mercoledì 16 novembre 2016

Sul Suono del Silenzio (I)

CURIOSITÀ: Peccato gravissimo. Dio in passato condannò a morte il genere umano per la curiosità di una donna di conoscere il bene e il male. Questo prova che si rischia di contrariarlo enormemente quando si ha buon senso o quando si vuole sapere più di quanto i nostri preti non vogliono che sappiamo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
 
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?
...Ehrman ha sostenuto che il silenzio di Paolo su eventuali specifiche non aumenta la probabilità di Gesù non esistente. Egli ha basato questa tesi su un argomento per analogia: anche le lettere ardenti della madre di Ehrman sul suo cristianesimo oggi non parlano mai di alcun fatto biografico di Gesù; perciò neppure le lettere di Paolo avrebbero fatto così.
 ●  Risultato: nessuna risposta. Punteggio 0. Price non affrontò mai neanche questo. Anche se è un'illustre Fallacia di Falsa Analogia. In effetti, quella che ho già confutato in OHJ, pag. 514-15 (Credo di essere psichico!).

In primo luogo, in realtà io dubito che la premessa è perfino vera (Davvero, Bart? Tua madre non parla mai di ogni fatto storico di Gesù in tutte le sue ventimila parole della sua discussione sulla sua fervente fede in Gesù? Sulla base della mia esperienza con i cristiani, lo trovo straordinariamente improbabile, e affermazioni straordinarie richiedono una prova straordinaria—e la parola di un bugiardo documentato non conta neppure come prova ordinaria). Ma poichè non riusciamo ad esaminare le lettere di sua madre, non possiamo davvero provare quel sospetto. 
● In secondo luogo, le lettere scritte duemila anni dopo, nel contesto di una religione culturalmente normativa—da qualcuno non coinvolto affatto nel persuadere persone ad agire come Gesù o a seguire i suoi comandi, e neppure affatto coinvolto nel ripetuto compito di stabilire sé stesso come un'autorità su ciò che Gesù disse , fece, e aspetta— non sono neanche di una virgola rilevanti come analogia per le epistole di Paolo. 
● Paolo stava tentando di convincere la gente ad imitare e a seguire i comandi di Gesù, cercando di renderli adeguati ad uno specifico insieme di insegnamenti, senza alcun vangelo o Nuovo Testamento su cui fare affidamento oppure citare per quel compito (solo le scritture precristiane), contro numerosi avversari che stavano contestando le sue affermazioni o stavano facendo affermazioni contrarie alla sua, a congregazioni appena convertite e in imminente pericolo di apostasia o di eresia per prevenire le quali Paolo stava scrivendo le sue lettere, congregazioni popolate da membri che vissero nello stesso lasso temporale dell'uomo che essi stavano adorando come un dio celeste, un dio celeste che credevano avesse camminato proprio di recente sulla terra e predicato a centinaia di persone ancora viventi. 
● In quel contesto, il silenzio di Paolo fa zero senso. Le lettere della madre di Ehrman sono assolutamente non analoghe. 
● Proviamo una migliore analogia: la madre di Ehrman si converte ad un nuovo culto marginale e poi scrive ventimila parole a più parti, cercando di persuaderli a non ascoltare a dubbiosi e sfidanti che tentano di indirizzarli a nuove dottrine, e invece di imitare, e seguire gli insegnamenti, del Signore e Maestro del suo nuovo culto, Jorgé, da lei descritto come un pre-esistente dio salvatore celeste che comunica tramite messaggi nascosti nelle scritture ed estatiche rivelazioni e sogni, e da lei dichiarato assassinato da “i poteri di questo eone”, che furono ingannati da Dio nell'ucciderlo così che il sangue della sua morte avrebbe posto magicamente fine al potere di Satana ... ma lei mai una volta in tutte le ventimila parole menziona qualcosa che questo Maestro Jorgé disse o fece mai sulla terra, mai dice chi sono “i poteri di questo eone”, e non menziona mai nessuno che lo abbia mai incontrato nella sua vita. Non pensi che dopo la loro lettura tu fortemente sospetteresti che Maestro Jorgé fosse una persona immaginaria? Io so che farei così.
(estratto da Il Dibattito Ehrman-Price, Richard Carrier, mia traduzione)



Il silenzio circa un ipotetico Gesù storico nelle lettere di Paolo è troppo difficile da spiegare e da esorcizzare per ogni individuo che voglia essere onesto con sè stesso. Già Richard Carrier ha elencato nel suo On the Historicity of Jesus una lista di silenzi principali già riconosciuti come tali, in tutta la loro stranezza ed enigmaticità, da parecchi esperti. La semplice congettura che Paolo se ne fregava di ogni cosa che avesse a che fare con un ipotetico Gesù storico è troppo implausibile da accettare e troppo inaccettabile da credere. E soprattutto, non spiega un bel niente. Non spiega perchè Paolo manca di avvertire preventivamente il lettore che lui se ne frega di un ipotetico Gesù storico. Non spiega perchè nessun altro cristiano, amico o nemico di Paolo, manca di avvertire a sua volta di fregarsene in anticipo di un ipotetico Gesù storico. Non spiega perchè nessuno interpella un ipotetico Gesù storico neppure quando è troppo avidamente—o disperatamente— interessato a far passare la propria opinione come indiscussa verità di fede per tutti i cristiani sparsi nel globo (qualcosa che invece sarà praticamente una noiosissima prassi comune dopo la stesura del primo vangelo). Una congettura non è una prova. Il silenzio rimane semplicemente strano ed enigmatico —e di gran lunga meglio spiegato dal fatto che non c'erano fatti rilevanti dell'esistenza di Gesù su cui discutere, nessun testimone di quei fatti, pertanto la più semplice spiegazione è che non c'era mai stato un Gesù storico sulla Terra. 

Allo scopo di meglio illustrare ai miei lettori la profondità di questo silenzio, ho tradotto in italiano una lista più lunga, elaborata da Earl Doherty, di ben 200 mancati riferimenti ad un ipotetico Gesù storico nelle epistole di Paolo

Iniziando con i...

 “Principali 20”

“Il Suono del Silenzio” inizia con una selezione di 20 riferimenti mancanti, scelti dall'intero spettro delle epistole, silenzi che dovrebbero colpire ogni osservatore come particolarmente sorprendenti e sconcertanti. All'interno di questo gruppo di 20, ho cercato di coprire tutti gli aspetti principali del racconto evangelico, mentre dimostrando allo stesso tempo che cosa ci mostrano le epistole sulla vera natura dell'antico movimento cristiano e sulla visione del Cristo da esso predicato.

1. - Romani 1:19-20
19 Poiché tutto quel che si può conoscere di Dio è manifesto di fronte a loro, avendolo Dio manifestato loro. 20 Infatti le sue qualità invisibili ... si vedono chiaramente ... per mezzo delle opere sue.

La mia prima scelta è un passo apparentemente un pò innocuo, eppure uno che rivela un vuoto eloquente nella mente di un antico scrittore cristiano come Paolo. A differenza dei successivi commentatori dal 2° secolo in poi, Paolo qui non mostra nessuna concezione che Gesù sulla terra era stato un riflesso di Dio stesso, il Figlio che dimostra gli attributi invisibili del Padre nella sua stessa persona incarnata. Ancora più importante, come poteva Paolo non riuscire a concepire ed esprimere l'idea che Gesù stesso era il rivelatore principale di “tutto quel che si può conoscere di Dio” ? È difficile spiegare come ogni scrittore cristiano, consapevole di una recente esistenza e predicazione di Gesù, potesse mostrare un tale vuoto su qualsiasi ruolo svolto da Gesù sulla terra, e tuttavia noi incontriamo quel silenzio ad ogni svolta, come vedremo.

2. - Romani 16:25-27

Questo è uno dei numerosi passi in tutte le epistole che ci danno un quadro chiaro della natura dell'antico movimento cristiano. Ci comunica la fonte della conoscenza di Paolo intorno al Cristo, e come cominciò il movimento. Allo stesso tempo, non lascia nessuno spazio nel quadro per un Gesù storico.
25 A colui che può fortificarvi secondo il mio vangelo e il messaggio circa Gesù Cristo, conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, 26 ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio, a tutte le nazioni perchè ubbidiscano alla fede, 27 a Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Il concetto di un “mistero” divino, un segreto custodito da Dio per lunghi secoli, ricorre più volte nel corpus paolino (si veda Colossesi 1:26 e 2:2, Efesini 3:5, Tito 1:3, ecc.). Il semplice significato delle parole di cui sopra sembrerebbe definire il mistero come Cristo stesso, ora rivelato attraverso il vangelo di Paolo (e di altri) dopo essere stato nascosto per lunghi secoli. Non vi è nessun'occasione per intendere una qualche incarnazione in queste parole, e abbiamo in più l'elemento che ciò che è noto e proclamato al mondo passa attraverso le scritture.

Il passo è anche denso di parole di “rivelazione”: apocalypsis, i verbi phaneroo e gnoridzo. Queste parole sono utilizzate in tutto le epistole per descrivere quanto è accaduto nel periodo presente (si veda 1 Pietro 1:20, 2 Timoteo 1:10, ecc.). Questo linguaggio caratterizza il 1° secolo come un'epoca di rivelazione, quando la conoscenza ispirata è venuta attraverso una nuova lettura dei testi sacri. È la scrittura, e in ultima analisi Dio, a cui predicatori come Paolo puntavano regolarmente come supporto per le loro dichiarazioni, non la vita ricordata e gli insegnamenti di Gesù. Il “mistero” è risieduto negli scritti sacri, in attesa della chiave ispirazionale fornita da Dio per rivelarlo.

[Ecco un buon esempio dell'opportunità di leggere preconcetti del vangelo all'interno di un passo. Diverse traduzioni usano la frase “attraverso il mio vangelo e la predicazione di Gesù Cristo”, con la possibile implicazione che è intesa la predicazione da parte di Cristo. Il greco è “to kerygma Iesou Christou” con “Gesù Cristo” come un genitivo che dovrebbe essere preso come oggettivo, cioè, Gesù Cristo è l'oggetto della predicazione, non colui che la fa. “Kerigma” nelle epistole si riferisce costantemente alla predicazione degli apostoli come Paolo, con Gesù come il contenuto del messaggio. Il Lexicon di Bauer specifica questa frase nel senso di “predicazione circa Gesù Cristo.” La traduzione NAB è sorprendentemente lucida nell'intendere l'intero passaggio, con la sua resa: “...il vangelo che io proclamo quando io predico Gesù Cristo, il vangelo che rivela il mistero nascosto per molti secoli ma ora manifestato attraverso gli scritti dei profeti... ” Tra il mistero a lungo nascosto e la sua decifrazione dalla scrittura da parte di quelli come Paolo, non c'è nessuno spazio per un Gesù storico.

In brani come questo non rileviamo nessun senso che Gesù era stato recentemente sulla terra, rivelandosi attraverso la sua predicazione. Gli studiosi gradiscono affermare che il mistero ora dischiuso si riferisce al piano a lungo inteso da Dio per la salvezza. Ma anche se fosse questo il significato, non ebbe Gesù stesso un ruolo fondamentale nel rivelare questo piano, nel rivelare sé stesso come la sua pietra angolare? Eppure, Paolo non ha lasciato nessuno spazio o ruolo qui per la carriera di Gesù; invece, egli pone il centro della rivelazione e l'avvento della salvezza interamente su apostoli come lui. ]


3. - 1 Tessalonicesi 2:2
     ... trovammo il coraggio nel nostro Dio, per annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.
I primi scrittori cristiani come Paolo stanno riferendosi costantemente al messaggio che recano come al “vangelo di Dio.” Parlano anche dell'opera di Dio, delle azioni salvifiche di Dio, della chiamata di Dio (si veda Romani 1:16, 3:24, 1 Corinzi 1:9, Filippesi 1:6, Galati 4:7, eccetera.). Se questi apostoli stavano predicando un messaggio su un Gesù storico che aveva egli stesso insegnato su Dio e la sua relazione personale con lui, sicuramente loro lo avrebbero definito il “vangelo di Gesù.” Perché non c'è alcuna menzione nelle epistole di una predicazione terrena di Gesù? D'altra parte, se Gesù è una figura spirituale, un “mistero” noto solo attraverso la scrittura e la rivelazione di lui da parte di Dio, allora il messaggio di Paolo è davvero il vangelo di Dio (vedi in particolare Romani 1:1-4), e Dio è il “Salvatore” primario (vedi anche Tito 1:3).

4. - 1 Tessalonicesi 4:9
Quanto all'amore fraterno non avete bisogno che io ve ne scriva, giacchè voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri.
Un silenzio sorprendente da parte di Paolo. Non era il fulcro dell'insegnamento di Gesù il comandamento dell'amore? Poteva forse Paolo essere ignorante di quello? Quale cristiano, quando ammonisce il credente a mostrare l'amore per gli altri esseri umani, sceglierebbe di dire che Dio era il maestro di una tale dottrina e ignorerebbe tutto il peso e il focus della predicazione di Gesù? Eppure questo silenzio sul comandamento dell'amore ricorre costantemente durante le epistole: vedi Romani 13:8, 1 Corinzi 13:1, Galati 5:14, Efesini 5:1, Giacomo 2:8, 1 e 2 Giovanni (passim). Si noti che qui non si tratta di un caso di fallimento nel riferire a qualcosa perché tutti già lo sapevano; la dichiarazione di Paolo è un'esclusione di qualsiasi ipotesi che Gesù avesse insegnato a proposito di amore.

[J. P. Holding ha una spiegazione molto forzata per questo fenomeno sorprendente, sostenendo che, poiché Gesù parlò in nome di Dio, tutti quei insegnamenti sono correttamente attribuiti a Dio. Ho sottolineato nella mia risposta a lui —vedi la sezione Reader Feedback—che è inconcepibile che tutti gli scrittori cristiani di lettere si conformerebbero ad una considerazione esoterica del genere ed eviterebbero volutamente  di attribuire eventuali insegnamenti a Gesù stesso. Vedi  la sezione “A Twenty-Pound Gorilla” (il suo titolo) nella mia risposta a lui per una sintesi esauriente della situazione che abbiamo di fronte per quanto riguarda i silenzi nelle epistole: Risposta a J. P. Holding]

5. - 1 Pietro 3:9
    Non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite, poichè a questo siete stati chiamati affinchè ereditiate la benedizione.

Anche il Jesus Seminar considera il monito di “porgere l'altra guancia” come un'autentica predicazione di Gesù. Eppure lo scrittore di 1 Pietro (presumibilmente proprio lo stesso discepolo principale di Gesù) può esprimere i sentimenti di cui sopra senza nemmeno uno sguardo alle parole ricordate nel Discorso della Montagna in Matteo: “Non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra” (5:39); e “Amate i vostri nemici” (5:44). Lo scrittore dell'epistola non ci dà nemmeno un “come Gesù stesso insegnò a noi.” Non ci si deve aspettare che ogni scrittore debba fornire una frase del genere in ogni occasione, ma un riferimento ad un Gesù terreno ed alle sue parole sembrerebbe naturale in un contesto del genere, sia per rafforzare l'autorità dell'azione sollecitata dallo scrittore, sia per onorare Gesù come la fonte. Con la possibile eccezione di due “parole del Signore” in 1 Corinzi (che sono spesso interpretate come direttive che Paolo crede di aver ricevuto direttamente da Cristo in cielo: si veda l'Appendice e "Parte Uno" negli Articoli Principali), non abbiamo mai una tale attribuzione da ogni scrittore di epistole.

6. - Galati 2:8
    7 ...[gli apostoli di Gerusalemme] videro che a me era stato affidato il vangelo per gli incirconcisi, come a Pietro per i circoncisi 8 perchè Dio [ "lui"] che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in me per farmi apostolo degli stranieri. [NEB]
Non soltanto le epistole sono silenti su Gesù il maestro, ma sono silenti su qualsiasi nomina di apostoli da  parte di Gesù sulla terra. (Si veda 1 Corinzi 12:18, 2 Corinzi 10:13, Efesini 2:20). Qui Paolo identifica sia la propria chiamata che quella di Pietro all'apostolato come provenienti da Dio. (Il greco ha il pronome “lui”, dove la traduzione NEB inserisce “Dio” e questo è il modo in cui lo interpretano la maggior parte dei traduttori. Alcune traduzioni lasciano il “lui”, ma nessuna di cui io sia consapevole lo sostituisce con “Gesù”.)

Inoltre, Paolo non sta permettendo chiaramente alcuna distinzione in termini di qualità o di origine tra il suo apostolato e quello di Pietro. In tutta la discussione sulla legittimità delle sue credenziali come apostolo e l'opposizione da lui affrontata da altri predicatori del Cristo (ad esempio, 2 Corinzi 10 e 11), possiamo noi credere che nessuno avrebbe mai potuto usare contro di lui il fatto che altri erano stati apostoli di Gesù durante la sua esistenza, laddove Paolo non lo era stato? Ma Paolo non mostra mai alcun segno che fosse sollevata una questione del genere, e non affronta mai tale considerazione.

7. - Tito 1:2-3
2... nella speranza della vita eterna che Dio, che non può mentire, ha promesso prima di tutti i secoli, 3 e ora nei tempi stabiliti ha rivelato la sua parola mediante la predicazione che è stata affidata a me per ordine di Dio, nostro Salvatore. [NEB/NIV]
Ecco un altro passo nelle epistole, che traccia un quadro di quanto è successo nel periodo presente, non lasciando spazio per un eventuale ruolo che Gesù potrebbe aver avuto nella recente storia di salvezza. Nel passato si trovano le promesse di Dio di vita eterna, e la sua prima azione su quelle promesse è la presente rivelazione di apostoli come Paolo che erano andati a proclamare il messaggio. La personale proclamazione di Gesù della vita eterna, la sua persona come incarnazione di quella vita (come la introduce in modo così memorabile il vangelo di Giovanni), è stata espulsa fuori.

Nota il riferimento a “Dio nostro Salvatore”. Il termine “Salvatore”, in tutte le epistole, è applicato nella grande maggioranza dei casi (si veda 1 Timoteo 4:10) a Dio, e solo in una piccola minoranza a Cristo Gesù. Questo non dice di un forte senso di immediatezza per Gesù nelle menti dei suoi seguaci, o del ruolo che aveva svolto nelle vicende storiche del Calvario e della resurrezione dalla tomba. Invece, mentre Gesù era il Figlio che si era sottoposto ad un sacrificio, nessuno aveva assistito a questo evento, dal momento che aveva avuto luogo nel regno spirituale (come gli atti di salvezza di tutti gli dèi salvifici del giorno). L'agente immediato nel tempo presente è stato Dio, che rivela suo Figlio e le attività di redenzione di quel Figlio. Così, alle menti di uomini come Paolo e i suoi successori, tra cui lo scrittore di Tito, c'è un senso primario di Dio come il “salvatore” e come colui che fornì loro il suo vangelo.

8. - 2 Corinzi 6:1-2
...vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano. Poichè egli dice: Nel tempo favorevole ti ho esaudito, nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza! [NEB]
Un altro chiaro passo che parte dalle previsioni di Dio del passato, contenute nella scrittura, e dal momento presente di salvezza ora posta in atto da Dio. Paolo cita Isaia 49:8, vedendola come un'antica promessa di Dio che un tempo verrà quando egli giungerà in soccorso dell'umanità e concederà la salvezza. Ma cos'è quel tempo? È un conto per Paolo, come fa spesso, concentrarsi sulla sua carriera apostolica ad esclusione di qualsiasi menzione della predicazione di Gesù. È piuttosto un altro conto per lui sostenere, come fa qui, che le parole profetiche della scrittura predicono non il tempo della vita di Gesù come “il tempo favorevole”, non gli atti di sacrificio e resurrezione di Gesù come “il giorno della salvezza”, ma le personali attività di Paolo e la sua predicazione del messaggio cristiano!

Luca almeno era in grado di riconoscere la monumentale inopportunità di questo (se avesse letto anche Paolo), infatti nel passo 4:19 del suo vangelo, ha un Gesù nella sinagoga di Nazaret che legge un brano simile da Isaia (61:1-2) e dichiara alla sorpresa assemblea che è lui colui al quale si riferisce questa sacra profezia.

Si noti ancora una volta come il passo citato sopra inizia con un'attenzione esclusiva su Dio come colui che compie l'opera del tempo presente; la grazia è venuta da lui. Paolo sembra impermeabile a qualsiasi pensiero di un ruolo in questo periodo fatidico della storia della salvezza per l'uomo che lui è supposto di star predicando.

9. - 1 Corinzi 15:12-16
12 Ora se si predica che Cristo è stato resuscitato dai morti, come mai alcuni tra voi dicono che non c'è resurrezione dei morti? 13 Ma se non vi è resurrezione dei morti, neppure Cristo è stato resuscitato. 14 E se Cristo non è stato resuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. 15 Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poichè abbiamo testimoniato contro Dio che egli ha resuscitato Cristo, il quale egli non ha resuscitato, se è vero che i morti non resuscitano. 16 Difatti, se i morti non resuscitano, neppure Cristo è stato resuscitato. [NASB/NIV]
Ci sono alcune implicazioni devastanti da trarre da questo passo. Paolo si esprime come se la resurrezione di Cristo dai morti fosse una questione di fede, non di un ricordo storico evidenziato da testimoni oculari di un fisico Gesù risorto a Pasqua. Egli è così irremovibile sulla necessità di credere che i morti saranno resuscitati, che egli è disposto a dichiarare—e lo ripete per quattro volte—, che se non lo sono, allora Cristo stesso “non è stato resuscitato”. Se gli uomini da lui conosciuti avessero assistito all'effettivo ritorno di Gesù dai morti, io non penso che lui avrebbe pensato di fare perfino una sua negazione retorica.

Inoltre, il verbo per “testimoniare” (martureo) è spesso usato nel senso di testimoniare a, di dichiarare la propria fede in, un elemento di fede, non di un ricordo fattuale (anche se può significare questo in alcuni contesti). Tale significato qui è fortemente supportato da quanto segue questo verbo: kata tou theou, o “contro Dio”. I traduttori spesso sembrano incerti sull'esatta portata di questa frase, ma il Lexicon di Bauer lo dichiara fermamente nel senso di “dare testimonianza in contraddizione a Dio. L'idea che Paolo sta cercando di far passare è che se in realtà Dio non resuscitò Gesù dalla morte (che avrebbe dovuto essere la conclusione, egli dice, se tutti i morti non resuscitano) allora, retoricamente parlando, lui e altri apostoli sono stati a contraddire Dio e a mentire sulla resurrezione di Gesù.

Il punto è, ed è inequivocabile, che Paolo sta dicendo che la conoscenza sulla resurrezione di Gesù è giunta da Dio, e che la sua personale testimonianza di predicazione, vera o falsa, è qualcosa che si riferisce ad un'informazione che è giunta da Dio—in altre parole, mediante rivelazione. Non la storia, non una tradizione apostolica circa recenti avvenimenti sulla terra. In tutta questa discussione circa la veridicità della resurrezione di Cristo, il modello di Paolo è un modello di fede, fede basata sulla testimonianza di Dio—che significa, nella Scrittura. (Si veda Romani 8:25, 10:9, 1 Tessalonicesi 4:14). Una storica testimonianza umana non gioca alcun ruolo.

[Si può affermare che il famoso passo poco prima di questo, 1 Corinzi 15:3-8, la dichiarazione di Paolo del suo vangelo che “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture (kata tas graphas), che fu seppellito, e che resuscitò il terzo giorno secondo le Scritture”, seguìta (versi 5-8) da una lista di tutti coloro che lo “videro”, costituisce un appello ad una testimonianza storica. Ma notiamo che Paolo dice due volte che il suo vangelo è derivato dalla scrittura, infatti un significato del genere può essere preso da kata tas graphas. Notiamo anche che nella successiva discussione (versi 12-16) sul fatto che Cristo sia risorto o no, Paolo non ripete o fà riferimento a quella lista di “visioni” come prova che Cristo fu resuscitato. Perchè no? Poiché la lista si riferisce ad una serie di visioni del Cristo spirituale (Paolo comprende la sua personale visione, una visione riconosciuta, utilizzando esattamente lo stesso linguaggio per tutte loro), un Cristo che, come parte del vangelo derivato dalle scritture intorno a lui, è dichiarato essere stato resuscitato il terzo giorno. (Quest'ultimo punto viene da Osea 6:2, non dalla cronologia del vangelo sulla Pasqua). Quelli “eventi” del vangelo di Paolo facevano parte del più alto mondo spirituale del mito, e quindi non vi è alcuna relazione sequenziale immediata tra la “resurrezione” e il verificarsi delle visioni, che è la ragione per cui queste ultime non sono dichiarate in nessun posto come una prova della resurrezione di Cristo. Si veda il mio Articolo Complementare Numero 6: La fonte del Vangelo di Paolo per una discussione completa del passo di 1 Corinzi 15:3-8. Si veda anche questo passo nel documento su 1 e 2 Corinzi, qui di seguito.]


Ma c'è ancora un altro importante silenzio da sottolineare in questo passo. Paolo è più ansioso di convincere i suoi lettori sulla fattibilità della resurrezione umana. Se si accettano certi racconti evangelici, oppure se si presume che tali tradizioni si svilupparono molto presto, una prova disponibile si trova a portata di mano. Storie della resurrezione della figlia di Giairo, l'emergere stupefacente di Lazzaro dalla sua tomba (per non parlare del ricordo di Matteo di cadaveri che risorgono dalle loro tombe alla crocifissione di Gesù), avrebbero provvisto Paolo della prova innegabile per i suoi lettori che in realtà gli esseri umani potevano essere resuscitati dalla morte. Lazzaro poteva ancora dover morire di nuovo, ma una resurrezione eterna sarebbe sicuramente vista come prefigurata da quelle temporanee concesse da Gesù sulla terra, e non c'è nessuna spiegazione perchè Paolo non avrebbe fatto appello a quei miracoli nella sua argomentazione.

Né avrebbe lasciato perdere un appello alle stesse promesse di Gesù in materia. Luca riporta quei detti: “Il contraccambio ti sarà reso alla resurrezione dei giusti
(14:14); e: “ma quelli che saranno ritenuti degni di aver parte al mondo avvenire e alla resurrezione dei morti, non prendono né danno moglie” (20:35). Anche il vangelo di Giovanni è pervaso dalla promessa di Gesù che “chi crede in me avrà vita eterna”. Se tali parole, oppure tali tradizioni sui miracoli di Gesù, fossero state in circolazione nelle comunità cristiane del tempo di Paolo, non ci sarebbe stato alcun bisogno della sua richiesta lamentosa: “come mai alcuni tra voi dicono che non c'è resurrezione dei morti?”

In effetti, questo tipo di considerazione scredita l'intera razionalizzazione del silenzio di Paolo sul Gesù storico e sulla sua predicazione, che egli “non ebbe alcun interesse nella vita terrena di Gesù”. Paolo ebbe un innegabile interesse per la questione della resurrezione dei morti, come lo aveva in molte altre cose, e se Gesù avesse predicato su queste cose, mentre era sulla terra, Paolo non avrebbe potuto fare a meno di essere profondamente interessato a ciò che Gesù aveva da dire su quelle materie e gli esempi che aveva introdotto. Per non parlare dell'inevitabile interesse che le sue congregazioni avrebbero avuto in tali cose. Le lettere di Paolo dovrebbero essere piene di riferimenti a ciò che il Gesù storico, il Figlio di Dio incarnato, aveva detto e fatto, mentre era sulla terra.

10. - Giacomo 5:10
Prendete, fratelli, come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. [NIV]

La piccola epistola di Giacomo ha probabilmente più silenzi per pollice quadrato rispetto a qualsiasi altro documento del Nuovo Testamento, ma nessuno di loro è sorprendente come questo. Come potrebbe lo scrittore non indicare Gesù stesso come il migliore e più convincente esempio quando invita i suoi lettori a mostrare pazienza di fronte alla sofferenza? Anche se i vangeli non erano ancora in esistenza quando quest'antica epistola fu scritta (molti la datano alla metà del 1° secolo), la tradizione orale avrebbe sicuramente progredito al punto in cui il comportamento di Gesù davanti a Pilato e ai suoi giudici ebrei implicherebbe un'idea del genere. Qui c'è davvero tanto “bisogno” di riferirsi a Gesù, perfino se il lettore fosse a conoscenza del fatto.

11. - Romani 6:2-4

2 Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? 3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato resuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. [NEB]
Se un qualsiasi momento cruciale della carriera di Gesù si fosse impresso nei primi cristiani, sarebbe stato sicuramente la sua inaugurazione: quella scena drammatica in mezzo alle acque del Giordano, con un ardente Giovanni con indosso pelo di cammello che esorta al pentimento e scaglia i suoi moniti apocalittici alla folla. Che impatto deve aver fatto quando Gesù ricevette un improvviso omaggio deferente di Giovanni, quando si immerse nelle acque del fiume, per riemergere con la colomba e la voce di Dio che discende su di lui dal cielo. Anche se lo Spirito Santo e le parole divine furono un'elaborazione successiva, indicano che l'incidente del battesimo di Gesù deve essere stato investito davvero presto di un significato mitico.

Eppure nessuno lo saprebbe mai da Paolo. Per Paolo, il battesimo è il sacramento principale del rito cristiano. Con il battesimo, il convertito muore alla sua vecchia vita peccaminosa e sale ad una nuova vita. Con il battesimo, il credente partecipa del corpo spirituale di Cristo. In Romani 6:1-11 egli dettaglia il rituale battesimale nelle sue parti mistiche che lo compongono. Eppure mai una qualsiasi di quelle parti si riferisce alla scena del battesimo di Gesù. Nessun significato è dato ad un qualsiasi dettaglio di quella scena, infatti da scrittori del 1° secolo come Paolo non sapremmo neppure che Gesù era stato battezzato.

Se Paolo avesse conosciuto una tradizione che lo Spirito Santo era disceso su Gesù al suo battesimo, che era stato accolto da Dio stesso come suo Figlio Prediletto, possiamo forse credere che Paolo non avrebbe integrato tali motivi nella sua presentazione del rito? Paolo sottolinea dovunque che i credenti sono stati adottati come figli di Dio, come in Romani 8:14-17. Come poteva non riuscire a cogliere le parole del Padre al Figlio divino e applicarle al convertito battezzato? In quell'ultimo passo di Romani, dice anche che “lo Spirito di Dio si unisce al nostro spirito nel testimoniare che siamo figli di Dio.” Dal momento che il battesimo di Paolo comportava la discesa dello Spirito Santo nell'iniziato, è impensabile che lui non avrebbe indicato la discesa dello Spirito in Gesù al suo battesimo come un parallelo archetipo, se fosse esistita una tradizione del genere.

E dov'è il Battista? Nella mitologia cristiana difficilmente esiste una figura più imponente di Gesù stesso. Il precursore, l'araldo, il flagello degli impenitenti, la voce che grida nel deserto. Fino a quando appaiono i vangeli, Giovanni è veramente perduto nel deserto, infatti nessun scrittore cristiano si riferisce mai a lui. Anche più tardi agli inizi del 2° secolo, lo scrittore di 1 Clemente tace su Giovanni quando dice (17:1): “Siamo imitatori di quelli che camminavano nelle pelli di capra e di pecora annunziando la venuta di Cristo. Alludiamo ai profeti Elia ed Eliseo ed anche a Ezechiele, ed oltre a questi anche a coloro che resero testimonianza”.

Dobbiamo vedere Giovanni il Battista nascosto in quell'ultima frase? Egli difficilmente merita un tale anonimato di passaggio. Inoltre, Clemente continua a dettagliare esempi di quei “grandi nomi” e sono tutti dall'Antico Testamento. Neanche Ebrei 11 riesce ad includere Giovanni nella sua enumerazione di eroi della fede che soffrirono, affrontarono dileggi e frustrate, la lapidazione e la galera e persino la morte. (Del resto, come vedremo, Ebrei non riesce neanche a comprendervi Gesù.)

Esisteva una comune credenza ebraica che la venuta del Messia sarebbe stata preceduta dalla comparsa dell'antico profeta Elia, per annunciare il suo avvento. Se i predicatori cristiani del 1° secolo fossero stati del tutto interessati a giustificare la loro pretesa che Gesù era stato il Messia, Giovanni il Battista sarebbe stato prezioso come una figura tipo  Elia per soddisfare quest'aspettativa.

12. - Ebrei 9:19-20

19 Infatti, quando tutti i comandamenti furono secondo la Legge proclamati da Mosè a tutto il popolo, egli prese il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, 20 e disse: “Questo è il sangue del patto che Dio ha ordinato per voi.” [NEB]
Al centro della teologia di questo scrittore si trova il nuovo patto stabilito dal sacrificio di Cristo, un sacrificio che si svolge nei cieli. (Vedi Articolo Complementare Numero 9: Il Figlio nella Lettera agli Ebrei) La sua tecnica esegetica ruota attorno alla derivazione di parallelismi tra il rituale della comunità e la teologia e l'incarnazione o prototipo di quelle cose nelle Scritture. Eppure l'evento scritturale primo che aveva stabilito il vecchio patto, il sacrificio di sangue di animali condotti da Mosè e le parole pronunciate durante questo rito (Esodo 24:8), è presentato senza il minimo sguardo verso il personale stabilimento di Gesù della nuova alleanza colle parole che lui pronunciò sopra il pane e il vino durante l'Ultima Cena.

Il parallelo tra il vecchio e il nuovo, la somiglianza molto suggestiva tra le parole pronunciate da Mosè in Esodo e le parole pronunciate da Gesù al pasto sacramentale che istituì la celebrazione perpetua del suo sacrificio, avrebbero dovuto essere così convincenti che l'autore forse non poteva evitare di richiamare l'attenzione su ciò. L'unica conclusione da trarre è che egli non sapeva di tale evento, come di nessuna parola pronunciata da Gesù durante l'Ultima Cena. (La scena mitica in 1 Cor. 11: 23f che Paolo presenta alla sua congregazione come un prodotto di rivelazione personale—si veda la sezione “L'apprendimento di un pasto sacro” nell'Articolo Complementare 6: La Fonte del Vangelo di Paolo—non ha apparentemente ancora raggiunto la comunità della Lettera agli Ebrei.)

[Potremmo sottolineare che anche il documento cristiano dei primi anni del 2° secolo conosciuto come la Didaché (Insegnamento) mostra un impressionante silenzio sull'istituzione dell'Eucaristia di Gesù. Nel capitolo 9, preghiere comunitarie associate ad un pasto di ringraziamento sono menzionate, e non contengono alcun elemento sacramentale qualunque. Il pane e il vino in questo pasto comune in nessun modo significano la morte di Gesù. Gesù non istituì questa cerimonia. Essa non è associata ad alcun episodio della sua vita, non certo alla vigilia del suo sacrificio. Il ruolo di Gesù  nella teologia della comunità sembra essere niente di più che una sorta di canale(spirituale) da Dio, come indicato da questo passo, che cita un verso delle preghiere:


“Riguardo all'eucaristia, così rendete grazie: dapprima per il calice: Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per il santo vino di Davide tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli”. In effetti, la Didachè nella sua interezza è notevolmente silenziosa su qualsiasi aspetto della vita e della morte di Gesù. ]


13. - Ebrei 12:15-17

15 Vigilate bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati; 16 che nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. 17 Infatti sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto. [NEB]
Dante nel suo Inferno colloca Giuda nella fossa dell'Inferno, imprigionato nel ghiaccio, maciullato da Satana. L'arci-traditore che piantò il suo bacio ingannevole sulla guancia  di Gesù e aiutò a consegnarlo a morte doveva diventare un simbolo nelle menti cristiane di tutta l'ipocrisia e l'incredulità giudaica. Giuda inaugurò l'Ebreo come demone, e un'intera razza soffrì ferocemente per più di due millenni. Eppure, prima di comparire a recitare il suo ruolo di traditore nel racconto della Passione di Marco, nessun fantasma di Giuda ossessiona il paesaggio cristiano. Lui in particolare risulta mancante dal passo di cui sopra in Ebrei, dove la vendita del Signore stesso per 30 pezzi d'argento da un uomo rancoroso, invidioso e ingannevole, sarebbe stato sicuramente il simbolo più adatto dell'amara radice velenosa che spunta incontrollata all'interno della comunità dei santi.

L'epistola agli Ebrei di solito è datata o subito prima o subito dopo la guerra giudaica. È in questo periodo (60-80) che gli studiosi solito collocano la stesura di Marco, dove Giuda affiora per la prima volta. Considerando  l'apparente ignoranza di Ebrei di una tale figura, o Marco dovrebbe essere datato più tardi, oppure altrimenti il primo vangelo contiene idee che non erano ampiamente note tra le comunità cristiane del tempo. O entrambe le possibilità.

Potremmo notare che anche lo scrittore di 1 Clemente si occupa del tema della gelosia, ma alla sua lista di figure dell'Antico Testamento che soffrirono per mano di uomini gelosi, non riesce ad aggiungere Gesù stesso, tradito dal perfido apostolo nella sua stessa compagnia.

14. - Romani 13:3-4

3 infatti i dominatori non sono da temere per le opere buone ... se tu non vuoi temere l'autorità fà il bene e avrai la sua approvazione, perchè il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene. [NIV/NEB]
Paolo può forse avere qualche senso di prova storica della crocifissione di Gesù ed ancora esprimere tali sentimenti? Pilato, se credeva nell'innocenza di Gesù oppure no, consegnò quest'uomo giusto alla flagellazione e ad un'ingiusta esecuzione. Se la storia di un simile destino subìto da Gesù di Nazaret fosse presente nella mente di ogni cristiano, la lode di Paolo delle autorità, al di là se ebraiche o romane, come agenti di Dio per il bene di tutti, e da cui gli innocenti non hanno nulla da temere, suonerebbe strana davvero.

Infatti, tutti i primi scrittori mancano dell'atmosfera essenziale della presentazione evangelica della morte di Gesù: che questa fu l'ingiusta esecuzione di un innocente, afflitto da tradimento e false accuse e da uno spietato establishment. Invece, Paolo in Romani 8:32 esalta la magnanimità di Dio, che “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti”, e per lo scrittore di Efesini (5:2), è Cristo stesso che per amore “ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave”. Questo sembra lontano dal terribile Golgota dei vangeli e la sua scena di deicidio. (Si veda Articolo Complementare Numero 3: Chi crocifisse Gesù? per una discussione approfondita sulla natura e la località della “crocifissione” redentiva del Cristo spirituale).

15. - 1 Giovanni 4:1-3

1 Carissimi, non crediate a ogni spirito [cioè, pronunciamento profetico, enunciato sotto l'influenza dello Spirito di Dio], ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; poichè molti falsi profeti sono sorti nel mondo. 2 Da questo conoscete lo spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio, 3 e ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio... [NIV]
Questo passo ci dice che nell'antica predicazione cristiana, il test che determinava se un apostolo cristiano stesse dicendo la verità era relativo allo spirito che Dio gli aveva mandato. Questa epistola fu scritta probabilmente negli ultimi dieci anni del 1° secolo. Ci si aspetterebbe che da questo momento i cristiani possedessero un corpo di materiale considerato proveniente da Gesù stesso, trasmesso loro nel corso di decenni attraverso una catena di autorizzati apostoli e leader di comunità, un processo di trasmissione tramite la “tradizione apostolica”. Eppure, un'idea del genere è introvabile in ciascuna delle epistole (si veda 2 Corinzi 11:4). Noi non incontriamo neanche il più semplice concetto di un insegnamento passato tra le generazioni, derivante da un passato apostolico associato, in ultima analisi, a Gesù. Invece, la dottrina proviene direttamente mediante rivelazione da Dio, ispirata dallo Spirito Santo, anche se alcuni “spiriti” possono provenire dal diavolo.

Nel passo di cui sopra, la prova del vero spirito è se il messaggio che viene predicato corrisponde alla posizione personale dello scrittore, alla quale egli è arrivato tramite lo spirito: il credo che Gesù Cristo è venuto nella carne. Anche se non sono offerti né tempo né circostanze, una rivalità del genere tra diversi “spiriti” dimostra che alla fine del secolo, la dottrina che il Cristo celeste era stato sulla terra (qualcosa nota attraverso lo Spirito Santo, oppure una rivelazione) non stava per essere accettata da ogni cristiano. (si veda il mio Articolo Complementare Numero 2: Una Soluzione per la Prima Lettera di Giovanni, per una discussione approfondita del significato di questo passo.)

Potremmo confrontare la Didachè, capitolo 11, che contiene una lunga discussione su come giudicare la legittimità di apostoli itineranti, sia nel loro insegnamento che nelle loro attività carismatiche. Nessuna parte di questo giudizio si basa su qualche legame con la tradizione apostolica; non si tratta di rintracciare un'autorità o una correttezza indietro a Gesù, oppure ad un gruppo di apostoli che lo avevano conosciuto e seguito sulla terra.

16. - 1 Corinzi 10:11

...per noi il compimento delle epoche è giunto. [NEB]
Una delle forze motrici del movimento cristiano fu l'attesa che la fine del mondo e l'arrivo di Cristo per stabilire il Regno di Dio fossero imminenti, parte di una perdurante anticipazione ebraica del giorno del Signore.

La concezione e la struttura della storia era semplice. Il periodo che va indietro nella storia era il “vecchio eone”, un'epoca di peccato e male e tenebre, quando Dio aveva permesso a Satana di governare, quando i giusti erano perseguitati e la giustizia divina era ritardata. La “nuova età” sarebbe iniziata con l'arrivo di una figura celeste o un agente messianico di Dio, che avrebbe diretto il rovesciamento dei nemici di Israele e delle forze del male in generale. Il culmine di tutto questo sarebbe stato un giorno del giudizio, quando i giusti sarebbero stati esaltati e il peccatore e l'oppressore consegnati alla punizione. Il modello della storia di salvezza, che si estende in una retta dal passato verso il futuro, cadeva in due sezioni: il vecchio eone e il nuovo eone. Gli studiosi si riferiscono a questo modello come “dualismo delle due età”.

Nel ritratto ortodosso delle origini cristiane, tuttavia, una dimensione radicalmente nuova è stata aggiunta al modello. Il Messia era venuto, ma non il Regno con lui. Cristo era morto e risorto, ma ancora la nuova era non era spuntata. Questa doveva essere ritardata fino al suo ritorno, questa volta in gloria e come giudice della Parusia. Tra le due venute di Cristo, così breve come periodo come poteva esserlo, il messaggio del Vangelo, doveva essere portato al maggior numero possibile di persone e il mondo doveva farsi pronto.

Se questo era davvero lo scenario affrontato dal primo paio di generazioni di predicatori e fedeli cristiani, ci si aspetterebbe di trovare due cose. In primo luogo, una revisione significativa del modello di due anni. La venuta di Gesù dovrebbe essere vista come un punto cardine nello schema in corso della storia di redenzione. Dopo tutto, il Figlio di Dio era venuto sulla terra; la sua vita doveva comprendere l'atto di salvezza per sé, la morte espiatoria e una resurrezione divina che garantiva la risurrezione dei cristiani alla Parusia. L“interregno”, quel periodo tra la vita di Cristo e la sua seconda venuta, dovrebbe essere visto come un periodo distinto per sé, durante il quale forze che erano state in precedenza assenti stavano operando, quando precedenti stabiliti da Gesù attendevano il loro compimento finale.

“Per noi il compimento delle epoche è giunto!”
dichiara Paolo in 1 Corinzi 10:11, indicando la Parusia da lui creduta davvero vicina.

Egli non vede nessun “compimento” nel recente passato, in Gesù? Precedente a questo commento c'è stata l'enumerazione di Paolo di eventi simbolici della storia d'Israele al tempo dell'Esodo. Quelli eventi guardavano verso il futuro, “per il nostro beneficio”. Ma quel futuro è gettato interamente nei termini di credenti come Paolo, che aspettano la fine imminente. Paolo qui e altrove, non ha il minimo sguardo ad un evento sopraggiunto nella vita terrena e nell'opera di Cristo. Nella misura in cui Paolo ha un intero “punto cardine” passato (come si vedrà in Romani 8:22-23), esso è il tempo della rivelazione, il “dono dello Spirito”, a volte l'invio dello Spirito del figlio. Il punto di svolta della storia della salvezza fu l'arrivo della fede quando Dio rivelò Cristo e le persone risposero ai trasmettitori della rivelazione—cosa più importante, lo stesso Paolo. Quando Paolo di tanto in tanto guarda dietro di sé, è alla rivelazione del mistero di Cristo, le visioni e ispirazioni, la “visione” del Cristo da parte di così tanti apostoli, compreso sé stesso (1 Corinzi 15:3-8). Quelli sono gli eventi che nella sua considerazione inaugurano il periodo finale della vecchia età che porta alla nuova.

Né qui né in uno qualsiasi di altri brani come quello, Paolo si rivolge a ciò che avrebbe dovuto essere la domanda chiave: Perché la reale venuta del Messia di per sé non provocò il volgere degli eoni? Infatti questa era stata l'aspettativa di secoli. Nessuno avrebbe potuto prevedere che l'arrivo del Messia non sarebbe stato accompagnato dalla costituzione del Regno. Ci si aspetterebbe di trovare un qualche tipo di industria apologetica sorta nel movimento cristiano per spiegare questa svolta inaspettata e deludente degli eventi. Eppure ogni singolo scrittore di epistole è silente su una cosa del genere.

[Ci sono state molte analisi della concezione cristiana del tempo con l'intento di vedere l'antica visione cristiana secondo una riformulazione del modello di due età. Un'analisi famosa e influente è di Oscar Cullmann, Christ and Time, 1955. Cullmann professa di vedere una nuova concezione di tre stadi in Paolo: in primo luogo, la storia primordiale (che risale ai miti dei patriarchi); in secondo luogo, l'evento storico di Gesù di Nazaret, il perno attraverso il quale tutta la storia di redenzione è ora vista passare; e il terzo, il mito e l'attesa del futuro escatologico (fine del tempo). Cullmann vede in Paolo un orientamento che non è più escatologico (guardare al futuro); piuttosto è “verso Lui (sic), che è già venuto.”

Sfortunatamente, lo scenario di Cullmann è un frutto della sua immaginazione, un prodotto dei suoi preconcetti che egli imporrà su Paolo non importa quello che dice Paolo. Il Numero 2 nella nostra lista, Romani 16:25-27, e il Numero 7, Tito 1:3 (insieme ad altri a venire), parlano dei misteri divini nascosti a lungo che Dio ha rivelato nel tempo presente ad apostoli e profeti. Non vi fu di certo alcuna “seconda fase”, occupata dal recente Gesù di Nazareth e dalla sua vita redentrice, nessun punto cardine della storia della salvezza, che ora risiede nel passato. L'orientamento di Paolo è proprio rivolto al futuro, come mostreranno il presente passo e gli altri a venire (tra cui Romani 8:19 e 13:11-12). ]


17. - 1 Corinzi 1:7-8

Non mancate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. [RSV]
Questo passo è rappresentativo di molti nelle epistole che parlano della sperata venuta di Cristo (la Parousia). In parecchi casi, come qui, il verbo impiegato è un termine di rivelazione. Cioè, lo scrittore parla della “rivelazione” del Cristo (si veda 1 Pietro 1:7 & 13, 2 Tessalonicesi 1:7). Questo è un modo strano di introdurla, se Gesù avesse appena vissuto un'intera vita sulla terra all'interno di una memoria vivente.

Un altro comune modo di espressione è l'uso del verbo “venire” (erchomai). Il greco non ha nessuna parola specifica per “ritorno” nel senso di tornar indietro ad un luogo che uno ha visitato oppure presso cui è stato tempo prima. La parola erchomai è un basilare verbo di moto e può significare venire, oppure andare, oppure passare; un significato specifico, che può comprendere “ritorno”, è dato da aggiunte oppure dal contesto. Altri passi veicolano l'idea della venuta di Cristo usando parole come la manifestazione di” (ad esempio, 1 Timoteo 6:14). Salvo una possibile eccezione (Ebrei 9:28, che sarà toccata in connessione ad Ebrei 10:37 ed esaminata pienamente nell'Appendice), da nessuna parte qualche scrittore tenta di veicolare il senso di “ritorno”. Per esempio, la semplice parola palin, “di nuovo”, impiegato con erchomai, poteva aver servito a tale scopo, tuttavia nessuno lo usa mai. (Si veda anche Filippesi 1:6 e 3:20, Tito 2:13).

Tale riluttanza è in forte contrasto agli studiosi del Nuovo Testamento i quali, nel tradurre o interpretare termini come “venire” o manifestazione nelle epistole, solitamente utilizzano la parola “ritorno” oppure la frase “seconda venuta”. Ma se i lettori possono liberarsi dallo sfondo dei vangeli, troveranno che tutti quei riferimenti veicolano la diversa impressione che questa sarà la prima e sola venuta sulla terra, che questa attesa, questo desiderio di vedere Cristo, non è stato in alcun modo realizzato in precedenza.

Noi tendiamo a volere che quelli scrittori intendono, riconoscono, che che Gesù fosse già venuto prima, che avesse cominciato quando stava sulla terra il lavoro che avrebbe completato alla Parusia; che le persone avessero già testimoniato la loro liberazione nell'evento della sua morte e risurrezione; che egli fosse stato “rivelato” alla vista di tutti nella sua vita incarnata come Gesù di Nazaret. Ma mai un eco di queste idee ascoltiamo nel sottofondo di quei passi.

[Nota: esiste un problema relativo ma separato se la “venuta” nel Giorno del Signore è visto come la venuta di Cristo stesso (come è qui), oppure solo l'idea ebraica più antica della venuta di Dio. Ciò sarà discusso in connessione con Giacomo 5: 7.]


18. - Romani 10:9

(Questa è la parola della fede che noi annunciamo:) Che se tu confesserai con la tua bocca il Signore Gesù [homologeseis ...kurion Iesoun], e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvato. [KJ]
Qui c'è la basilare dichiarazione di fede di Paolo, da lui predicata nella sua opera missionaria, e la userò per illuminare uno dei fondamentali silenzi che si trovano in tutte le epistole del Nuovo Testamento. La traduzione sopra è tratta dalla versione di Re Giacomo, e riflette il greco letterale, a differenza della maggior parte delle traduzioni moderne che rendono la frase chiave: “se tu confessi con la tua bocca che Gesù è Signore”. (Il NASB si avvicina con la sua resa “Se tu confessi con la tua bocca Gesù come Signore”, dove il suo “come” in corsivo rappresenta una parola aggiunta che non è nell'originale).

Per tutta la discussione sulla fede alla quale indulge in tutte le sue lettere, Paolo non elenca mai l'unico elemento della fede che ci si aspetterebbe, quello che dovrebbe venire all'inizio. Infatti, anche nella moderna predicazione cristiana al mondo esterno, lo incontriamo continuamente: che Gesù di Nazaret, un essere umano che visse in un determinato punto nel passato e fece certe cose, era in realtà il Figlio di Dio e Messia. In tutte le epistole del Nuovo Testamento, nessuno è mai esortato a credere che un uomo storico fosse qualcosa. Le dichiarazioni di fede di Paolo sono una fede in qualcosa. Si crede che esista un tale essere, che egli possieda alcuni poteri e lo status celeste, che egli sia  strumento di salvezza di Dio. Ma mai che un recente essere umano fosse così e così.

Quando letta semplicemente (come fa la traduzione KJ), la dichiarazione di cui sopra dice: “se confessi il Signore Cristo”, che è una dichiarazione che il credente riconosce l'esistenza di Cristo e del suo potere. Se Paolo stesse parlando di un recente uomo storico, quell'uomo sarebbe stato il punto di inizio del suo pensiero, e lui avrebbe inquadrato le sue dichiarazioni di fede nei termini di ciò che quell'uomo era, la sua natura, identità e ruolo. Invece, qui come altrove, il suo punto di inizio è il Figlio divino nel cielo, l'oggetto del vangelo rivelato di Dio. Le pretese sono fatte su questa figura spirituale, tutto questo sulla base di scritture.

Paolo colloca una dichiarazione del genere interamente nel regno della fede presente, non nella Storia. Anche se assumiamo la traduzione comune moderna di “se confessi che Gesù è il Signore”, si nota il tempo presente e il fatto che la dichiarazione è una confessione circa una determinata figura celeste. Paolo riconosce che “Gesù è il Signore nostro”, che ha l'effetto di un'invocazione diretta alla divinità: “Tu sei Signore”.

19. - Giacomo 5:15

I vangeli ci dicono come i malati facevano ressa per toccare il lembo del mantello di Gesù; come stavano in disparte e lo chiamavano appena passava, gridando per la liberazione dalle loro afflizioni. Gesù aveva mostrato pietà a tutti loro, perfino se coloro oggi che desiderano rendere più terra terra i racconti evangelici suggeriscono che parecchie di quelle guarigioni fossero psicologiche. Come poteva esser cresciuta così forte la tradizione che Gesù aveva operato tali guarigioni se egli non avesse in realtà portato sollievo a parecchi malati e persone peccatrici nel corso della sua predicazione?

Tuttavia noi non lo sapremmo mai da Giacomo 5:15 :

C'è tra voi qualcuno che soffre? .... 15 La preghiera della fede salverà il malato e il Signore [qui senza dubbio lo scrittore intende Dio] lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. [NEB]
È inconcepibile che lo scrittore non avrebbe fatto appello al fatto che Gesù stesso aveva fatto esattamente quelle cose, se avesse posseduto tali tradizioni. Marco 2:1-12 ci presenta una scena miracolosa in cui Gesù fa entrambe le cose. Al paralitico dice: “Prendi il tuo lettuccio e cammina”, e allo stesso tempo dichiara perdonati i peccati dell'uomo. Lo scrittore di Giacomo non ha chiaramente mai sentito parlare di ciò.

E neppure ne ha sentito parlare colui che ha inviato la lettera nota come 1 Clemente, da Roma a Corinto, alla fine del primo secolo. Nel capitolo 59, “Clemente” offre una lunga preghiera a Dio che deve essere stata nella liturgia della chiesa di Roma. Ecco una parte di essa:

“Ti preghiamo, Signore, sii il nostro soccorso e sostegno. Salva i nostri che sono in tribolazione, rialza i caduti, mostrati ai bisognosi, guarisci gli infermi, riconduci quelli che dal tuo popolo si sono allontanati, sazia gli affamati, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli, consola i vili.”

I vangeli ci dicono che Gesù fece esattamente quelle cose, dalla guarigione dei malati alla nutrizione degli affamati. Nel nome di Dio, mentre camminava sulle sabbie della Galilea e della Giudea, ebbe pietà, supportò, confortò, rivelò Dio. Il lettore dovrebbe essere lasciato a bocca aperta di fronte al silenzio di Clemente e della sua comunità circa tali attività.

20. - Filippesi 3:10

Mi sono disfatto di qualsiasi altra cosa allo scopo di  conoscere Cristo, la potenza della sua resurrezione, la comunione delle sue sofferenze... [NEB]
Il silenzio finale nei nostri “Principali 20” è un silenzio che risuona in tutta l'intera documentazione dell'antica corrispondenza cristiana, ma siamo in grado di concentrarci su di esso mediante un solo passo in Paolo. Questo silenzio sorprendente e pervasivo, forse il più eloquente di tutti loro, si può riassumere in un'unica domanda: Dove sono i luoghi santi?

In tutti gli scrittori cristiani del 1° secolo, in tutta la devozione che ostentano su Cristo e la nuova fede, nessuno di loro esprime mai il minimo desiderio di vedere il luogo di nascita di Gesù, di visitare Nazaret il suo villaggio natale, i luoghi della sua predicazione, il cenacolo dove tenne la sua ultima cena, la collina su cui fu crocifisso, o la tomba dove fu sepolto e risorse dai morti. Non solo non c'è alcuna prova che qualcuno mostrò un interesse verso tali luoghi, ma va completamente sotto silenzio. Le parole Betlemme, Nazaret e Galilea non compaiono mai nelle epistole, e la parola Gerusalemme non viene mai utilizzata in connessione con Gesù. Più sorprendente di tutto, non vi è un accenno di pellegrinaggio al Calvario stesso, dove fu consumata la salvezza dell'umanità. Come può un posto del genere non esser divenuto il centro della devozione cristiana, come poteva non essere stato trasformato in un luogo di culto? Ogni anno a Pasqua, ci si aspetterebbe di trovare cristiani che osservano la propria celebrazione sulla collina fuori Gerusalemme, eseguendo un rito ogni Domenica di Pasqua presso il sito della tomba vicina. Le prediche cristiane e la meditazione teologica difficilmente poteva non mancare di costruirsi attorno ai luoghi di salvezza, non solo attorno agli eventi astratti.

I cristiani evitavano di frequentare tali luoghi per paura? Atti, conservando forse un nucleo di realtà storica, ritrae gli Apostoli mentre predicano senza paura nel Tempio nei primissimi giorni, nonostante l'arresto e la persecuzione, e la persecuzione è stata in ogni caso molto esagerata per i primi decenni. Anche una tale minaccia, tuttavia, non deve e non avrebbe impedito visite clandestine da parte dei cristiani, e ci furono molti altri luoghi della carriera di Gesù la cui visita non avrebbe comportato alcun pericolo. E, naturalmente, non ci sarebbe stato alcun pericolo nel menzionarli nella loro corrispondenza.

Anche Paolo sembra immune al fascino di quei luoghi. Egli può parlare, come in Filippesi, di voler conoscere Cristo, di conoscere la potenza della sua resurrezione, di condividere le sue sofferenze. E tuttavia, corre alla collina del Calvario alla sua conversione, per vivere quelle sofferenze più vividamente, per gettarsi sul sacro suolo che portò il sangue del suo Signore ucciso? Attende davanti al sepolcro vuoto, per meglio eovcare su di sè la potenza della risurrezione di Gesù, per meglio sentire la convinzione che la sua personale resurrezione è garantita? Questo è un uomo le cui lettere rivelano qualcuno pieno di insicurezze e di dubbi personali, posseduto dai suoi demoni, altamente emotivo, un uomo costretto a predicare, col rischio altrimenti di finire pazzo, come ci dice in 1 Corinzi 9:16. Non avrebbe derivato grande consolazione dal visitare il giardino del Getsemani, dove è riportato che Gesù è passato attraverso orrori simili e dubbi personali? Non sarebbero state accentuate le sue convinzioni sacramentali circa la Cena del Signore, che egli è ansioso di impartire ai Corinzi (11:23f), da una visita al Cenacolo di Gerusalemme, per assorbire l'atmosfera di quel luogo sacro e occasione?

Ancora una volta, tali considerazioni rendono inaccettabile la razionalizzazione solita che Paolo era disinteressato della vita terrena di Gesù. Inoltre, quando Paolo si impegna a svolgere la sua missione alle genti, sicuramente avrebbe desiderato—e necessitato—di andare armato dei dati sulla vita di Gesù, con i ricordi dei luoghi che Gesù aveva frequentato, pronto a rispondere alle domande inevitabili che le sue nuove audience avrebbero chiesto nel loro desiderio di sentire tutti i dettagli circa l'uomo che era il Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Invece, che cosa fa? Secondo il suo stesso resoconto in Galati, aspetta tre anni dopo la sua conversione prima di fare una breve visita a Gerusalemme, “per conoscere Cefa. Rimasi con lui per quindici giorni, senza vedere uno qualsiasi degli altri apostoli—solo Giacomo, il fratello del Signore”. E neppure dovette tornare lì per altri quattordici anni. Paolo imparò tutti i dati della vita di Gesù in quella occasione? Visitò i luoghi santi? Non avendo sentito il bisogno di farlo per tre anni, il suo silenzio su queste cose forse non è sorprendente. Ma se l'avesse fatto, possiamo credere che non avrebbe condiviso quelle esperienze—e sarebbero state intensamente commoventi—con i suoi lettori? Se non qui, almeno ad un certo punto nelle sue molte lettere?

Ma non è solo i luoghi della vita e della morte di Gesù. Che dire delle reliquie? I vestiti di Gesù, le cose che ha usato nella sua vita di tutti i giorni, le cose che ha toccato? Possiamo credere che tali elementi non sarebbero rimasti dietro, per essere raccolti, pubblicizzati, visti e toccati dagli stessi fedeli? Non sarebbe stato un apostolo come Paolo ansioso di portare un tale ricordo dell'uomo che predicò? Non si sarebbe sviluppata una rivalità tra gli apostoli, tra le comunità cristiane (come accadde in seguito), per ottenere tali ricordi e cimeli per il culto e come status symbol? Non sopravvisse una sola coppa dell'Ultima Cena—una che sarebbe stata pretesa di aver toccato le labbra di Gesù? Non c'era un solo chiodo con la carne di Gesù su di esso, non una spina della corona insanguinata, non una lancia del centurione, non un pezzo di stoffa delle sue vesti disputate dai soldati ai piedi della croce—non, in realtà , una serie di reliquie pretese di essere esattamente quelle cose, come ad esempio ne troviamo per tutto il Medioevo?

Perché è solo nel 4° secolo che i pezzi della “Vera Croce” cominciano ad affiorare? Perché è lasciato a Costantino di istituire il primo santuario sulla presunta collina della morte di Gesù, e di iniziare la mania del pellegrinaggio ai luoghi santi che si è protratta fino ad oggi? Perché qualcuno nei primi 100 anni del movimento non avrebbe cercato ugualmente di camminare sullo stesso terreno che il Figlio di Dio stesso aveva calpestato così di recente? La totale assenza di queste cose nei primi cento anni di corrispondenza cristiana è forse il singolo argomento più forte per considerare l'intero racconto evangelico della vita e della morte di Gesù come nient'altro che fabbricazione letteraria.

[Si è spesso affermato, in relazione non solo a questo silenzio, ma ad una miriade di altri, che le lettere, essendo scritti “occasionali”, semplicemente non accadono di contenere qualche “occasione” per ricordare queste cose. Ebbene, l'oggetto del presente esercizio è di dimostrare che questo non è il caso. Ma c'è una controreplica più grande ad una tale razionalizzazione. Se fossero esistite queste cose nell'antico mondo cristiano, sarebbero state impresse nelle menti degli scrittori di epistole, raccomandandosi per una menzione; gli scrittori avrebbero creato un'occasione per introdurle nelle loro lettere. In effetti, loro non potevano trattenersi dal fare così. 

Se si analizzano le epistole, si trova una coerenza nei motivi impiegati, nei modi espressivi utilizzati. In larga misura questi sono tratti dalla Bibbia ebraica; e riflettono l'atmosfera di rivelazione e ispirazione che caratterizzò il 1° secolo. Ma se le parole e le opere, i luoghi e le reliquie della vita recente di Gesù fossero state nell'aria, ricordate e discusse e visitate e toccate, queste sono le cose intorno a cui vorremmo trovare un orientamento inevitabile di pensiero e di espressione. Tale fenomeno sarebbe stato inevitabile se tutto era iniziato con una risposta ad un uomo storico la cui vita e morte impressionarono così tanto i suoi seguaci e coloro che stavano dicendo di lui. Un focus sull'uomo stesso, e le sue tracce fisiche, avrebbe pervaso la documentazione. Ma per quelli scrittori non mostrare il minimo segno che qualcosa delle parole, opere, luoghi e reliquie di Gesù fosse presente nei loro pensieri quando presero carta e penna, è una situazione così bizzarra, così improbabile, che noi siamo obbligati a cercare un'altra spiegazione. Quella che più si raccomanda è che loro non sapevano di nessuna di queste cose e niente di questa persona.

Forse quando si è passati per l'intero corpus delle epistole del Nuovo Testamento, e la  realizzazione della portata e della scioccante natura del silenzio è completa, anche voi lettori potreste giungere alla stessa conclusione. ]

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