lunedì 29 agosto 2016

Sul Figlio dell'Uomo come “un altro Gesù” (II)

SIMBOLO: Sommario o compendio delle cose incredibili cui un cristiano è obbligato a credere, pena la dannazione. Se crede fermamente al suo simbolo e alle decisioni contenute in concili, Padri [della Chiesa] e in un milione di commentatori, non potrà fare a meno di sapere a cosa attenersi in merito alla sua fede.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
 Una religione esige numerose relazioni dicotomiche. Ha bisogno di credenti e di non credenti. Di gente che conosca i misteri, e di altri che soltanto li temano. Di iniziati e di profani. Ha bisogno di un dio e di un diavolo. Di assoluti e di relativi. Di ciò che è privo di forma (e tuttavia si sta formando) e di ciò che è formato.
Ingegneria Religiosa,
scritti segreti di Amel


Alle prese coi misteri dell'alchimia, il filosofo medievale ebreo Maimonide una volta dichiarò che “maggiore è l'assurdità della lettera, più profonda la sapienza dello spirito”. In altre parole, più un testo è denso di simbolismo, più quel testo è zeppo di significati profondi. Parole per nulla sorprendenti, visto che a pronunciarle è un alchimista medievale. Ma questo approccio simbolico fu applicato da Maimonide anche sulla Bibbia. Le storielle bibliche, infatti, non sono per nulla resoconti di individui veramente vissuti nell'antichità, ma sono invece allegorie e miti che possiedono fin troppo spesso un significato davvero profondo, da noi attinto solo in minima parte. Storie completamente inventate sono necessarie per raffigurare dei miti ma non dovrebbero essere prese alla lettera, pena altrimenti la perdita del loro significato originario. Il 99% dei protagonisti dell'Antico e del Nuovo Testamento non sono personaggi realmente esistiti, ma personificazione di ben altre idee.

Ma esiste la prova che anche nella stessa antichità la Bibbia veniva interpretata in modo del tutto simbolico e allegorico? Ebbene : esiste quella prova e proviene dal folle apologeta cristiano Origene, con tanto di biasimo, da parte sua, per l'“intepretazione errata” di quelle letture del vangelo fatte a suo avviso fin troppo spesso “secondo il suo significato letterale”:
[Dio] compose una cornice di entrambi i tipi [letterale e metaforico] in un unico stile di narrazione, celando sempre il nascosto significato più in profondità; ma dove la narrazione storica non poteva essere resa appropriata alla coerenza spirituale delle circostanze, Egli inserì a volte certe cose che o non ebbero luogo oppure non potevano prendere luogo; a volte anche quel che potè accadere, ma che non accadde. (De Principiis, 4, 15, mia libera traduzione). 
Se si voleva una prova che i cristiani insiders intuivano che la Bibbia non fosse vera nel senso letterale del termine, eccola qui, per bocca stessa di un apparente folle apologeta cristiano.
Sebbene la Bibbia continua ad essere considerata “vera” almeno ad un livello spirituale, fa certamente male ai folli apologeti cristiani odierni constatare l'ammissione da parte di Origene del fatto che la Bibbia contiene cose impossibili e/o soltanto possibili sul piano strettamente storico. Per Origene, allora, gran parte della Bibbia è da intendersi come metafora, allegoria, simbolo, parabola, e non meraviglia che questa sua opinione venisse osteggiata dagli stessi folli apologeti cristiani a lui contemporanei.

Il lettore medio è già a conoscenza dell'ovvia “copiatura” (permettetemi il termine piuttosto indelicato, anche se preferirei quello di re-invenzione creativa o un qualunque suo sinonimo meno disturbante) dall'Antico Testamento al Nuovo Testamento, e mi riferisco alla marea di allusioni e motivi, riferimenti e simboli, ripetizione degli stessi punti o tropoi letterari, ecc. Nel primo vangelo, “Marco” (autore) ha perfino organizzato il suo materiale in veri e propri doppioni letterari: scene che rassomigliano o “rispecchiano” altre all'interno dello stesso testo. I vangeli sono di fatto così infarciti da letture in codice di questo tipo che alla lunga il saperlo diventa una noiosa constatazione dell'ovvio.

Ho già citato in passato l'esempio di Gesù falegname (Marco 6:3). I folli apologeti cristiani continuano a prendere per buona questa presunta informazione sul mestiere di Gesù (tanto utile quanto può essere sapere di Einstein che da piccolo non brillava affatto in matematica), eppure qualsiasi persona dotata di buon senso non può che rinunciare ad una lettura così grottescamente letteralista quando scopre chi è veramente il tekton, il falegname, nell'Antico Testamento.

Poi c'è, a profusione, l'utilizzo dell'allegoria. La resurrezione della figlia di Giairo assieme alla guarigione dell'emorroissa (Marco 5:41) ad esempio è un'allegoria di un messaggio squisitamente paolino, a sua volta un'allegoria per bocca stessa dell'apostolo. 
Se Marco è un'allegoria paolina il suo quinto capitolo contiene un buon candidato per la controversia sulla circoncisione: la coppia di guarigioni della donna che aveva perdita di sangue per dodici anni e della morente figlia dodicenne del capo di una sinagoga (Marco 5:21-42). Per mezzo della tecnica sandwich di Marco e dei numerosi paralleli da lui stabiliti tra le due guarigioni Marco illustra la sua volontà di comprenderli come un composto. Il tocco è un elemento in entrambi: il capo della sinagoga domanda a Gesù di porre le sue mani sulla bambina morente (5:23), e Gesù afferra le mani della piccola (5:41); nel caso dell'emorroissa, il suo tocco del mantello di Gesù è riferito per quattro volte (versi 27, 28, 30 e 31). Ed entrambe le “figlie” (5:23 e 34) sono “salvate” (5:23 e 34) per mezzo della fede (5:34 e 36). Riguardo al loro comune numero dodici, Mary Ann Tolbert dice “è davvero attraente notare che il solo uso di dodici prima della loro apparizione” (in quelle guarigioni) “è relativo ai discepoli, i Dodici” (Sowing the Gospel, pag. 168, n. 58).
Ora mi colpisce che questo episodio di Marco si presta facilmente al genere di interpretazione allegorica che Paolo offrì della donna schiava e della donna libera in Galati. Qualcosa lungo le linee di: “Ora questo è un'allegoria”. La figlia morente del capo di una sinagoga corrisponde alla missione dei Dodici ai giudei. Quella missione si estinse o quasi si estinse (dopo il 70 EC). La donna che aveva versato sangue per dodici anni corrisponde alla missione gentile. Lei è descritta mentre perde sangue perchè i Dodici stavano insistendo che i convertiti gentili siano circoncisi. L'azione di Gesù nella guarigione dell'emorroissa mediante la fede prefigura la predicazione di Paolo della salvezza per fede e il suo rifiuto di permettere ai suoi convertiti gentili di venire circoncisi. E Gesù che riporta in vita la figlia del capo della sinagoga prefigura la definitiva salvezza della missione ai giudei da parte di Paolo.Forse si poteva attaccare significato allegorico ad altri dettagli del racconto. Per esempio, la donna “spese tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando” (Marco 5:26). Fu la “spesa” un riferimento alla colletta gentile per la chiesa di Gerusalemme? Non lo so. Ma io penso che Richard Carrier ha ragione quando dice che “L'integrazione di quei racconti ovviamente aveva qualche importanza simbolica per Marco, anche se noi non possiamo discernerla ora” (On the Historicity of Jesus, pag. 411). Alla luce degli altri paralleli paolini in Marco, io suggerisco che l'importanza simbolica era molto probabilmente collegata a Paolo. 

(fonte: Roger Parvus,  A Simonian Origin for Christianity, Part 16:  Mark as Allegory)

E non poteva che esser così, visto che “Giairo” significa “risvegliato” o “illuminato”. Oppure prendi la storiella del cieco Bartimeo, che realizza di trovarsi di fronte il messia “Figlio di Davide” per il solo fatto che l'ha sentito chiamare “Gesù Nazareno” (Nazaret essendo una derivazione artificiale da Netser, radix in latino, e noi sappiamo tutti a quale radice si riferisce): questo cieco porta un nome, “Bartimeo”, che significa “figlio di Timeo”, non a caso lo stesso patronimico che gli assegna Marco (per pura coincidenza?), a sottolineare il titolo di un famoso dialogo di Platone, il Timeo appunto, che verte sull'importanza della “vista” sia come senso fisico che come capacità di avvistamento interiore della verità. Non per nulla Bartimeo, a dispetto della sua cecità esteriore e dell'arroganza con cui i presunti discepoli (ma in realtà i veri ciechi dell'allegoria) gli si frappongono davanti per sbarrargli l'accesso a Gesù:
E molti lo sgridavano perchè tacesse, ma quello gridava più forte. (Marco 10:48)
Allora andarono a chiamare il cieco e gli dissero: « Coraggio, àlzati, ti vuol parlare! »  (Marco 10:49)
 ...riesce comunque a divenire un insider (Gesù stesso ordina di avvicinarlo fino a lui) recuperando magicamente la vista: in altre parole, a capire cose che nemmeno i discepoli, gli stessi discepoli che intendevano sbarrargli l'accesso al maestro, sanno (e cioè che “Gesù Nazareno” non è il Cristo, ma solo il mero temporaneo recipiente fisico — il mero Figlio dell'Uomo — dello spirito del vero Cristo Gesù, il reale Figlio di Dio predicato da Paolo).

Il caso Bartimeo rappresenta l'ennesimo tentativo di associare un nome alla funzione del testo: a ben vedere, allora, il nome stesso sa di invenzione letteraria.

Per non parlare dei numerosi nomi di luoghi totalmente immaginari :

“Nazaret” (come abbiamo appena visto) è un nome artificiale che deriva da Netser, “radice” del ramo di Jesse e se non lo fosse diventa davvero dura riuscire a immaginare per quale diavolo di fottuta ragione un cieco saluta Gesù come “figlio di Davide” al solo sentore che è “Nazareno”.

''Magdala'' è a sua volta un nome artificiale (secondo la prof.ssa Joan Taylor, non solo non abbiamo la prova dell'esistenza di un villaggio galileo di nome Magdala ma perfino se fosse esistito, sarebbe stato così insignificante e così inutile per fungere anche come singolare appellativo di una donna da rendere decisamente più probabile l'ipotesi alternativa che Maria sia chiamata “Maddalena” esclusivamente per motivi allegorico-simbolici, piuttosto che per richiamarne la presunta provenienza da un punto indefinito della Galilea) e sta per “torre”, e la Maria ivi proveniente non poteva che rassomigliare, nell'assistere con altre donne “da una certa distanza” alla morte di Gesù, ad un'altra donna (Andromaca) che assistette impotente alla morte del suo eroe (Ettore) dagli spalti di una città altrettanto fortificata e turrita (Troia) assieme ad altre donne (Ecuba ed Elena): quella è infatti l'ipotesi interpretativa del prof Dennis MacDonald (che va matto per la dipendenza letteraria di Marco dalle opere di Omero). Un'altra ipotesi si rifà alla Septuaginta, in particolare a Michea 4:8, che prevede una femminile ''torre del gregge'' a guardia costante dell'Israele terreno, proprio la funzione svolta dalla ''Torre'' Maddalena nei confronti del figlio d'uomo. Anche se personalmente preferisco quella che vede in Maria di Magdala un'allegoria di una delle tre torri [1] fatte costruire da Erode a Gerusalemme e risparmiate dai romani durante l'assedio del 70 Era Comune che portò alla distruzione del Tempio (un evento che io sono incline a vedere allegorizzato, in Marco, dalla stessa crocifissione romana di Gesù): anche in quel caso infatti è una “torre”, la famosa “Torre Mariamne” - dal nome omonimo della moglie di Erode - ad assistere impotente alla distruzione di un'intera civiltà, con la crocifissione in massa degli ebrei ribelli proprio fuori Gerusalemme.

''Golgota'': qui ne descrivo una possibile ipotesi interpretativa e qui un'altra: in entrambi i casi si inserisce bene nel contesto di ciò che stava facendo Marco: allegorizzare la fine di Israele (nel 70 Era Comune) con la morte di Gesù.

''Betfage'': il nome significa «casa dei fichi non maturi» e non meraviglia che sia la sede del famigerato fico senza frutti fatto essiccare da Gesù con la sola bacchetta magica del suo impropero verbale: un gesto tipicamente megalomane che permetterebbe da solo all'ateo di dichiarare ad un tempo entrambe la storicità e la pazzia di Gesù (per EVIDENTE imbarazzo!!!), se non fosse che nell'Antico Testamento i fichi maturi sono emblema dell'ebreo spiritualmente perfetto, ergo il loro opposto non rappresenta nient'altro che una parabola del fallimento degli ebrei di riconoscere il messia nello spirito possessore di un mero figlio d'uomo (“Gesù Nazareno”), una fatale mancanza perfino del discepolo che pure aveva dato del “Cristo” a Gesù: ossia di Pietro.  Questa è l'intepretazione allegorica di solito accettata perfino dai folli apologeti cristiani (quando è troppo imbarazzante, PER LORO, ipotizzare un Gesù storico dietro quell'episodio) eppure loro riescono nel ridicolo tentativo di sbagliare perfino quando si cimentano nella decifrazione delle allegorie. Per la semplice ragione che Gesù non sta affatto maledicendo l'albero di fico, anzi sta trovando autentici conforto e soddisfazione spirituali in lui. Infatti si veda dove il proto-cattolico Matteo va intenzionalmente a divergere da Marco nella descrizione dell'episodio:

Marco 11:12-14; 20-25
Matteo  21:18-22
12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13 E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi.
18 La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. 19 Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie,
14 E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti».
e gli disse:  «Non nasca mai più frutto da te».
E i discepoli l'udirono.

20 La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici.
E subito quel fico si seccò.
21 Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato».
20 Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai il fico si è seccato immediatamente?».
22 Gesù allora disse loro: «Abbiate fede in Dio! 23 In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. 24 Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato.
21 Rispose Gesù: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. 22 E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».
25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».

 

 Il proto-cattolico Matteo non ha alcuna intenzione ovviamente di far fare ai discepoli la figura di babbei e di buffoni che fanno in Marco, perciò puntualmente omette i verbi relativi al “vedere” e all'“udire”, ben consapevole che, a causa di Marco 4:11-12,
A voi il mistero è stato dato del Regno di Dio: ma a quelli fuori, in parabole tutto è fatto, affinchè guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro.
(Marco 4:11-12)

...quei versi sanciscono la condanna per ignoranza, e l'ignoranza per condanna, dei discepoli di Gesù (discepoli che invece Matteo, da buon storicista - a differenza di Marco -, vuole far passare per veri affidabili testimoni oculari del suo Gesù storico protocattolico). Ma non solo: Matteo decide misteriosamente di non copiare da Marco 11:25, dove figura quell'istruzione di Gesù che ho posto in grassetto:
...se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate...
Davvero strana un'omissione del genere da parte di Matteo. Ma non è finita. Matteo ha addirittura stravolto l'esclamazione di Gesù rivolta al fico, trasformandola da:
 «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti».
nella seguente:
«Non nasca mai più frutto da te»

Perchè ha agito così Matteo? Perchè non gli andavano a genio quei precisi punti di Marco, nonostante avesse copiato e tenuto tutto il resto nel suo vangelo, mutando solo qualche parola?

Il mistero è presto svelato se si considera il fico per nulla affatto come un simbolo negativo in Marco. Del resto lo stesso Gesù aveva evidenziato la sua funzione positiva in Marco 13:28-29:

Marco 11:12-14; 20-25
Marco 13:28-29
12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13 E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. 14 E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l'udirono.
28 Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina;
20 La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici.
21 Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato».
così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte.


Il fico sta portando liete notizie a Gesù: presto il tempio di Gerusalemme (di cui il fico è allegoria) non sarà più utile ad alcuno.

Il fico ha addirittura una ''dimora'' in Betfage (stante il suo significato etimologico), cosa che ne fa un simbolo per gli iniziati a tutti gli effetti. Il punto da capire prima di tutto è che l'intero episodio in Marco non è inaugurato dalla fame del figlio dell'uomo “Gesù Nazareno”, la fame di un mero mortale, bensì dalla fame spirituale del Figlio di Dio, il vero Cristo (possessore in quel momento di un mero figlio d'uomo). Ne deriva che le parole di Gesù al fico privo di frutti non sono parole di condanna ma di speranza: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti» perchè nessuno possa neppure soddisfare la propria fame di cose materiali!

I discepoli odono quelle parole e le prendono erroneamente per parole di biasimo e di maledizione all'indirizzo del fico. Per loro il figlio dell'uomo è solo un capriccioso despota orientale, in fin dei conti, da assecondare sempre nelle sue bizzarrìe. E come hanno sbagliato a “udire”, da dementi outsiders quali sono, così hanno torto marcio a “vedere” nell'essiccamento del fico una punizione piuttosto violenta da parte di Gesù. Se il fico rappresenta il tempio, allora i discepoli si illudono erroneamente che il figlio dell'uomo intende distruggere il tempio con le sue stesse mani (non ha Gesù dopotutto appena fatto quella scenata al tempio, cacciando selvaggiamente a suon di frustrate mercanti e animali?). Eppure Gesù rivolge loro quelle parole finali, quasi contraddicendo quanto appena fatto:
se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate.

Cos'è allora quel qualcuno che i discepoli devono perdonare, se non il fico stesso, da loro creduto a torto appena maledetto da un presunto affamato figlio d'uomo?

I discepoli dovrebbero perdonare il tempio fisico di Gerusalemme di cui il fico è simbolo. Un'interpretazione che non piace per nulla a Matteo, tant'è vero che quel tendenzioso protocattolico si prende la briga di eliminare le parti dell'episodio in Marco che insinuano dei dubbi sulla capacità dei discepoli di “udire” e “vedere” come genuini discepoli.

L'essiccamento del fico in realtà rappresenta in Marco una provvidenziale soddisfazione della speranza espressa da Gesù: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti» perchè ognuno sarà soddisfatto spiritualmente. Non solo il fico non porta frutti ma porta solo “le foglie” (promettendo bene sull'imminente arrivo del Regno di Dio), ma addirittura si essicca completamente, detto in altri termini, non solo il presagio è positivo, ma conferma che la fame spirituale del Figlio di Dio è già saziata: nessuno più avrà bisogno del tempio fisico di Gerusalemme, neppure volendo.

Perchè? Cos'è successo nel frattempo, tra la fame spirituale, esoterica, di Gesù (manifestata in Marco 11:14) e la sua improvvisa soddisfazione (sancita in Marco 11:20)?
  Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le genti?
Voi invece ne avete fatto una spelonca
di ladri [λῃστῶν]!».
 L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. Quando venne la sera uscirono dalla città.

(Marco 11:15-19)
 
Se il fico rappresenta il tempio di Gerusalemme, e se perciò questo tempio non ha più alcuna utilità per nessun uomo, allora Gesù giustamente maledice e caccia le uniche persone che ancora trovano utilità in un tempio che ha terminato da tempo la funzione per il quale era stato edificato: i “cambiavalute” e i “venditori di colombe”, vale a dire, veri e propri “ladri”. Flavio Giuseppe ci ricorda chi erano più precisamente questi “ladri”: gli zeloti che avevano fatto del tempio di Gerusalemme il loro principale quartier generale durante l'assedio della città.
Ciascuno di costoro si tirò dietro non pochi Zeloti, ed essi presero possesso della parte più interna del Tempio collocando le loro armi sopra alle sacre porte sulla facciata santa.
(Guerra Giudaica, V, 7)
È contro di loro che la violenza di Gesù è diretta, profetizzando ex eventu lo sterminio degli zeloti ad opera dei Romani nel 70 Era Comune.


La profezia della sua violenta distruzione — la distruzione dell'Israele terreno come punizione divina — realizza la speranza del Figlio di Dio: il figlio dell'uomo, il vecchio Israele, verrà crocifisso e sarà trasformato nell'ideale figlio dell'uomo che è il Nuovo Israele, dove il corpo di ciascuno è posseduto dallo Spirito del Cristo, in sostituzione dell'Israele terreno, del mero figlio d'uomo:
O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
(1 Corinzi 6:19-20)
E così il tempio non ha colpa in sè, proprio come il fico non è colpevole per non portare frutti, contrariamente alla vulgata tradizionale. Semplicemente, la buona notizia è che il tempio, proprio come il fico, non è più utile ad alcuno, nel bene e nel male: non potrà più servire per offrire sacrifici a Dio come espiazione dei peccati di Israele, ma nello stesso tempo non deve neppure più servire a giustificare chi ne vuole fare un mero simbolo di potere politico (come gli Zeloti o i sadducei stessi). E questo, nella Storia reale, è possibile ovviamente solo con la sua distruzione, nel 70 Era Comune.   

In sintesi penso che la seguente tabella possa essere sicuramente esaustiva:

L’allegoria
Cosa credono gli outsiders Pietro e i discepoli circa il figlio dell’uomo
Cosa intende veramente il Figlio di Dio (possessore del figlio d’uomo)
12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13 E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi.
Credono che il figlio d’uomo, Gesù Nazareno detto Cristo, abbia semplicemente fame.
Il Figlio di Dio brama l’arrivo del Regno di Dio, ossia quando il mero figlio d’uomo verrà proclamato sulla croce IESUS NAZARENUS REX IUDAEORUM, a simboleggiare la distruzione dell’Israele terreno e l’espiazione dei suoi peccati.
14 E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l'udirono.
Credono che le parole del figlio d’uomo siano parole di condanna e anatema di maledizione rivolte al fico perché è privo di frutti.
Il Figlio di Dio spera che il fico (simbolo del Tempio di Gerusalemme) smetta di servire agli uomini, perché il corpo di ciascun cristiano paolino diventerà ‘’tempio dello Spirito Santo’’ (1 Cor 6:19).

15 Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 16 e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. 17 Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le genti
?
Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!».
18 L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. 19 Quando venne la sera uscirono dalla città.
Credono che il figlio d’uomo, con quel gesto, appoggi di fatto il sogno politico degli zeloti di strappare il Tempio fisico di Gerusalemme ai romani e ai sadducei loro collaborazionisti e si prepari ad instaurare la teocrazia ecc.
Il Figlio di Dio è adirato contro i “ladri”, ossia gli Zeloti, colpevoli di trovare ancora un’utilità nel Tempio sfruttandolo come quartier generale durante l’assedio di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 Era Comune.  Così facendo, essendo il tempio simboleggiato dal fico privo di frutti,  gli Zeloti si comportano come folli che sperano ancora di poter mangiare banali frutti materiali dal fico, soddisfando la loro fame terrena di potere politico e contraddicendo la stessa speranza espressa appena prima da Gesù: : «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti»..
20 La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. 21 Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato».
Pietro crede che il fico si è seccato perché maledetto dal figlio d’uomo.
La fame spirituale del Figlio di Dio è finalmente saziata: il Tempio, infatti, simboleggiato dal fico essiccato, ha appena cessato nell’allegoria di offrire i suoi frutti perfino ai
“ladri” che lo infestano e che sono stati cacciati da Gesù. Ora davvero nessuno più sulla terra potrà sfruttare il tempio per i propri comodi, dato che è un fatto realizzato ormai che nessuno potrà mai  più mangiare dal fico (usufruire del tempio).
22 Gesù allora disse loro: «Abbiate fede in Dio! 23 In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato.
Non capiscono nemmeno una parola di quello che Gesù intende dire, ovviamente. Credono davvero (a torto) che la montagna da gettare nel mare sia l’esercito romano da ricacciare nel Mediterraneo.
Leggi 1 Corinzi 13:2 :

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
24 Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. 25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».
Loro letteralmente hanno “qualcosa contro qualcuno”, vittime come sono dell’errata idea che Gesù abbia appena maledetto il fico e con esso il tempio stesso di Gerusalemme, sancendo di fatto l’inizio di una guerra santa contro l’establishment politico-religioso.
Il Figlio di Dio invita a perdonare i propri nemici, fossero perfino quelli che Gesù ha appena cacciato dal Tempio: cioè Zeloti come Barabba.




''Arimatea'': le ipotesi sono molteplici anche in questo caso. Arimatea può significare “luogo del miglior discepolo” (chiaramente non ha bisogno di ulteriori commenti), oppure può significare “figlio di Mattia” a indicare un altro “Giuseppe” (quello sì “storico” in entrambi i sensi del termine!) che si prese cura di salvare un uomo, anzi tre!, dalla croce. Mentre il Giuseppe di Arimatea seppellitore di “Gesù Nazareno” (allegoria, ripeto, dell'Israele terreno e dopo la sua resurrezione, del nuovo Israele spirituale: la chiesa paolina a sua volta posseduta, questa volta in modo “consapevole”, dallo spirito di Cristo) potrebbe essere il midrashico contrappasso del noto patriarca biblico Giuseppe seppellitore del vecchio padre Giacobbe, rinominato a sua volta “Israele” dall'angelo: omen nomen, verrebbe da dire.

Che dire? Nessuno di quei luoghi sarebbe mai potuto esistere, altrimenti lo storico è costretto a spiegare la straordinaria combinazione di fin troppe variabili in gioco, necessitando a quel punto di una buona pianificazione divina per spiegare la presenza di tutte quelle meravigliose coincidenze nella vita di un ipotetico Gesù storico: vale a dire, abdicando di fatto al suo mestiere di storico ed indossando i panni sporchi e schifosi del teologo cristiano e per giunta cattolico.  Ma noi siamo fin troppo educati e raffinati per anche solo sfiorare la chiusura mentale di un folle apologeta cattolico di tale specie, perciò siamo costretti, costretti dico!, a ritenere una chimerica montatura la semplice idea di una Nazaret storica, di una “Maria di Magdala” storica, di un “Giuseppe di Arimatea” storico, di un “Golgota” storico.

Ma non è finita: anzi è solo l'inizio di quel che attende il lettore.

Un altro forte indizio di pura invenzione presente in tutti e quattro i vangeli sono le strutture testuali note come “chiasmi”: sezioni bipartite di testo dove parole e temi specifici della prima parte sono capovolte e riflesse nella seconda o viceversa. Un banalissimo e lampante esempio in Marco: “Ma molti che sono primi saranno ultimi, e gli ultimi saranno primi”.

Un altro esempio leggermente più complesso è il seguente:
Poi egli entrò di nuovo nella sinagoga, e là c'era un uomo che aveva una mano secca.

            Ed essi lo stavano ad osservare per vedere se lo avesse guarito in giorno di sabato, per poi accusarlo,

              Ed egli disse all'uomo che aveva la mano secca: «Alzati                               in mezzo   a tutti!».

                    Poi disse loro: «E' lecito in giorno di sabato fare del bene o del male, salvare una vita o annientarla?». Ma essi tacevano.

          Allora egli, guardatili tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse a quell'uomo: «Stendi la tua mano!». Egli la stese e la sua mano fu risanata come l'altra.

E i farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui come farlo morire.

(Marco 3:1-6)

Ho evidenziato apposta il punto centrale del chiasmo, un'enfasi a ben vedere già fornitagli dalla struttura stessa dell'intero episodio, alla luce del chiasmo del tipo A B C D - D C B A.
Un altro esempio di chiasmo è Luca 22:40-46 :

Giunto sul posto, disse loro: «Pregate per non entrare in tentazione»

              E si allontanò da loro, circa un tiro di sasso 
                          e, postosi in ginocchio,     pregava, dicendo: «Padre, se vuoi,  allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua».

                                            Allora gli apparve un angelo dal cielo per dargli forza.

                            Ed egli, essendo in agonia, pregava ancor piú intensamente, e il suo sudore divenne simile a grumi di sangue che cadevano a terra.

         Alzatosi poi dalla preghiera, venne dai suoi discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza

e disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione».

...dove si vede bene una struttura del tipo A B C - D - C B A.

Ammetto io stesso che i chiasmi non sono del tutto ovvi da vedere, e non mi vergogno di dire che neppure io li ricordo o li conosca tutti nel solo vangelo di Marco (il vangelo che pure mi interessa di più investigare visto che è quello che ha inventato per primo la figura di “Gesù Nazareno”evemerizzando così il Gesù mitologico di Paolo —, lasciando probabilmente vittima della sua deliberata cospirazione qualsiasi altro autore di un vangelo canonico o apocrifo, praticamente ogni evangelista posteriore a Marco: tutti caduti vittime, per colpa di “Marco”, della falsa illusione che un Gesù Nazareno girovagò veramente in Galilea e Giudea).

E tuttavia il mio punto non è di ostentare chissà quale oscura sapienza (ne ho già fin troppo abbastanza della saccenza dei folli apologeti cristiani, criptocristiani ed ex-cristiani) nel rivelare l'esistenza di questi chiasmi che brulicano da cima a fondo l'intera struttura del vangelo di Marco. Rimando chi è veramente interessato a scoprirli tutti, o comunque una considerevole parte di essi, nel libro OHJ di Richard Carrier.

Nondimeno il punto che qui voglio fare è che la presenza di questi chiasmi è così fitta nel primo vangelo (ricorda: il vangelo del quale praticamente tutti — ma proprio tutti! — gli altri esistenti non sono che mere edizioni o abbellimenti), in misura tale da non essere neppure pensabile dai non-esperti in materia (compreso me stesso!), che nessuno (che non sia un banale folle apologeta cristiano) non può fare i conti senza di essi e di ciò che essi implicano essenzialmente, senza passare per uno studioso poco credibile.

E cos'è che implicano di così tanto inquietante?

Mi basta concedere la parola al prof Bart Errorman (che pure è tacciabile di follia apologetica cripto-cristiana, essendo un ostinato anti-miticista) per dare al lettore il brivido di un minuscolo assaggio al problema:
“...quando un chiaro esempio di chiasmo capita, si deve fare qualcosa con esso, o negare la sua presenza o il suo significato oppure ammettere che un autore ha impiegato un dispositivo letterario pur di contribuire al suo scopo complessivo. In questo caso il chiasmo lucano è quasi impossibile da trascurare”.[2]

Ovviamente quelle sono le tipiche parole piene di cautela di un cripto-teologo ben consapevole di aver appena scoperchiato un enorme vaso di Pandora (trattando i soli vangeli!): in realtà, soltanto un cieco (a livello intellettuale) può negare la presenza di chiasmi là dove occorrono, e se un Bart Errorman consiglia sfacciatamente, come possibile opzione (quasi che se ne avesse la possibilità!), di “negare la presenza” di un chiasmo qualora esso dia in qualche modo fastidio alle proprie idee preconcette, allora è smascherata improvvisamente l'intera tattica impiegata dai folli apologeti cristiani quando alle prese con quell'allegoria chiamata vangelo di Marco: questi dementi teologi sotto mentite spoglie di storici minimizzeranno fin quando e fin dove è possibile la presenza di chiasmi, allegorie, simbolismi, parabole nei vangeli, e fanno così spinti dal loro fottuttissimo desiderio di preservare il mito di una presunta “sincerità” del testo nel tramandare fatti “duri”, spogli e reali, per quanto distorti dal ricordo e dall'immaginazione. Neppure quando vedono la delizia dei loro stessi studenti nel realizzare come ogni episodio evangelico diventi senz'altro meno criptico alla luce dei chiasmi identificati.

E se ravvisiamo un minor grado di cripticità (senza che per questo, purtroppo, scompaia del tutto, trattandosi comunque di testi anonimi così antichi e così misteriosi) il pensiero non può che andare all'opinione di Origene, per la quale esiste un'interpretazione ad uso e consumo dei ciechi “letteralisti”, ed un'altra per “quelli che sanno”, oppure all'opinione simile di Clemente di Alessandria (un folle apologeta cristiano del 180 Era Comune):
Ora la scrittura infiamma la vivente scintilla dell'anima, e dirige l'occhio in modo appropriato alla contemplazione ... E ad egli che è capace in segreto di osservare ciò che gli è consegnato, quel che è velato sarà dischiuso come verità; e quel che è nascosto ai molti, apparirà manifesto ai pochi.” (Stromata 1, mia libera traduzione e mia enfasi)

In realtà i chiasmi erano una diffusa pratica letteraria nel mondo antico e il semplice constatarne una considerevole presenza nei vangeli solleva il semplice rischio (quasi un pericolo mortale per i folli apologeti!) di rivelare come altamente controversa la reale natura di quei testi: i vangeli sono davvero ciò che dicono di essere, ovvero sacre agiografie circa un uomo realmente esistito? Oppure sono tutto fuorchè quello?

 Perchè, delle due, insisto, l'una: o il caso, il destino, il fato, Dio, quello che volete, ha giocato così bene i suoi dadi da fare in modo che la vita di un ipotetico Gesù storico intersecasse per magico incanto (o anche solo per il rotto della cuffia) tutti i suggestivi meandri letterari geometricamente perfetti ideati dagli evangelisti in omaggio al loro presunto eroe storicamente esistito, oppure tutto ciò è semplicemente impossibile per essere vero, e che quindi di Gesù, se pure è esistito, non possiamo sapere nulla di sicuro e affidabile dai soli vangeli — a meno di non voler gettare il ridicolo innanzitutto su noi stessi, e in secondo luogo sul nostro prossimo.

E noi non vogliamo ingannare il nostro prossimo, sarebbe fin troppo anti-evangelico, non è vero? 




NOTE: 

[1] Così Flavio Giuseppe:
Infatti, oltre che per la sua naturale magnificenza e per l'orgoglioso attaccamento verso la città, il re fece costruire queste opere così maestose per assecondare l'impulso del cuore, dedicandole alla memoria delle tre persone che gli erano state più care e chiamandole col loro nome. Erano questi un fratello, un amico e la moglie; costei, come abbiamo raccontato, l'aveva uccisa per amore, mentre gli altri due li aveva perduti in guerra dove erano morti da valorosi.
 La torre Ippico, denominata dall'amico, era a pianta quadrata, misurava venticinque cubiti di lunghezza e di larghezza, ed era completamente massiccia fino all'altezza di trenta cubiti.
...
La seconda torre, che Erode chiamò Fasael come il fratello, aveva la larghezza uguale alla lunghezza, quaranta cubiti ciascuna, e anche di quaranta cubiti s'innalzava la sua parte massiccia.
...
La terza torre, che si chiamava Mariamme dal nome della regina, era massiccia fino all'altezza di venti cubiti, così come venti cubiti misuravano la sua larghezza e la sua lunghezza, ma la parte superiore abitabile era assai più sontuosa e decorata; il re infatti ritenne che la torre che portava il nome di una donna fosse più adornata di quelle che si denominavano da uomini, allo stesso modo che queste ultime erano più robuste dell'altra.

(Guerra Giudaica, V, 162-171, mia enfasi)

Non so distinguere se è una coincidenza o meno il fatto che le altre due torri siano dedicate rispettivamente al fratello e all'amico di Erode, mentre nel vangelo di Marco le altre due donne assieme a Maria Maddalena sono riconosciute rispettivamente dai loro figli (Maria è la madre dei fratelli di Gesù mentre Salome, se accettiamo il parallelismo tra Marco e Matteo , sarebbe la madre dei due discepoli di Gesù: i figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni).

Fatto evidente è che la “torre Mariamme”, risparmiata da Tito assieme alle altre due, potè vedere nel 70 Era Comune lo scempio fatto dai romani sulla città espugnata, proprio come la “Torre Maria” (alias “Maria Maddalena”) potè osservare la morte del figlio dell'uomo (il simbolo dell'Israele terreno) sul Golgota, appena fuori di Gerusalemme, nell'allegoria di Marco:
Quando l'esercito non ebbe più da uccidere e da saccheggiare, non essendoci nient'altro su cui sfogare il furore - e certamente nulla avrebbero risparmiato finché restava qualcosa da fare - Cesare diede l'ordine di radere al suolo l'intera città e il tempio lasciando solo le torri che superavano le altre in altezza, Fasael, Ippico e Mariamme, e il settore delle mura che cingeva la città a occidente: questo per proteggere l'accampamento dei soldati che vi sarebbero rimasti di guarnigione, le torri per far comprendere ai posteri com'era grande e fortificata la città che non aveva potuto resistere al valore dei soldati romani.
(Guerra Giudaica, VII, 1-2)
[2] liberamente tradotto da Bart D. Ehrman, “Text and Tradition: The Role of New Testament Manuscripts in Early Christian Studies”, Duke Divinity School, 1997.