto fredda, aliena, estranea, in altre parole: soltanto l'ennesimo tentativo ellenistico di invadere e corrompere Israele.

Così, un giorno ti svegli, e cerchi di immaginare come andarono veramente le cose:

70 E.C. L'assedio, un costante, duro attacco gravato quattro anni sulla popolazione ebraica da parte degli eserciti dell'Impero Romano di stanza in Giudea (ora Israele), si conclude con l'annientamento di una nazione e di un popolo. La distruzione e il saccheggio del loro singolo, grande luogo santo, il loro tempio imponente, il loro punto di conforto, di orgoglio, una casa simbolica sulla terra per la loro strana e particolare mitologia ... in un attimo tutto è andato, svanito, evaporato; no, peggio ancora, tutto è incrinato, rotto, insanguinato, violentato, schiavizzato, mortificato, annichilito. E tutte le tribù di Israele ora ridotte alla schiavitù di un Impero che insieme disprezzavano e temevano.

 
70 E.C. Quella grande crisi sprigiona idee che fino a quel tempo si erano limitate a restare ai margini, se coltivate del tutto. Vengo a sapere da Flavio Giuseppe e da Tacito dei prodigi  testimoniati prima della Caduta del Tempio.
S'eran verificati dei prodigi; prodigi che quel popolo, schiavo della superstizione ma avverso alle pratiche religiose, non ha il potere di scongiurare, con sacrifici e preghiere. Si videro in cielo scontri di eserciti e sfolgorio di armi e, per improvviso ardere di nubi, illuminarsi il tempio. S'aprirono di colpo le porte del santuario e fu udita una voce sovrumana annunciare: «Gli dèi se ne vanno!» e intanto s'avvertì un gran movimento, come di esseri che partono. Ma pochi ricavavano motivi di paura; valeva per i più la convinzione profonda di quanto contenuto negli antichi scritti dei sacerdoti, che proprio in quel tempo l'Oriente avrebbe mostrato la sua forza e uomini venuti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del mondo. Questa oscura profezia annunciava Vespasiano e Tito, ma il volgo, come sempre sollecitato dalla propria attesa, incapace di fare i conti con la realtà anche nei momenti più difficili, interpretava a suo favore un destino così glorioso.
(Tacito, Storie, V, 13)
Non bastò la Prima Guerra Giudaica a stradicare quelle speranze apocalittiche e messianiche, tantomeno l'opportunistica attribuzione del titolo di Messia all'imperatore vincitore sul campo.
Si doveva aspettare la Seconda Guerra Giudaica per il totale annichilimento di quell'antico fervore, con la Terza Guerra Giudaica come mero effetto collaterale innescata da cause ben più prosaiche e non religiose.
Il Libro dell'Apocalisse, scritto probabilmente nel suo primo strato ebraico intorno al 95 E.C., prova l'esistenza di questo intenso fervore messianico-apocalittico e la sua inquietante evoluzione in una nuova forma. Ma prima ancora dell'Apocalisse, Flavio Giuseppe e Tacito già confermano la STESSA profonda certezza di tutti gli ebrei, dentro e fuori Israele, di quel tempo: un punto che va enfatizzato e sottolineato al massimo.

È estremamente importante comprendere che gli ebrei aspettavano con bramosa smania di vendetta il loro PROFETIZZATO Cristo esattamente nei fatidici e cruciali anni 66-70 E.C. Il Messia davidico ebraico PROFETIZZATO nelle Scritture era creduto REALMENTE VIVO dalla stragrande maggioranza degli ebrei (perfino dagli ebrei della Diaspora) durante la ribellione di Israele contro Roma avvenuta nel 66-70 E.C. E oltre che vivo, atteso da un momento all'altro, SUL PUNTO di uscire allo scoperto e di manifestarsi in tutta la sua potenza. Il messia davidico era NATO, era VIVO, era ADULTO e dunque prossimo ad uscire dall'ombra per cingere la corona che gli spettava per diritto divino. Potevano esserci divergenze qualora alcuni ebrei fossero tanto audaci da già scommettere su questo o quel candidato specifico, ma al di là delle singole preferenze sovrastava unica e sola la profonda fiducia nel fatidico, imminente realizzarsi delle profezie sul Messia Liberatore: solo ai fatti restava il compito di confermare CHI fosse veramente il Messia, TRA tutti gli ebrei di quel periodo.
Ma quello che maggiormente li incitò alla guerra fu un'ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo. Questa essi la intesero come se alludesse a un loro connazionale, e molti sapienti si sbagliarono nella sua interpretazione, mentre la profezia in realtà si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore in Giudea. Tutto ciò sta a dimostrare che gli uomini non possono sfuggire al loro destino nemmeno se lo prevedono. Così i giudei alcuni presagi li interpretarono come a loro faceva piacere, altri non li considerarono, finché la rovina della patria e il loro sterminio non misero in chiaro la loro stoltezza.
(Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica 6.5.4)

Lo stesso Svetonio ammise che la speranza messianica era un credo RADICATO oramai da tempo e soprattutto, per TUTTO L'ORIENTE. Dovunque c'erano due o più ebrei raccolti nell'Impero romano, quella speranza germinava nelle loro menti.
Tutto l'Oriente credeva, per antica e costante tradizione, che il destino riservasse il dominio del mondo a gente venuta dalla Giudea a quel tempo. Applicando a se stessi questa profezia, che riguardava invece un generale romano, come gli eventi successivi dimostrarono, i Giudei si ribellarono, misero a morte il loro procuratore e volsero anche in fuga, dopo essersi impossessati di un'aquila, il legato consolare di Siria che arrivava con i soccorsi.
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 5)
Dopo la Prima Guerra Giudaica del 66-70 E.C., Il Messia NON si manifestò e il Tempio ebraico, e con esso Gerusalemme, fu distrutto dai romani.
 
Gli ebrei collaborazionisti col nemico, come Flavio Giuseppe, cercarono come potevano di persuadere i loro contemporanei, se non della quasi provocatoria identificazione del Messia con l'imperatore romano, quantomeno della realizzazione di ben'altra profezia, quella che voleva ancora una volta Dio adirato col suo Israele per avere il popolo, trascinato dagli zeloti, infierito sugli innocenti e sugli inermi.
Chi ignora ciò che fu scritto dagli antichi profeti, e l'oracolo che incombe su questa misera città e che sta ormai per avverarsi? Predissero che essa sarebbe stata espugnata quando qualcuno avesse cominciato a far strage dei suoi connazionali.
La città e il tempio intero non sono ora ricolmi dei cadaveri delle vostre vittime? E’ il Dio, è certamente il Dio in persona che insieme coi romani vi porta il fuoco purificatore e distrugge la città con il suo enorme carico di nefandezze.

(Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, 6.1.2)
Due certezze si fusero tra loro, come estrema, radicale teodicea che spiegasse l'origine del MALE:

1) la certezza, fino al limite dell'inganno e dell'auto-inganno, che il Messia era VIVO durante gli anni 66-70.

2) la tragica realtà che Dio aveva punito i ribelli per via della loro crudeltà sfogata contro gli stessi ebrei.

Quindi sembra davvero probabile, alla luce del FATTO puro, semplice e definitivo che il Libro dell'Apocalisse risale al 95 E.C. (un FATTO che necessita di una spiegazione), che quelli ebrei o semi-ebrei che per qualsiasi ragione di sorta non si facevano più illusioni sulla bontà della vecchia gerarchia sacerdotale dell'establishment e d'altro canto neppure si rassegnavano di buon grado ad accettare nel loro animo la sottomissione all'arrogante vincitore pagano, avessero mostrato una piuttosto intensa riflessione spirituale, foriera dei più imprevedibili e originali risultati, al risveglio della coscienza.

Lascia allora che delle voci si diffusero di un Messia che doveva soffrire, e solo dopo trionfare.
Di un Messia che era già apparso e che tutti sentivano fosse già apparso. Di un Messia che aveva già subìto tutto quello che fu predetto dai profeti. Tutte queste voci non avrebbero riscosso un relativamente ampio seguito all'istante, dato il momento e dato il dramma e la minaccia profilatosi dell'estinzione imminente di un'intera civiltà sull'orlo del collasso più irrimediabile?


L'originario culto ''cristiano'' - che di cristiano ancora non aveva nulla - cominciò quando si diffusero le voci che volevano il Messia UCCISO dalla stessa corrotta GERUSALEMME che aveva attirato, così facendo, su di sè il Disastro del 70. Non si trattava ancora del Messia davidico. Quel Messia sarebbe dovuto arrivare da vincitore ancora nell'imminente futuro. Il Messia assassinato era il Messia bar Joseph, della cui morte, espiatrice dei peccati di Israele, proprio a ridosso del 70 si speculava.

Questo è documentato.


Sommario. L'autore rivede la frequente affermazione che la morte del Messia ben Joseph non ha significato espiatorio. Un esame della letteratura rabbinica dalla Rinascita all'epoca del tempio, e una considerazione dello sfondo concettuale della morte espiatoria nel medioriente, suggerisce che questa vista è errata, e che la morte del Messia Ben Joseph fu invero vista come un'espiazione in ogni periodo. 

 Lo stesso studioso ebreo ritiene che l'evidenza del credo in un Messia ben Joseph sofferente e distinto da un vincitore Messia ben David risalga già alla metà del I secolo.

La comunità ebraica dietro l'Apocalisse si distinse dalle altre allorchè compì un altro, cruciale passo: intravide (o eclissò) il sofferente Messia ben Joseph dietro lo stesso, ancora venturo, Messia ben David. E confermandone la ''presenza'' nelle stesse costellazioni astrali, non esitò ad elevarne la figura alle stesse celestiali e metafisiche altezze.

Quello che propongo dunque è la più radicale delle ricostruzioni miticiste, e tuttavia la più semplice e quella con meno ipotesi gratuite.

L'originario culto cristiano cominciò quando una storia si diffuse che gli EBREI DI GERUSALEMME uccisero il Figlio di Dio DOPO che scese giù dal cielo.

L'INTERO CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO, il mito di Gesù e i culti relativi furono composti e iniziati DOPO la Caduta del Tempio ebraico nel 70 E.C. e DOPO che si affermò il mito che gli EBREI di Gerusalemme uccisero il Messia profetizzato nelle Scritture.

I primi ''giudeocristiani'' erano veri Ebrei che CREDEVANO, nella più assoluta assenza di prove, che gli Ebrei di Gerusalemme ASSASSINARONO il Messia davidico DOPO che egli discese dal cielo.

Fu dunque la Caduta del Tempio nel 70 E.C. che provocò l'invenzione del personaggio mitologico chiamato ''Gesù'' assassinato dagli ebrei.

Queste storie su Gesù erano da allora sempre esistite; e le varie sette scisse dell'ebraismo che avevano incontrato l'antica filosofia greca avevano ampliato la loro visione psicologica per includervi la nozione di uno spirito di Dio, "Logos", l'inconoscibile, che era di là di tutte le cose, che divenne tutte le cose. Altre sette flirtavano e si crogiolavano nei culti di Dioniso e Mitra, nel culto dei semidèi, uomini che vennero sulla Terra per insegnarci a vivere, per morire appesi su un albero e poi risorgere, dandoci dono del loro sangue e della loro carne, del vino e del pane, dell'uva e dell'orzo e del grano... Ogni cultura ha avuto questo mito; o quasi. Gli ebrei non lo avevano, ma finirono anch'essi per incorporarlo e farlo proprio. Ai margini.

Allo stesso punto, allo stesso momento, la Storia stava per essere ricordata da dozzine di menti e di mani per tutte le vastità dell'Impero Romano, dall'Egitto fino a Roma stessa e presso ogni principale centro ellenistico nel mezzo - e nessuno, sottolineo NESSUNO, seppe o ricordò o testimoniò anche solo la minima cosa circa un singolo, magico uomo che operò dei miracoli in terra di Giuda.

 Al contrario, brulicavano una moltitudine di notizie sulla varietà di culti misterici e dei folli e raminghi predicatori radicali, che nella sola civiltà ebraica stavano abbandonando già l'ebraismo tradizionale nella direzione sia del Logos - e per di lì, alla Gnosi - che di Dioniso, Adone, Attis e degli altri Semidèi. La maggior parte di essi scomparve semplicemente dalla Storia senza lasciare alcuna traccia di sè, perchè non ne meritavano alcuna. Alcuni altri furono messi a morte. Molti erano perfino chiamati Yeshua, che era un nome piuttosto comune tra gli ebrei dell'epoca.  Il nome di Gesù — un reale nome in Israele — era destinato al nuovo liberatore nella misura in cui rifletteva le più malsopite e recondite speranze di salvezza e di sopravvivenza in un mondo tutt'intorno ostile.

Tre titoli, ''Messia'', ''Giosuè'' e ''Figlio di Dio'', fusi quasi inconsciamente nella nostra mente dopo la tentata cancellazione totale e definitiva di un intero modo di vivere e d'essere, seguita da falsità, falsificazioni, propaganda e invenzioni durate oramai 2000 anni. Tre titoli combinati più tardi in un'allegoria che ha raccontato una storia diversa; la storia dell'estinzione legittima del Vecchio Israele, e della sua sostituzione, preordinata dal Signore, per permettere alla tribù di mutare, trapassare e sopravvivere in una nuova Identità. Che altro si rivelò in realtà se non la nichilistica negazione in marcia dell'antica.

Quando l'antica autorità irradiante i suoi raggi dal Tempio non c'era più, demolita e distrutta, fu possibile per la prima volta alle sette e circoli vari, fino ad allora condannati a debita distanza, di colmare una lacuna, nel crepuscolo delle antiche certezze. "La natura aborre il vuoto", e lo riempie con tutto ciò che è nelle vicinanze.

Un Altro Dio, un Dio Straniero, era destinato nel II secolo ad apparire all'orizzonte per supplire alle deficienze del Creatore dio degli ebrei. Gli dèi che muoiono e risorgono avrebbero presto trovato un rivale a loro straordinariamente sempre più simile, e tuttavia paradossalmente loro mortale nemico.
Le storie dell'Antica Torah sarebbero state avvolte una dopo l'altra nel nuovo testo sacro, per farlo sembrare come se il suo contenuto fosse stato tutto già "ordinato" e "profetizzato", oppure altrimenti ''smentito'' e ''confutato''.

La propaganda richiedeva una letteratura. Questa fu fornita parzialmente dall'amplificazione degli esistenti libri ebrei, come nel caso dell'Insegnamento dei Dodici Apostoli; parzialmente mediante trattati teologici in forma epistolare, come quelli attribuiti a ''Paolo''; e parzialmente convertendo il dramma rituale della crocifissione di Giosuè e resurrezione di Giosuè il Messia - Cristo - nella forma narrativa che assume nei vangeli.

Ma era solo tutto quanto un'intelligente e pervicace riscrittura di antichi miti esistenti, lentamente, attraverso decine di nuovi testi, correggendosi l'un l'altro, sostituendosi uno ogni altro, in rivalità l'un con l'altro, ed eventualmente ridotti a quattro, nella malcelata imitazione dell'unico Più Antico Vangelo, più alcune lettere e nuovo materiale aggiunto, interpolato, falsificato, inventato e venduto come la suprema Rivelazione del Cristo.

Ecco perché non ci sono autori dei ''vangeli''. È per questo che si costruiscono goffamente l'uno sull'altro, avvolgendosi tra loro nella spirale creativa della ripetizione midrashica come un eterno esercizio letterario senza fine e senza posa. Un esercizio mai terminato e a cui è condannato la nostra stessa prospettiva culturale, perchè solo così l'esistenza storica di Gesù può essere presa per garantita: senza quell'esercizio continuo di rielaborazione e riproposizione moderna dello stesso mito e delle fondamenta del mito, Gesù diventerebbe altrettanto mitico o fittizio come Robin Hood e Superman.

Ecco perché nessuno di quei vangeli ha mai convinto e convincerà davvero, perchè tutti loro sono per natura intimamente auto-contraddittori, mera propaganda, commedia religiosa, sacro dramma, non Storia e tantomeno ''Storia ricordata''.

E fino a quel punto, fino al 70 E.C., quando il loro maestoso, prezioso Tempio fu distrutto e saccheggiato, l'argento e gli oggetti religiosi saccheggiati dai soldati romani ... Fino a quel momento, non c'era mai stato nessun “Gesù Cristo.” Nessuna menzione di Pietro, Giacomo e dei 12. Nessuna “Buona Novella”. Nessun Paolo.

Non c'era mai stata nessuna saga, nessun indizio, nessuna Storia ricordata, nessun ricordo o qualcosa di simile ad un ricordo, di una figura chiamata “Gesù Cristo” autore di chissà quali ‘miracoli’ fino a quando la tribù ebraica non fu crudelmente assassinata nel mondo antico nonchè minacciata nella sua stessa esistenza.

L'INTERO Canone e il Mito di Gesù sono invenzioni post 70 E.C.

Se non ci fu nessun reale culto gesuano nel primo secolo quasi immediatamente le persone istruite che avevano accesso alle opere degli scrittori e storici del primo secolo avrebbero realizato che il culto gesuano era sprovvisto di qualsiasi Storia nel I secolo.

Contro i Galilei di Giuliano:
...dei quali se uno solo si trova ricordato fra gli illustri del tempo - queste cose avvenivano sotto Tiberio e sotto Claudio -, dite pure che anche pel resto io sono impostore.
Secondo il filosofo pagano Ierocle la storia di Gesù fu raccontata da uomini che erano BUGIARDI.
Eusebio, "Contro Ierocle", II:
Poco dopo aggiunge: «Bisogna tenere in considerazione anche questo: che le opere di Gesù sono state raccontate da Pietro e Paolo e da alcuni altri a loro vicini, bugiardi, ignoranti e ciarlatani, mentre quelle di Apollonio da Massimo di Aigai, dal filosofo Damis, suo compagno di viaggi, e da Filostrato di Atene, uomini di grande cultura e rispettosi della verità, i quali, per amore dell'umanità, non hanno voluto che fossero dimenticate le imprese di un uomo nobile e caro agli dèi». Queste sono le precise parole dette da Ierocle, che ha scritto contro di noi il trattato l'Amico della verità.
 



Questo è ciò che mangiamo. Questo è dove viviamo. Ecco perché le cose sono come appaiono. Perché abbiamo una profonda schizofrenica Idra dalle molte teste al centro di tutto ciò che possiamo chiamare la nostra matrice ''ebraico-cristiana'' e ''greco-romana''.

E così, al termine del processo, siamo tutti quanti "cattolici romani." Se qualcosa può vendere, può persuadere, può imbonire, a partire dal mercato religioso, dall'alto del pulpito dei folli apologeti proto-cattolici con le loro mani nocchiute e sporche di sangue e larvate di ipocrisia, allora è "buono". Se non può farlo, allora  è "male". Questa è la nostra moralità. Questo è dove viviamo. Questo è il cuore lacerato e contraddittorio del nostro mitico mondo moderno inquinato dal morbo cattolico che vuole essere buono, vuole essere gentile, vuole amare e preservare il mondo ... ma non ci riesce, perché deve vendere tutto, spacciandolo per ''veritiero'', ''profondo'', ''intimo'', ''essenziale''. Ma oramai, svelato il miraggio di Gesù per quello che è - solo un curioso pasticcio letterario derivato da parecchie fonti conosciute, più farsesche in realtà che uniche, tantomeno soprannaturali -, è possibile finalmente neutralizzare in anticipo i teologi cristiani sotto mentite spoglie, dileggiando e ridicolizzando i loro schifosi dogmi e articoli di fede, il loro immondo veleno intellettuale, la loro spazzatura mentale, destrutturando da ultimo le loro finora intoccabili fonti di potere, per accellerare la scristianizzazione della nostra Europa e dell'intero mondo libero. Ci sono un sacco di accademici che dubitano dell'esistenza di Gesù. Soltanto, non insegnano nei Dipartimenti di Teologia. Noi tutti dovremmo vedere nel cristianesimo una forza che impedisce, mediante un continuo indottrinamento e una costante intolleranza - oltre che il solito vittimismo cristiano tipicamente apologetico -, il vero apprendimento scientifico.
Nihil enim in speciem fallacius est quam prava religio.-Liv. xxxix. 16.

2 commenti:

Walt ha detto...

Ciao, ho letto "in onore di Marcione" e mi ha lasciato di stucco. Certe sottigliezze ma che delineano la frontiera tra il dio giusto e il dio d'amore credo che sia la prima volta in Italia che le trovo su internet. Magari in Francia le trovi ad esempio nella tesi di Yves Maris e presso il filologo André Sauge, il quale scrive che il nuovo testamento é stato scritto o compilato contro altri cristiani. Io sono interessato a quei cristiani medievali definiti "catari". Ho un blog con qualche pastrocchio e se può far piacere ti cito nel prossimo articolo su Marcione. Ciao Walter

Giuseppe Ferri ha detto...

Ciao Walt,

ti riferisci a questo post. Onorato dalla pubblicità che intendi fare, anche se più che altro tendo a scrivere per me stesso (e alcuni post del passato, come in questa pagina, non rispecchiano le mie opinioni più recenti). Vedo che anche il tuo blog è piuttosto intrigante. Sarei curioso (e immensamente grato) se potessi pubblicare qualcosa sull'uso dell'Ascensione di Isaia tra i Catari. Scriverò anch'io qualcosa a proposito.

Cordialità,

Giuseppe Ferri