sabato 9 aprile 2016

Contro il Gesù mitologico non c'è Testimonium che tenga



Una parola di avviso a quelli che discutono con gli apologeti: evita di dire che Gesù non è esistito. Assumi che è esistito, e passa avanti.
(Jesus Did Not Exist A Debate Among Atheists, Raphael Lataster, Richard Carrier, pag. 22, nota 59, mia libera traduzione)

Nonostante la prevedibile resistenza dei folli apologeti cristiani, il miticismo sta a poco a poco diventando un soggetto di dominio pubblico, penetrando lentamente nel dibattito popolare quotidiano, come dimostra la pubblicazione di questo articolo del giornalista Brian Bethune sulla rivista canadese MacLean (a quanto pare, riservata a lettori di media educazione). Solo due anni fa Raphael Lataster aveva pubblicato un articolo sul miticismo presso The Washington Post.

Mi piace lo stile semplice e chiaro di Bethune, nonchè la lucidità (direi perfino: l'originalità) nell'analisi dell'ultimo felice libro di Bart Errorman che compendia la più fresca ricerca scientifica sulla memoria. Ormai è chiaro che esistono due Bart Errorman: uno che coi folli apologeti cristiani si diverte a sparare a zero sull'inaffidabilità dei vangeli, facendoli incazzare a turno (e chi può dargli torto, forte com'è della sua acquisita esperienza?) ed un altro Errorman, che pur di difendersi dai miticisti non esita a scimmiottare i peggiori “argomenti” dell'ultimo dei folli apologeti cristiani.

I quali apologeti sono oramai completamente alla frutta dementi e cretini come sono per definizione non avendo niente di meglio da fare che appellarsi ancora e ancora di nuovo, indovinate un pò... ...sull'autenticità (“parziale”, mi raccomando) del Testimonium Flavianum puntualmente presentato come prova (!) della storicità di Gesù così da grottescamente “vincere facile” una volta per tutte la disputa coi miticisti (evitando di approfondire).

Parlando con un folle apologeta cattolico su un forum (e non mi accade sovente di parlare con una bestia, perchè un cristiano tale diventa quando si confronta con vera evidenza) son rimasto impressionato dall'ennesimo pervicace tentativo di far spacciare come attualissimo “status quaestionis” la tesi dell'autenticità “parziale” del Testimonium Flavianum (quasi che la semplice esistenza di un consensus basti a dissipare ogni controversia), per di più non trovando nulla di meglio per supportare tale assurda pretesa (lo scemo riusciva a trovare solo citazioni accademiche a suo supporto vecchie di una decina d'anni se non di più)  che le stesse parole di Ken Olson, per di più in un recente articolo accademico del Dr. Olson che fa praticamente a pezzi ogni speranza di liberare almeno un parziale Testimonium Flavianum dal forte sospetto che sia un falso totale perpretrato da zelanti cristiani (più probabilmente, da quel fetente apologeta ortodosso di Eusebio di Cesarea ).

Ecco le parole irrazionali di questa bestia cattolica:

Egli [Olson] scrive, per tuo dispiacere (ma penso che tu lo sappia, il problema è che sei un disonesto cialtrone, oltre che impotente, e pertanto citi male le fonti)
" Probably the dominant opinion on the Testimonium Flavianum in recent historical Jesus scholarship follows the second method and supposes that the received text is not what Josephus wrote, but that we can recover what Josephus wrote by conjecturally emending the passage. By removing the three most overtly Christian statements from the text, we are left with a “core” text that is Josephan in language and non-Christian in content. This is the approach taken by John Meier in his widely cited and influential treatment of the issue in the first volume of A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus. "
E come vedi, caro il miticista, conferma ciò che ho riportato, ovvero che lo status quaestionis sul TF rimane saldamente a favore di una parziale interpolazione su un sostrato autentico.

Se Niccolò Copernico in persona scrivesse che lo status quaestionis del suo tempo sosteneva la verità della concezione geocentrica (tolemaica) contro quella eliocentrica, allora il demente apologeta cattolico in questione concluderebbe in piena coerenza alla sua logica (ma abbiamo già visto che è tanto scemo da essere privo dell'una come dell'altra) che “la concezione tolemaica è vera” perchè lo stesso Copernico riconosce tra le righe che il consensus del suo tempo la pensa così, “dunque” quel consensus avrebbe ragione (!).

Si confrontino le due “logiche” come sono simili:

1) Ken Olson 2013, mentre fa un caso contro il Testimonium Flavianum, riconosce che il consensus salva l'autenticità parziale del Testimonium Flavianum.
2) perciò esiste un consenso perchè Ken Olson in persona lo dice.
3) “perciò” (!) quel consenso ha ragione (“il Testimonium Flavianum è parzialmente autentico”), contro lo stesso caso presentato da Ken Olson.

1) Copernico, mentre fa un caso contro la concezione geocentrica di Tolomeo, riconosce che il consenso contemporaneo ritiene errata la tesi eliocentrica.
2) perciò esiste un consenso perchè Copernico in persona lo dice.
3) “perciò” (!) quel consenso ha ragione (“il pianeta Terra è al centro dell'universo”), contro lo stesso caso presentato da Copernico.

In realtà non ci vuole molto a leggere l'intero articolo del Dr. Olson (da me tradotto qui, qui e qui) per realizzare che ha semplicemente ragione: il Testimonium Flavianum è una totale interpolazione cristiana.

E un apologeta cristiano, se solo fosse onesto intellettualmente (non decisamente il caso del demente cattolico di cui sopra), risponderebbe a quell'articolo quantomeno con lo stesso prudente e umile commento del cristiano Kris Keith:
Ken, thanks for this interesting post! I confess my guilt in being one of the people who have simply repeated scholarly consensus in publication! You've given us much to ponder. All that oversight is good for your PhD, though!

Traduzione:
Ken, grazie per questo interessante post! Io confesso la mia colpa nell'essere stato una delle persone che hanno semplicemente ripetuto il consenso accademico nella pubblicazione! Ci hai offerto un sacco da ponderare. Tutto quel avvistamento è positivo per il tuo Dottorato di Ricerca, però!

Liquidato così l'ennesimo folle apologeta cristiano degno emulo di quell'idiota di Lorenzo Noli (sulla cui onestà intellettuale non che nutrissi qualche fiducia, considerato come tutti i cristiani sono dementi e a me interessa dialogare, per ovvi motivi, con gli atei e solo con loro, sulla questione della storicità di Gesù), non resta che rimandare alla lettura del superbo articolo di Brian Bethune, per dare un piccolo assaggio della vera questione e del vero drammatico scenario che gli storicisti presenti e futuri sono costretti d'ora in poi, loro malgrado, ad affrontare, senza più nessun Testimonium Flavianum che tenga.

La ricerca sulla memoria ha messo in dubbio le poche cose che sapevamo di Gesù, sollevando una questione ancora più grande.


Brian Bethune


23 marzo 2016


“Fate questo in memoria di me”, disse Gesù durante l'ultima cena, secondo il vangelo di Luca. Ma i ricordi dell'uomo Gesù si sono dimostrati ostinatamente sfuggenti per gli storici che sono convinti che la verità del figlio di Dio si trova sotto la superficie dei racconti evangelici scritti decenni dopo la sua morte. Ora, per la prima volta, uno dei più importanti studiosi del Nuovo Testamento in America è andato al di fuori del suo stretto campo, spinto tanto dalla frustrazione, quanto dalla curiosità, per esaminare ciò che la scienza della memoria potrebbe offrire per separare il grano storico dal loglio teologico nei vangeli. In tal modo, il professore di studi religiosi dell'Università del North Carolina Bart Ehrman potrebbe aver aperto un nuovo fronte nelle dispute su Gesù attualmente quiescenti, un quarto di secolo di studiosi devoti e laici che combattono su che cosa, esattamente, è la verità del vangelo.

L'obiettivo di Ehrman era quello di illuminare il ruolo della memoria nella realizzazione delle storie di Gesù che appaiono nella Bibbia, e di vedere fino a che punto reggeva il ruolo assunto dai testimoni oculari nel supportare eventi miracolosi. Ma nel racconto c'è una distorsione, però, e la fragilità della memoria umana si è rivelata più profonda di quanto Ehrman ha sospettato o, forse, ha sperato. Il suo illuminante Jesus Before the Gospels: How the Earliest Christians Remembered, Changed, and Invented Their Stories of the Savior potrebbe dimostrarsi molto utile per tutti coloro che sostengono una posizione che Ehrman trova più ostinatamente sbagliata della stessa insistenza sulla verità letterale della Bibbia. La ragione per cui gli storici biblici non riescono a trovare nemmeno la sagoma di un Gesù storico, sostiene un coro sempre più persuasivo di sfidanti, è che non c'è nulla da trovare: Gesù Cristo non è mai vissuto.

“Negli ultimi due anni ho letto quello che ho potuto sulla memoria”, afferma Ehrman in un'intervista, "e imparando che quello che ci hanno insegnato nei corsi post-laurea ― quello che è ancora insegnato nei corsi post-laurea ― è falso.” Le variazioni nella memoria orale, hanno realizzato psicologi, sociologi e antropologi, sono in realtà più radicali che nella trasmissione letteraria, perché la letteratura tende a fissare, invariato, il testo ricevuto. Ma ogni atto di trasmissione orale, Ehrman cita un esperto di memoria che dichiara, “è anche un atto di creazione.” Ciò significa che uno dei pochi pezzi di terreno comune tra credenti e scettici ― che la trasmissione orale di storie su Gesù nel tempo tra la sua morte e la composizione dei vangeli potrebbe essere (più o meno) degna di fiducia ― si sta trasformando in sabbie mobili.

Il divario cruciale nella documentazione scritta, della durata di quattro decenni o più, tra la morte di Gesù (che è stabilita oggi a non oltre il 36 EC) e il primo vangelo, quello di Marco (nell'opinione quasi universale degli studiosi, scritto qualche tempo dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 EC), non è mai stato un problema serio negli studi del Nuovo Testamento. I fedeli lo hanno sempre affrontato, assumendo che, per quanto tempo fosse trascorso ― e loro tendono ad abbreviarlo ― l'infallibile Parola di Dio fu ancora trasmessa in forma orale soggetta a correzione da Apostoli o da altri testimoni oculari. Gli storici secolari, senza tanta discussione delle proprie ipotesi, hanno accettato la radicata idea accademica che le culture orali fossero significativamente migliori delle culture letterarie nella preservazione di memoria accurata.

Il passare degli anni spiegava, in un modo accettabile agli storici, perché figuravano diversi resoconti dello stesso evento. Ehrman ricorda come, da giovane professore, domandò ad un esperto più anziano ― un sostenitore della robusta trasmissione orale ― come affrontava il fatto che i vangeli danno due racconti della visita di Gesù alla dodicenne figlia di Giairo: un racconto in cui la ragazza sta morendo, un altro in cui lei è già morta. La risposta, che ci devono essere state due visite alla (sfortunata) bambina, era praticamente impossibile per chiunque non impegnato alla verità evangelica. Eppure, allo stesso tempo, e di maggiore importanza, la fiducia degli storici nel fatto che la verità orale complessiva implicava minuscole modifiche di dettaglio non turbò le loro ipotesi circa la presenza di accurate memorie “essenziali” al centro delle storie di Marco e degli altri vangeli.


Non più. Studi della memoria ed esperimenti citati da Ehrman mostrano che sarebbe stato impossibile controllare il contenuto di storie su Gesù. Un esperimento di una decina di anni fa richiese 33 studenti universitari presso un obitorio, il tipo di esperienza di cui sarebbero indotti a discutere. Ciò che ne seguì dai ricercatori dimostrò che entro tre giorni la notizia della visita si era diffusa in forma alterata, tramite intermediari, a 881 persone. Quanto più spesso una storia si ripete ― e una crescente nuova comunità religiosa ripeterà le sue storie molto spesso ― più la storia cambia. Ripetere una storia 10 volte, come in un gioco del telefono, ed i dettagli più salienti ― chi disse esattamente cosa oppure fece che cosa a chi ― cambieranno di più. Quali sono le possibilità, 50 anni dopo il fatto, che l'autore del Vangelo di Matteo ricordò di aver udito il Discorso della Montagna ― un discorso lucido e sfumato ― esattamente come fu pronunciato?

Per quanto riguarda la conferma da parte dei testimoni oculari, lontano dal controllo dell'accuratezza, i testimoni oculari tendono ad offrire i racconti meno affidabili, soprattutto quando si richiama qualcosa di spettacolare o in rapido movimento, come Gesù che cammina sulle acque. Oppure nella convinzione di ricordarlo: 10 mesi dopo che un aereo cargo si schiantò in un condominio di Amsterdam nel 1992, uccidendo 43 persone, i ricercatori hanno chiesto agli studenti universitari e ai docenti olandesi se hanno ricordato le riprese TV del momento dell'impatto. Più di tre quarti hanno detto di averlo fatto, anche se non vi era tale filmato. (Non diversamente dalle folle di musulmani danzanti di gioia sui tetti del New Jersey il 9/11 di Donald Trump). 



E non c'è ragione di credere che i ricordi dei dettagli più banali della vita di Gesù sarebbero più affidabili.

I falsi ricordi possono essere facilmente impiantati. Immaginare soltanto di assistere ad un evento insolito ― Lazzaro che risorge dai morti, per dire ― può indurre un ascoltatore a “ricordare” di essere stato personalmente presente. Un gruppo di studenti, in un test che Ehrman cita, vennero condotti, uno per uno, a una macchina distributrice di Pepsi; alla metà degli studenti fu chiesto di mettersi in ginocchio e di farle una proposta di matrimonio, all'altra metà fu proposto solo di immaginare di fare così. Due settimane più tardi, la seconda metà del gruppo ricordava in realtà di aver fatto la proposta di matrimonio. I primi cristiani sembravano ben consapevoli dell'inganno della memoria. San Paolo assicurava ai suoi lettori nella Lettera ai Galati che gli insegnamenti che offriva non gli erano giunti da un percorso inaffidabile: “Voglio che sappiate, fratelli e sorelle, che il vangelo che ho predicato non è di origine umana. Non l’ho ricevuto da nessun uomo, né l'ho imparato; anzi, l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo”.

La memoria di gruppo spesso era peggiore, secondo gli antropologi che la vedevano distorcersi davanti ai loro occhi, quando esaminavano parecchi testimoni contemporaneamente. Se un membro dominante del gruppo introduceva la sua versione o un nuovo (e potenzialmente sospetto) dettaglio, gli altri lo avrebbero spesso lasciato scivolare incontrastato, incorporandolo nella nuova memoria collettiva. Il fatto più importante della memoria, aggiunge Ehrman, è che è sociale e individuale, “e la memoria sociale è tutto ciò che importa ora.”

Ecco perché l'immagine dei musulmani che festeggiavano l'11 Settembre viene alla ribalta nel calore di una campagna elettorale xenofoba, e perché i vangeli sono pieni di storie “ricordate" che offrivano una guida su questioni urgenti nel momento in cui furono scritte, “le discussioni con gli ebrei ortodossi su come osservare le leggi del Sabato, le affermazioni che Gesù aveva dato ai suoi discepoli il potere di guarigione”. I racconti crescono man mano che si comunicano, mentre il genere di dettaglio che convince gli ascoltatori che “questo è realmente accaduto” ― Cristo che scrive nella polvere con il dito prima di rispondere alla domanda circa la donna colta in adulterio ― è esattamente ciò che è aggiunto alle storie, perché nulla raccomanda una storia meglio di una pretesa di realtà.

Non c'è da meravigliarsi allora che Ehrman consideri i vangeli pieni di ricordi “distorti” (vale a dire, falsi). Quello che è sorprendente, però, è quanto dei vangeli lui ancora pensa di poter accettare come nucleo ragionevolmente accurato di ricordi, quanta leggerezza applica al suo nuovo criterio, che usa principalmente come giustificazione per rigettare le storie del vangelo che ha da tempo respinto per altri motivi storici. Il libro sulla memoria di Ehrman, in effetti, è più un appello ai fedeli perchè accettino l'approccio degli storici, che un nuovo modo di valutare l'evidenza. La sua lista di quello che gli storici, compreso lui stesso, pensano di poter confermare, differise difficilmente da una lista che avrebbe fatto una decina di anni fa: Gesù era un ebreo, un predicatore apocalittico come l'uomo che lo battezzò, Giovanni il Battista; il suo insegnamento, radicato nella Torah, fu consegnato in parabole e aforismi; Gesù aveva seguaci che sostenevano che il suo messaggio era convalidato dai miracoli che operò; nell'ultima settimana della sua vita, Gesù andò a Gerusalemme, dove causò un disordine nel tempio che, alcune ore più tardi, lo portò al suo arresto; Ponzio Pilato, il governatore romano, lo trovò colpevole di sedizione e lo crocifisse.

Per quanto sia attraente e ragionevole una lista del genere ai moderni scettici, è ancora quasi interamente tratta dall'interno della tradizione di fede, con il sostegno di sottilissimi supporti esterni ― brevi riferimenti di osservatori romani. Consideriamo un elemento nella lista di Ehrman, forse il più accettato e certamente quello con la più grande pretesa di accuratezza storica incorporato al suo interno: Ponzio Pilato condannò a morte Gesù. Gli studiosi sono quasi universalmente d’accordo, come lo sono la maggior parte delle chiese cristiane. Pilato è l'unica figura del processo a Gesù per il quale abbiamo indubbia evidenza archeologica, ed è anche, forse per coincidenza, l'unico a far parte del Credo niceno, la dichiarazione più ampiamente abbracciata della fede cristiana: “Per amor nostro fu crocifisso sotto Ponzio Pilato”.

Ma questo non era quello che pensavano tutti i primi cristiani. Il vangelo apocrifo di Pietro dice che re Erode firmò la condanna a morte. Altri che pensavano che Gesù avesse quasi 50 anni quando è morto, credevano che ciò accadde negli anni '40 del primo secolo, molto tempo dopo che Pilato era stato richiamato a Roma. I Nazorei, una interessante setta di primi cristiani osservanti della Torah, menzionati da uno studioso del IV secolo, credevano che Gesù fosse morto un secolo prima dei vangeli canonici, intorno al 70 AEC. (E, dato che discendevano direttamente dai primi seguaci di Cristo, chiamati Nazorei prima che diventassero noti come cristiani, i Nazorei non possono essere facilmente messi da parte. Il Talmud babilonese, composto dal V secolo, nota lo stessa cosa.)

Eppure Pilato figura in Marco quale responsabile della crocifissione di Gesù, da cui si diffuse negli altri vangeli, e anche negli annali dello storico romano Tacito e negli scritti del suo omologo ebreo, Giuseppe Flavio. Quei riferimenti oggettivi, non cristiani, rendono Pilato una cosa certa, come può esserlo ciò che ha da offrire un'antica evidenza storica, a meno che, come è stato sostenuto in modo convincente da numerosi studiosi, tra cui lo storico Richard Carrier nel suo recente On the Historicity of Jesus: Why We Might Have Reason For Doubt, entrambi i brevi passaggi siano interpolazioni, tarde falsificazioni realizzate da cristiani zelanti.

Spezza quest'esile canna, e l’impalcatura che sorregge il Gesù della storia ― l'uomo che predicava il Discorso della Montagna ed è una fonte di ispirazione per milioni di persone che non accettano il divino Cristo ― traballa malamente. Ciò che rimane sono i vangeli e gli altri 23 libri del Nuovo Testamento, e i cosiddetti apocrifi, libri cristiani che non furono ammessi nella Bibbia quando infine fu elaborata nel IV e V secolo.
I vangeli sono schietti nelle loro intenzioni di soddisfare le esigenze teologiche e non le esigenze storiche. Marco può aver addossato la morte di Gesù a Pilato perché sapeva o credeva che fosse vero, dice Carrier, oppure forse si stava esercitando in “matematica apocalittica”.

In tutto l’Israele del primo secolo, in un clima di fermento politico e religioso, fa notare Carrier, tutti i tipi di gruppi stavano facendo proprio questo: scavavano nella numerologia dell’apocalittico Libro di Daniele per determinare proprio il momento quando sarebbe arrivato il Messia che avrebbe liberato Israele. La comprensione di Marco della profezia dell'Antico Testamento può aver guidato anche la sua datazione.

I vangeli mostrano in sé stessi una traiettoria storica comprensibile. Dal più antico al più recente (Giovanni), Pilato diventa sempre meno colpevole di aver ucciso Gesù e “gli Ebrei” sempre di più, cosa questa che riflette la crescente alienazione dei giudeocristiani dagli altri ebrei, mentre i messaggi dei singoli vangeli passano dalla sottolineatura di un‘imminente Seconda Venuta, alla sottolineatura della salvezza individuale. Ma il loro altro sviluppo in linea retta è più in sintonia con quello che le letture di Ehrman sulla scienza della memoria farebbe prevedere. I miracoli sono segreti in Marco, noti solo ai discepoli a cui è vietato proclamarli pubblicamente; dal tempo di Giovanni, i “segni”, fino alla resurrezione di Lazzaro dai morti, sono la chiave per il messaggio del Signore: solo i ciechi non riescono a vedere che lui è il Messia. Le azioni di Gesù diventano sempre più favolose.

Che i vangeli forniscono solo un'evidenza discutibile per gli storici, ha a lungo oscurato il fatto che la maggior parte del Nuovo Testamento, le sue epistole, non ne forniscono affatto. Le sette lettere autentiche di San Paolo, più antiche del vangelo più antico, e scritte dal più importante missionario nella storia cristiana, ammontano a circa 20.000 parole. Le lettere menzionano Gesù, per nome o per titolo, oltre 300 volte, ma nessuna di esse dice qualcosa della sua vita; nulla del suo ministero, del suo processo, dei suoi miracoli, delle sue sofferenze. Paolo non utilizza mai un esempio dai detti o dalle azioni di Gesù per illustrare un punto o aggiungere autorità ai suoi consigli ― e le epistole vertono tutte su come stabilire, governare e giudicare le dispute all'interno delle chiese nascenti del cristianesimo. E, pur conoscendo gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, non ha mai risolto una controversia dicendo: “Pietro, che era lì in quel momento, mi rivelò che Gesù disse questo... ” Né, dall’evidenza della sua corrispondenza, un cristiano lontano domandò mai a Paolo sulla vita di Gesù. Ogni cosa che l'Apostolo afferma di sapere su Gesù viene dalla sua lettura dei messaggi nascosti nei passi dell'Antico Testamento e da diretta rivelazione, e quest'ultima è proprio la cosa che dimostra il suo valore, come diceva ai Galati.

Il libro di Carrier sul caso di Cristo come costrutto mitico piuttosto che reale essere umano, è una svolta sul fronte miticista. Egli dà credito a scrittori precedenti, in particolare al canadese Earl Doherty, ma la discussione di Carrier rigorosamente sostenuta ― resa ancora più interessante per il modo in cui si fa in quattro pur di dare almeno una probabilità al caso storicista ― è la prima opera storica sul miticismo che ha superato la recensione accademica. Egli si è relativamente trattenuto nella sua conclusione sulle assenze nelle lettere di Paolo. “Questo è tutto semplicemente bizzarro. E bizzarro significa inaspettato, il che significa insolito, il che significa improbabile”. Gli storicisti non hanno una vera risposta per questo. Ehrman dice semplicemente: “È difficile sapere cosa fare del disinteresse di Paolo; forse semplicemente non si preoccupa di Gesù prima della sua risurrezione”. Altri storici estendono questa spiegazione della mancanza-di-curiosità ai primi cristiani in generale, che non solo è contrario all'abitudine solita della natura umana, ma sembra condannare i vangeli come storie di fantasia: se i cristiani non potevano importarsene di meno dei dettagli della vita e della predicazione di Gesù, non li avrebbero preservati, e gli evangelisti sarebbero stati costretti a fabbricare ogni cosa.

Paolo è un puzzle per gli storicisti perché loro sono impegnati a credere alla realtà di Gesù, un impegno che è un risultato dei loro propri ricordi sociali, tanto a lunqo quanto ne è preoccupato Carrier. “Se stessimo parlando di Osiride”, dice in riferimento al dio egiziano che mostra stretti paralleli con Gesù nella sua vita, morte e resurrezione, “la maggior parte degli storici si sarebbe mossa alla posizione miticista molto tempo fa”. Ma Gesù Cristo è radicato nel profondo DNA psichico e culturale del mondo occidentale; la visualizzazione del vangelo come un mix di realtà e metafora è perfettamente accettabile in un mondo post-religioso, ma un rifiuto totale non lo è, se non altro per coloro la cui carriera dipende dalla prima. I cristiani moderni possono sorridere dei racconti extra-biblici dei miracoli di Gesù, come il suo addomesticamento dei due draghi nel Protovangelo di Giacomo, e lo riconoscono come mito, dice Ehrman, ma a malapena notano le contraddizioni tra i vangeli. E trovano profondamente disturbante la riconversione di quei vangeli come completo mito.
Ehrman tocca quella realtà quando esprime il suo rammarico che alcune persone hanno reagito alla sua eliminazione degli elementi astorichi dai vangeli con un “Bene, se questo non è vero, io credo che niente di esso lo è, e niente di esso importa”. “Io non so perché le persone la pensano a quel modo", dice. “Per me le storie del vangelo sono estremamente importanti, che siano reali o meno”. E così lo sono, per la storia del cristianesimo e per la cultura occidentale in generale, ma non per la storia di Gesù, come dimostra la personale perlustrazione di Ehrman nello studio della memoria: dettagli biografici, l'assicurazione della realtà fisica, sono i più grandi strumenti missionari.

Atteggiamenti come quelli di Ehrman sono ciò che impediscono alla maggior parte degli storici di pesare davvero le implicazioni di che evidenza c'è, dice Carrier, e, ancor più, di quale evidenza dovrebbe esserci, ma non c'è. Per un secolo non ci sono altri testimoni cristiani; forse più inspiegabilmente, nessun testimone pagano (i cui riferimenti a Gesù sarebbero stati menzionati dai cristiani più tardi, sia per celebrare che per confutare); il più importante apostolo della nuova fede sembra solo conoscere di un Cristo cosmico, di cui ha appreso mediante visione e lettura attenta dei profeti; i primi aderenti non sono d'accordo, entro un secolo, su quando morì il loro fondatore o su chi lo uccise. È molto più facile, sottolinea sarcasticamente Carrier, avere quel tipo di disaccordo su una persona inesistente, per il quale non ci sono parenti o amici a contraddire i risultati.

La risposta miticista a tutto questo è molto più logica, secondo Carrier, una soluzione che non richiede alcuna memoria speciale. La sua presa sulle origini del Cristianesimo inizia nell'Israele religiosamente inquieto Israele degli anni '30, quando la riluttante popolazione stava iniziando a ribellarsi contro l'elite del Tempio. Le pratiche cultuali, che coinvolgono soprattutto il sacrificio degli animali, sul Monte del Tempio erano centrali per l'esistenza nazionale, “la condotta del popolo ebraico di fronte a Dio e l'eventuale salvezza”, dice Carrier. Questo significava che denaro scorreva nel Tempio e il potere ne scorreva fuori, e tutti i tipi di gruppi marginali di frangia alla Tea-Party reagirono a ciò, arrivando a credere che dei profanatori governassero su di loro. Alcuni gruppi che conosciamo, come gli Zeloti, erano violenti ma in una posizione disperata contro le legioni romane, quindi non poteva non esserci anche una risposta spirituale. “Attraverso visioni, matematica apocalittica e lo studio delle Scritture, un gruppo ― guidato, secondo la testimonianza di Paolo, da Pietro ― emerse con un'entità celeste fatta di carne umana, ucciso dalle forze del male in un sacrificio che combinava ed eclissava sia lo Yom Kippur che la Pasqua, che resuscitò dai morti e che tornerà di nuovo molto presto per salvare i fedeli.
Ben presto, come predicono le tendenze della memoria umana, il Cristo cosmico, come le figure centrali in altri culti misterici contemporanei, fu “fattualizzato” per meglio attirare proseliti. Anche in questo caso, dato il modo in cui la memoria sociale è davvero tutta intorno ai problemi dell'oggi, i vangeli mostrano il loro interesse alle questioni che possono affrontare qualsiasi missionario: profeti senza onore nei loro stessi paesi (cioè, trattati con scetticismo nei loro villaggi, dove la gente li ricorda); guarigioni di fede che non sempre funzionano (è colpa di quelli che mancano di fede); il motivo per cui la tua fedeltà dovrebbe andare alla tua famiglia di fede, non ai tuoi parenti biologici (Gesù respinse via i suoi stessi fratelli).

Il resoconto di Carrier, logico come sia, suona bizzarro al pari del disinteresse di Paolo in un vero e proprio Gesù. L'autore si rende conto di ciò, e lui non ha alcuna pretesa di aver dimostrato o confutato i vangeli, solo che il suo scenario si adatta ai fatti senza distorsione e la storia dei vangeli è terribilmente difficile da dimostrare. Ehrman è consapevole di questo, e consapevole anche che lui non ha aiutato la causa degli storici con il suo lavoro sulla memoria. Lui è riluttante a parlare molto dei miticisti, molto meno a dibattere con loro, anche se prevede un tale evento in arrivo in autunno. Ma riconosce, “stanno facendo progressi oggi, tra gli atei e gli agnostici”. E se il loro caso cominciasse ad essere in ascesa tra i cristiani, “sarebbe un colpo.”

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