martedì 15 marzo 2016

Del perchè Flavio Giuseppe inventò Giuda il Galileo

VANITÀ: Tutto in questo mondo è vanità, tranne la teologia. Solo nell'altro mondo si troverà la sostanza, là vedremo la solidità degli edifici innalzati dai nostri preti; nell'attesa, la loro cucina in questo mondo mi pare solidissima. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
James S. McLaren, della Australian Catholic University, pubblicò un articolo nel 2004 dal titolo: Constructing Judean History in the Diaspora: Josephus' Account of Judas, dove fa un caso piuttosto convincente, applicando ottimamente l'ermeneutica del sospetto su Flavio Giuseppe, che “i racconti di Giuda [il Galileo] sono una costruzione fabbricata e manipolata da parte di Flavio Giuseppe”.

Lo storico ebreo Flavio Giuseppe inventò Giuda il Galileo.

Flavio Giuseppe, impersonato dall'attore Sam Neill nel film Dovekeepers.


Innanzitutto vediamo dove Flavio Giuseppe menziona questo Giuda.

Tre volte in Guerra Giudaica, dove solo la prima volta si parla di lui direttamente:

Essendo stato ridotto a provincia il territorio di Archelao, vi fu mandato come procuratore Coponio, un membro dell'ordine equestre dei romani, investito da Cesare anche del potere di condannare a morte. Sotto di lui un galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un maestro che fondò una sua setta particolare, e non aveva nulla in comune con gli altri.
(Guerra Giudaica 2.117-18)

Mentre le altre due volte Giuda è ricordato solo per introdurre altri personaggi che hanno a che fare con lui:

Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il galileo, un dottore assai pericoloso che già ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai giudei di riconoscere la signoria dei romani quando già avevano Dio come Signore, messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masada...
(Guerra Giudaica 2.433)


A capo dei sicari che l'avevano occupata c'era Eleazar, un uomo potente, discendente di quel Giuda che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea.
(Guerra Giudaica 7.253)


Lo stesso Giuda il Galileo figura tre volte in Antichità Giudaiche, anche qui la prima volta per parlare di lui soltanto:

Ma un certo Giuda, un Gaulanita della città chiamata Gamala, che aveva avuto l'aiuto di Saddoc, un fariseo, si gettò nel partito della ribellione, gridando che questo censimento ad altro non mirava che a mettere in totale servitù, e invitava la nazione a fare un tentativo di indipendenza. Insistevano che in caso di successo, i Giudei avrebbero posto le fondamenta della prosperità; e qualora, invece, fallissero nella loro conquista, avrebbero guadagnato onore e rinomanza per la loro nobile aspirazione e la Divinità, d'altra parte, sarebbe stata il migliore aiuto e ne avrebbe favorito l'impresa fino al successo, tanto più se fermamente resisteranno con l'adesione del cuore e non indietreggeranno di fronte allo spargimento di sangue che potrà essere necessario.
E siccome la gente di buon grado accoglieva questi appelli, la congiura per l'astensione faceva seri progressi, e in tal modo questi uomini diffusero il seme di ogni genere di calamità che afflissero così tanto la nazione al punto che non vi sono parole atte a esprimerlo. Quando le guerre sono scoppiate e si trovano al limite da sfuggire a ogni controllo, quando gli amici, con i quali era possibile alleviare le sofferenze, se ne sono andati, quando le scorrerie sono fatte da orde di briganti e vengono assassinate persone di grande stima, si pensa che ciò avvenga per mantenere il bene comune, ma proprio in quei casi la verità è che si tratta di vantaggi privati. Costoro hanno gettato il seme dal quale sorse la lotta tra le fazioni, massacri di concittadini tra i più ragguardevoli personaggi col pretesto del riordino delle cose pubbliche, ma in fondo con la speranza di un privato guadagno. Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue civile sia per i massacri reciproci che facevano i nazionalisti fanatici desiderosi di non cedere ai loro nemici, sia per la strage che facevano dei loro avversari. Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente; seguirono lotte e razzie tra le città a tal punto che il santuario di Dio, in questa rivolta divenne preda del fuoco ostile. Qui vi è una lezione su quanto innovazione e riforme delle tradizioni ancestrali pesino profondamente nella distruzione dell'insieme del popolo. In questo caso, certamente, Giuda e Saddoc diedero inizio tra noi a una astrusa scuola di filosofia, e quando acquistarono una quantità di ammiratori, subito riempirono il corpo politico di tumulto e vi inserirono ancora i semi di quei torbidi che in seguito lo sopraffecero; e tutto avvenne per la novità di quella filosofia finora sconosciuta che ora descrivo. Il motivo per cui do questo breve resoconto è soprattutto perché lo zelo che Giuda e Saddoc ispirarono nella gioventù fu l'elemento della rovina della nostra causa.

(Antichità Giudaiche 18.4-10)

Mentre le rimanenti due volte Giuda è nuovamente introdotto ma solo per parlare più diffusamente o della cosiddetta “quarta filosofia” oppure dei suoi figli:

Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo “padrone”.
Ma la maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze, che posso procedere oltre la narrazione. Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene.

(Antichità Giudaiche 18.23-24)

Oltre a ciò, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono posti sotto processo e per ordine di Alessandro, vennero crocifissi; questi era il Giuda che - come ho spiegato sopra aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino faceva il censimento in Giudea.
(Antichità Giudaiche 20.102)


Questo sta a significare che in entrambe le opere all'inizio Flavio Giuseppe si sofferma primariamente su Giuda, mentre ogni altra volta che lo menziona da capo, è solo per ricordare al lettore di quale Giuda sta parlando, riferendolo così allo stesso punto di partenza - il solo - nel quale parla diffusamente di lui.

Questo implica due cose, secondo McLaren:

Innanzitutto, una contraddizione sorge tra così tante allusioni a quel Giuda e la piuttosto modesta, rapida e sommaria descrizione della sua azione sediziosa, quando si tratta di descriverla per se. Non si sta biasimando Flavio Giuseppe per essere così avaro di ulteriori informazioni su Giuda, ma lo si sta biasimando per voler far leva sempre e soltanto su quella singola, sparuta informazione ogni volta che vuole ricordare al lettore chi era Giuda. In altre parole, il relativo silenzio su Giuda lo vuole rompere, ha chiaramente interesse a romperlo, lo stesso Flavio Giuseppe che di quel silenzio relativo su Giuda sarebbe il responsabile.

En passant, questo mi ricorda un'altra fondata ragione per ritenere un'interpolazione il famigerato “detto Cristo” di Antichità Giudaiche 20:200, alla luce della totale interpolazione del Testimonium Flavianum: se il più famoso Testimonium è chiaramente una totale interpolazione cristiana (più precisamente, del folle apologeta proto-cattolico Eusebio di Cesarea), allora il presunto puntatore al Testimonium, ovvero il “detto Cristo” del libro 20, rimarrebbe enigmaticamente penzolante, dato che farebbe riferimento a qualcosa che Flavio Giuseppe non scrisse mai. Ergo è a sua volta un'interpolazione cristiana.

Ma con Giuda il Galileo è diverso: chiaramente dell'evidenza testuale esiste che Flavio Giuseppe vuole rammentare almeno 4 volte al lettore, introducendo altri contesti, gruppi e personaggi, cosa aveva scritto a proposito di Giuda il Galileo. L'evidenza di un paragrafo apposito che illustri per filo e per segno chi è e cosa fece tale Giuda il Galileo è perciò attesa, a fronte del chiaro interesse di Flavio Giuseppe a riprenderne la memoria in più punti delle sue due opere. Sarebbe al contrario inatteso se quei puntatori sparsi a Giuda il Galileo rimanessero enigmaticamente penzolanti (al pari del ridicolo “detto Cristo” di evangelica memoria). E Flavio Giuseppe tranquillizza le attese del lettore: lui parla effettivamente di Giuda il Galileo. Eppure c'è un problemino: ne parla in modo sommario, fin troppo sommario, per qualcuno che è riferito più e volte in tale misura.

Nelle parole di McLaren:

Noi siamo lasciati con l'interrogativo del perchè Flavio Giuseppe dovrebbe voler collocare enfasi sulla carriera di Giuda ma non fornire qualcosa dell'essenziale dettaglio di quella carriera.
(pag. 94, mia libera traduzione)


La seconda contraddizione ad insorgere è che Flavio Giuseppe, ogni qual volta rifà il nome di Giuda il Galileo per spiegare qualcos'altro, non si limita a farne meramente il nome (ciò sarebbe atteso visto che quella è una costante di Flavio Giuseppe per ogni personaggio che rispunta nella narrazione di altre circostanze). Ma aggiunge daccapo l'intera sommaria descrizione a proposito di Giuda, fosse ancorchè solo una breve nota (vedi le citazioni sopra), qualcosa che non si scomoda mai a fare quando sbucano nella narrazione personaggi di cui aveva già parlato.

Noi stiamo conducendo, perciò, con una caratteristica unica.
(pag. 94, mia libera traduzione)


L'ulteriore osservazione di McLaren riguarda le contraddizioni tra quei sei riferimenti a Giuda: al di là di ripetere il solito leit motive della ribellione a Roma quando la Giudea fu annessa ufficialmente all'Impero, tutti e sei quei riferimenti divergono nei dettagli.

Un primo esempio di divergenza è che ora si fa riferimento alla Galilea, ora si fa riferimento a Gamala nella Gaulonitide. Gamala sarebbe parte della Galilea, quindi dove sarebbe il problema?

Che Flavio Giuseppe le considerava due regioni distinte:

Giovanni figlio di Anania fu eletto capo per le province di Gofna e Acrabetta, e Giuseppe figlio di Mattia per le due Galilee; alla giurisdizione di quest'ultimo fu aggiunto anche il territorio di Gamala, la città più forte in quella regione.
(Guerra Giudaica 2.568)

E sapendo che i romani avrebbero cominciato a invadere la Galilea, fortificò le posizioni più importanti come Iotapata, Bersabe, Selame, Cafarecco, Iapha, Sigoph, il monte chiamato Itabirion, Tarichee e Tiberiade, e inoltre fortificò le caverne attorno al lago di Gennesareth nella Galilea detta inferiore; nella Galilea superiore la montagna detta Acchabaron e Sepph, Iamnith e Mero.
Nella Gaulanitide egli fortificò Seleucia, Soganea e Gamala. Ai soli abitanti di Sepphoris concesse di provvedere da sé a costruire un muro, vedendo che erano ben provvisti di ricchezze e vogliosi di far la guerra senza bisogno di ricevere ordini.

(Guerra Giudaica 2.573-74)


Nella parte meridionale, [la Galilea] confina con la Samaritide e con Scitopoli fino al corso del Giordano. Verso oriente, è delimitata dai territori di Hippos, di Gadara e dalla Gaulanitide, ove sono anche i confini del regno di Agrippa.
(Guerra Giudaica 3.37)

Con costoro era anche la città di Gamala, situata dirimpetto a Tarichee dall'altra parte del lago. Essa rientrava nel territorio assegnato ad Agrippa, al pari di Sogane e di Seleucia, entrambe città della Gaulanitide; Sogane apparteneva al Gaulan detto superiore, Gamala all'inferiore, mentre Seleucia era sita presso il lago Semeconitide.
(Guerra Giudaica 4.2)


Un'altra soluzione per spiegare quell'apparente contraddizione è che Giuda veniva da Gamala ma fu conosciuto per la sua attività sediziosa in Galilea, da qui fu chiamato “il Galileo”. Come ben sa chi ci tiene a distinguere quel Galileo da un altro (ancor più fantomatico) “Galileo”, dalla Galilea provenivano fin troppe persone, nella stessa prosa di Flavio Giuseppe, per degnare solo Giuda del titolo di “Galileo”. In fondo erano pur sempre ebrei, non come Niger, il “Peraita” :



Fra questi si distinsero per valore Monobazo e Cenedeo, parenti di Monobazo re dell'Adiabene, e dopo di loro Niger il Peraita e Sila il Babilonese passato ai giudei dal re Agrippa, sotto il quale aveva militato.
(Guerra Giudaica 2.520, 566)


...o come Sila, il “Babilonese”:

Guidavano la spedizione tre uomini eminenti per il valore e l'intelligenza: Niger il Peraita, Silas il Babilonese e Giovanni l'Esseno.
(Guerra Giudaica 3.11)


In realtà c'è evidenza testuale in Flavio Giuseppe che il termine “galilei” al plurale è utilizzato per lo più “in un senso aggressivo, negativo” (pag. 96) ricordando la loro descrizione gli stessi odierni bastardi terroristi dell'ISIS:

Così per il popolo Simone era, fuori le mura, un nemico più terribile dei romani, mentre all'interno più feroci degli altri due erano gli Zeloti, fra i quali si distingueva per i disegni delittuosi e per la temerità il gruppo dei Galilei; erano stati infatti costoro a portare al potere Giovanni, ed egli li ricompensava del predominio che gli avevano procurato concedendo a ciascuno di fare ciò che voleva. Con un insaziabile desiderio di preda frugavano le case dei ricchi, uccidevano gli uomini e stupravano le donne come fosse un gioco; poi col bottino lordo di sangue gozzovigliavano e infine, sazi, si abbandonavano senza ritegno all'effeminatezza acconciandosi i capelli, indossando abiti da donna, cospargendosi di profumi e dandosi il bistro agli occhi per farsi più belli. E le donne non le imitavano soltanto nel modo di agghindarsi, ma anche nelle pratiche amorose, ideando con frenetica dissolutezza infami amplessi, rotolandosi nella città come in un bordello, dopo averla tutta insozzata con le loro nefandezze. Ma se avevano visi di donna, le loro erano mani d'assassini: mentre procedevano con molle andatura all'improvviso si trasformavano in audaci uomini d'arme, ed estraendo le spade da sotto alle vesti dai colori sgargianti trafiggevano chiunque capitava. Chi fuggiva da Giovanni riceveva da Simone un'accoglienza ancora più funesta, e se uno si salvava dal tiranno di dentro periva ad opera di quello di fuori.
(Guerra Giudaica 4.558-64)


Al contrario, “giudei” al plurale indica i buoni, i difensori, i membri dell'eroica resistenza:

In quei giorni Vespasiano inviò Traiano, il comandante della legione decima, con mille cavalieri e duemila fanti contro una città vicina a Iotapata, di nome Iafa, che era insorta imbaldanzita dall'inatteso successo della resistenza degli Iotapateni. Traiano trovò che la città non era facilmente espugnabile, poiché oltre a sorgere in un luogo naturalmente forte aveva una doppia cinta di mura; ma quando vide che gli abitanti ne erano usciti pronti a battaglia per incontrarlo partì all'attacco, e dopo una breve resistenza li travolse e prese a inseguirli. Quelli entrarono nella prima cinta di mura, ma vi s'introdussero anche i romani che avevano alle calcagna. Perciò quando vollero entrare entro la seconda cinta i loro non aprirono le porte, temendo che irrompessero anche i nemici. Certamente era Dio che voleva far dono ai romani della sventura dei giudei e che allora per mano dei concittadini consegnò per la strage nelle mani di nemici assetati di sangue il popolo della città, cui i compatrioti avevano chiuso le porte. Infatti, mentre tutt'insieme si accalcavano alle porte e continuavano a invocare quelli di sopra chiamandoli a nome, e li imploravano, venivano trucidati. La prima cinta muraria gliel'avevano sbarrata i nemici, la seconda i loro concittadini e, rinchiusi in folla tra i due baluardi, molti si tolsero la vita a vicenda, molti si suicidarono e moltissimi caddero per mano dei romani, senza aver nemmeno la forza di difendersi; infatti, oltre al terrore che provavano per i nemici, li aveva demoralizzati il tradimento dei loro.
(Guerra Giudaica 3.289-296)


“Galileo” non può essere interpretato come sprezzante solo nei confronti di Giuda, dato che tutti i “galilei”, senza aver a che fare con Giuda, sono disprezzati da Flavio Giuseppe. L'evidenza di “Galileo” come titolo allusivo solo di Giuda evapora.

Un'altra divergenza nei riferimenti a Giuda il Galileo è che ora è solo lui il fondatore della sediziosa “quarta filosofia”, ora invece condivide quel ruolo assieme a Saddoc, un fariseo.

Un'ulteriore divergenza tra i riferimenti a Giuda il Galileo è che ora è attribuita a lui l'esortazione a non avere altro padrone che non sia Dio, ora invece è attribuita alla “quarta filosofia” da lui fondata.
Curiosamente, Flavio Giuseppe non dice chi fu il fondatore rispettivamente della “prima”, della “seconda” e della “terza filosofia”. Ma solo della “quarta”.  E cosa ancor più curiosa, a differenza delle prime tre, Flavio Giuseppe non dà un nome alla “quarta filosofia” se non associandola al suo fondatore, tale Giuda il Galileo.

Un'altra contraddizione, a mio avviso la più vistosa, è che quando Flavio Giuseppe dice che la “quarta filosofia” non differisce in nulla dai farisei se non per la sua azione sediziosa, ebbene, così “contraddice la generale pretesa di unicità in Guerra 2.117-18 e Antichità 18-4-10” (pag. 108).

Come mai allora, nonostante è evidente per Flavio Giuseppe il ruolo cruciale giocato da questo Giuda il Galileo nella sua narrazione, tutti i riferimenti a costui tradiscono queste contraddizioni così malcelate?

Così McLaren:

Non è sufficiente suggerire che Giuda fu citato primariamente a causa del suo essere una figura di significato storico per la storia politica della Giudea. Egli era chiaramente importante per Flavio Giuseppe; di qui le annotazioni nelle citazioni indirette. Comunque, esistono sostanziali gaffe riguardanti la carriera di Giuda. Inoltre, è implausibile suggerire che, sebbene Giuda fosse storicamente importante, i principali dettagli della sua attività non sopravvissero. La presenza dei quattro annotati riferimenti indiretti nega anche ogni tentativo di spiegare la variazione e le contraddizioni come il risultato di fonti diverse e/o di Flavio Giuseppe essendo uno scrittore goffo e incoerente. Flavio Giuseppe chiaramente vuole far apparire importante Giuda, tuttavia lui è anche aperto a fare numerose modifiche ai suoi resoconti, specialmente nei termini del collegamento tra Giuda e la quarta filosofia. Il modo più plausibile tramite cui spiegare perchè Flavio Giuseppe cita Giuda in tal modo è mediante il riferimento alla scelta autoriale. In altre parole, Flavio Giuseppe ha deliberatamente fabbricato i resoconti. La questione è in che maniera e a che misura questo sia avvenuto.
(pag. 100-101, mia libera traduzione)


Occorre scavare nel passato di Flavio Giuseppe.

Quando scoppiò la guerra contro Roma, Flavio Giuseppe sapeva in un primo tempo da che parte stare:


...Flavio Giuseppe era un ribelle.
(pag. 101)


Il grido di guerra dei religiosi sediziosi che originarono la rivolta, “Solo Dio come padrone!”, un grido che anche Flavio Giuseppe proferì come fariseo della resistenza antiromana, riecheggiò nei turbolenti anni 66-70 EC, ma fu spostato da Flavio Giuseppe indietro di circa 40 anni, ai tempi della cosiddetta “quarta filosofia”.

Ciò che fece scattare, come mero pretesto, la rivolta fu un episodio relativo al Tempio di Gerusalemme:

E, sebbene i sommi sacerdoti e i maggiorenti esortassero a non tralasciare il consueto rito per i dominatori, quelli non cedettero sia perché confidavano molto nel loro numero, essendo appoggiati dai più attivi dei rivoluzionari, sia specialmente perché pendevano dalle labbra di Eleazaro. I maggiorenti e i sommi sacerdoti si riunirono con i notabili dei Farisei per discutere sulla situazione politica generale, che si presentava ormai di un'estrema pericolosità; e avendo deliberato di tentare un'azione di recupero verso i rivoluzionari raccolsero il popolo dinanzi alla porta di bronzo, che si apriva nel tempio interno rivolta ad oriente.
...
Durante questo discorso essi fecero intervenire i sacerdoti esperti dei riti tradizionali, i quali dichiararono che gli antenati usavano accettare i sacrifici da parte degli stranieri. Ma nessuno dei rivoluzionari si lasciò convincere, e nemmeno i ministri di culto si dichiararono d'accordo, creando così l'occasione per la guerra.

(Guerra Giudaica 2.410-411, 417)


Mai come nella descrizione piuttosto vittimistica dei sacerdoti in balia degli zeloti, in questo punto Flavio Giuseppe è estremamente tendenzioso. Quell'episodio vide in realtà Flavio Giuseppe tra le fila dei farisei che erano ardenti di combattere contro Roma. Quei farisei in realtà erano le stesse persone che avevano coniato il grido di guerra “solo Dio come padrone!” per galvanizzare ancor di più il popolo, ideologizzando ferocemente lo scontro.

Sull'onda del recente censimento del 65/66 (Guerra Giudaica 6.422-23) e della successiva disputa riguardo il corrente tributo (Guerra Giudaica 2.293-96, 404-407), alcuni dei sacerdoti di Gerusalemme decisero di prendere una drastica azione. Invece di continuare ad agire come intermediari tra la comunità, Roma e Dio essi decisero di rimuovere dall'equazione i correnti padroni mortali, i Romani. Fu un'azione che richiese giustificazione e spiegazione. Qualche forma di polemico grido di guerra fu necessario per aizzare il popolo dietro la causa della ribellione. L'importanza attaccata alla propaganda è evidente dalla coniazione prodotta durante la rivolta.
(pag. 102-103, mia libera traduzione)


Neppure il Flavio Giuseppe collaborazionista e filoromano rinunciò ad auspicare un governo ideale fatto di soli sacerdoti.
Flavio Giuseppe potè essere un voltagabbana come e quanto vuoi, ma non rinunciò mai all'idea che i sacerdoti fossero i soli rappresentanti di Dio, “un'espressione di un'ideologia che ricalca il principio di Dio solo come padrone” (pag. 103), perfino se lui avrebbe dovuto preoccuparsi di eliminare da quell'idea ogni potenziale compromettente legame con il suo passato di sedizioso.

E qui arriviamo a scoprire il vero interesse di Flavio Giuseppe: nascondere il proprio compromettente passato, in una parola, depoliticizzarsi il più possibile. Che voleva dire, agli occhi dei Romani, disintossicarsi da ogni contatto col bacillo contagioso del morbo zelota.

E quale miglior mezzo di auto-censurare il proprio supporto ideologico alla sedizione anti-romana (che contemplava tra le altre cose la creazione di quel sinistro grido di guerra, “Dio solo come padrone!”, precursore per certi versi del drammaticamente attuale - e altrettanto sinistro - Allahu Akbar! ) se non di retro-proiettare nel passato, affibbiandola magari a qualcun altro - meglio ancora se INVENTATO -, la propria compromettente responsabilità dietro quel pericoloso legame instaurato tra religione e politica all'insegna della volontà di sedizione?

In altre parole, Flavio Giuseppe doveva riciclarsi. Scaricando su un suo clone letterario, da lui stesso fabbricato, le sue stesse imbarazzanti colpe di sedizioso.

Flavio Giuseppe necessitò di esonerare sé stesso e i suoi compagni sacerdoti  aristocratici che erano direttamente implicati come istigatori della rivolta e promotori della causa della guerra. Essi erano coloro che aizzarono altri ebrei a unirsi a loro sotto la bandiera dell'affermazione del regno di Dio e, quindi, del ripudio di Roma. ... Ovviamente, non era possibile esonerare tutti i sacerdoti coinvolti, e il ruolo cruciale giocato da tali eventi come la cessazione dei sacrifici a beneficio di Roma e dell'imperatore non poteva essere ignorato. Comunque, Flavio Giuseppe poteva e doveva modificare severamente il resoconto dell'incidente.
(pag. 104, mia libera traduzione)

Ormai è chiaro dove McLaren vuole arrivare a parare. Giuda il Galileo doveva essere inventato all'occasione da Flavio Giuseppe come fittizio capro  espiatorio dell'ideologia della rivolta antiromana del 70, così da scagionare sè stesso e i farisei par suo da ogni legame con un così compromettente, imbarazzante, e soprattutto recente, passato.

Nelle sue mirabili parole:

Le citazioni dirette e indirette, nel loro posizionamento e contenuto, sono utilizzate per costruire ed enfatizzare il presunto ruolo di Giuda negli eventi del primo secolo EC. Flavio Giuseppe si servì di lui e della creazione della cosiddetta “quarta filosofia” come capri espiatori, un mezzo per allontanare la responsabilità della rivolta da sé stesso e dai suoi colleghi. L'associazione dell'ideologia “nessun padrone tranne Dio” con Giuda, resa esplicita nel riferimento diretto in Guerra 2.117-118, offriva una distanza cronologica, geografica e sociale. In ciò che è da lontano la più chiara e più sintetica descrizione di Giuda e della quarta scuola di pensiero, Flavio Giuseppe identifica l'ideologia con eventi che risalgono al principio del diretto dominio romano, con una persona della regione settentrionale del territorio giudaico, che operò di sua personale iniziativa, creando il suo gruppo personale e non avendo alcuna eredità identificata. L'ideologia, perciò, è spostata indietro di circa 60 anni, ben distante da Gerusalemme e dalla classe sacerdotale. La descrizione di Giuda, perciò, operava in congiunzione con la creazione di rivoluzionari anonimi non rappresentativi e di un'aristocrazia che prende controllo della rivolta allo scopo di disinnescare il conflitto.  È una parte integrale della riscrittura di Flavio Giuseppe del conflitto.
(pag. 116-117, mia libera traduzione)


La classe sacerdotale (di cui Flavio Giuseppe si sentiva parte) aveva fin troppi scheletri nell'armadio da nascondere, legami compromettenti, agli occhi dei Romani, col recente passato sedizioso del popolo ebraico. La fama di collaborazionisti filoromani dei farisei e dei sadducei  (fama più che meritata dopo il 70 EC) non deve servire a nascondere il loro reale tradimento nel 66-70 EC col loro supporto ideologico e religioso dato da ultimo agli zeloti. Questo permette di vedere parzialmente in una nuova luce le diatribe tra il Gesù evangelico e gli “scribi e farisei”. I secondi, al tempo dell'evangelista (ovvero parecchio tempo dopo il 70 EC), erano ancora malvisti per aver appoggiato ideologicamente i riottosi zeloti alla loro presa del potere, quindi le critiche del Gesù evangelico alle brame rivoluzionarie dei suoi discepoli (dipinti negativamente dal vangelo di Marco come aspiranti messianisti anti-romani reguarditi per questo a più riprese da Gesù) valgono in misura anche maggiore contro l'“ipocrisia” dei farisei (che del messianismo militare antiromano erano stati realmente i teorici ideologici nel 66 CE). In altre parole, Pietro e Caifa, intesi come personaggi letterari del vangelo, sono assai più vicini di quanto si pensi. L'analisi di McLaren dimostra che i farisei non erano affatto così collaborazionisti filo-romani prima del 70, come certa apologetica cristiana tende a rappresentarli, perpetuando sotto mentite spoglie ancora il mito della perfidia Judaica.

Circa 15-20 anni passarono tra la stesura di Guerra Giudaica e la stesura di Antichità Giudaiche. Nel frattempo, il pubblico greco-romano era diventato ancor più curioso dei fatti di Giudea, anche perchè si domandava come mai, nonostante la rivolta fosse stata sopita nel sangue, voci di malcontento popolare tra gli ebrei (se non di sedizione) ancora arrivavano a Roma da quella lontana e problematica provincia. Inoltre lo stesso Flavio Giuseppe aveva i suoi nemici a Roma, nonchè potenziali detrattori della sua propaganda:

L'ispiratore della sedizione, Gionata, sul momento riuscì a fuggire, ma poi, a seguito di lunghe e assai diligenti ricerche effettuate in tutto il paese, venne catturato e, trascinato al cospetto del governatore, escogitò una maniera di sottrarsi alla punizione offrendo nel tempo stesso a Catullo lo spunto per una serie d'ingiustizie. Dichiarò infatti falsamente che erano stati i più ricchi dei giudei a insinuargli l'idea della ribellione. Il governatore accolse con piacere tali calunnie, gonfiando la cosa a dismisura e dipingendo la situazione come altamente drammatica per potersi dar le arie di aver vinto anche lui una guerra giudaica.
...
Ad evitare, poi, che giudei di altri paesi potessero comprovare la sua iniquità, allargò il raggio delle sue false accuse e convinse Gionata e alcuni altri che erano stati arrestati con lui a denunziare come cospiratori le più importanti personalità giudaiche di Alessandria e di Roma.
Uno di quelli che vennero accusati ingiustamente fu Giuseppe, l'autore di questa storia.

(Guerra Giudaica 7.441-443, 447-448, mia enfasi)

La prova che il suo passato rivoluzionario continuava ad essere scomodo per Flavio Giuseppe si riflette nelle contraddizioni che suo malgrado provocò coll'aggiunta nell'opera successiva dei riferimenti rimanenti a Giuda il Galileo, le stesse contraddizioni elencate sopra. Mentre in un primo tempo, il Flavio Giuseppe collaborazionista aveva usato il fittizio Giuda il Galileo come bersaglio polemico
1) per aver creato l'ideologia “nessun padrone tranne Dio”,
2) per averla creata lui solo e nessun altro...
3). .e per essere stato per giunta un galileo;
...ora invece, nel secondo ritratto che ne diede, Flavio Giuseppe, l'apologeta di sé stesso, si sentì costretto a mutare parzialmente prospettiva su Giuda, per obiettare meglio a chi, perfino tra gli ebrei (ad esempio Giusto di Tiberiade e il Gionata di cui sopra), continuava ancora a rinfacciargli il suo passato da sedizioso zelota perfino sotto il regno di Domiziano:
1) l'ideologia “nessun padrone tranne Dio” è connessa non più a Giuda il Galileo ma alla “quarta filosofia”,
2) la “quarta filosofia” non fu fondata dal solo Giuda, ma anche da Saddoc,
3) la “quarta filosofia” non differisce in nulla dalla filosofia dei farisei (ovvero la filosofia di Flavio Giuseppe in persona) se non per l'aspetto sedizioso del punto 1.

I mutamenti di prospettiva indicano che Flavio Giuseppe subì a Roma la pressante necessità di tentare un'apologia di sè più attenta alle sfumature: invece di difendersi dicendo magari che “i sediziosi non ebbero nulla a che fare coi farisei come me” ora lui poteva essere più sfumato concedendo che “i sediziosi erano simili ai farisei come me, però ancora noi farisei differiamo da loro per la nostra lealtà a Roma”.

Tuttavia anche questo secondo cammuffamento delle reali origini ideologiche della rivolta attuata da Flavio Giuseppe continuò a tenere ben separata la sediziosa ideologia “nessun padrone tranne Dio” dai farisei (che pure ne erano stati i reali creatori), dal momento che ora Giuda e Saddoc (un altro individuo fittizio privo di un'eredità dinastica come Giuda) sono ancora i soli condannati per aver ispirato la rivolta, la Galilea come origine della rivolta lascia il posto ad una sede più specifica (Gamala) dell'origine del morbo zelota ma comunque tenuta ancora a ben debita distanza da Gerusalemme (il cui Tempio costituì in realtà per gli zeloti il vero e proprio simbolo dell'indipendenza ebraica da essi agognata, tant'è che ne fecero il loro quartier generale nel 70) e quindi dai farisei come Flavio Giuseppe. Perché, nel frattempo, sostituire la Galilea con Gamala?  Perché proprio in Galilea Flavio Giuseppe aveva prestato servizio nell'esercito degli zeloti come generale dunque doveva convenientemente spostare Giuda il Galileo dalla Galilea e collocarlo in un punto diverso purchè altrettanto lontano dalla Gerusalemme dei farisei. La sua scelta della provenienza di Giuda cadde su Gamala perchè Gamala si rivelò durante la guerra una noce dura da schiacciare, per il fanatismo da kamikaze dei suoi abitanti durante l'assedio romano:

All'infuori di due donne nessuno si salvò; si trattava delle figlie della sorella di Filippo, e questo Filippo era figlio di un notabile di nome Iacimo, che era stato un generale al servizio del re Agrippa. Si salvarono perché erano nascoste e poterono così sfuggire al furore dei romani durante la presa della città; essi infatti in quel momento non provavano pietà nemmeno per i bambini, e molti ne uccisero prendendoli e scagliandoli giù dalla rocca.
Così, dunque, Gamala fu presa il giorno ventitreesimo del mese di Iperbereteo, mentre la sua ribellione era cominciata il giorno ventiquattresimo del mese di Gorpieo.

(Guerra Giudaica 4.81-83)

Flavio Giuseppe era quindi costretto, per assicurarsi la faccia mediante una migliore apologia del suo compromettente passato, a concedere alcuni punti alle accuse dei suoi critici nella misura in cui permetteva ora che la setta dei farisei non era rimasta poi così immune dal contatto imbarazzante coi sediziosi zeloti: “sì, i farisei come lui si erano inevitabilmente sporcati con i sediziosi, ma solo di striscio”.

Tutti quei cambiamenti formano quel che ammonta ad una seconda versione del ritratto. Non fu altrettanto nitida come la prima versione. Fu un compromesso, e un compromesso che fu fatto solamente a malincuore.
(pag. 106-107, mia libera traduzione)

La conclusione di McLaren:

Non è semplicemente il caso di affermare che Flavio Giuseppe potrebbe aver esagerato il resoconto della carriera di Giuda e del suo impatto aggiustando un pò di dettagli qui e là. Piuttosto, l'apologetica di Flavio Giuseppe ha fabbricato Giuda, rendendolo una parte vitale della spiegazione di quel che accadde in Giudea nel 66-70 EC.
(pag. 108, mia libera traduzione)

La vita del Flavio Giuseppe romano fu assillata dall'ombra scomoda che proiettava su di essa l'esperienza da sedizioso del Flavio Giuseppe ebreo. Ma lui rimase, nonostante tutto, sia a Gerusalemme che a Roma, un fariseo:

Allo stesso tempo, lui non è una persona che semplicemente servì gli interessi o l'agenda di altri. Piuttosto, egli fu parte di un gruppo di sacerdoti aristocratici che, col senno di poi, avevano fatto una forte e estremamente incauta decisione. Come una persona con un pedigree che lo preparava ad una carriera pubblica, lui tentò di rendere buona la decisione ... in una nuova città e in circostanze drammaticamente mutate.
(pag. 108, mia libera traduzione)


Alcune personali osservazioni

Questo implica l'estrema facilità con cui perfino gli storici dell'epoca potevano inventare personaggi letterari fittizi per meglio servire ai loro scopi, senza venire scoperti. Esiste la remota possibilità che anche Tacito avesse evemerizzato (strictu sensu) Gesù sulla terra nel tentativo di dare un volto e un nome alle vittime di Nerone dopo il Grande Incendio di Roma. Forse il suo ragionamento fu qualcosa del genere: “io non ho la più pallida idea di chi fossero quegli ebrei che Nerone perseguitò, ma forse sono gli stessi cristiani che predicano oggi un certo “Cristo” crocifisso. Se nei loro riti piangono la morte di un ebreo crocifisso, deve essere stato quell'idiota di Pilato, col suo sadico vizietto di infierire indiscriminatamente sui giudei buoni e cattivi, ad averlo crocifisso, altrimenti dovrei credere che fosse meritata la sua pena.” Tacito sarebbe stato così il primo nella Storia ad associare a Gesù il nome di Pilato, e quindi rimaneva alla fertile immaginazione del primo evangelista  il compito di ricamarvi sopra a tavolino un'intera leggenda. Ovviamente il problema con questo ragionamento è che nessun autore cristiano, tantomeno pagano, sembra essersi accorto della frase di Tacito “auctor nominis eius...” che menziona Cristo, e per ben 3 secoli. L'evidenza che qualche cristiano avrebbe ricordato quel passo di Tacito mosso da esigenze apologetiche è troppo attesa se Tacito avesse davvero scritto quel passo. Eppure occorre aspettare fino a Sulpicio Severo perchè qualche cristiano si “ricordasse” del passo. E allora sorge il sospetto che Tacito è stato interpolato nella frase che allude a Cristo. Quindi svanendo la possibilità che fosse stato Tacito ad evemerizzare Gesù sulla Terra.

Un'altra possibilità da considerare, alla luce della convincente analisi di McLaren, è che il primo inventore di un “Gesù terreno” avrebbe collocato la nascita di Gesù proprio al tempo del censimento di Quirino, censimento che secondo l'inventata propaganda di Flavio Giuseppe aveva scatenato la rivolta del fittizio Giuda il Galileo. Un personaggio inventato avrebbe attirato a sè un altro personaggio inventato come suo contemporaneo, per fare il punto che i due rappresentavano due differenti simboli di Israele: Gesù sarebbe l'Israele buono destinato a germogliare e a crescere nel mondo pagano, mentre il Giuda cattivo, lo stesso nome del traditore Giuda Iscariota (o Sicariota?) ,sarebbe allegoria del parimenti fittizio “Giuda il Galileo”, simbolo dell'Israele cattivo che contagia la Galilea “dei gentili” col suo morbo zelota.
Se Giuda il Galileo fungeva in Flavio Giuseppe come simbolo dell'intera nazione di Giuda ribelle e violenta soprattutto nella Galilea, allora Gesù nel primo vangelo avrebbe funzionato altrettanto da cifra simbolica dell'intera nazione di Israele, una nazione che muore e risorge nel 70 come Nuovo Israele, identificandosi, per sopravvivere, nel corpo collettivo del celeste e mitologico “Cristo Gesù” di Paolo. Questa ipotesi interpretativa vale però solo se accetti che, come per Flavio Giuseppe, così l'autore di Marco (posto che fosse Marco il primo vangelo) aveva necessità di nascondere ai romani cosa voleva veramente allegorizzare dietro il proprio fittizio personaggio e questo punto, per Marco, non mi trova altrettanto convinto (a differenza del caso di Flavio Giuseppe), come in generale non mi convincono tutte le interpretazioni che vedono nel vangelo un tropo di exaltatio di Gesù in diretta concorrenza al culto dell'imperatore.

Intanto vedo che l'invenzione a tavolino di Giuda il Galileo da parte di Flavio Giuseppe, come dimostrata da McLaren, offre la prova definitiva che l'autore della tendenziosa propaganda di Atti degli Apostoli conosceva e utilizzò l'opera di Flavio Giuseppe, dal momento che, per fare menzione esattamente di quel Giuda in Atti 5:36-37 :

«Qualche tempo fa venne Tèuda, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti s'erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch'egli perì e quanti s'erano lasciati persuadere da lui furono dispersi.»  (Atti 5, 36-37)

...doveva necessariamente avere appreso di lui dalle opere di colui che quel Giuda aveva fabbricato, vale a dire Flavio Giuseppe. L'autore di Atti colloca stranamente Giuda il Galileo dopo Teuda, mentre nella narrazione di Flavio Giuseppe Giuda precede temporalmente Teuda. Così Wikipedia:

La difficoltà esegetica dipende dal fatto che l'autore di Atti attribuisce a Gamaliele l'idea che Teuda si sia ribellato prima di Giuda il Galileo, datando la rivolta di quest'ultimo «al tempo del censimento», cioè all'anno 6 o 7; al contrario, Giuseppe data la rivolta di Teuda all'epoca del procuratore Cuspio Fado, cioè all'anno 45 o 46, molto dopo Giuda il Galileo e, per di più, ben oltre l'epoca in cui Gamaliele avrebbe tenuto il discorso davanti al sinedrio.


Non ci tengo minimamente a difendere quel cervello di gallina dell'autore di Atti (quindi rimane di gran lunga più probabile la possibilità che lui avesse copiato distrattamente da Flavio Giuseppe invertendo cronologicamente i due), però se il fariseo Giuda il Galileo rappresenta in realtà ogni fariseo (come lo stesso Flavio Giuseppe) che nel 66 EC appoggiò per davvero gli zeloti, allora forse questo è parzialmente riflesso nella scelta di Atti di collocare Giuda dopo Teuda e non prima: in qualche modo, forse, il sospetto che un fariseo (e Giuda è descritto come tale) fosse coinvolto attivamente nella prima rivolta giudaica (e non in conflitti minori precedenti) avrebbe giocato qualche ruolo nel suo apparente errore cronologico. 

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