sabato 31 ottobre 2015

“Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione (Luca 12:51)

Soltanto dopo mezzanotte — i becchini erano già andati via — il luogo si popolò di tutte le canaglie possibili, ladri, assassini, accoltellatori, prostitute, disertori, giovani desperados. Accesero un fuocherello all'aperto, per cucinare e per disperdere il puzzo.
Quando Grenouille si mosse dalle arcate e si mescolò al gruppo, in un primo tempo non lo notarono affatto. Poté avvicinarsi al fuoco inosservato, come se fosse uno di loro. Questo fatto in seguito confermò la loro idea che probabilmente si fosse trattato di uno spirito o di un angelo o comunque di una creatura soprannaturale. Infatti di solito erano estremamente sensibili alla vicinanza di uno sconosciuto.
Ma quel piccolo uomo con la camicia blu si era semplicemente trovato lì come se fosse spuntato dal terreno, con una boccetta in mano, che aveva stappato. Questa fu la prima cosa che tutti riuscirono a ricordare: che un tale era lì e stappava una boccetta. E poi si era spruzzato tutto con il contenuto di questa boccetta e tutt'a un tratto era apparso circonfuso di bellezza, come di una fiamma raggiante.
Per un attimo indietreggiarono, con rispetto e profondo stupore. Ma nello stesso istante sentirono che il loro indietreggiare equivaleva già a un prender l'avvio, che il loro rispetto si trasformava in desiderio, il loro stupore in entusiasmo. Si sentirono attratti da quel piccolo uomo angelico. Un turbine di passione emanava da lui, un flusso trascinante, al quale nessuno riusciva a opporsi — tanto più che nessuno avrebbe voluto opporvisi — poichè era quello stesso a smuovere la volontà e a sospingerla verso quell'uomo.
Avevano formato un cerchio attorno a lui, venti, trenta persone, e questo cerchio si stringeva sempre più. Presto il cerchio non riuscì più a contenerle tutte, ed esse cominciarono a premere, a spingere e a incalzare, ognuno voleva essere più vicino al centro.
E poi d'un tratto crollò in loro l'ultima inibizione, il cerchio si sfasciò. Si precipitarono su quell'angelo, si avventarono su di lui, lo gettarono a terra. Ognuno voleva toccarlo, oguno voleva una parte di lui, una piccola piuma, un'ala, una scintilla della sua fiamma meravigliosa. Gli strapparono dal corpo i vestiti, i capelli, la pelle, lo fecero a brandelli, affondarono unghie e denti nella sua carne, gli si buttarono addosso come iene.
Ma il corpo di un uomo è tenace, e non si lascia squartare così facilmente, persino per i cavalli costituisce un'enorme fatica. E così, presto lampeggiarono i pugnali, e affondarono nella carne e la squarciarono, e asce e lame robuste si abbatterono sibilando sulle sue giunture, gli schiantarono le ossa. In brevissimo tempo, l'angelo fu smembrato in trenta parti, e ogni membro della masnada ne afferrò avidamente un pezzo, si tirò indietro in preda a una brama voluttuosa, e lo divorò. Dopo mezz'ora anche la più piccola fibra di Jean-Baptiste Grenouille era sparita dalla terra.
Quando i cannibali alla fine del pasto si ritrovarono insieme accanto al fuoco, nessuno disse una parola. Di tanto in tanto qualcuno ruttava leggermente, sputava un ossicino, faceva schioccare pian piano la lingua, spingeva col piede un residuo della giacca blu tra le fiamme: tutti provavano un lieve imbarazzo e non osavano guardarsi. Ognuno di loro, uomo o donna, aveva già commesso una volta un delitto o qualche altro crimine abietto. Ma divorare un uomo intero? Mai e poi mai avrebbero pensato di poter compiere un gesto tanto orribile. E tuttavia si meravigliavano di come fosse stato facile per loro, e di non avvertire neppure un'ombra di rimorso, pur con tutto l'imbarazzo. Al contrario! Nonostante lo stomaco fosse pesante, il cuore era straordinariamente leggero. Nelle loro anime tenebrose si agitava d'un tratto un'ombra di gaiezza. E sui loro volti aleggiava un tenero, timido barlume di felicità. Per questo forse avevano timore di alzare lo sguardo e di guardarsi negli occhi.
Quando poi trovarono il coraggio di farlo, dapprima con circospezione e in seguito senza più riserve, dovettero sorridere. Erano straordinariamente fieri. Per la prima volta avevano compiuto un gesto d'amore.

(Patrick Süskind, Il Profumo, pag. 257-259)


Prova a immaginare cosa passò per la mente al primo evemerizzatore dell'angelo Gesù sulla Terra Ferma.
Se accetto la tesi del prof Markus Vinzent, dovrei dedurne che il primo evangelista si chiamava Marcione. Secondo il prof Matthias Klinghardt, invece, Marcione fu solo colui che utilizzò e fece proprio il Più Antico Vangelo, brandendolo fieramente contro i suoi avversari.
Mentre sto scrivendo questo post, non ho personalmente ancora i mezzi nè le dovute letture per decidere chi, tra Vinzent e Klinghardt, ha da ultimo ragione sul conto del primo vangelo.
Però posso nel frattempo immaginare, mettendomi al posto di colui che per prima evemerizzò il Gesù celeste sulla Terra Ferma, cercando di figurare le ragioni recondite ed esoteriche di un evemerista.
E quell'evemerista doveva essere probabilmente già eretico rispetto al culto originario. Se non fu Marcione l'“eretico” a scrivere il primo vangelo, allora chi altri se non un eretico poteva aver regalato a Marcione il suo primo vangelo?
“Eresia” qui significa abbandono dell'ebraismo, della Torah, del dio dei giudei. “Eresia” qui significa disprezzo e orrore del mondo, considerato irrimediabilmente infestato da demoni aspiranti dèi, tra i quali forse (o probabilmente?) già spiccava lo stesso dio degli ebrei. “Eresia” significa lasciarsi ammaliare da ultimo dalle facili lusinghe dell'ellenismo, dal dio contemplatore-di-sé dei filosofi neoplatonici di cui già Filone aveva subìto l'irresistibile fascino.
In un mondo del genere si doveva far cominciare la Non-Vita sulla Terra dell'angelo Gesù.

Prima di tutto, che apparenze avrebbe potuto assumere un essere divino, un Essere di Luce che entra in questo inferno?
Un inferno che rimase tale per l'eretico autore del Più Antico Vangelo, prima durante e dopo la sua stesura. Perchè il Figlio dell'Uomo non aveva ancora distrutto quell'inferno. Lo aveva semplicemente abbandonato al suo destino, al di là se imminente o remoto. Non prima di aver compiuto la sua missione.
E in che aspetto l'avrebbe realizzata? Certamente non in quella di un fulgido eroe vittorioso ma in un'unica, coerente espressione di dolore e di pena, il volto sfigurato da un'immensa sofferenza. Il suo sacrificio, il sacrificio del Figlio di Dio, che invase per un solo lungo interminabile e fugace istante il mondo del dio degli ebrei, per strappare alla sua giustizia quante più anime possibili, doveva essere indicibile. E reale.
E gli uomini non lo avrebbero notato, perchè troppo ciechi per vedere. L'Essere di Luce acceca gli uomini corrotti. Essere considerato un criminale, ed essere crocifisso tra due
κακοῦργοι (letteralmente: ''operatori di iniquità'') fu inevitabile per l'Essere di Luce, perchè il più nero crimine di cui si era macchiato agli occhi del “mondo” costituiva logicamente il riflesso della sua più pura Luce, l'accecante Luce, la vera Luce.

Esiste un detto gesuano che descrive tutto questo, immancabilmente attestato nel primo vangelo. [1]
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.
(Luca 12:51)

I folli apologeti cristiani si inventano le più astruse teorie antropologiche per spiegare l'origine di questo detto nell'azione predicatrice “strappa-famiglie” del loro fantomatico ed evanescente “Gesù storico” (ovviamente in preda alla febbrile mania di imitare e superare Elia sotto questa prospettiva) incorrendo così nella necessità di un'apologia per difendere il loro “Gesù storico” dall'accusa di megalomania oltre che di aver rovinato così tante famiglie avendo strappato loro i migliori rampolli. Altri ancora, gli utili idioti cripto-storicisti alla De Angelis, prendono in parola quel detto gesuano ritenendola la prova inconfutabile del carattere sedizioso della larva umana che per loro fu, tanto per cambiare, il “vero Gesù storico”.

In realtà quel detto è fortemente atteso sulla bocca di un Gesù mitico evemerizzato sulla Terra, a indicare che l'esito e il senso ultimi della sua missione sarebbero coincisi alla perfezione: come si può comportare altrimenti un Essere di Luce non appena compie un'irruzione a sorpresa, per quanto in incognita, nell'universo del Demiurgo? Quando il grande angelo celeste Gesù si infiltrò in questo inferno creato, fece così per un tempo limitato, gran parte del quale perfino sprecato, perchè vano è in ultima istanza lo stesso insegnamento di Gesù, considerato il totale fallimento morale e religioso dei 12 candidati recipienti di esso. [2]
Ma il Figlio di Dio doveva compiere una precisa missione. E quella missione non era istruire 12 idioti e buffoni. Non c'era tempo da perdere, perchè ogni secondo in più in quel mondo era un tormento inconcepibile per l'Essere di Luce.
Nell'ingresso alla più grande mostruosità demenziale del dio degli ebrei, nella sua “Città Santa”, Gerusalemme, la cosa giusta da fare era una rapida Toccata & Fuga. Colpire e fuggire. Per l'Essere di Luce Gesù, la guerra contro il mondo creato dal dio degli ebrei è una Guerra Totale, perfino se Marcione riconosceva a quel dio giusto ma crudele la legittima giurisdizione sul solo Israele.
Ma per i marcioniti e in generale gli Gnostici, nulla di quel mondo meritava di essere salvato.

Se un ebreo comune, ancor più se devoto osservante della Torah come uno scriba o un fariseo, avesse visto quell'Essere di Luce che è Gesù, egli se ne sarebbe scandalizzato e turbato amaramente. I farisei che ne pretesero la condanna vedevano Gesù così, come un maledetto e immondo ALIENO.


Alieno alle loro leggi e alle loro tradizioni patrie. La trionfale nichilistica negazione in marcia della loro visione religiosa del mondo.
Vedendo la realtà attraverso gli occhi del “mondo” e del dio creatore di quel mondo, i farisei, i sadducei e gli scribi vedevano il puro come impuro e il salvatore come un nemico.
E Gesù era certamente NEMICO del mondo del Demiurgo. Ne era invero l'implicito distruttore, il distruttore e sterminatore dell'impuro.
Il Sommo Sacerdote del Sinedrio che decretò Gesù reo di morte, se avesse visto Gesù per quello che era veramente, l'Essere di Luce inviato da un Dio Ignoto, ne sarebbe stato disintegrato. Perchè i miseri burattini del Demiurgo non hanno parte alcuna con l'Essere di Luce.
Semplicemente non lo vedrebbero. Peggio: lo riconoscerebbero per il suo opposto. Essi non vedrebbero l'Essere di Luce, ma L'Essere Oscuro, una blasfemia ai loro occhi.
Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi dite che io lo sono».
(Luca 21:70, come attestato in Mcn)
Paradossalmente, gli accusatori ammettono di vedere in Gesù il loro stesso Dio creatore, il volto Oscuro del Demiurgo. Gesù li accusa esattamente di questo. Non più i farisei stanno accusando Gesù di spacciarsi per il Messia predetto dal loro Dio, bensì il contrario: è Gesù ora ad accusare i farisei di vedere in lui l'Essere Oscuro per eccellenza, o meglio il suo Messia. Il mero “Falegname”, il tekton, dell'universo, o meglio il suo Figlio.
 
Questa è la confusione tra l'oscurità e la Luce. Questa la stessa confusione che esiste tra il dio Creatore e il Dio Ignoto, tra il creato e l'in-creato, tra il Messia del Demiurgo e il Messia del Dio Straniero. I sinedriti involontariamente chiamano vera oscurità la Luce e Vera Luce l'oscurità. Involontariamente vedono in Gesù - e lo “dicono” -  il peggior riflesso delle loro più recondite paure: il sinistro Messia del Demiurgo. L'accusa si trasforma in auto-accusa. Nella misura in cui vedono in Gesù il preteso Messia-Re promesso loro dal Demiurgo, Gesù DIVENTA PER LORO lo stesso Messia-Re promesso loro dal Demiurgo: ovvero l'Essere più Oscuro, Sadico e Crudele che l'universo abbia mai conosciuto. E come tale non possono che provare nei suoi confronti la più grande repulsione. Il più grande orrore e turbamento morale.  In altre parole, ne ebbero paura: credevano veramente che Gesù fosse criminale, perchè vedevano in lui (e lo proclamavano!) per puro contrasto con la sua vera natura divina, il loro stesso idolo arcontico nella sua vera essenziale realtà: l'Essere Oscuro per eccellenza.

La logica è la seguente:
1) i sinedriti manifestano tutto d'un tratto un odio profondo e inguaribile contro Gesù, accusandolo pubblicamente di essere un impostore, fingendosi il loro Messia predetto dalle Scritture.
2) Gesù, rispondendo “voi lo dite” ai sinedriti, sta identificando implicitamente l'immagine empia e mostruosa che loro hanno di Gesù (cioè quella di IMPOSTORE) con l'Essere per il quale gli stessi sinedriti accusano Gesù di spacciarsi.
3) perciò: non è Gesù che pretende di essere il Figlio del dio degli ebrei, ma è il dio degli ebrei che pretende di essere il Padre di Gesù, ovvero il Più Alto Dio.

In termini più semplici:
1)  i sinedriti accusano Gesù di pretendersi falsamente il Figlio del loro Dio.
2) ma il Demiurgo, per definizione, pretende di essere il Vero Dio, quindi è lui l'Impostore.
3) perciò: i sinedriti credono e proclamano implicitamente che Gesù è il Figlio del Demiurgo.

I farisei diventano così complici del Demiurgo nella sua opera corruttrice: come il Demiurgo aveva ingannato sé stesso e l'umanità pavoneggiandosi a Supremo Dio (quando in realtà vi era un altro Dio a lui superiore), così i servi del Demiurgo, in particolare i sinedriti, continuano a perpretrare il Grande Inganno del Demiurgo, accusando stavolta proprio Gesù — proprio il Figlio del Dio Straniero! — di spacciarsi fraudolentemente per il Figlio del Demiurgo!

Perciò Gesù ha ragione quando rispondevoi dite che io sono il Figlio del (vostro) Dio”, sottinteso: “non sono io che lo dico, ma voi!”. Gesù sta ritorcendo contro di loro l'accusa di impostura:

1) i sinedriti stanno facendo di lui un impostore messianico,
2) ma in realtà l'Impostore per antonomasia è il Demiurgo,
3) perciò i sinedriti hanno in un certo senso “ragione”: dal momento che pensano di dover giustiziare un impostore, allora quell'impostore che vedono di fronte è proprio l'Impostore Ultimo, colui che “crede di essere il più alto Dio, ma non lo è”.


I farisei, schiavi del Demiurgo, si ritrovarono quel giorno a trattenere la visione dell'Essere di Luce senza morire.
Perciò, per fatale contrappasso, riuscirono a vedere solo la più inspiegabile oscurità, al cospetto dell'Essere di Luce.
E quell'inquietante oscurità che vedevano non poteva che ricordare un solo nome presso di loro: il Figlio del Demiurgo.
Da qui la verità dell'accusa che Gesù stesso muove loro: i sinedriti vedono in lui il Figlio del Demiurgo, ovvero l'Essere Oscuro, e per questo — e solo per questo — lo odiano a morte. E di un odio altrimenti ingiustificabile.

Accusando Gesù di proclamarsi Messia, i sinedriti rivelano l'origine del loro odio altrimenti inspiegabile contro Gesù: hanno scambiato erroneamente l'Essere di Luce per l'Essere più Oscuro di tutti, il loro stesso YHWH.

A fronte di cotantà cecità & oscurità, soltanto per un atto misericordioso il Dio Ignoto volle comprare le anime demiurgiche di coloro che del suo soffio divino avrebbero desiderato beneficiare spontaneamente, una volta coltane l'intima ebbrezza.
Quelle anime sarebbero state tante fortunate da vedere la realtà per quella che è. Solo loro potevano avere, per sola fede, i mezzi giusti per discriminare tra Dio e il male. Solo loro potevano vedere l'Essere di Luce che li aveva adottati come figli e fratelli. Creati dal Demiurgo, riscattati dal Dio Ignoto: questo era il loro destino ultimo.  Liberati per sempre, almeno per loro la divisione *del* mondo (che li ha separati dalla Legge) e *dal* mondo (che li ha separati dal loro creatore) portata da Gesù tornerà a rifulgere dell'unica e una identità: l'Inconoscibile Eterno Fuoco.


[1] Così Dieter T. Roth:
Tertulliano accusa Marcione di aver cambiato μάχαιραν in διαμερισμόν in Luca 12:51. La difficoltà è che μάχαιραν è la lettura di Matteo 10:34 e, secondo IGNTP, mai, a parte dal manoscritto 1242 del 12° secolo, appare in Luca 12:51. Se Tertulliano stava coerentemente controllando il suo proprio testo di Luca, è difficile immaginare come un tale errore poteva essere accaduto. Tertulliano apparentemente non consultò la sua copia personale di Luca neppure quando accusava Marcione di fare un'alterazione.
(The Text of Marcion’s Gospel, pag. 87, mia libera traduzione)

[2] Ci avrebbe pensato infatti l'uomo chiamato “Paolo” a recepire e diffondere l'autentico vangelo del “Cristo Gesù”.

domenica 25 ottobre 2015

Del perchè Luciano di Samosata disprezzava, e temeva, “Peregrino Proteo”. E Gesù (“che fu chiamato Cristo”)

Simon Mago. Il mago simboleggiò per i proto-cattolici ciò che “Peregrino Proteo” rappresentò per il pagano Luciano di Samosata: un emblema di impostura e sovversione insieme.

MONDO: Nello spirito di un cristiano molto devoto, il mondo è la cosa più detestabile del mondo. Deve distaccarsene per pensare solo all'altro mondo. E per farlo bene, deve cominciare con il donare tutti i suoi beni ai preti il cui regno non è di questo mondo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Luciano di Samosata, com'è noto, disprezzava profondamente i cinici nella singolare figura di “Peregrino Proteo”:
Io, non appena giunsi nell'Elide, mentre vagavo per il ginnasio sentii un Cinico che con voce forte e aspra gridava le solite cose strombazzando in pubblico la virtù e in una parola biasimava tutto e tutti. Poi il suo vociare finì per parlare di Proteo, e per quanto posso cercherò di rammentarti quelle parole proprio come furono dette. Tu le riconoscerai certamente, avendo spesso assistito alle urlate di quegli individui.
(De Morte Peregrini, 3)
Io a dire il vero mi rivolgerei con un simile tono sprezzante in merito, più che ai filosofi cinici, semmai ai folli predicatori cristiani (o cripto-cristiani) di tutte le epoche che continuano ad esercitare fino alla noia il loro medesimo mestiere, “strombazzando in pubblico” con la sbavante schiuma alla bocca il loro “Gesù Cristo” dall'alto dei loro pulpiti (non sempre, mia disincantata constatazione, all'interno delle loro chiese).

La cosa non sfuggì affatto a Luciano, che ben riconobbe delle forti analogie tra i vagabondi cinici emblematizzati da questa singolare figura di illusionista (tanto storica come avrebbe potuto esserlo quella di Socrate se soltanto tutto quello che conoscessimo di lui si fosse ridotto al Socrate satireggiato da Aristofane nelle Nuvole) e gli stessi cristiani del suo tempo (170 EC), dato che la stessa temporanea conversione (vera o presunta che fosse) di “Peregrino Proteo” al cristianesimo permetteva e facilitava quell'assai caustico paragone.
Ma ciò che [Peregrino Proteo] fece al padre è sì degno di essere udito: eppure tutti voi lo sapete, e vi è giunta la notizia che soffocò il vecchio, non sostenendo che avesse ormai superato i sessant'anni. Poichè in seguito il fatto fu risaputo, si condannò da sé all'esilio e andò errando da un luogo all'altro.
Propio allora imparò la straordinaria sapienza dei Cristiani, vivendo in Palestina assieme ai loro sacerdoti e scribi. Ma che? In breve li fece apparire dei fanciulli: lui era profeta, tiasarca, guida, insomma lui da solo era tutto. Interpretava e spiegava i loro libri, molti ne scrisse egli stesso, e quelli lo veneravano com un loro dio, ricorrevano a lui come legislatore e lo dichiaravano il primo tra loro, ovviamente dopo il tizio che ancora adorano, l'uomo crocifisso in Palestina perchè introdusse questa nuova religione nel mondo.
Per questo motivo allora Proteo fu anche arrestato e finì in carcere; la qual cosa gli procurò una non piccola autorità per il tempo a venire, per la ciarlataneria e l'ambizione che tanto amava. Dopo che fu dunque messo in ceppi, i Cristiani, ritenendo il fatto una disgrazia, fecero di tutto per tentare di strapparlo da lì. Poichè ciò non fu possibile, si presero cura di lui in ogni altro modo, e non alla leggera, ma con molto zelo: sin dall'alba si potevano vedere vecchie, vedove e orfanelli stazionare nei pressi del carcere, mentre i loro capi, corrotti i carcerieri, dormivano dentro assieme a lui. Inoltre gli venivano portati pranzi sontuosi ed erano pronunciati i loro discorsi sacri, e l'illustrissimo Peregrino - si chiamava ancora così - era chiamato da loro novello Socrate.
E anche dalle città asiatiche giunsero uomini, mandati dai Cristiani con beni tratti dal loro patrimonio comune, ad aiutarlo, sostenerlo e incoraggiarlo. Straordinaria è la rapidità che mostrano quando accade un fatto del genere che li riguarda tutti: in breve non danno rispamio d'alcuna cosa. Davvero molte furono le ricchezze che allora Peregrino ricevette da loro col pretesto del carcere, e se ne fece una rendita non piccola. Quegli sciagurati infatti si sono convinti che saranno del tutto immortali e vivranno per l'eternità; per questo motivo non fanno conto della morte e i più si danno ad essa spontaneamente. Inoltre il loro primo legislatore li convinse che sono tutti fratelli tra loro una volta che, disprezzati e rinnegati gli dèi ellenistici, prendano ad adorare quel sofista messo in croce vivendo secondo le sue leggi. Pertanto disdegnano in ugual misura tutti i beni e li ritengono comuni, accogliendo tali precetti senza una fede provata. Se dunque si presentasse a loro un illusionista, un imbroglione che sappia trarre vantaggio dalle circostanze, diventerebbe subito in breve tempo ricco facendosi beffe di quei semplicioni sotto il loro naso.

(De Morte Peregrini, 10-13)

Al di là dell'ironia strisciante e della parodia corrosiva di cui trabocca la fiction (non riesco a non chiamarla tale) di Luciano, colpisce soprattutto un aspetto di quella caustica critica contro “Peregrino Proteo”: Luciano è in realtà disgustato profondamente, direi quasi intimamente turbato, dietro la sua superficiale serena e “illuministica” presa di distanza dagli eventi così abilmente satireggiati, dall'abisso da lui stesso artificialmente riprodotto tra l'altissima, invero vertiginosa, esaltazione di “Peregrino Proteo” da parte dei gonzi e boccaloni di turno che aveva buggerato (non solo i cristiani) - ravvisabile in chiare espressioni quali ad esempio: “...e quelli lo veneravano come un loro dio, ricorrevano a lui come legislatore e lo dichiaravano il primo tra loro...” - ...e la sostanziale assoluta oscurità, insignificanza e marginalità storica che avvolge quasi per definizione questo singolare individuo “Peregrino Proteo”, la cui precisa identità è resa ironicamente sfuggevole già nel nome stesso:

peregrinus, peregrinator significa “viaggiatore” (non è certo una coincidenza che “Peregrino Proteo” si spostò di luogo in luogo nella fiction di Luciano), mentre proteus allude al mostro marino egizio Proteo, famigerato soprattutto per la sue capacità metamorfiche in grado di fargli assumere ogni genere di aspetto, specialmente per sfuggire al nemico e per evitare di dover dire la verità.
...e la divina fra le dee mi rispose:
“Tutto io ti dirò, sinceramente, straniero. Qui vive il Vecchio del mare che sa la verità, Proteo d'Egitto, immortale, suddito di Poseidone, che ben conosce tutti gli abissi marini. È lui che mi ha generata, è mio padre. Se tu riesci a catturarlo con un agguato, ti dirà la lunghezza del viaggio, ti indicherà la strada del ritorno che compirai sul mare ricco di pesci. E ti dirà anche, principe, se tu lo vuoi, quel che di male e di bene è avvenuto nella tua casa mentre compivi il tuo lungo e difficile viaggio”.
Disse così e io così le risposi:
“Dimmi tu quale agguato tendere al Vecchio del mare, che non mi veda prima e mi sfugga. E' difficile per un uomo mortale vincere un dio”.
Dissi, e mi rispose la dea:
“Tutto io ti dirò, con molta chiarezza. Quando il sole ha raggiunto la metà del cielo, allora esce dal mare, il Vecchio infallibile, celato fra le onde scure che rabbrividiscono al soffio di Zefiro, esce per andare a dormire in antri profondi. Emerse dal mare bianco di schiuma, dormono intorno a lui numerose le foche, figlie della bella Anfitrite, emanando un acuto odore di salso. All'alba ti condurrò là e vi farò distendere in fila: scegliti tre compagni, i migliori che hai sulle tue solide navi. Ti spiegherò tutti gli inganni del Vecchio. Conterà, per prima cosa, e passerà in rassegna le foche, e dopo averle tutte contate e guardate, si stenderà in mezzo a loro, come un pastore tra le greggi di pecore. Appena l'avrete visto giacere disteso, allora, chiamando a raccolta tutta la forza e il coraggio, tenetelo stretto, anche se si dibatte e cerca di fuggire. Tenterà di trasformarsi in acqua, in fuoco fulgente, in ogni essere che sulla terra si muove. Voi tenetelo forte e stringetelo ancora di più. Ma quando lui stesso ti rivolgerà la parola, con l'aspetto che aveva quando lo vedesti giacere, allora non usare più la forza, principe, libera il Vecchio e domandagli quale degli dei ti perseguita e come potrai ritornare attraverso il mare ricco di pesci”.

(dal Libro IV dell'Odissea)
Merito di Luciano è di farci toccare con mano il paradosso tra lo Sfuggevole, l'Anonimo, il “Privo di Forme” per eccellenza, e la stellare apoteosi alla quale riuscì ogni volta a farsi elevare spacciandosi per qualcun altro agli occhi degli idioti di turno che riuscì a buggerare.
Da questa prospettiva, “Peregrino Proteo” personifica, sotto la parodia malcelatamente inquieta che ne fa Luciano, non tanto un preciso bersaglio polemico (a momenti io stesso, se non fosse perchè “Peregrino Proteo” è citato anche da Aulio Gellio - il quale addirittura pretese di averlo conosciuto di persona -, sono tentato di dubitare della sua reale consistenza storica) quanto tutto ciò che è sfuggente, inafferabile - il potere dell'assenza di forma.

Ed è da questo manifesto potere di “Peregrino Proteo” che il pur caustico Luciano si sente in qualche modo minacciato: egli potrà sviluppare, in sè e negli altri, ogni sorta di sufficiente senso critico per guardarsi a dovere dalle truffe e dagli illusionismi di guru e santoni di tal fatta, eppure sa in cuor suo che non è abbastanza, che contro individui come “Peregrino Proteo” perfino l'arma del Dubbio, tuttavia, sembra essere sfortunatamente destinata a fallire, nella stragrande maggioranza dei casi. E prova ne è alla fine il fatto che nessuno riesce a smascherare “Peregrino Proteo” sbugiardandolo agli occhi di tutti, neppure i critici perspicaci come Luciano, nonostante tanto dispendio di attacchi satirici contro l'illusionista. L'impostore “Peregrino Proteo” potrà essere sconfitto alla fine unicamente grazie al suo eccesso di hybris, che lo farà cadere nella trappola mortale finale da lui stesso intentata appositamente per farvi cadere, ancora e ancora di nuovo, innumerevoli altri al suo posto.
Questa fu la fine del maledetto Proteo, uomo, per stringere il discorso in poche parole, che mai ha mirato alla verità, che sempre ha detto e fatto ogni cosa per avere fama e lode dal volgo, al punto da saltare perfino nel fuoco, quando non poteva neppure più godere delle lodi perchè più non le sentiva.
(De Morte Peregrini, 42)
La frustrazione di Luciano trapela tra le righe: un'illusionista di tal genere si può sconfiggere non grazie alle razionali diffide di gente istruita e dotata di senso critico quale è lo stesso Luciano, ma solo scommettendo sugli inevitabili falli ed errori del medesimo illusionista in questione, paradossalmente l'unico che, per eccesso di hybris, potrà smascherare sé stesso definitivamente agli occhi delle stesse masse da lui prese per i fondelli. 
E Luciano è doppiamente frustrato perchè per arrivare a tanto l'epilogo non poteva che essere cruento, per quanto tragicomico: la morte dello stesso “Peregrino Proteo”, tra le fiamme della pira che lui stesso aveva preparato di fronte a migliaia di spettatori.
Quel disgraziato di Peregrino, o, come egli stesso si compiaceva di chiamarsi, Proteo, ha subito lo stesso destino del Proteo di Omero: dopo essere diventato qualsiasi cosa per acquistarsi fama ed essersi trasformato infinite volte, alla fine è diventato anche fuoco. Da tanto amore per la fama era posseduto! E ora eccotelo, il grand'uomo, carbonizzato come Empedocle, se non che quello fece prova di gettarsi nel cratere senza essere visto, il nostro egregio amico, invece, ha atteso la più frequentata delle feste elleniche, ha ammassato la pira più grande che poteva e vi si è gettato sotto gli occhi di tanti testimoni, dopo aver pronunciato tra l'altro, non molti giorni prima della sua ardita impresa, alcuni discorsi su questo argomento di fronte ai Greci.
(De Morte Peregrini, 1)

“Peregrino Proteo”, se nella fiction o nella Storia, poteva pure essersi lasciato sconfiggere con le sue stesse mani, eppure l'onta rimane, nonostante la sua morte, di quello che santoni, guru, avatar o icone del genere rappresentano agli occhi dei benpensanti pagani come Luciano di Samosata. 

Non era solo una mera questione di denunciare le truffe di questo o quel santone. La posta in gioco era evidentemente più alta. E Luciano lo fa trasparire dallo stesso comportamento di “Peregrino Proteo” nella fiction, allorchè scrive:
Dopo essersi così istruito, navigò da lì verso l'Italia e non appena salì sulla nave si mise subito a offendere tutti, in particolare l'imperatore, sapendolo molto benevolo e mite, così che il suo ardire era privo di pericolo; a quanto pare infatti a quello poco importava degli insulti e non credeva giusto punire uno che si era rivestito di filosofia a parole e che soprattutto aveva fatto dell'offendere un'arte. Anche in seguito a ciò la sua fama s'accresceva, ovviamente presso gli stupidi, ed era molto in vista per la sua dissennatezza, finchè il prefetto dell'Urbe, uomo saggio, lo cacciò perchè approfittava senza misura della situazione, dichiarando che la città non aveva bisogno di un tale filosofo. Ma anche questo fatto divenne celebre e fu sulla bocca di tutti, il filosofo scacciato per la sua franchezza e la sua troppa libertà, e contribuiva ad accostarlo a Musonio, a Dione, a Epitteo e a chiunque altro si fosse trovato in una circostanza simile.
(De Morte Peregrini, 18)

L'imperatore in questione “benevolo e mite” era Marco Aurelio. Il paradosso che infastidì l'inviperito Luciano in questo punto nasce tra il suo naturale rispetto per un imperatore che abbassava sè stesso con la sua umiltà di filosofo stoico, e il suo assistere impotente alla sfacciataggine di quello stronzo di “Peregrino Proteo”, reo di approfittare della magnanimità di Marco Aurelio pur di innalzarsi al suo stesso livello, da quel verme che era, osando criticare nientemeno che l'imperatore in persona e perfino guadagnandone in popolarità e prestigio come risultato!

È evidente allora che non era il singolo “Peregrino Proteo” a infastidire il benpensante Luciano di Samosata. Ma lo erano virtualmente tutti quei avatars, guru, “fondatori” di culti, icone settarie, i cui seguaci  approfittavano del loro stato apparentemente innocuo e marginale per lanciare in realtà strali e messaggi sovversivi verso tutto, o quasi tutto, l'ordine sociale e culturale esistente, volto essenzialmente ad esautorare e logorare a poco a poco dalle fondamenta ciò che garantiva la giustificazione di tale ordine tra gli hoi polloi. Non erano sediziosi (altrimenti i loro cadaveri putrefatti già avrebbero penzolato da sopra le croci romane). Ma erano sovversivi.

Nella rivelante descrizione che Luciano fa di “Peregrino Proteo” & fans, abbiamo un assaggio di come un pagano avrebbe osservato gli stessi cristiani del II secolo. Erano simili, almeno in superficie, ai nuovi Cinici: entrambi disprezzavano la morte, entrambi mostravano una totale indifferenza verso i beni materiali, entrambi credevano che tutto fosse di tutti, entrambi erano inclini a instaurare un nuovo senso di fratellanza reciproca tra i loro membri, entrambi rigettavano gli dèi, ed entrambi erano irrazionalmente propensi a pratiche e fedi superstiziose. E da ultimo, la cosa peggiore, entrambi potevano finire facilmente manipolati e manipolabili - e Luciano ne era evidente testimone in prima persona - da impostori senza scrupoli come “Peregrino Proteo”, opportunisticamente mimetizzati dietro di loro.

La natura contro-culturale del nascente movimento cristiano non era dunque sfuggita a Luciano. E con essa il suo sincero stupore misto ad una punta di sottile frustrazione nel constatare, dati alla mano, l'evidente enorme golfo di separazione tra la più assoluta insignificanza del fondatore o “legislatore” di turno e le vertiginose altezze metafisiche alle quali i medesimi erano proiettati dai loro fanatici e deliranti seguaci. Luciano ne era intimamente turbato. Luciano si sentiva giustamente minacciato.

E quando Luciano scrive:
...e quelli [i Cristiani] lo veneravano come un loro dio, ricorrevano a lui come legislatore e lo dichiaravano il primo tra loro, ovviamente dopo il tizio che ancora adorano, l'uomo crocifisso in Palestina perchè introdusse questa nuova religione nel mondo.

precisando che “ovviamente” i Cristiani collocano “Peregrino Proteo” al secondo posto nel loro pantheon “dopo il tizio che ancora adorano, l'uomo crocifisso in Palestina”, Luciano sta facendo sostanzialmente di quest'ultimo nient'altro che un mero precursore di “Peregrino Proteo” sulla base della loro comune TOTALE insignificanza storica unita per contrasto alla vertiginosità del culto di cui sono resi assurdamente oggetto presso i Cristiani.




E qui non posso che ricollegarmi alla conclusione del perspicace ricercatore Richard C. Miller, il quale nota:
Sebbene si potrebbe opportunamente dubitare che un uomo storico, Gesù di Nazaret, mai ricercò onori personali tali come un'imperiale exaltatio, egli era divenuto, nella sua Nachleben, l'emblema di un potente movimento contro-culturale nel primo e secondo secolo dell'Era Comune. Come tale, le sue descrizioni mitiche, iconiche nei vangeli del Nuovo Testamento servivano a sovvertire le istituzioni culturali di quel mondo, sia ebraico che romano, attraverso una mimesi trasvalutata, una metafora, e un'alterità ibridizzante, quindi promulgando un nuovo paradigma alternativo, sebbene comprensibile, per la struttura di una società antica.
Luciano ha offerto una finestra piuttosto rivelante nel programma politico dei primi cristiani nel suo De Morte Peregrini (170 E.C. circa). Luciano satireggiò il suicidio spettacolare del famoso filosofo cristiano poi divenuto cinico Peregrino Proteo ai Giochi Olimpici del 165 E.C. Come uno show della sua ascesi filosofica, ad imitazione della morte di Eracle e dell'antica tradizione indiana braminica, Proteo si gettò sulla sua pira massiccia e ne fu bruciato vivo di fronte alla sua folla di spettatori. Proteo era diventato famoso per la sua retorica anti-imperiale e per la sua prominenza come maestro e scrittore di successo nel nascente movimento cristiano. Secondo Luciano, i primi cristiani conferirono a Proteo i più alti onori, prossimi a Cristo stesso, chiamandolo ὁ
καινός Σωκράτης (il nuovo Socrate). Più tardi nella sua vita, comunque, egli era divenuto un Cinico in tutto e per tutto, preso residenza ad Atene, e, nonostante l'apparente disdegno di Luciano per lui, aveva raggiunto una fama considerevole come un saggio filosofico e critico di Roma. Invero, Aulo Gellio, incontrando Proteo ad Atene, lo descrive come un uomo venerabile e fermo di tremenda sapienza (Noct. att. 12.11.1-6). Dopo la sua morte, uno dei suoi discepoli giurò di aver incontrato il trasceso Proteo avvolto in una veste bianca mentre passeggiava lungo il Portico dei Sette Echi al festival di Olimpia (Luciano, Peregr. 40). Per questa volta, comunque, l'asprezza politica di un racconto simile si era probabilmente placata, oltre la semplice osservazione che Proteo non era stato parte dell'establishment politico. Analogo a Gesù nei vangeli, la favola della sua traslazione sottolinea la generica funzione onorifica della tradizione in quanto posta in contestazione al romano imperium. Mentre probabilmente isolato dalle mire complessivamente politiche delle apparizioni postmortem di Gesù, in particolare, dal momento che quelle imitavano la leggenda di Romolo, il racconto di Proteo permette un'occhiata ad un incidente relativo, sebbene rifratto attraverso l'evoluzione e le permutazioni culturali dell'Atene del secondo secolo e con un sottotesto filosofico cinico. Mediante tacite associazioni tra le due figure, l'obiettivo di Luciano riguardo Proteo e il fondatore crocifisso dei Cristiani espone parecchie delle implicate fondamenta e convenzioni culturali dei precedenti racconti evangelici come venivano letti nelle estese strutture culturali e ideologiche ellenistiche che coincidono vividamente coi ritrovamenti del presente studio.
(Resurrection and Reception in Early Christianity, pag. 177-178, mia libera traduzione e mia enfasi)

Lo stupore misto a rabbia di Luciano nell'assistere alla immeritata popolarità del turlupinatore “Peregrino Proteo” a fronte della moltitudine dei suoi galvanizzati e superstiziosi seguaci, contra factum che si trattava in realtà di una totale insignificante figura di filosofo cinico (forse inventata, chissà?, dallo stesso Luciano, checchè si insista sulla sua storicità, come parodia di tutte le icone contro-culturali settarie del tempo), è lo stesso stupore misto a rabbia provato da Luciano nel vedere la diffusione del culto di Gesù, anch'esso un movimento contro-culturale assai simile a quello cinico, contra factum che verteva attorno ad un altrimenti totalmente oscuro, insignificante “crocifisso in Palestina” a sua volta distintosi “perchè introdusse questa nuova religione nel mondo” - un mondo che evidentemente, secondo quella “nuova religione”, meritava di essere distrutto o sovvertito.

Come Luciano non sopporta l'exaltatio applicato all'altrimenti oscuro “Peregrino Proteo” da parte dei suoi fans e seguaci, così sempre Luciano non sopporta di pari grado l'exaltatio applicato dai Cristiani al “tizio che ancora adorano”, l'altrimenti oscuro e totalmente irrilevante e insignificante “Gesù che fu chiamato Cristo”.

E Luciano non sopporta questa contraddizione paradossale tra la vertiginosa exaltatio e l'oscurità del personaggio oggetto di exaltatio (nel caso dei Cinici, “Peregrino Proteo”, nel caso dei Cristiani, “Gesù detto Cristo”) non perchè parte dal presupposto che “Peregrino Proteo” e Gesù fossero a priori degli impostori truffatori (quella semmai è la sua personale reazione di scrittore satirico al caso “Proteo” e al caso “Cristo”) dei loro rispettivi seguaci, ma perchè è abbastanza perspicace da saper cogliere la natura squisitamente contro-culturale, e perciò intrinsecamente SOVVERSIVA, dell'operazione di exaltatio di altrimenti evanescenti figure: rendere quest'ultime in ciascuna specifica istanza, come si è espresso sopra Richard Miller, gli “emblemi” di movimenti e comunità miranti da ultimo a “sovvertire le istituzioni culturali di quel mondo” ... , “...promulgando un nuovo paradigma alternativo ... per la struttura di una società antica”.

Non era la prima volta che santoni, guru, avatars, eroi e semidei più o meno esotici e anonimi venivano fatti oggetto di exaltatio e venduti come tale ad un pubblico ellenistico. Ma quando quell'exaltatio imperiale veniva applicata ad un anonimo “uomo crocifisso in Palestina”, oppure ad un critico del potere imperiale quale è il filosofo cinico “Peregrino Proteo”, allora non poteva che suonare sovversiva nelle intenzioni.

E in cosa consisteva questa pretesa sovversione, più precisamente?
Nel fatto, come auspicò il folle apologeta cattolico Jerim Pischedda, che l'oggetto del culto cristiano fosse un “uomo crocifisso” ?

Per nulla affatto.

Spiega Miller:
Cosa significò per un'antica società salutare un individuo per essere stato traslato ad una statura divina? Visto tramite varie lenti dal dominio di studi culturali e letterari, il generale significato culturale di un tale pattern semiotico porta alla luce un distinto protocollo ricamante una vasta panoplia di antiche narrazioni mediterranee. Lo shock dei vangeli non deve allora essere stata la presenza di questo tropos letterario standard, ma l'adattamento di una tale suprema esaltazione culturale ad un povero contadino ebreo, un individuo altrimenti marginale e oscuro sulla grandiosa scena dell'antichità classica. L'investigazione illustra che ciascuno dei quattro vangeli e Atti applicarono questa convenzione con perspicacia sempre-ridondante, per timore che il lettore possa intrattenere qualche dubbio riguardo alla propria inferenza.
(pag. 181, mia libera traduzione e mia enfasi)
Ma se l'esaltazione a vertiginose altezze metafisiche del “Peregrino Proteo” di turno poteva ancora rientrare nella serie delle frequenti innocue anomalie, per non dire delle bizzarrìe, alle quali ci ha abituati da tempo il mondo antico, nel caso specifico del “Peregrino Proteo” a cui fa riferimento Luciano, era percepito come non poco disturbante il fatto che “Peregrino Proteo” fosse l'emblema di una critica filosofica cinica al potere imperiale nella persona dell'imperatore, così come era percepito di gran lunga ancor più disturbante il fatto che l'emblema dei cristiani fosse diventata l'“icona di un nuovo paradigma, una nuova metafora di ordine classico”.
L'innovazione dei racconti postmortem del vangelo non risiedeva nell'impiego della convenzione della favola della traslazione per se, ma nello scandalo dell'applicazione dell'abbellimento ad un controverso contadino ebreo, un povero Cinico, altrimenti marginale e oscuro sulla grandiosa scena dell'antichità classica. La credulità e lo zelo degli antichi cristiani salutavano non l'uomo stesso, ma la metonimia che la figura letteraria venne ad incarnare e rappresentare come l'icona di un nuovo paradigma, una nuova metafora di ordine classico. Tali fedeltà esaltò e salutò quest'immagine di una ideologia contro-culturale attraverso i protocolli dell'antico mondo ellenistico romano.
(pag. 180, mia libera traduzione e mia enfasi)

È ora di finirla finalmente con chi vede Gesù una minaccia al potere imperiale romano a causa del fatto più preteso che reale secondo cui la crocifissione di Gesù, come venduta nelle fiction evangeliche, era in odore di sedizione politica ad un pubblico pagano:
Mentre il recente slancio nelle letture politiche del Nuovo Testamento ha beneficamente allertato il discorso sul linguaggio imperiale di quelli antichi documenti, come per esempio fornite da Richard Horsley, John Dominic Crossan, e vari teorici post-colonialisti, tale interpretazione sembra trascurare la disposizione ascetica, oltremondana degli antichi movimenti cristiani, cedendo spesso a conclusioni riduzionistiche, pretestuose. I quattro vangeli, come composizioni favolistiche, resero Χρίστος il re trascendente, non un oppositore mondano delle strutture politiche del giorno.
I nemici letterari di Gesù nel suo processo nelle narrazioni evangeliche della passione commettono questa stessa trasgressione, precisamente, incorniciare il protagonista come un ribelle sedizioso, un insurrezionista contro-imperiale che ha cercato di fomentare un conflitto politico oppure che ha tentato di fondare un movimento mondano, concorrente in opposizione a Roma. Le narrazioni evangeliche, comunque, articolano drammaticamente e potentemente un sottotesto tout àu contraire. In ciascuno dei quattro vangeli, la narrazione conduce il lettore attraverso una disturbante sequenza di ingiustizia, confrontando il lettore con la singolare questione: Se non un sedizioso mondano rivoluzionario, allora che cosa?

(pag. 179, mia libera traduzione e mia enfasi)
Non si trattava di una concorrenza al potere imperiale sul suo stesso terreno politico, tantomeno militare. Bensì, per quanto possa sembrare una mossa più subdolamente ipocrita, si trattava di qualcosa di più sottilmente pervicace e profondo: una concorrenza al potere imperiale sul terreno culturale e sociale. Chi scrisse i vangeli voleva conquistare le anime dei greco-romani, non i loro corpi. Miravano a rivaleggiare col potere trascendente, non col potere fisico, reale, concreto.
Quei testi portavano alla viscerale attenzione del lettore antico la bruciante questione di colpevolezza dietro la drammatizzata morte di Gesù. Il suo sangue doveva ricadere sulle mani delle autorità settarie ebraiche di Gerusalemme, non sul governo di Cesare.
La sola critica del potere politico romano nei vangeli, o latente oppure esplicito, sembra essere evidente in una tacita assenza di impegno per la giustizia per la pacificazione di disordini e accuse contro Gesù al suo processo.
...
Le opere del Nuovo Testamento erano spesso sovversive, ma mai sediziose, nel loro tentativo di trascendere le strutture politiche del loro giorno.

(pag. 136-127, mia libera traduzione e mia enfasi)

I Cristiani autori dei vangeli miravano ad una “rivoluzione socio-culturale, non ad un rovesciamento politico” (pag. 37).

Non era e non poteva essere la crocifissione di un ebreo ciò che poteva scandalizzare e turbare un pagano istruito come Luciano (al più ciò era motivo in lui di disprezzo, ma mai di inquietudine), bensì la malcelata Volontà di Potenza dei cristiani che traspirava a tratti da dietro il loro emblema contro-culturale, al risveglio finale della coscienza. I cristiani, rinunciando alle lusinghe del mondo, rinunciando al mondo, in realtà volevano impadronirsene ancor più in profondità di quanto avesse mai voluto farlo qualsiasi conquistatore politico e militare del passato o del futuro:
La descrizione proposta in questo studio “trascendente rivalitasfondamentalmente riallinea il discorso al più esteso fenomeno classico intrapreso dai più antichi cristiani, precisamente, una critica ascetica della civiltà mondana, quindi una transvalutazione dei codici e delle strutture dell'antichità, rivolgendole sottosopra.
...
Congruente con le numerose varietà di imitatio, aemulatio e rivalitas nei vangeli, l'imitazione imperiale nei vangeli non serviva a minacciare o a inquietare Cesare; tale imitazione serviva a promuovere il significato trascendente del fondatore, in confronto e in rivalità alla fedeltà prestata alle principali istituzioni classiche del potere. Per questa ragione, la lettera apostolica poteva formalmente decretare (1 Pietro 2.17):
τὸν  βασιλέα  τιμᾶτε.

(pag. 137, mia libera traduzione e mia enfasi)
La minaccia cristiana al mondo pagano era più insidiosa, perchè la mira non era sul mondo in quanto tale, ma era da sempre stata sull'oltre-mondo. E l'aspirazione all'oltre-mondo comportava di necessità una critica radicale, spietata, e quindi pericolosamente sovversiva, al mondo stesso, romano ed ebraico insieme.
4 Maccabei deriva la stessa connessione tra regalità trascendente e certezza ascetica di fronte al duro martirio (“O ragione, più regale dei re e più libera dei liberi”; 4 Macc 14.2. La “tirannia” da conquistare attraveso lo spettacolo del martirio nei vangeli, a differenza del sovrano seleucide Antioco IV, comunque, diventò l'autorità istituzionale dell'ebraismo (-ismi) palestinese.
(pag. 136, mia libera traduzione e mia enfasi)
Questa rivalitas trascendente, sovversiva, appare ora mitigata nei nostri quattro vangeli canonici dal momento che in essi, come spiega Miller:
Mentre, per esempio, si potrebbe riconoscere che le rese di Gesù nel Nuovo Testamento intenzionalmente rivaleggiavano con le antiche rese di Mosè, Elia e Davide mediante la loro imitazione, si sbaglierebbe ad addurre quelle come istanze di un'implicita ostilità. La mimesi dell'Odisseo di Omero, se con Gesù nei vangeli oppure con l'Enea di Virgilio, significò rivaleggiare ed eclissare il precedente, ma mai soppiantarlo.
(pag. 137, mia libera tradizione e mia enfasi)
Miller sta descrivendo giustamente solo ciò che osserva all'opera nei nostri quattro vangeli canonici, e cioè un compromesso, a volte efficace, altre volte goffo, tra Gesù e le figure dell'Antico Testamento sul solco dell'eclissi - e non del soppiantamento - delle seconde da parte del primo. Un'eclissi che ne prefigurava al momento stesso l'interessata cooptazione per ridurre tutta la letteratura sacra precedente a mera profezia del neonato Gesù proto-cattolico.

Ma quel compromesso era frutto di una reazione proto-cattolica ad un precedente vangelo, un vangelo nel quale al contrario la rivalitas trascendente” di Gesù contro i profeti e i re dell'Antico Testamento non aveva intenzione nè di eclissarli nè di soppiantarli, e neppure di diseredarli dei loro legittimi lettori ebrei. Bensì mirava a porsi in aperta, esplicita contraddizione con tutta la letteratura sacra precedente. 

Solo alla luce di quel primo vangelo Luciano di Samosata poteva accusare quell'“uomo crocifisso” di aver introdotto “questa nuova religione nel mondo”. L'enfasi qui è sulla parola “nuova”.
Come Paolo “era giunto a conoscere Dio nella manifestazione di Gesù Cristo, completamente ed esclusivamente come il Padre di pietà e il Dio di ogni comforto”, così Marcione “fu sicuro che nessun'altra espressione circa Dio è valida, e invero che ogni altro è solo un errore del genere più grave e doloroso. Da qui egli proclamò questo Dio coerentemente ed esclusivamente come il buon Redentore, ma allo stesso tempo come il Dio Ignoto e l'Alieno. Egli è ignoto perchè in nessun senso può essere riconosciuto nel mondo e nell'uomo; egli è alieno perchè non esistono semplicemente nessun legame e nessun obbligo che connettono lui con il mondo e con l'uomo, con neppure lo spirito dell'uomo. Questo Dio entra nel mondo come uno straniero e un Signore alieno. Egli è un tremendo paradosso, e la religione stessa anche può solo essere esperita come tale se è da essere la vera religione e non una falsa religione. Ora, realmente e per la prima volta nella storia delle religioni, “lo sconosciuto e alieno Dio” era apparso, indotto dal compassionevole amore soltanto, in una missione redentrice in un mondo che non lo riguardava per nulla, perchè egli non vi aveva creato nulla. Coloro che nella loro pietà subalterna e timorosa avevano eretto altari agli “dèi alieni e sconosciuti” erano lontani dal pensare ad un tale Dio come questo, e così lo erano gli ebrei che avevano vissuto sotto l'incantesimo della Legge e le minacce dei Profeti. “L'uomo che proclamò questo Dio era il cristiano Marcione di Sinope. Tutti i cristiani di quel tempo credevano di essere alieni sulla terra. Marcione corresse questo credo: è Dio che è l'alieno, che li sta trascinando fuori dalla loro patria di oppressione e miseria in una casa paterna completamente nuova, una casa che non era neppure stata immaginata in precedenza.”
(A. v. Harnack, Marcion, letto attraverso Marcion and the Dating, M. Vinzent, pag. 135-136, mia libera traduzione)


Scrive il prof Vinzent:
Solo qualche tempo dopo narrazioni apologetiche (anti-)marcionite raffigurano un quadro di una distanza tra lui e l'ortodossia, un golfo che doveva crescere in un incolmabile abisso. La realtà storica, comunque, fu presumibilmente più complessa di questa. Prima che Marcione fu reso l'“arci-eretico”, egli sembra di essere stato l'arci-teologo, “il fondatore di una religione” e di un nuovo culto, il Cristianesimo.
(ibid., pag. 135, mia libera traduzione)
Lo shock creato dal primo vangelo, almeno nella sua prima esegesi pubblica data, fu provocato dall'enorme abisso tra un Dio Ignoto e Alieno e un mondo di deprecabile orrore senza fine e redenzione alcuna.

La comunità cristiana di Roma si risvegliò dovendo affrontare gli ''angeli di Satana'' che le svolazzavano attorno, tentando di dividere la Chiesa nascente. Quella comunità doveva reagire contro colui che il protocattolico Policarpo definì l'anticristo, il diavolo e il ''primogenito di Satana''. Le sfide ellenistiche introdussero un'identità ecclesiastica a malapena definita e decisa, accademicamente riassunta come ''proto-ortodossia'' o ''proto-cattolicesimo''.


Ma per rimediare a quello shock iniziale, visto che era troppo grande da sopportare, troppo radicale nelle stesse premesse (e per gli stessi cristiani!), si preferì un altro shock più mitigato ma non meno radicale e rivoluzionario del primo, quello che espressamente turbò i sogni dei greco-romani come Luciano di Samosata: l'esaltazione imperiale di un'altrimenti totalmente oscura, anonima - solo allora divenuta necessaria -, evanescente figura di messia ebreo pienamente divino e, contro Marcione, pienamente umano.

Una figura tanto insignificante e irrilevante quanto il suo supposto luogo di provenienza: Nazaret. [1]

Non stupisce allora che Luciano temeva, e disprezzava in tutta risposta, “il tizio che ancora adorano, l'uomo crocifisso in Palestina perchè introdusse questa nuova religione nel mondo”.

L'esaltazione di Gesù divenne tanto più alta nei nostri quattro vangeli canonici tanto più doveva servire a sostituire il precedente abisso tra Gesù e il mondo con un nuovo abisso, non meno insuperabile e paradossale del primo: tra l'umanità di Gesù e il suo Regno celeste.

Il precedente abisso, introdotto col primo vangelo, servì a dividere un (ancora) incorporeo Gesù da un mondo di deprecabile orrore senza fine che non fu creato dal vero dio.

Ma i quattro vangeli canonici scritti in reazione al primo vangelo, Mcn, servirono a colmare il precedente abisso sostituendolo con un nuovo abisso non meno radicale e contro-culturale del primo nelle sue più recondite mire: quello tra la semplice umanità di un “Gesù storico” - solo a quel punto venuto pienamente alla luce - e le estreme, vertiginose altezze metafisiche del suo imminente e già fin d'ora presente Regno celeste e trascendente, a suggellarne la definitiva exaltatio imperiale (secondo le convenzioni letterarie dell'epoca) e nel contempo, quasi per costruzione, il crepuscolo inevitabile del vecchio ordine classico. Perchè quel nuovo “Gesù storico” appena ideato era diverso da ogni altro “Peregrino Proteo”, guru, avatar o semidio evemerizzato sulla Terra, nella misura in cui non riservava loro alcuno statuto ontologico nel suo prossimo celeste Regno a venire.
L'apostolo più necessario. - Tra dodici apostoli, uno deve sempre essere duro come la pietra, affinchè su di lui possa costruirsi la nuova chiesa.
(Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, aforisma 76)


[1] Di solito si sente dire dai folli apologeti cristiani che Nazaret esisteva nel I secolo E.C. ''perchè tutti gli studiosi dicono così''. Eppure un recente studioso accademico storicista, nonchè prete cattolico, nonchè sostenitore dell'autenticità ''parziale'' del Testimonium Flavianum (sic!), è del parere opposto:

La successiva osservazione riguardante l'arrivo di Gesù da Nazareth (Mc 1:9b) è in realtà piuttosto strana. Non c'è traccia dell'uso del nome 'Nazareth' prima della composizione del vangelo marciano. Questo nome non occorre nè nelle fonti bibliche e neppure nelle fonti extrabibliche pre-cristiane. Non fu mai menzionato da Flavio Giuseppe nei suoi dettagliati resoconti della sua attività in varie parti della Galilea. Inoltre, non fu menzionato nè nelle lettere di Paolo e neppure nel secondo riferimento di Marco alla città natale di Gesù (Mc 6:1-6).
Pertanto, è ragionevole supporre che il nome 'Nazareth' (Mc 1:9b) è in realtà un nome artificiale, che è stato creato da Marco al fine di illustrare la successiva idea di Paolo delle sue radici tipicamente ebraiche (Gal 1:13). Marco ha combinato questa idea con quella dell'origine ebraica e identità davidica di Gesù 'secondo la carne' (Rm 1:3; cfr Mc 1:9), a differenza della sua identità di Figlio di Dio rivelato 'secondo lo Spirito di santità' (Rm 1:4; cfr Mc 1:10-11). Pertanto, l'evangelista ha creato il nome artificiale 'Nazareth', che per mezzo di assonanze linguistiche, ricordando la parola ebraica
נשר (nēser) che fu utilizzata nel testo messianico ben noto in riferimento al 'germoglio' di Jesse (Is 11:1 MT), illustra l'idea delle radici tipicamente ebraiche di Paolo (Gal 1:13), così come quella di Gesù appartenente alla discendenza di Davide (Rm 1:3).Un simile uso  artificiale, non semplicemente geografica, del nome 'Nazareth' (Mc 1:9) si può trovare anche in un altro testo Marciano, in cui la corrispondenza semantica strana di per sé, suggerita dall'evangelista, tra i termini "Nazaret ' e 'figlio di Davide' è costitutiva per la logica narrativa della storia:   Ναζαρηνός   Υἱὲ  Δαυὶδ ('di Nazaret' 'figlio di Davide': Mc 10:47).Si può sostenere che nel suo riferimento allusivo al testo profetico-messianico Is 11:1, che fu utilizzato secondo la logica di Rom 1:3 al fine di illustrare l'identità davidica di Gesù (Mk 1:9), Marco fu influenzato da Paolo, che nella stessa lettera ai Romani citava un relativo testo di Isaia riguardante 'la radice di Jesse' (Is 11:10) come riferente profeticamente a Gesù (Rom 15:12).L'osservazione a quanto pare superflua che Nazaret si trovava in Galilea (Mc 1, 9b) illustra il fatto che le origini ebraiche di Paolo (Gal 1:13) si potevano ritrovare nella diaspora (Gal 1:17c). Coerentemente, per mezzzo della procedura ipertestuale di traslazione spaziale la Galilea marciana rappresenta generalmente il territorio dei Gentili, specialmente quelli tra cui gli ebrei vivono in una diaspora.
La  successiva, abbastanza sorprendente immagine di Gesù che viene da solo dalla lontana Galilea al solo scopo di ricevere l'immersione nell'acqua in stile ebraico (Mc 1:9bc; diversamente 1:5) mediante la procedura ipertestuale di interfiguralità illustra la successiva dichiarazione di Paolo che egli avanzò nel giudaismo più di molti dei suoi contemporanei nel suo popolo, essendo molto più zelante delle tradizioni ebraiche (Gal 1:14).
(Bartosz Adamczewski, The Gospel of Mark, A Hypertextual Commentary, pag. 38-39, mia libera traduzione)


sabato 17 ottobre 2015

Il cristianesimo ha tradito Gesù? Falso!!!

OCA: Vi sono racconti chiamati Racconti di mamma oca. I racconti che la Chiesa ci narra sono “racconti di mamma oca”, visto che siamo tonte paperelle e la Chiesa è nostra madre. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

“Il cristianesimo ha tradito Gesù?”
- Così suonava un titolo provocatorio ma efficace usato però dalle mani sbagliate, come titolo di un libro di Giorgio Jossa, incapace peraltro di fornire una risposta convincente a quella domanda (essendo Jossa nient'altro che un banale folle apologeta cattolico della stessa stregua di un Jerim Pischedda, per capirci).
Quell'interrogativo permette una di quelle facili semplificazioni teoriche applicate di solito a questioni complesse nella misura in cui riesce a catturare in estrema sintesi le principali sostanziali differenze tra le varie opinioni correnti intorno a Gesù mediante le diverse risposte che gli si possono offrire.
Perchè sono tre sostanzialmente le risposte possibili a quella fatidica domanda:
- sì;
- no;
- in parte.

Si tradisce qualcuno quando non si riporta il suo vero messaggio. Quando addirittura lo si spaccia più o meno fraudolentemente per l'opposto di quello che effettivamente è. Oppure quando si tace semplicemente sul suo vero messaggio (coll'intento più o meno deliberato di eclissarlo) o sulla sua vera identità (per timore di comprometterla). Oppure ancora quando gli si attribuiscono parole che semplicemente non sono sue e che non ha mai pronunciato.
Chiaramente è necessaria come precondizione al tradimento di qualcuno l'esistenza storica di questo “qualcuno”. Si può tradire un uomo o una donna. Non si può tradire un unicorno, un drago o un angelo. Non si può tradire, per definizione, un'entità inesistente. Se Dio non esiste, come si fa a tradire Dio? Un'entità che non esiste e che non è mai esistita non può mai essere tradita, neppure quando gli si cambia volto, sebbene il semplice fatto della sua non-esistenza può benissimo tradire in ogni momento chi crede al suo opposto. Ma in tal caso l'autore da ultimo del tradimento è l'essere inesistente stesso, neppure chi l'ha fatto passare per esistente, tantomeno chi è vittima della fede nella sua esistenza.

Un esempio di un personaggio storico che fu letteralmente tradito dai suoi seguaci già in vita e dopo la sua morte, tradito nel senso che intendo io appena sopra, fu Hailè Selassié: egli era un cristiano etiope e morì da cristiano etiope, eppure fu deificato contro la sua volontà. Questo per me è un tradimento.

Richard Carrier
menziona l'esempio istruttivo di Selassiè con la chiarezza che gli è solita:

È abbastanza comune per i personaggi storici diventare circondati da un vasta quantità di miti e leggende, e anche davvero rapidamente, soprattutto quando divenuti oggetto di venerazione religiosa. Pertanto, il fatto che questo sia successo mai in sé prova che la persona in questione non esistesse. Un esempio relativamente recente è l'elevazione dell'imperatore etiope Hailé Selassie al rango di un dio ... da parte di persone a cui non ha mai chiesto questo favore e anzi ha anche più volte supplicato di smettere. La sua divinizzazione (e continuata adorazione fino ad oggi) è il fondamento della fede moderna del rastafarianesimo, che conta centinaia di migliaia di aderenti in tutto il mondo. È illuminante che sappiamo che professava alla sua morte la propria fede cristiana e conosciamo la sua continua disperazione per il fatto che era stato elevato in una divinità venerata così rapidamente nonostante le sue proteste (e si potrebbe pensare che se il tuo dio personale si lamentasse della tua adorazione di lui, tu l'avresti ascoltato  ̶ eppure siamo qui). Miti e leggende su di lui crebbero rapidamente, anche durante la sua stessa vita, e tanto più rapidamente nei due decenni dopo la sua morte, avvenuta nel 1975. Eppure niente aveva alcun fondamento nella realtà. Per nulla. Eppure ancora rimangono le affermazioni centrali di una fede vivente.
Il parallelo con Gesù dovrebbe essere cautelativo: se questo poteva accadere a Selassie, potrebbe ancora più facilmente essere accaduto a Gesù, non essendoci un'istruzione o un'alfabetizzazione universale, o perfino media per se nel mondo antico.
Forse Gesù stesso continuamente pregò i suoi seguaci di non adorarlo. Eppure lo hanno fatto comunque. Noi non sappiamo, perché a differenza di Selassié, le sole testimonianze che abbiamo di Gesù sono scritti da suoi devoti adoratori.  Quindi, forse, ogni cosa detta di Gesù è proprio altrettanto fabbricata come ogni cosa ora raccontata di Selassié. Eppure è detta comunque. E non solo detta, ma creduta completamente da ogni aderente della fede, anche a fronte di prove schiaccianti del contrario.
Ma non solo i paralleli cautelativi, anche i paralleli fattuali sono numerosi. Edmund Standing riassume questo punto elegantemente:
Guardando allo status di Hailé Selassié nella religione del Rastafarianesimo troviamo i seguenti aspetti: (1) la venuta sulla terra di una figura messianica che fu profetizzata nell'Antico Testamento; (2) una nascita accompagnata da miracoli; (3) un bambino con immensa sapienza divinamente concessa che possedeva poteri miracolosi; (4) un messia le cui azioni furono prefigurate negli scritti dell'Antico Testamento; (5) un uomo che poteva fare miracoli e nella cui presenza si verificarono miracoli; (6) un uomo che fu adorato e ritenuto divino da migliaia di persone che non lo avevano nemmeno incontrato; (7) un uomo che era l'incarnazione di Dio e che continua a vivere nonostante le prove della sua morte; (8) un uomo che i suoi seguaci predicano e col quale sono in comunicazione; (9) un salvatore che  un giorno tornerà a raccogliere un popolo eletto che vivrà sotto il suo dominio in un regno di Dio. Nonostante i fatti relativi alla figura storica reale di Selassié, come si vede, i Rastafariani hanno costruito una vasta mitologia religiosa intorno a lui, e addirittura lo hanno fatto durante la sua vita.

Immaginate se, a un certo punto del futuro... la stragrande maggioranza del patrimonio storico fosse perso... [e] che le uniche testimonianze esistenti di Selassié che sono sopravvissute fossero i racconti devozionali rastafariani. [Allora ...] la sola storia su cui gli storici avrebbero da lavorare sarebbe composta da strati di mitologia. La storia di Selassie, un uomo sorto in un tempo in cui gli etiopi erano febbrilmente in attesa della venuta del Messia, sarebbe ricolma di riferimenti al compimento delle profezie dell'Antico Testamento, storie di miracoli, storie di Dio che cammina sulla terra, e la negazione della realtà della morte del Messia. Avrebbero letto che Selassié è ancora vivo e che una parte della prova di ciò è che i seguaci potevano “comunicare in spirito” con lui. Come risultato di ciò, sicuramente ci sarebbero alcuni che adotterebbero una posizione “miticista” per quanto riguarda il Selassié storico.
E tuttavia, naturalmente, se lo facessero, sarebbero in errore. Perché è esistito davvero un Selassié. Solo che non era niente di neanche lontanamente simile alle “narrazioni” che i suoi adoratori scrissero e raccontarono su di lui. Nello scenario immaginato da Standing, la verità sul Selassié “storico” sarebbe stata completamente persa. Frammenti di verità rimarrebbero nei superstiti testi devozionali dei suoi adoratori, ma senza fonti indipendenti contro le quali controllarle, non avremmo alcun modo di sapere quali dettagli erano storici e quali mitici. Siamo difficilmente in una qualche posizione migliore rispetto a Gesù, per il quale tutte le fonti dirette (se mai ce ne fossero alcune) sono state completamente perdute, e tutto quello che abbiamo sono i racconti e le pretese devozionali dei suoi adoratori fanatici. Questo significa che la ricostruzione del Gesù storico potrebbe essere semplicemente impossibile. Ma ciò non significa affatto che non c'era nessun Gesù storico.
Ci sono differenze significative, tuttavia, che distruggono l'analogia di Standing. In primo luogo ci sono le lettere di Paolo, che in realtà precedono i vangeli di decenni e sono la testimonianza più vicina che abbiamo all'originale Gesù (se vi era uno), ma quelle lettere conoscono solo un uomo cosmico e non contengono nessuna vera storia di lui del tutto (come dimostrerò nel capitolo 11). In secondo luogo ci sono i metodi di costruzione dei vangeli, che sono così completamente mito-simbolici che la loro composizione in realtà argomenta contro la possibilità che contengano qualche vero dato storico del tutto (un punto che esaminerò nel capitolo 10). E, infine, l'ipotesi di Standing che noi possiamo aspettarci che tracce indipendenti siano scomparse nel caso di Gesù non è in realtà molto probabile come lui pensa. Se Gesù era tanto famoso come Selassié, sarebbe strano non sentire nulla di lui, così strano come lo sarebbe nel caso di Selassié ora (come spiegherò nel capitolo 8).
Per evitare questa stranezza dobbiamo concludere che il vero Gesù era un virtuale nessuno. Ma ci sono ancora problemi con l'evidenza che suggeriscono che lui non era nemmeno quello (come spiegherò nei capitoli 8, 9 e 10). Tuttavia, le proposte metodologiche di Standing sono profonde: solo se le differenze che io ipotizzo esistono realmente il confronto fallirà. In caso contrario, è perfettamente possibile che un reale Gesù risieda alla base di tutti i miti esistenti su di lui. Proprio come è il caso per Hailé Selassié. È accaduto prima nella tradizione cristiana, sia a persone reali, sia a persone di fantasia (come sospetto che rivelerebbe ogni rassegna della pletora di santi venerati nella tarda antichità e nel medioevo). Quindi, quale fu il caso per Gesù?

(On The Historicity Of Jesus, pag.18-20, mia libera traduzione)

Gli storicisti si dividono sulla risposta da dare alla domanda: “Il cristianesimo ha tradito Gesù?”.

Come esempio di chi risponde “SÌ” a tale domanda tra gli storicisti, non è necessario fare i nomi di chi pensa che Gesù fu un sedizioso antiromano (vedi Brandon) o un mago sbucato dall'Egitto (vedi Morton Smith) per cui sarebbe d'obbligo accusare prima facie di tradimento i primi cristiani come Paolo rispetto a quel Gesù. No. Perfino un insospettabile studioso conservatore cristiano, invero, un folle apologeta pentacostale sotto mentite spoglie di storico  ̶  mi sto riferendo a Larry Hurtado  ̶  può dare adito velatamente all'accusa di tradimento di Gesù da parte del cristianesimo originario, quantomeno perchè la sua visione di come emerse l'Alta Cristologia dei primi giorni del cristianesimo produrrebbe un'inconsistenza logica ben denunciata dal prof Crispin Fletcher-Louis nel suo recente volume Jesus Monotheism, laddove scrive:
Hurtado presenta una spiegazione delle origini cristiane che non si basa su nessuna particolare comprensione del Gesù storico, al di là di un essenziale insieme di proposizioni circa la sua reale esistenza e il suo impatto sui suoi seguaci, che Hurtado crede “imporrà un chiaro ampio assenso” tra gli studiosi critici del Nuovo Testamento. Hurtado non si avventura ad una comprensibile spiegazione delle mire, intenzioni o autocomprensione di Gesù. Comunque, lui è chiaro che la ragione per cui i più antichi cristiani giunsero ad adorarlo non fu perchè vennero a vedere che il Gesù storico fosse degno di adorazione alla luce di qualcosa che fece, disse, o di qualcosa che loro credevano fosse intrinseco alla sua esistenza (e morte). I più antichi cristiani adoravano Gesù dopo la sua morte e resurrezione perchè essi credevano che Dio comandò loro di fare così nel contesto di potenti esperienze religiose. La devozione di Cristo era basata su che cosa Dio era creduto di aver fatto a Cristo alla sua resurrezione ed esaltazione, non su qualcosa di esplicito oppure implicito nelle sue parole, azioni, o nelle sue personali affermazioni su di sè.
Se noi combinassimo quei due aspetti della sua opera  ̶  nessuna particolare messa in conto del Gesù storico e nessuna base per la devozione di Cristo nell'esistenza storica di Gesù  ̶ noi troveremmo che sul suo modello non esiste nessuna connessione logica tra il fatto della devozione di Cristo e la natura della vita di Gesù di Nazaret. Questo significa, a sua volta, che è difficile vedere come l'adorazione del Signore Gesù Cristo possa realmente essere l'adorazione di Gesù di Nazaret in ogni senso dotato di significato. In effetti, i più antichi credenti adorarono il “Signore Gesù-glorificato-e-trasformato Cristo”. Il Cristo risorto ed esaltato non fu adorato perchè aveva vissuto una vita di un peculiare tipo di essere umano, un essere umano unicamente divino. Il Cristo esaltato non è riverito perchè i cristiani del primo secolo credevano che le specifiche parole e azioni storicamente contingenti di Gesù di Nazaret fossero unicamente degne di  ̶  oppure che rivelassero qualche più profondo, eterno  ̶  divino status e identità.  Inevitabilmente allora, il modello di Hurtado crea l'impressione che esiste solo una debole connessione tra l'umano Gesù di Nazaret e l'esaltato e ora divino Cristo. Certamente, nei termini della terminologia del tradizionale discorso cristiano, la struttura della relazione tra il Gesù storico e il Cristo dell'antica fede cristiana sembra essere adozionistica: per Hurtado, il Gesù della Storia è sollevato da una posizione e status che non era intrinsecamente degna di adorazione, ad una posizione e status che Dio ora dichiara essere, oppure che egli rende (in qualche modo), degna di adorazione. Per Hurtado, dopo la resurrezione ed esaltazione, “Dio” in qualche profondo modo ora comprende un “essere umano glorificato”. Questa è decisamente un'asserzione. Ma non è proprio la stessa cosa di dire che la divina identità ora comprende una distinta persona preesistente la cui identità è definita da una biografia che comprende una particolare vita umana storica (come narrata in, per esempio, Fil. 2:6-11). Quel che è in gioco qui è se questa valutazione della forma della devozione di Cristo (e la Cristologia che implica) fa pienamente giustizia delle pretese del Nuovo Testamento.
Se noi diciamo davvero poco circa la vita storica e identità di Gesù, noi inevitabilmente svuotiamo la parola “Gesù” in “Signore Gesù Cristo” di significato.  [Nei capitoli posteriori (specialmente capitolo 8 e in parte 6) io tenterò di mostrare che l'eclissi del Gesù storico dalla nostra comprensione della devozione di Cristo ha oscurato le origini della Cristologia del Nuovo Testamento. Ha lasciato vitali interrogativi storici senza risposta proprio nella misura in cui ha distorto la forma della teologia del Nuovo Testamento.]

(pag. 75-76, mia libera traduzione, enfasi originale)

 Visto? Praticamente, il prof Flecher-Louis sta criticando il suo collega Hurtado per aver scommesso la genesi dell'Alta Cristologia dei primi giorni tutto su visioni e rivelazioni (leggasi: allucinazioni) post-pasquali, esautorando di fatto ogni capacità e funzione di un Gesù storico di poter contare in qualche modo da vivo, perfino in una qualche forma allusiva, nella formazione del culto che si originò intorno a lui dopo la sua morte. Il rischio, secondo Fletcher-Louis, è che se si segue Hurtado in questa riduzione al lumicino di qualsiasi cosa fece o disse Gesù in vita, si rende piuttosto fredda la sua rapidissima apoteosi post-mortem, vedendola come mero frutto di esperienze mistico-allucinatorie. È la singolare reazione che un folle apologeta manifesta quando vede che, senza saperlo, la sua ricerca lo conduce dritto dritto alla conclusione miticista per cui all'origine del mito di Gesù tutto quello che era necessario per la genesi del cristianesimo fu solo l'esperienza mistico-allucinatoria di tipo schizotipico avuta dai primi fondatori del movimento e da Paolo. Un Gesù storico non era affatto necessario per indurre quelle rivelazioni e allucinazioni in gente entusiasticamente posseduta dallo Spirito di Dio. Per evitare questa intima “freddezza” annichilatrice della sua fede (perchè un folle apologeta cristiano di solito considera impossibile che un arcangelo celeste mai sceso sulla Terra nel recente passato possa aver avuto un impatto così forte sui primi cristiani come Pietro e Paolo solo mediante visioni e allucinazioni), Fletcher-Louis vorrebbe figurare un Gesù storico in qualche modo in relazione di causa-effetto con la genesi dell'Alta Cristologia immediatamente successiva alla sua morte. Solo così potrà garantire ai suoi occhi che il cristianesimo non ha tradito Gesù. Ma intanto abbiamo visto che, se si accetta il modello di Hurtado, si deve riconoscere l'imbarazzante situazione di un cristianesimo originario che ha tradito Gesù, nel momento stesso in cui lo ha deificato senza chiedergli alcun permesso, neppure una flebile voce in capitolo, solo un ruolo passivo e un silenzio totale da parte sua (che è STRANO, INATTESO, IMPROBABILE, a meno che Gesù non fu letteralmente mai esistito, ma fosse fin dal principio un'essere metafisico rivelatorio). 

Ma intanto abbiamo capito che chi, da storicista, risponde “NO” alla domanda “Il cristianesimo ha tradito Gesù?” può essere solo un cristiano “trionfalista” (come Pischedda, per definizione un folle apologeta cristiano). Per tenere in piedi un plausibile Gesù storico, gli storicisti sembrano apparentemente costretti di necessità a darne un ritratto che contempli inevitabilmente la possibilità, se non la probabilità, di un effettivo tradimento di Gesù da parte del cristianesimo tutto, dalle origini fino ai nostri giorni. Se l'uomo chiamato Paolo dev'essere fatto passare per il più antico cristiano (o proto-cristiano) di cui si ha evidenza primaria, allora, dal momento che la più antica frase cristiana del più antico libro cristiano è Galati 1:1,
Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre

dove fin dal principio emerge la contrapposizione tra gli uomini da un lato, e tra Dio e Gesù dall'altro, si può concludere che Paolo ha tradito Gesù:
- se Gesù era solo un uomo che mai si proclamò Dio neppure allusivamente, insistendo che era Dio;
- se il Gesù storico era stato un maestro, perchè Paolo non riportò alcuno (o la maggior parte) dei suoi insegnamenti;
- se il Gesù storico era stato un allucinato posseduto dallo Spirito di Dio, perchè Paolo parlò di un Gesù che possedette spiritualmente altri, compreso lui.
- se il Gesù storico era stato un sedizioso antiromano, perchè Paolo ne fece il garante dell'ordine temporale esistente, perfino nell'imminenza della Fine.
- se Gesù era stato un profeta, perchè Paolo non rivelò niente del genere.
- se Gesù era stato un mago impostore, perchè Paolo ne fece un oracolo di Verità.

L'elenco potrebbe continuare, ma pure se sostituisci ciascuna occorrenza di Paolo sopra menzionata con “l'autore del vangelo X” il risultato sarebbe lo stesso.
Perchè qualunque “Gesù storico” ricostruito a partire dal vangelo X costituisce per definizione una negazione (un tradimento?) del Gesù venduto dal vangelo X.
Perchè in ogni vangelo, perfino nel primo di essi, Gesù è sempre lo stesso (più o meno malcelato) essere preesistente, Figlio di Dio, ecc.
L'unico modo possibile in cui si può rispondere con un sonoro “NO!” alla domanda “Il cristianesimo ha tradito Gesù?” è nel teorizzare che , Gesù affermò effettivamente ciò che Paolo e il primo vangelo osano affermare di lui: non che fece questo o quel miracolo o che fu udito dopo morto, si badi bene (perchè perfino i primi cristiani non avrebbero creduto a tali meri abbellimenti letterari convenzionali) ma che lui affermò di essere il Volto di Dio, la sua celeste immagine, la sua Persona (tralasciando per il momento di discettare in merito alla stretta coincidenza o meno tra tale ipostasi divina e Dio stesso).
Se il cristianesimo non ha tradito il Gesù storico, allora il Gesù storico affermò di essere il “Cristo Gesù” che noi conosciamo: il riflesso perenne della pura e semplice, e persistente, Divinità.

In altre parole, un ebreo del I secolo proclamò la sua stretta identità con Dio, o anche solo quanto di più vicino vi si possa accostare tra tutti gli elementi del Creato.
 
Solo a patto di assumere qualcosa del genere si può dire che il cristianesimo non ha tradito Gesù, dal momento che tutti gli altri casi rientrano a pieno titolo sotto l'insegna del puro tradimento. Chiaramente coloro che pensano che Gesù rivelò di essere il “Gesù” che noi oggi vediamo e tocchiamo allora possono benissimo discordare nella descrizione dei molteplici modi in cui un uomo storico può aver anche solo insinuato o fatto passare sottobanco la mera possibilità di quest'identificazione strictu sensu con Dio (o con il suo Specchio metafisico, il che è la stessa cosa) ma ciò non diminuisce il peso della sua asserzione: un Gesù storico che da vivo non si limitò neppure a insinuare cripticamente l'idea o la mera allusione della sua divinità (o parentela divina) è un Gesù che per definizione fu tradito dal nascente cristianesimo. Sovrapporre ad un essere umano l'idea del divino solamente perchè dopo la sua morte si ricevono visioni, sogni e rivelazioni (leggasi: allucinazioni di tipo schizotipo) significa eliminare per sempre ogni possibile connessione tra quell'uomo storico e la nascita dell'idea della sua divinità.
Significa rinunciare a priori perfino al tentativo di trovare un'implicazione storica di sorta tra la sua vita e la sua immediata apoteosi post-mortem. E non si tratterrebbe più in quel caso di una mera rinuncia a indagare ma della realizzazione finale che un tradimento è in atto dell'uomo Gesù.

Consegnare ai posteri l'equazione “Gesù=Dio” in virtù di una mera allucinazione di Gesù post-mortem significa essenzialmente tradire Gesù. Da qui la necessità, per i folli apologeti cristiani riluttanti ad accettarlo, di spiegare altrimenti la rapida nascita di una “Cristologia Alta” appena a ridosso (si parla di “mesi”, forse “settimane”!) della morte di Gesù su una croce romana. Chi non è cristiano e non ha questo problema (di accusare il cristianesimo originario di tradimento) perfino se lo accetta banalmente come un non-problema (relegandolo magari alla pura sfera teologica e apologetica) si ritrova tuttavia con l'enorme Problema Storico ad esso strettamente associato, e cioè di come sia potuta insorgere una cristologia così vertiginosamente alta appena poco tempo dopo la morte di Gesù su una croce romana, dal momento che è STRANO, perciò INATTESO, perciò IMPROBABILE, che un uomo che non abbia mai detto e neppure insinuato in vita di essere Dio venga trasformato in Dio solo a seguito di una ridicola allucinazione esperita dai suoi seguaci dopo la sua morte, senza alcun'attinenza di sorta con la sua precedente esperienza da vivo. Non solo. Deve spiegare perchè Gesù fa la sua apparizione nella Storia (intesa come patrimonio di ricordi scritti o orali dell'umanità) solo per qualcosa accaduta DOPO la sua morte, e non per qualcosa accaduta PRIMA della sua morte.

E a quel punto irrompe nel nostro discorso logico, con la sua enorme forza esplicativa, la miglior teoria del Mito di Gesù, l'unica ipotesi in grado di spiegare e rimuovere l'“inatteso” e l'“improbabile” da questa paradossale situazione nella quale ci siamo cacciati, dal momento che è l'unica teoria capace di rimuovere e fugare veramente e radicalmente l'imbarazzo di un cristianesimo che ha tradito Gesù.

Perchè quell'imbarazzo è un vero, serio imbarazzo che io personalmente non voglio avere e sarò sincero con il lettore, brutalmente sincero: io mi rifiuto con tutto me stesso, con tutto il mio cuore e con tutta la mia anima di credere all'assurdo paradosso di un cristianesimo che ha TRADITO Gesù.

Per superare quell'imbarazzo non è sufficiente dimostrare che Gesù pronunciò “davvero probabilmente” questa o quella parabola (come si accinge a fare per l'ennesima volta, in un copione fallimentare e tuttavia da tempo consolidato, quel folle apologeta e prete cattolico di John P. Meier col suo ultimo, inutile volume) perchè qui stiamo parlando di qualcosa che deve indurre per definizione un uomo a spostare (figurativamente) “le montagne”: credere all'equazione “Gesù=Dio”.
Dire che Gesù fu divinizzato perchè fu un maestro di profonda sapienza morale o un profeta apocalittico significa ne più nè meno che TRADIRE Gesù perchè nessuna sapienza morale, nessuna banale collezione di detti (fosse perfino Q), e tantomeno nessun'allucinante profezia apocalittica, può spiegare la nascita di una fede in “Gesù=Dio” capace di “muovere le montagne”.
In questo senso, sono profondamente debitore al prof Stevan L. Davies per aver evidenziato a più riprese quest'aspetto, nel suo Spirit Possession and the Origin of Christianity:
Che cosa fare della storicità di tutto questo? Si dovrebbe credere che la principale ambizione di Gesù di Nazaret fosse realmente di andare a Gerusalemme, soffrire, morire e risorgere di nuovo? Naturalmente no, quella è fiction marciana derivata dalla dottrina paolina. Gli inquietanti “insegnamenti” di Gesù a Gerusalemme nei capitoli 11 e 12 di Marco dettero origine al movimento cristiano? Certamente no; leggili, tu concorderai che non sono principi che formano il culto. Cosa circa le sue predizioni che il Figlio dell'Uomo (il quale come un essere cosmico poteva ben essere qualcun'altro di diverso rispetto a Gesù) è in procinto di venire dopo giorni di disastro per raccogliere i suoi eletti dai quattro angoli della terra, ecc.? (13:7-30). È quello qualcosa che dobbiamo vedere all'origine del movimento cristiano? È un motivo raramente menzionato di nuovo nella tradizione testuale. E il Regno di Dio, che potrebbe o non potrebbe aver qualcosa a che fare con la storia della morte e resurrezione di Gesù, che fare di quello? Tu non apprenderai virtualmente nulla su di esso nel vangelo di Marco, salvo che nei primi giorni della sua vita come un guaritore posseduto dallo Spirito egli parlò favorevolmente circa esso. [Se il capitolo 13 descrive l'arrivo del Regno, allora è un pò simile all'arrivo di una guerra termonucleare. Come possa descrivere il capitolo 13 “buone nuove” è difficile da comprendere, e così eventualmente quel capitolo non sta discutendo del tutto l'arrivo del Regno. In modo simile, Q/Luca 17:26-29 ammonisce gli orrori dei “Giorni del Figlio dell'Uomo”].
(pag. 13, mia libera tradizione)

E ancora:
Che società o che cultura ha mai voluto che i morti risorgono e camminano tra noi? Il folklore cinematografico del genere “horror” è ricolmo dei morti viventi: vampiri, mostri-alla-Frankenstein, spettri e tanti altri personaggi fittizi. Nessuna società incoraggia gli spettri; non ci sono racconti di morti che sbucano dalle loro tombe e ognuno con eccitazione esclama “Hooray! Bentornato!”
...
L'impeto iniziale del movimento cristiano non potevano essere state persone che comunicano ad altre persone che un morto risorse dai morti e camminò tra di loro. Quello non avrebbe costituito unicamente “buone nuove”. Di certo divenne le “buone nuove” nella cultura cristiana, ma dev'esserci stata già una consolidata cultura cristiana. Ognuno educato in una cultura cristiana ha ascoltato dall'infanzia che il messaggio della resurrezione portò la gente nei decenni iniziali dei tempi cristiani ad unirsi al movimento cristiano. Ma quel messaggio sarà gioioso e convincente solo a coloro già sigillati nella loro appartenenza religiosa. Che cosa li coinvolse in primo luogo, se non il messaggio che un morto risorse dai morti? Che cosa vendette il venditore cristiano che la gente ardentemente comprò e trovò ben degno il prezzo? Quella è la domanda (ed una buona metaforica domanda americana del 1930, così dico a me stesso).
Cominciamo con cosa non era. Non era il messaggio di Gesù oppure i suoi insegnamenti oppure le sue parole profetiche. Non sappiamo cos'erano quelli insegnamenti. Le nostre fonti sono tanto confuse quanto lo siamo noi e due di loro, Marco e Tommaso, indicano che trovavano fondamentalmente incomprensibili i suoi insegnamenti pubblici. Paolo non mostra alcun interesse in loro, neppure lo mostrano gli altri scrittori di lettere del Nuovo Testamento, e le dottrine di Gesù non giocano alcun ruolo nella diffusione del movimento cristiano secondo gli Atti degli Apostoli. Giovanni liberamente fabbrica dottrine per Gesù da insegnare.
...
le storie delle apparizioni di Gesù ai suoi discepoli dopo la morte sono ovviamente inventate da varie fonti non in comunicazione l'una con l'altra. In ciascun caso, l'idea che Gesù risorse dalla tomba e camminò tra i suoi discepoli non sarebbe stata presa ambiguamente per un pezzo di buone nuove. La gente di ogni cultura preferisce che i morti stiano nelle loro tombe.
Il cristianesimo non cominciò con apostoli che fondavano un movimento diffondendo dottrine, una biografia, o racconti della resurrezione di Gesù dalla tomba. Quelle cose erano sviluppate come una conseguenza della fondazione del movimento cristiano. La questione non è cos'era circa la vita di Gesù che dette origine al movimento cristiano, ma che cos'era circa il movimento cristiano che dette origine alla narrazione della vita di Gesù.

(pag. 21-22, mia libera traduzione)

Ma se il prof Davies ha ragione - che nessun insegnamento o profezia sarà mai capace di spiegare perchè Gesù fu divinizzato - allora ne deriva che ho ragione io: chi pensa che Gesù fu un maestro o un profeta, un sedizioso o un mago, sta dicendo sostanzialmente che il cristianesimo ha tradito Gesù, perchè sta affermando che i cristiani credettero alla sua preesistente divinità solo sulla scorta di esperienze mistico-allucinatorie post-Resurrezione e non per un ridicolo insegnamento o per una banale profezia fatta da quel defunto quando era ancora in vita (giacchè per definizione una profezia o una dottrina non giustificano in alcun modo la rapida elevazione di Gesù a somme altezze metafisiche).

Lo storicista Davies pensa che allora non fu nè un insegnamento nè una profezia e “neppure la resurrezione” a indurre i discepoli a divinizzare Gesù dopo la sua morte ciascuno per proprio conto, bensì il contagio dell'esperienza di possessione spirituale che lo stesso Gesù da vivo avrebbe insegnato loro (e che si verificò nel giorno della Pentecoste). Il problema però è che anche in quel caso, per aver trasformato impunemente un posseduto spirituale - tra i tanti posseduti spirituali del giorno - in un post-mortem possessore spirituale (dal momento che un Paolo brama di partecipare all'unione mistica con un tale possessore), il cristianesimo ha tradito Gesù. Dal momento che anche in quel caso Davies non riesce a dare ragione del perchè fu proprio l'uomo Gesù, e non altri, tra tutti i posseduti dallo Spirito di Dio (ebrei o pagani), ad essere identificato post-mortem con lo stesso Spirito Possessore di Dio. Il paradosso di un cristianesimo che ha tradito Gesù rimane tutto. E con esso, il mio più profondo e sincero IMBARAZZO a fronte di una così inquietante prospettiva simile.

E d'altro canto non posso neppure oggettivamente farla franca e cavarmela così fin troppo facilmente (come fa lo storicista di turno) dicendo che Gesù fece qualcosa in vita o a ridosso della morte o con la sua morte stessa (magari insistendo sfacciatamente che “questo lo ricaviamo dai vangeli”) che aiutò ad introdurre in qualche modo i presupposti per la sua rapidissima apoteosi post-mortem. No. Non posso ricorrere a questo. E non solo perchè non sono un folle apologeta cristiano ma anche e soprattutto perchè i vangeli stessi sono totalmente inefficaci nel rivelare un Gesù “altro” che non sia quello che è fin dal principio sempre e solo il loro unico “Gesù” propugnato. Se cerchi di estrarre dai vangeli un Gesù storico, ovvero un Gesù che per definizione non è Dio, stai in quell'istante stesso tradendo il Gesù, l'unico Gesù, del vangelo dal momento che il Gesù del vangelo è Dio. Ma non è di questo che sono visibilmente imbarazzato, si faccia attenzione. Io sono fortemente imbarazzato dal fatto che si dica che l'autore del primo vangelo avrebbe TRADITO il Gesù storico vendendo un “Gesù=Dio”. Chi afferma ciò ha già tradito anzitempo lui prima di tutto l'autore del primo vangelo, dal momento che gli sta negando essenzialmente il diritto di fare quello che sta facendo - vendere un “Gesù=Dio”- sotto l'assunzione di fondo che Gesù sia stato storico e perciò non si sia mai proclamato - considerato da quella prospettiva - il Gesù del vangelo, ovvero Dio e/o lo Specchio di Dio.

Il mio imbarazzo, nel credere a qualcosa del genere, deriva dal fatto che trovo troppo paradossale, troppo stralunato, troppo profondamente illogico e irrazionale accettare l'idea che qualcuno, di punto in bianco, arrivi ad allucinare un defunto elevandolo alle vertiginose altezze metafisiche di Dio stesso. E dell'UNICO Dio. Senza nessun genere di relazione di causa-effetto tra un'operazione del genere (introdurre l'equazione “un defunto=Dio”) e la precedente esperienza di ciò che quel defunto fece o disse sulla Terra Firma prima di stendere i piedi una buona volta.

Spiegare che l'uomo Gesù fu divinizzato nel giro di una settimana dopo la sua morte a causa della “dissonanza cognitiva” provocata dalla sua morte sulla croce significa sostanzialmente affermare che il cristianesimo ha tradito Gesù due o tre giorni dopo la sua morte. Questo si chiama tradimento. Perchè si sta di fatto divinizzando un defunto senza il suo consenso. Viceversa, non sarebbe affatto tradimento se quel defunto, quando era ancora vivo, già avesse affermato o insinuato o passato sottobanco in qualche modo l'idea che lui era Dio.

Quindi il mio più sincero imbarazzo di fronte alla prospettiva di un cristianesimo che ha tradito Gesù (nei termini come l'ho spiegato cosa significa: ovvero ipotizzare che un defunto fosse deificato senza il suo consenso oppure senza che si fosse neppure posto il problema da vivo se dovesse essere o meno deificato nel presente e/o nel futuro dai suoi seguaci) mi porta a ritenere più credibile e plausibile o:

1) l'ipotesi che un Gesù storico da vivo già alludeva esplicitamente o implicitamente alla sua stretta parentela con Dio (lasciando agli evangelisti solo il compito di esplicitare in prosa questo “fatto”) ma questo si riduce all'ipotesi che il Gesù glaciale del Quarto vangelo possa essere storico;

oppure, in alternativa:

2) l'ipotesi che il Gesù storico non fu mai esistito del tutto. Perchè, in quest'ultimo caso, non fu il cristianesimo a tradire Gesù.

Ma fu Gesù a tradire il cristianesimo.