lunedì 8 giugno 2015

Paolo l'Apostolo: una pura Invenzione del II secolo oppure la Prova dell'inesistenza di Gesù?

...all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me...
(Atti 22:6)
PAROLE: Nell'uso comune, le parole sono destinate a dipingere oggetti reali, esistenti e conosciuti. Nella teologia, le parole sono destinate a dipingere parole.
 (Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Richard Carrier non smette mai di stupire.

Qui scrive le sue idee sulla storicità di Paolo. Si pone nettamente contro la tesi dei Critici Radicali antichi e moderni.

Eppure devo essere critico di Richard Carrier sul seguente punto (e non solo perchè mi cita nell'articolo in qualità di commentatore del suo blog):
there is no reason to doubt that the author was Paul. No motive existed then to invent that name.

Un motivo per sospettare a priori ci sarebbe, a dire il vero.

Così Matteo 5:17-19:
Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà chiamato piccolo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli.

questa possibilità dovrebbe quantomeno insinuare il sospetto che l'invenzione dell'immagine di un 'PICCOLO' (Paulus!) Unico Vero Apostolo per eccellenza sarebbe stata di certo nell'interesse di coloro che si sarebbero sbarazzati volentieri dell'osservanza scrupolosa della Torah, appunto per fare intenzionalmente il verso alla metafora matteana. Cosa sto dicendo è che se Matteo non avesse introdotto la prima volta nella Storia quella dicotomia 'osservanza della Torah'/'libertà dalla Torah' mediante la metafora ''grandi''/''piccoli'', non avrebbe fornito il destro ai rivali marcioniti di creare l'efficace propaganda di Paolo l'Apostolo, formidabile campione della libertà dalla Legge e pertanto emblema più che legittimo di tutti i ''piccoli''.

Il folle apologeta Epifanio insisteva che gli ebioniti prendono il loro nome dal loro fondatore, Ebion, confermando l'esistenza di 'Ebion storicisti'. Se tu dubiti di Ebion a priori per via dell'ovvio significato simbolico che si trascina (non solo per il nome, ma per il contesto in cui viene utilizzato, come giustificazione da prendere sul serio sull'origine degli ebioniti) allora perchè non dubitare dell'uomo di nome Paolo dato il contesto in cui viene utilizzato?

Sappiamo di addirittura tardi gruppi cristiani che si facevano chiamare ''i Piccoli''.

Dall'Apocalisse di Pietro:
Dissimulando, con ciò, di conoscere il castigo stabilito contro coloro che anche solo concordano con quelli hanno agito così verso i piccoli - coloro che concordano con quelli che hanno visto fare prigionieri i piccoli. Ma vi saranno ancora altri, tra coloro che non sono nel nostro numero, che si chiameranno «vescovi» anche «diaconi», quasi che essi abbiano ricevuto da Dio la piena autorità. Costoro si mettono a tavola seguendo la legge dei primi posti: sono canali senz'acqua!
Dalla Seconda Apocalisse di Giacomo:
In verità, in vista di quanti sono venuti, essi compiranno un esodo: io so, infatti, che chiunque è stato portato giù (con violenza) in questo luogo verrà da me, come vengono da me piccoli fanciulli; e siccome io desidero venire manifestato a lui attraverso te e lo Spirito di potenza, egli (lo Spirito) ne darà rivelazione a quelli che sono tuoi.
E il simbolismo associato al nome ''Paolo'' non è sfuggito neppure al Dr. Detering:
Inoltre, che il nome di Paolo potrebbe già essere concepito in senso figurato dallo scrittore delle lettere paoline si vede chiaramente in 1 Corinzi 15:9, dove Paolo parla di sé stesso come l'ultimo e il più piccolo, come un aborto spontaneo per così dire. B. Bauer ha correttamente commentato su questo: “Egli è l'ultimo, l'imprevisto, la conclusione, il caro annidato. Anche il suo nome latino, Paolo, esprime piccolezza, che è in contrasto con la maestà a cui è elevato dalla grazia nei passaggi precedenti della lettera.
Bauer giustamente richiama l'attenzione sul significato teologico del concetto di piccolezza. In realtà, al di là di Bauer, che ancora non aveva questa connessione in vista, si deve considerare che, proprio per i marcioniti e ovviamente già per i Simoniani pure, ai quali questo risale - la parola “Paolo”, esprimeva tutto ciò che costituiva il nucleo della loro teologia e per cui le lettere di Paolo offrono continua testimonianza. Dov'è la liberamente occorrente, inannunciata e incondizionata elezione per grazia meglio illustrata che proprio dall'inferiore, l'incompleto, da un bambino, da un piccolo?

(The Falsified Paul, pag. 146-147, mia libera traduzione)
Il viceversa potrebbe altresì essere accaduto, e cioè che Matteo, nel fare quella metafora, aveva precisamente Paolo e i seguaci di Paolo in mente. Ma in quel caso non si sa per quale motivo Matteo non sarebbe stato più esplicito se il suo bersaglio polemico fosse stato fin dall'inizio Paolo e non i paolini. Marco, ad esempio, sembra alludere più chiaramente a Paolo parlando dell'esorcista solitario (quantomeno perchè usa il singolare per riferirsi a costui), ma sorge il sospetto che Matteo sia anteriore a Marco, qualora adottassi la soluzione al Problema Sinottico offerta dal prof. Klinghardt (che prevede prima Mcn, poi Matteo, poi Marco e infine Luca).

Quindi a livello di probabilià a priori, io penso che le probabilità sono pari per dubitare o meno della storicità di Paolo: 50-50.

Si noti però nella risposta che mi ha dato Richard Carrier che lui deve supporre gratuitamente, perchè fosse stato un reale predicatore del 50 EC a darsi come nomignolo ''Paolo'' (come lui ritiene più probabile che fosse normale pratica dei cristiani di allora cambiare nome dopo il battesimo), che quel predicatore fosse esattamente a conoscenza del simbolismo dietro quel nome perchè sarebbe stato nel suo interesse fingersi piccolo, umile, ''ultimo tra gli apostoli'' allo scopo di ottenere in cambio maggiore potere e consenso. Quindi assisto a quattro fatti contemporaneamente:

1) che il nome di ''Saul'' è chiaramente dato a Paolo dall'autore di Atti, prendendolo in prestito da Flavio Giuseppe. E che tutta la leggenda di Tarso, di Saulo persecutore e di Paolo persecutore presente in Galati 1, deve chiaramente la sua origine ad Atti. Su questo non c'è la minima ombra di dubbio.

2) che è più probabile, visto il simbolismo dietro il nome 'Paolo', che fosse un soprannome adottato da Paolo in persona (nell'ipotesi fosse esistito) - in coerenza con l'antica pratica cristiana di cambiare nome dopo il battesimo - piuttosto che invece un nome suo proprio fin dalla nascita (nell'ipotesi fosse esistito).

3) che se il Paolo storico scelse di chiamarsi Paolo dopo il battesimo, lo fece al solo scopo di ostentare finta umiltà presso gli altri cristiani e dunque per pura tattica apologetica. Questo implica, contro Carrier, che se tu ritieni storico Paolo, devi supporre gratuitamente, perchè questo punto 3 sia valido, un difetto morale in Paolo (la precipua volontà di ingannare mostrandosi finto umile) e perciò devi emettere un giudizio morale su Paolo. Dopo 2000 anni. Per fare questo dovresti abbassare, sia pure di poco, la tua probabilità a priori.

4) che è atteso al 100%, dovendo i marcioniti fabbricare una figura di super-apostolo a tavolino, inventarsi uno col nome di Paolo, in perfetta coerenza con un sacco di allusioni evangeliche all'importanza di chi sembra piccolo ma nasconde già in sè stesso la propria grandezza (la parabola del granello di senape, oppure il seme che produce buon frutto nella parabola del seminatore, al contrario del seme che cade sul terreno pietroso,
ἐπὶ τὰ πετρώδη, cioè su ''Pietro'', l'amore di Gesù per i piccoli, l'ammonimento evangelico che i primi saranno gli ultimi, e soprattutto la reazione a Matteo 5:17-19).


Ma vediamo ora un rapido accenno alle probabilità a posteriori se sono favorevoli all'una o all'altra ipotesi (senza pretendere ovviamente di esaurirle tutte in un mero blog).

Fortuna vuole che Paolo, se sia esistito veramente, avesse legato il suo nome, tra le lettere a lui attribuite, in particolare a quella di Galati. È quella lettera infatti che prima facie supporterebbe la fiducia nella storicità dell'Apostolo, perchè sembra riflettere davvero drammaticamente le tensioni e i problemi affrontati quasi in tempo reale da un reale predicatore di Cristo del 50 EC, sembrando una lettera e non un mero trattato teologico travestito da lettera.

Se credi che Galati sia autentica, allora non c'è motivo di mettere in discussione l'autenticità delle altre lettere attribuite a Paolo.
Se credi che Galati NON sia autentica, allora dubita pure della genuinità dell'intero Corpus paolino.

Allora vedo qualcosa di strano in Galati in relazione ad Atti degli Apostoli (che, com'è noto, è pura tendenziosa propaganda protocattolica).

Sembrerebbe che in Atti degli Apostoli ci siano due storie tra loro parallele su Pietro e Paolo parzialmente intersecate tra loro eppure facilmente discernibili.

La prima storia, filtrata letteralmente dal testo di Atti, riguarda precisamente Paolo.

Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli.
Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

(Atti 15:1-4)

Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro.
(Atti 15:12)

Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea, consegnarono la lettera. Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, con un lungo discorso incoraggiarono i fratelli e li fortificarono. Dopo un certo tempo i fratelli li congedarono con il saluto di pace, perché tornassero da quelli che li avevano inviati. Paolo e Bàrnaba invece rimasero ad Antiòchia, insegnando e annunciando, insieme a molti altri, la parola del Signore.

(Atti 15:22-35)
La seconda storia, anch'essa filtrata dal testo di Atti, riguarda parallelamente Pietro.
Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.
Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: «Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mezzo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede. Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro».

(Atti 15:5-11)

Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse:
«Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
Dopo queste cose ritornerò
e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta;
ne riedificherò le rovine e la rialzerò,
perché cerchino il Signore anche gli altri uomini
e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,
dice il Signore, che fa queste cose,
note da sempre.
Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».

(Atti 15:13-21)
Lo schema è il medesimo.

1) i giudaizzanti mettono zizzania tra i cristiani per quanto riguarda l'osservanza della Torah.
2) l'eroe di turno interviene con eccezionale tempismo per stroncare il dissidio sul nascere, con tanto di rimproveri e ammonimenti.
3) si arriva ad un armonioso compromesso tra cristiani di estrazione ebrea e cristiani di estrazione pagana.

Ma in Galati 2 succede qualcosa di diverso.
Da parte dunque delle persone più autorevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno – quelle persone autorevoli a me non imposero nulla. Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.
Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.
Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».

(Galati 2:6-14)
Si noti lo schema:

1) inizialmente, un compromesso sembra essere nell'aria tra Paolo e i Pilastri di Gerusalemme.
2) dei giudaizzanti mettono zizzania tra i cristiani di Antiochia per quanto riguarda l'osservanza della Torah.
3) Paolo interviene con eccezionale tempismo per stroncare il dissidio sul nascere, con tanto di rimproveri e moniti.

Sorge spontanea la domanda:
chi ha copiato da chi?

Chiaramente, se dovessi rispondere che la versione di Galati è basata su Atti degli Apostoli, dovrei concludere che non fu il Paolo storico a scrivere quella parte centrale della lettera, dopodichè nulla mi impedirebbe poi di estendere il dubbio su tutte le altre lettere e a quel punto non avere più alcun motivo di credere ancora alla storicità dell'uomo chiamato Paolo.

 Dunque, in Atti abbiamo
1) dissidio
2) intervento dell'eroe
3) compromesso.

mentre in Galati l'ordine è diverso:
1) compromesso
2) dissidio
3) intervento dell'eroe.

Se invece Galati si stava basando su Atti, allora il suo autore (intendo l'autore di quella parte precisa di Galati 2) avrebbe collocato il compromesso all'inizio del pattern, allo scopo di ribadire l'indipendenza finale di Paolo da ogni compromettente mediazione di sorta con Pietro e Giacomo, in quanto più congeniale alla sua teologia.

Se invece la versione di Atti veniva dopo quella di Galati, allora il suo autore voleva far credere che Paolo trovò infine un accordo con Pietro e Giacomo, quando in realtà Paolo avrebbe rotto ogni relazione con loro dopo l'increscioso episodio di Antiochia. Perciò l'autore di Atti avrebbe in quel caso modificato l'ordine degli episodi, collocando il compromesso alla fine invece che all'inizio come in Galati.
Ma così facendo, l'autore di Atti sarebbe stato indotto a creare esatti paralleli tra la vicenda di Paolo e la vicenda di sua creazione relativa a Pietro. È un fatto stabilito che quei paralleli ci sono ma quello che voglio dire è che quei paralleli instaurati tra Pietro e Paolo (relativamente al dissidio sorto in seno alla comunità primitiva) sarebbero i meri effetti collaterali della necessità di pseudo-Luca di dover adattare innanzitutto il pattern di Paolo in Atti sul pattern di Paolo in Galati, e solo secondariamente di dover adattare il pattern di Pietro in Atti sul pattern di Paolo in Atti appena creato.
La sequenza delle fabbricazioni nell'ordine sarebbe la seguente:
1) pseudoLuca modifica il pattern di Paolo in Galati per offrire la sua propria versione.
2) pseudoLuca è costretto - in coerenza con la sua caratteristica tendenza ad omologare Pietro e Paolo in ogni episodio che li riguardi - ad adattare a sua volta il pattern di Pietro in Atti col pattern di Paolo appena modificato al punto 1.

Sembrerebbe insomma che supporre Atti posteriore a Galati 2 comporta davvero la necessità di ipotizzare maggiore fatica editoriale da parte dell'autore di Atti pur di preservare il parallelismo tra le vicende di Pietro e di Paolo anche nel caso specifico in cui si sta modificando il pattern presente in Galati per via di un disaccordo teologico, perfino al costo (sic) di tradire ingenuamente una differenza eclatante col racconto di Galati (che quindi darebbe adito a legittimi sospetti sull'onestà di pseudoLuca).

Ora si esamini cosa succederebbe invece qualora si ipotizzi già a priori che Galati 2 fu scritto dopo Atti (e perciò, non fu scritto da Paolo) ed in reazione ad Atti (e perciò, più probabilmente da un marcionita, se non da Marcione in persona).
Il falsario nel nome di ''Paolo'' avrebbe modificato l'ordine temporale degli eventi riscontrato in Atti per quanto riguarda Paolo, così da evidenziare ora l'abissale differenza che contrapponeva il suo Paolo dal Pietro di Atti:
1) Paolo era rimasto indipendente fino all'ultimo, non essendo mandato da nessun'altro a Gerusalemme se non da Cristo stesso (e perciò non rispondendo a nessuno delle sue azioni se non a Cristo stesso).
2) il Pietro di Atti si ritrova ora, con la versione di Galati 2, ad agire diversamente dal Paolo ivi raffigurato, e cioè a dover accettare passivamente il decreto apostolico di Giacomo nel cosiddetto concilio di Gerusalemme, con le specifiche sul modus vivendi a cui i gentili dovevano sottostare se volevano essere cristiani.

In sintesi:

La priorità temporale di Galati 2 rispetto ad Atti comporta un dilemma per pseudoLuca: qual è la scelta migliore? Limitarsi a correggere Galati 2 senza discostarsene più di tanto oppure modificarlo più in profondità a costo di estendere il parallelo anche a Pietro come aveva fatto fino ad allora? Il fatto che pseudoLuca ha scelto la seconda opzione rende piuttosto difficile comprenderne le motivazioni, perchè il rischio da lui pagato è di porsi nettamente controcorrente alla versione di Galati 2.

La priorità temporale di Atti rispetto a Galati 2 comporta invece la precisa volontà da parte del falsario ''Paolo'' di rompere deliberatamente il parallelo tra Paolo e Pietro, così da sottolineare l'indipendenza del primo di contro all'addomesticamento cattolico del secondo, a maggior gloria del Verus Paulus.

Insomma, da un lato ci sarebbe, nello scenario tradizionale (Atti dopo Galati) un fondato motivo di dubitare della scelta di pseudoLuca dal punto di vista del suo stesso interesse teologico (pseudoLuca fa qualcosa contro il proprio interesse), dall'altro ci sarebbe nello scenario alternativo (Galati dopo Atti) un fondato motivo di credere alla scelta editoriale del falsario marcionita proprio in virtù del suo essere in sintonia col suo dichiarato interesse (il falsario fa qualcosa che asseconda il proprio interesse).

Vale a dire: nel caso più favorevole ai sostenitori della storicità di Paolo, fotografiamo pseudoLuca nell'atto di fare qualcosa contro il proprio interesse, mentre nel caso più favorevole ai sostenitori della non-storicità di Paolo, fotografiamo il falsario marcionita ''Paolo'' nella situazione più congeniale al suo interesse.
Per il principio del Modus Tollens, ovvero di un valido ragionamento logico, ne deriverebbe che l'effetto meno sorprendente è quello che rivela la causa più probabile. E che perciò gran parte di Galati 2 fu scritto basandosi su Atti degli Apostoli.

E non dalla stessa mano di Paolo.

La prima impressione che ho allora sull'articolo di Richard Carrier circa la storicità di Paolo è ben sintetizzata da questo commento del sempre caustico e ironico 'Blood':
Dato che i vangeli non sono scritti dagli autori ad essi attribuiti, 7 delle presunte epistole paoline non sono attribuite dall'autore, e nessuna delle altre lettere nel NT sono dagli autori attribuite, credo che la "probabilità a priori" di qualsiasi cosa nel NT che sia effettivamente scritta dalla persona attribuita è estremamente bassa; pertanto la conclusione più logica è che la ricerca dell'"autenticità" in un documento del NT non è solo inutile, ma fondamentalmente apologetica. E, in effetti, Carrier è molto felice di impiegare un'apologetica da seminario alle lettere per far lavorare le sue teorie. Qualsiasi cosa che possa tradire una data post-70 per le lettere è omessa come una interpolazione.

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