martedì 22 novembre 2016

Di come l'arcangelo del cielo Gesù ottenne una vita sulla Terra

Ancora una volta si dimostra come la religione monoteistica sia il plagio di un plagio di una diceria di una diceria, dell'illusione di un'illusione che riporta sempre e comunque all'artificio di alcuni non-eventi.
(Christopher Hitchens, Dio non è grande: come la religione avvelena ogni cosa, pag. 267)



Per anni erano stati senza un messia. Il loro intero essere era aperto al futuro e niente li separava dal resto degli ebrei e dal resto dei pagani.
Nessuno sa per quanto tempo avessero prosperato in quel modo. Poi qualcosa iniziò a cambiare, lungo il corso di una sola generazione. Il senso di una rivelazione improvvisa andò a inscriversi sempre più profondamente dentro di loro. Quella rivelazione suggerì loro la realtà di un essere divino nell'atto di spezzarsi in schegge e terrorizzarsi, crocifisso da presenze demoniache nascoste appena oltre la soglia di quello che i sensi riescono a distinguere, tra la Terra e la Luna. Ma sia l'essere divino che i suoi ignari carnefici erano vittime di un gioco più grande di quanto la loro collettiva coscienza potesse comprendere.


Dio aveva ingannato gli “arconti di questo eone”, celando loro, dietro un sogno di carne, la vera identità della vittima. E ora finalmente il Messia Gesù si era rivelato nei soli apostoli del Cristo, la sua voce nella loro voce, le sue parole nelle loro scritture, il suo volto nel loro volto.

Non stavano sognando DEL messia Gesù, come generalmente si assume oggi. Stavano SOGNANDO IL MESSIA GESÙ.

Mentre le visioni progredivano, cominciarono a oltrepassare confini di cui non immaginavano l'esistenza. Dopo la morte dell'uomo chiamato Paolo, guardarono lo stato in cui erano lacerati e divisi, tra Cristi e Gesù rivali, e si sentirono piccoli e fragili nella vastità di un mondo improvvisamente ostile. Presto iniziarono a vedere tutto in modo assolutamente nuovo.

Quando gli accoliti di una loro particolare confraternita inventarono la storia di un certo Gesù Nazareno, crocifisso dal governatore romano Pilato su istigazione del Sinedrio, si prepararono in tanti attorno a loro come per fare qualcosa mai fatto prima. Fu allora che cominciarono a credere a quella storia — che il loro arcangelo celeste era davvero vissuto sulla Terra nella persona di Gesù Nazareno — così che non potessero mai sapere il segreto.

Il segreto era che il vero Gesù non era mai stato un uomo sulla Terra, ma fu sempre un puro arcangelo del cielo.

Ma nonostante la precauzione, ci fu chi vide ancora l'arcangelo celeste Gesù Cristo, nel silenzio estatico di una rivelazione, o attorno al cupo bagliore di un'apparizione. Non sapevano chi fosse Gesù Nazareno, ma sapevano che era ciò che NON SAREBBE DOVUTO ESSERE: una degradante eresia. Era necessario fare qualcosa, se avessero continuato a prosperare come prima, se la Terra sotto i loro piedi non fosse sprofondata. Si ostinarono a trattenere la più antica versione di Gesù, oppure tentarono un compromesso con quella nuova diceria, qualcosa piuttosto difficile da fare: solo loro, gli illuminati, potevano avvistare la vera essenza del Cristo, dietro un sogno di carne sceso tra i comuni mortali. Nel linguaggio incoerente del delirio e del sogno, dissero cose orribili della vita, della menzogna e di “Questo sogno di carne”.

Tutto cambiò una volta che il segreto si perse con la morte dell'ultimo accolito della confraternita, oppure una volta che la storia circa Gesù “che fu chiamato Cristo” diventò così popolare da prendere una vita sua propria, così che nessuno, neppure quei pochi ancora coscienti del segreto, potesse impedire tutta quella diceria e inarrestabile sentito dire. I nuovi proseliti seppero di Gesù solo attraverso quella storia su Gesù Nazareno.

Per loro divenne impossibile credere che le cose potessero essere andate diversamente. Adesso riconoscevano un unico, “storico” messia — così sembrava — e niente di simile era mai successo prima d'allora. Era finita l'epoca in cui il loro intero essere era aperto al futuro, e niente li separava dal resto degli ebrei e dal resto dei pagani. Qualcosa era accaduto: nessuno era rimasto che sapesse che Gesù era stato evemerizzato da un mito celeste. Oppure qualcuno era rimasto. Non sapevano chi fossero ma sapevano che era ciò che NON SAREBBE DOVUTO ESSERE. Era necessario fare qualcosa, se avessero continuato a prosperare come prima, se la Terra sotto i loro piedi non fosse sprofondata. Per anni erano stati senza un messia. Adesso che avevano un messia, in un punto preciso del passato recente, “crocifisso sotto Ponzio Pilato”, non c'era più la possibilità di tornare indietro. Il loro intero essere era chiuso al futuro, e si erano separati dal resto degli ebrei e dal resto dei pagani. Non c'era niente da spartire con chi vedeva ancora l'arcangelo celeste Gesù Cristo, nel silenzio estatico di una rivelazione, o attorno al cupo bagliore di un'apparizione. Eppure avrebbero dovuto fare qualcosa, per convivere con ciò che NON SAREBBE DOVUTO ESSERE. Con il tempo scoprirono cosa si poteva fare — ciò che avrebbero dovuto fare — per affrontare chi insinuava loro, con la sua stessa esistenza, il dubbio sull'esistenza dell'uomo Gesù “che fu chiamato Cristo”: li marginalizzarono come “eretici”, e ne distrussero a poco a poco tutti gli scritti.

Risparmiarono soprattutto le lettere dell'apostolo chiamato Paolo, non prima di aver trasformato il suo cosmico Cristo in un idolo taroccato, spalleggiato da una squadra di teologi a fargli da propagandisti: dopodichè un'incursione di scritture, dottrine e narrazioni avrebbe caratterizzato l'angelo Gesù di Paolo come “vero Dio e vero uomo”, come dato di fatto. Sebbene, per allora, loro non avessero nessun modo di “sapere di sicuro”  di essere nel giusto e i loro avversari nel torto, poichè ogni accolito della confraternita che avrebbe potuto rivelare loro il segreto era morto da lungo tempo, oppure era stato annoverato e isolato tra gli stessi “eretici”.

Sparito il mistero di quell'arcangelo celeste, ormai ridotto a “vero Dio e vero uomo”, si comincia a discutere della sua realtà. Entra in scena la logica, a resuscitare ciò che è rinato della sua sana vaghezza dopo il dissanguamento.

Questo non avrebbe resuscitato la loro certezza d'un tempo: sarebbe stato soltanto il meglio che potevano fare. 

sabato 19 novembre 2016

Sul Suono del Silenzio (II)

SILENZIO: È il peggiore attentato che un sovrano possa fare: imporre il silenzio ai preti. La Chiesa è una comare che vuole parlare, che deve parlare, che immancabilmente morirebbe se le si impedisse di parlare.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?
  ● Proviamo una migliore analogia: la madre di Ehrman si converte ad un nuovo culto marginale e poi scrive ventimila parole a più parti, cercando di persuaderli a non ascoltare a dubbiosi e sfidanti che tentano di indirizzarli a nuove dottrine, e invece di imitare, e seguire gli insegnamenti, del Signore e Maestro del suo nuovo culto, Jorgé, da lei descritto come un pre-esistente dio salvatore celeste che comunica tramite messaggi nascosti nelle scritture ed estatiche rivelazioni e sogni, e da lei dichiarato assassinato da “i poteri di questo eone”, che furono ingannati da Dio nell'ucciderlo così che il sangue della sua morte avrebbe posto magicamente fine al potere di Satana ... ma lei mai una volta in tutte le ventimila parole menziona qualcosa che questo Maestro Jorgé disse o fece mai sulla terra, mai dice chi sono “i poteri di questo eone”, e non menziona mai nessuno che lo abbia mai incontrato nella sua vita. Non pensi che dopo la loro lettura tu fortemente sospetteresti che Maestro Jorgé fosse una persona immaginaria? Io so che farei così.
(estratto da Il Dibattito Ehrman-Price, Richard Carrier, mia traduzione)
I dati trovati nei più antichi strati della letteratura cristiana — vale a dire, le epistole paoline —  sono letti di solito tramite la cieca assunzione dei vangeli posteriori, ovvero supponendo l'esistenza storica di Gesù sul pianeta Terra. Ma quando si perviene stricto sensu al contenuto reale di quelli antichi documenti è naturale realizzare che loro non provano, né esplicitamente né implicitamente, il ritratto che si vuole dare di Gesù nei vangeli, di un profeta itinerante in Giudea vissuto nel recente passato. In verità, ad uno sguardo approfondito, le lettere autentiche di Paolo sono interpretabili più perfettamente e naturalmente sotto l'ipotesi che il cristianesimo si originò quando Paolo e gli altri apostoli cominciarono a costruire, sulla base di indizi intravisti nelle scritture, o di profezie ignorate dai più, o di rivelazioni personali col loro effetto traumatico, una realtà altra, diversa da quella che appare al resto delle persone nella quotidianità del vivere: la realtà di un dio che muore e risorge nei cieli inferiori, un dio mitico (in termini ebraici: un arcangelo celeste) che fu soltanto più tardi trasformato in un dio che muore e risorge sulla Terra. Non fu l'unico dio ad essere evemerizzato sulla Terra. L'antichità classica già proliferava di personaggi mitologici trasformati in personalità “storiche” e propinate alla massa come tali. E la leggenda di “Gesù di Nazaret” non faceva eccezione.

Di seguito pubblico la mia traduzione dei sorprendenti silenzi attorno al fantomatico Gesù storico che affiorano nella sola Lettera ai Romani, come sono stati elencati a suo tempo nel suo sito web dallo studioso Earl Doherty (ma i primi 20 principali silenzi di tutte le epistole sono già stati elencati in precedenza):


ROMANI

Successivi ai “Principali 20” silenzi, si tornerà ora alla stessa testa del corpus epistolare e all'inizio della lettera di Paolo ai Romani. I versi di apertura di quest'epistola potrebbero benissimo essere classificati i prossimi in linea, perché contengono un'importante e illuminante panoramica sulla fonte delle idee cristiane circa il Figlio di Dio, e una spiegazione di quelli aspetti che suonano “umani” attribuiti di tanto in tanto a lui.

 21. - Romani 1:1-4
    1 Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo [oppure, apostolo per chiamata di Dio: NEB], messo a parte per il vangelo di Dio, 2 che egli aveva già promesso [oppure, aveva annunciato: NEB] per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture , 3 Il vangelo riguardo al Figlio suo . . . [RSV]

Al modo in cui Paolo lo presenta, le scritture profetizzarono il vangelo del Figlio che Paolo reca, non la vita o la persona di Gesù stesso. Questo è uno strano modo di porre le cose, eppure è estremamente rivelatore, perché implica, ancora una volta, che tra la predizione del vangelo da parte di Dio nei libri profetici, e la rivelazione di quel vangelo a Paolo e ad altri, nessuna vita di Gesù subentrò. Invece, la scrittura, interpretata di recente, racconta del Figlio la cui esistenza e opera è stato precedentemente sconosciuta, e che opera nel regno spirituale superiore. Questo sarà sostenuto dalla parte successiva di questo passo (di seguito).

Due silenzi aggiuntivi qui: il “vangelo” è un prodotto mandato da Dio. Nessun ruolo per un Gesù che predica, in qualità di originatore del vangelo circa sé stesso, è accennato. Questo fatto, e la “chiamata”, che in altre sedi è chiaramente identificata una chiamata da parte di Dio e non di Gesù (si veda 1 Corinzi 1:1), non solo supporta il silenzio su di un Gesù storico come la fonte del vangelo cristiano, ma nega la leggenda di Atti di una chiamata diretta a Paolo da parte dell'esaltato Cristo in una visione sulla via per Damasco.
    . . . che era disceso dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4 dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità [oppure, lo Spirito Santo: NEB] mediante la resurrezione dai morti. [RSV]
Come la frase è costruita, Paolo sta dicendo che le sue informazioni sull'essere Gesù “del seme di Davide” giungono dal vangelo nascosto nella scrittura, e non da una documentazione o tradizione storica. Le sacre scritture contenevano molte profezie che il Cristo/Messia sarebbe stato della discendenza di Davide, e Paolo avrebbe dovuto trovare un modo per applicarle al suo Figlio celeste. Se si considera che il secondo elemento di quest'affermazione, Cristo che viene dichiarato Figlio di Dio con potenza “secondo lo Spirito”, fu quasi certamente derivato dal Salmo 2:7-8 e si riferisce ad un evento ritenuto celeste, si è portati a prendere entrambi questi elementi “evangelici” per riferimento ad informazioni note sul Cristo dalla scrittura, e per riferimento ad aspetti del mondo spirituale. Per una spiegazione del termine “secondo la carne” in un contesto del genere e come un Cristo spirituale poteva essere percepito in parentela con Davide, così pure per una discussione più completa di questo intero passo, si veda la Sezione II dell'Articolo Complementare Numero 8 : Cristo come “Uomo”. Questo passo sarà anche ampiamente discusso nell'Appendice.

22. - Romani 1:16-17
    16 Infatti non mi vergogno del vangelo. Esso è potenza di Dio per la salvezza di  chiunque crede. . . 17 perchè in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede . . . [NEB]

Ancora una volta, Paolo attribuisce il vangelo a Dio, e il suo potere a Dio. Anche il dono di giustizia conferito al credente viene assegnato a Dio. Non sembra esserci nessuno scrupolo sulla coscienza di Paolo di un recente Gesù storico e del suo ruolo nella produzione e personificazione del vangelo e dei suoi effetti.

 —  Romani 1:19-20 - Si veda “Principali 20” #1

23. - Romani 3:21-25
    21 Ora, però, indipendentemente dalla legge [vale a dire, la Legge scritturale ebraica], è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la Legge e i Profeti [cioè, i libri mosaici e profetici della scrittura]. 22 È la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono. . . [NEB, ndr]

Un passo complicato ma molto rivelatore che vedremo in due parti, ciascuna contenente silenzi importanti. Successivo a questo passo, nel verso 26, la “giustizia di Dio” è specificata come qualcosa che è stata rivelata (il verbo phaneroo) “nel tempo presente”. Paolo sta dicendo che il periodo presente è un periodo di rivelazione, non l'arrivo di Gesù sulla terra ed i suoi atti salvifici. Ed invece di un Gesù “che reca testimonianza” o testimonia la giustizia di Dio, è la scrittura che lo fa, una dichiarazione diretta che questa è da dove Paolo e altri hanno appreso di ciò, non tramite la persona e la predicazione di un umano Gesù nella storia recente. Ancora una volta, l'agente è Dio, non Gesù. Il mezzo è mediante la fede: la fede nel Cristo spirituale, una figura rivelata di recente.
    . . . 24 tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in [la persona di: NEB] Cristo Gesù. 25 Dio  Dio lo ha prestabilito [proetheto] come sacrificio espiatorio mediante la fede nel suo sangue [vale a dire, nella sua morte sacrificale].

Qui il focus principale rimane su Dio come l'esecutore di azioni salvifiche nel tempo presente. È Dio che compie l'atto di redenzione, non Gesù. Le parole del NEB “nella persona di” non sono nell'originale greco, ma riflettono il desiderio di compensare il fallimento di Paolo nel rendere Gesù l'agente diretto di redenzione. Cristo è introdotto solo come strumento di Dio di quella redenzione, l'oggetto di una fede necessaria, ed una redenzione operata attraverso ulteriore fede nella sua morte sacrificale. Tutto questo linguaggio è compatibile con Cristo come una figura interamente spirituale che è stata ora rivelata, e il cui sacrificio ha avuto luogo nel regno spirituale. (E chiunque dubiti che il “sangue” possa essere spirituale ed essere sparso nel mondo celeste superiore ha bisogno solo di leggere Ebrei 8-9.)

Questa rivelazione di Cristo—non la sua presenza sulla terra—è supportata dal verbo protithemi, di cui uno dei significati è “esporre pubblicamente” nel senso di “rivelare a conoscenza generale”. Dio sta rivelando Cristo e quello che ha fatto, tramite la scrittura, ai simili di Paolo, e ha rivelato i vantaggi da trarre dal sacrificio redentore di Cristo. Si noti la pervasività esclusiva del concetto di “fede” nei confronti di Gesù, la fede in ciò che la scrittura—e Paolo—hanno rivelato. Non c'è nulla di Storia qui.

[Per una discussione di quell'onnipresente frase paolina “in—oppure attraversoCristo”, a significare un Cristo che è un'agente di salvezza e un mezzo spirituale attraverso il quale Dio si rivela e fa la sua opera nel mondo, si veda la Parte Due degli Articoli Principali. Si veda anche il testo opzionale in 2 Corinzi 1:21-22 (#55).]

— Romani 6:2-4 - Si veda “Principali 20” #11

 24. - Romani 6:17
    Ma sia ringraziato Dio,  che eravate schiavi del peccato, ma avete ubbidito di cuore a quella forma di insegnamento che vi è stata trasmessa . . . [NEB]

Ora, se questo insegnamento che fu trasmesso al credente fosse  in realtà in tutto o in parte il prodotto di Gesù, predicato mentre lui era sulla terra, perché Paolo non avrebbe detto semplicemente così? Indipendentemente dal fatto se il credente sapesse da dove provenisse, il pensiero e l'espressione naturali sarebbero stati sicuramente: “quella forma di insegnamento datoci da Cristo Gesù”, o qualche parola del genere. [Si veda 1 Timoteo 6:3 - si veda Appendice: 1 Timoteo 6:13 / (e 6:3)]

25. - Romani 8: 19-23
    19 Poichè la creazione aspetta con impazienza che i figli di Dio [cioè, i fedeli credenti] siano manifestati [cioè, rivelati alla vista di tutto il mondo]. . . [NEB]

Il cristianesimo antico, insieme alla maggior parte degli ebrei, credeva che la fine, o la trasformazione, del mondo fosse prossima. Come abbiamo visto nei “Principali 20” #16 (1 Corinzi 10:11), questo “dualismo delle due età” immaginava l'età presente della storia del mondo in procinto di cambiare nella nuova era del Regno di Dio, di solito in circostanze apocalittiche. In questo ed in altri passi, possiamo vedere che la prospettiva di Paolo si concentra su ciò che deve ancora venire, non su ciò che è appena successo. Qui, la sua aspettativa è in termini di rivelazione imminente dello Spirito di Dio attraverso i credenti; niente di essa è in relazione a recenti eventi storici nella persona di un Gesù di Nazareth.
    . . . 21 la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. . . .

Se il recente atto di Gesù nella storia avesse effettuato questo, l'espressione di Paolo avrebbe dovuta essere usata al tempo passato, come ad esempio: “... La creazione è stata liberata da ... ”
    . . . 22 Fino ad ora, tutta la creazione geme ed è in travaglio, come nelle doglie del parto. . . .

L'intero universo geme, in attesa. Dov'è il senso di qualche passato adempimento nella vita e nella carriera di Gesù? Erano alcuni dei dolori dell'universo non placati dalla sua venuta? In effetti, l'universo è in travaglio per dare una nascita, una nascita non ancora raggiunta. Paolo sembra relegare la vita di Gesù a qualche battito fetale. “Fino ad ora,” dice Paolo, l'universo è in travaglio, senza lasciare spazio a quello che avrebbe dovuto essere considerato il punto cardine della storia di salvezza, il momento culminante del lungo travaglio del mondo: la stessa vita di Cristo e il suo atto salvifico sul Calvario. Paolo non dà nessun indizio di una cosa del genere.

Ci si potrebbe anche chiedere perché non capitò a Paolo di considerare determinati eventi del vangelo come parte del “gemito della creazione”, vale a dire il terremoto alla crocifissione di Gesù ricordato in Matteo, oppure le tre ore di oscurità che coprirono la terra ricordate da parte di tutti i Sinottici. Particolarmente mancanti sono pure i miracoli di Gesù, che furono considerati dai cristiani successivi come parte dei “segni” di Gesù che portavano al cambiamento dei tempi. Paolo, né qui né altrove, ha una parola da dire sui miracoli del vangelo di Gesù, nemmeno come auguranti l'incombere della nuova era.
    . . . 23 Non solo la creazione, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 

Silenzi chiave qui. Quando Paolo si riferisce ad eventi presenti o immediatamente passati, la fase preparatoria a questa aspettata libertà per l'universo, che cos'ha in mente? Solo il “dono dello Spirito”, l'atto di Dio nel rivelare il vangelo, che ha assoldato uomini come Paolo per predicare Cristo e annunciare il Regno. La recente carriera di Gesù stesso, che per lo meno avrebbe dovuto essere considerata la “prima installazione” delle azioni di Dio nel periodo presente, non è da nessuna parte in vista.

“Aspettiamo che Dio faccia di noi i suoi figli.” Come può Paolo dire che sta aspettando Dio a fare questo? Non aveva egli già fatto così, e molto altro ancora, attraverso l'incarnazione? In effetti, perché Paolo non esprimerebbe l'idea che erano Gesù stesso e le sue azioni sulla terra ad aver reso libere le persone e fatto loro figli di Dio? Come può non inserire la vita recente di Gesù di Nazaret nel quadro dello svolgimento della storia di salvezza? La questione della “necessità”, oppure dell'esistente conoscenza dei lettori di una cosa del genere, non ha nulla a che fare con ciò. La vivida descrizione di Paolo del tempo presente rivendica la naturale, inevitabile inclusione della vita recente di Gesù, e non la otteniamo. Se, d'altra parte, la morte sacrificale del Figlio spirituale di Dio fosse un evento mitico, eterno, che prese luogo nel mondo spirituale superiore, allora non faceva parte dell'età presente che è prossima a passare; non faceva parte del quadro che Paolo sta creando. Cristo incide sul tempo presente solo nella rivelazione di lui da parte di Dio, nella trasmissione dello spirito di questo Figlio considerato un intermediario (si veda Galati 4:6), nel concretizzarsi dei benefici della redenzione mediante Cristo in questa nuova età di fede.

26. - Romani 8:24-25
    24 Poichè siamo stati salvati in speranza. Ma la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perchè lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con impazienza. [NIV/RSV]

Successivamente al passo precedente, Paolo implica ancora una volta che la caratteristica della nostra epoca è una caratteristica di fede, fede in qualcosa che accadrà nel futuro. Come poteva non immaginare che l'incarnazione del Figlio, testimoniato da così tanti (anche se non da lui stesso personalmente), costituisse una “visione” di salvezza e degli eventi che portarono prossimi a questa? In effetti, la testimonianza della risurrezione fisica di Gesù, come ricordata da tutti gli evangelisti post-marciani, fu un “vedere” la stessa cosa che Paolo e i suoi lettori sperano di vedere: la resurrezione fisica dei morti. Com'era il miracolo di Gesù di far rivivere più di un Lazzaro, in una piena pubblica “visione”!   Questo passo illustra il vuoto nella mente di Paolo di ogni compimento, o perfino testimonianza, del piano salvifico di Dio per l'umanità nella figura storica e negli atti di Gesù di Nazaret.

27. - Romani 8:26
    Perchè non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili. [RSV]
Poteva Paolo essere stato ignorante della Preghiera del Padre Nostro, insegnata ai suoi discepoli da Gesù? Se nemmeno questo elemento della predicazione di Gesù raggiunse Paolo mediante una trasmissione orale, oppure se Paolo non fece neppure questo livello di sforzo per imparare quello che Gesù aveva detto, come può lui pretendere di star predicando quest'uomo, e come avrebbe potuto soddisfare le esigenze e le richieste dei suoi ascoltatori di conoscere almeno qualcosa dei personali insegnamenti di Gesù ? Paolo semplicemente non poteva ignorare tali dati fondamentali della predicazione di Gesù, e quindi la “spiegazione” offerta da coloro che dicono che lui non aveva alcun interesse nella vita di Gesù non può reggersi in piedi ad un attento scrutinio. (Vedi la mia recensione del libro Honest to Jesus  di Robert Funk  per un ampio dibattito in questo senso.)

Non dovrebbe Paolo aver considerato il Gesù predicatore un “intercessore” per Dio a favore dell'umanità, una pretesa che Gesù stesso fa più di una volta nei vangeli?

28. - Romani 10: 3-4

Un profondo silenzio su un Gesù storico regna per tutti i capitoli 10 e 11 della Lettera ai Romani, un silenzio che sfugge ad una spiegazione plausibile. Paolo sta affrontando la questione se gli ebrei possono aspettarsi una salvezza finale da Dio, e ciò dipende sulla loro fede in Cristo. Comincia il capitolo 10 in questo modo:
    3 Perchè essi [gli ebrei] ignorando la giustizia di Dio, e cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. 4 poichè Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono. [NEB]

Dov'è il senso della predicazione storica di Gesù? Dio è l'agente primario qui, con Cristo una forza presente sotto la sua direzione, così Paolo intende le attività di Cristo al presente. Piuttosto che dire “Cristo portò giustizia” nella storia recente, è ora, attraverso la rivelazione di Dio e la predicazione di Paolo, che egli lo fa. In tutti questi passi, in tutta la discussione sul fallimento degli ebrei nel credere e i loro maldestri approcci alla giustizia, c'è un silenzio clamoroso sul loro fallimento ad ascoltare la persona e il messaggio di Gesù stesso, durante la sua recente incarnazione sulla terra. Questo sarà continuato in modo più dettagliato nei seguenti due elementi (29 e 30).

- Romani 10: 9 - Si veda “Principali 20” #18

29. - Romani 10:13-21

Continuando la sua considerazione delle prospettive di salvezza degli ebrei mediante la fede in Cristo, Paolo ora affronta la questione di quali opportunità avevano avuto di conoscere Cristo, e come hanno reagito a quelle opportunità. Egli fa una serie di domande, precedute da una citazione da Gioele (2:32 LXX) nella quale “Signore”, a differenza del significato originale, viene preso a riferimento di Gesù il Messia:
    13 Infatti [dice la scrittura] “Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”.
   14 Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto?
E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunci?
15 E come annunceranno se non sono mandati?
Com'è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone notizie!» . . . [RSV]

Come la presenta Paolo in quei versi, l'opportunità degli ebrei di conoscere Cristo si limita all'ascolto del Cristo predicato da uomini come Paolo, inviati come apostoli sui loro bei piedi (una citazione da Isaia 52:7). Non vi è qui un accenno di un'opportunità molto importante che gli ebrei—almeno quelli di Galilea e Giudea di una generazione prima—, avevano goduto, vale a dire il vedere e il sentire Cristo stesso, che predica nella sua stessa persona. Nell'evidenziare la colpa degli ebrei nel non credere in Cristo, Paolo avrebbe  totalmente ignorato il loro drammatico rifiuto del Figlio incarnato sulla terra? Egli continua:
    16 Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia. Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?» 17 Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di [cioè, circa] Cristo. 18 Ma io dico: forse [gli ebrei] non hanno udito? Anzi, la loro voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo”. . . . . [NEB, ndr]

Anche da questo è chiaro che Paolo sta parlando solamente della predicazione di apostoli commissionati come lui. Questo non può comprendere Gesù. Il genitivo “di Cristo” nel verso 17 è un genitivo oggettivo, Cristo è l'oggetto della predicazione. Nel verso 18, Paolo si dà un'apertura per dare la risposta più forte, la ragione più incriminante della colpa degli ebrei e della loro possibile perdita di salvezza: avevano sentito il messaggio dalle labbra del Signore stesso e l'avevano rifiutato. Ma Paolo manca di dare seguito a quell'apertura. Come poteva non evidenziare il rifiuto dei suoi connazionali del Figlio di Dio nella carne? Invece, tutto ciò a cui si riferisce sono quelli apostoli come lui che hanno “predicato fino agli estremi confini della terra” (un pò di iperbole da parte sua). Paolo, nel corso di questo intero passo, non solo è silente su un Gesù storico predicatore, ma non ha fatto nessuno spazio per lui.

Paolo prosegue citando altri tre passi della scrittura:
    19 Allora dico: forse Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: «Io vi renderò gelosi con una nazione che non è nazione; provocherò il vostro sdegno con una nazione senza intelligenza». 20 Isaia poi osa affermare «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me». 21 Ma riguardo a Israele afferma: «Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore». [RSV]

Qui Paolo passa all'evidente contrasto tra Ebreo e Gentile. Nelle prime due citazioni  mette in luce la vergogna degli ebrei contro il merito dei gentili, ma non riesce a fare il punto che mentre gli ebrei avevano rifiutato il messaggio perfino se consegnato da Gesù stesso, i pagani lo avevano accettato di seconda mano. E nella citazione finale di Paolo, il concetto delle stesse mani di Gesù, stese al suo popolo durante il suo ministero sulla terra, a quanto pare non si verificarono per lui.

[C. K. Barrett (Epistle to the Romans, pag.189) è uno studioso che sembra turbato dal silenzio di Romani 10, infatti lui tenta, tramite un dubbio mezzo, di far entrare Gesù nel quadro. Nella seconda delle quattro domande di Paolo sopra citate (versi 14-15), la frase in greco “hou ouk ekousan” è quasi universalmente tradotta: “del quale non hanno sentito parlare”. Il Lexicon di Bauer dà questo significato, ma di tanto in tanto i commentatori (Sanday, Cranfield) manterranno che akouo con il genitivo significa “sentire qualcuno”, cioè, direttamente. L'“insolito” significato “sentire di” è consentito,  dicono alcuni, solo nella poesia. Bene forse potremmo ritenere che Paolo sia molto vicino alla poesia in quelle ritmiche, bilanciate domande, che sono tutte in parallelo nella struttura e cominciano con la stessa parola.

In ogni caso, Barrett si aggrappa a questa concezione per precisare che il “hou” nella seconda domanda dovrebbe essere tradotto “che (non di cui) non hanno sentito”, poichè, dice, “Cristo deve essere sentito o nella sua persona, oppure nella persona dei suoi predicatori”. Oltre a volerlo in entrambi i sensi, Barrett non tiene conto del fatto che forzare Gesù nel contesto qui distrugge la catena finemente elaborata di Paolo, una catena che si concentra interamente sulla risposta al messaggio apostolico. Questo è il motivo per cui anche coloro che sostengono che il significato grammaticale è quello di “sentire lui” (non di lui), tuttavia, prendono per intenzione di Paolo quella di identificare la voce di Cristo con quella dei predicatori. Come lo pone Cranfield (International Critical Commentary, Romans, pag. 534), il pensiero di Paolo è “del loro sentire Cristo parlare nel messaggio dei predicatori”. Così, Gesù sta parlando agli ebrei solamente per procura. Questo lascia ancora irrisolta la grande questione del perché Paolo non riesce a fare un riferimento specifico alla personale predicazione di Gesù, ma almeno un'interpretazione del genere è conforme all'integrità del passo come lo presenta Paolo. Barrett non si adegua. Quando estende il suo commento su questo capitolo dicendo: “Attraverso il Figlio, sia nella sua persona incarnata che per mezzo dei suoi apostoli, Dio si è dichiarato ad Israele, ed ha incontrato nient'altro che ripulse”, Barrett non solo ci sta mostrando quel che dovremmo giustamente aspettarci di trovarvi, ma sta permettendo che ciò che non può credere sia mancante sovrascriva ciò che non c'è chiaramente nelle parole di Paolo. Inoltre, sostenere che Paolo, nella sua raffigurazione della non-risposta degli ebrei, avrebbe scelto di limitare il ruolo chiave di Gesù in quella raffigurazione ad un ambiguo pronome relativo di due lettere (nel greco) sembra poco meno che ridicolo. ]



30. - Romani 11:1-6, 7-12, 20

Come parte della sua critica del fallimento degli ebrei nel rispondere ad apostoli come lui, Paolo si riferisce alle parole di Elia in 1 Re (19:10):
    . . . 3 Signore, hanno ucciso i tuoi profeti. . . [NEB]

Questo era un'accusa infondata largamente popolare tra alcuni circoli settari ebrei. Paolo potrebbe avervi aderito, ma è sicuramente un silenzio eloquente che non aggiunge  a questo presunto ricordo la massima atrocità dell'uccisione del Figlio di Dio in persona. Poi:
    7 . . . (Israele) fu reso cieco alla verità. . . 8 (Dio) ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchie per non udire . . . 11 sono forse inciampati ....  . 12 la loro caduta . . . 20 (gli ebrei) sono stati troncati per la loro incredulità.

Tale mitigato linguaggio (si veda 1 Pietro 2:8, gli ebrei che “inciampano nella parola”: NEB) difficilmente sembra intendere il peccato di deicidio. Piuttosto, conferma l'opinione che la colpa degli ebrei, nella mente di Paolo, è limitata al loro fallimento ad ascoltare la predicazione degli apostoli, a rispondere all'invito ad avere fede nel Figlio spirituale, rivelato da Dio, che Paolo e altri stanno predicando.

31. - Romani 12:3


I capitoli 12 e 13 della Lettera ai Romani (i successivi cinque articoli) sono un trattato di etica cristiana. Molte delle loro ammonizioni recano una forte somiglianza con gli insegnamenti di Gesù trovati nei vangeli. Eppure, non solo non sono questi attribuiti a lui, ma non si fa neanche menzione del fatto che Gesù fosse un maestro, che fosse il fondamento dell'etica cristiana. Non solo, ma sembra esserci poca evidenza nella mente di Paolo che qualcosa fosse derivata da Gesù, se insegnamenti o doni personali. In 12:3, dice:
    Per la grazia che mi è stata concessa . . . abbiate di voi un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnato a ciascuno. 

Questo non suona come un uomo che ha esperito personalmente una chiamata da parte di Gesù stesso, se sulla via per Damasco oppure altrove. Né suona come un uomo che possiede qualche senso di un Figlio che aveva vissuto una vita incarnata durante la quale donò così tanto ai suoi seguaci, e al mondo, in termini di doni, insegnamenti ed esempio. Paolo prosegue (versi 4-5) a parlare di se stesso e dei suoi lettori come “arti e organi, uniti con Cristo, che formano un solo corpo”, un concetto altamente mistico che meglio si adatta ad un Cristo che nella mente di Paolo è una figura cosmica, mitologica che abita il mondo celeste—a cui i credenti, in linea con la visione filosofica del tempo, come riflessa nei culti misterici greci—potevano unirsi in modi spirituali.

32. - Romani 12:14


Uno di quelli elementi dell'etica cristiana che somiglia agli insegnamenti del Gesù evangelico è questo:
    Benedite coloro che vi perseguitano; benedite e non maledite.
Matteo, nel suo Sermone della Montagna (5:44), fa dire a Gesù: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. Ci sono quelli che dicono che quest'esortazione fu un'esortazione rivoluzionaria per il mondo antico, e addirittura invenzione dello stesso Gesù. Se è così, sembrerebbe naturale che Paolo avesse detto così, che avesse attribuito un'etica così innovativa all'uomo che era arrivato con essa, all'uomo alla predicazione del quale si suppone che lui avesse dedicato la sua vita.

33. - Romani 12:17-18
    . . . Non rendete a nessuno male per male. . . vivete in pace con tutti gli uomini.
Questo sintetizza l'altra ammonizione innovativa di Gesù, rappresentata in Matteo 5:38-39: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra”. Nel suo studio di Efesini, E. L. Mitton sostiene che questo principio etico è “lo spirito di Cristo” incarnato in tutta la sua carriera sulla terra. Era Paolo a conoscenza di questo? Come spiegare il fallimento stupefacente di Paolo nel citare un riferimento alle parole di Gesù, che per due millenni è stato additato come l'insegnamento cristiano per eccellenza (anche se raramente seguito): porgere l'altra guancia ? Per quanto riguarda l'essere in pace con tutti gli uomini, cosa di Matteo 5:24 con il suo monito “riconciliati con tuo fratello” ?

Paolo procede perfino (versi 19-20) a fare citazioni per sostenere le sue ammonizioni. Quali sono? Sono testi dell'Antico Testamento, versi da Deuteronomio e Proverbi. Quelli includono dar da mangiare agli affamati e dare da bere agli assetati, ma Paolo non dà un indizio dei pensieri e delle direttive di Gesù su quelle stesse cose.

[Può forse un argomento come quello di J. P. Holding, “non c'era nessun bisogno” di un esplicito riferimento a Gesù, non fare acqua qui? Paolo ha ovviamente un “bisogno” di un sostegno alle sue ammonizioni con qualche supporto sacro. Perché avrebbe dovuto scegliere antichi scritti anonimi per fornire questo quando lui possiede le stesse parole del Figlio di Dio in persona durante una recente predicazione terrena? Qualsiasi affermazione che Paolo avrebbe potuto essere all'oscuro di tali insegnamenti chiave, che avrebbe condotto da sè stesso una predicazione di Gesù Cristo senza conoscere le cose più fondamentali circa la carriera di Gesù sulla terra e l'etica da lui insegnata, è semplicemente troppo ridicola da tollerare. (Teniamo una conclusione come questa in mente quando arriviamo all'Appendice, con la sua discussione di una manciata di allusioni nelle epistole a cose che possono suonare come riferimenti ad una presenza o ad un evento “nella carne”, ma che possono essere interpretate altrimenti: come derivate dalla scrittura, e come consistenti colla concezione mitologica del tempo di un mondo superiore.)]


— Romani 13:3-4 - Si veda “Principali 20” #14

34. - Romani 13:7
    Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto. [NASB / NEB]

Difficilmente si poteva ottenere un sentimento più vicino a uno dei detti più famosi di Gesù, come riportato in Marco 12:17, Matteo 22:21 e Luca 20:25: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”. Anche i moderni scrittori di fiction hanno usato questo detto ben equilibrato per ritrarre Gesù come un manovratore politicamente corretto e che poteva pensare sui suoi piedi. Se Paolo avesse avuto familiarità con esso (e come avrebbe potuto non esserlo, se qualcosa della trasmissione orale lo avesse raggiunto?), ci sarebbe stata qualche ragione plausibile per la quale egli non avrebbe fatto riferimento ad un tale detto di Gesù per supportare il suo argomento? (Si veda il silenzio simile in 1 Pietro 2:13).

35. - Romani 13:8-9
 Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: . . . si riassume in queste parole: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. [NEB]
Nei vangeli, Gesù più di una volta (ad esempio, Matteo 22:39) cita il comandamento “Ama il prossimo tuo” del Levitico quando gli viene chiesto il suo parere sul più grande comandamento di tutti. Paolo due volte (qui e in Galati 5:14) può esprimersi esattamente come fece Gesù e parlare dell'intera Legge come “riassunta” in un'unica regola, eppure non mostra nessun segno di realizzare che sta facendo così. Ulteriori direttive in materia di amore nelle epistole (ad esempio, Giacomo 2:8) in modo simile mancano perfino uno sguardo di sfuggita ai sentimenti di Gesù in proposito.


36. - Romani 13:11-12

Seguendo Romani 8:19-23 (#25), Paolo continua nella stessa vena sullo stato di fervente attesa del mondo, e l'attuale periodo della storia che porta fino al momento della salvezza:
    11 Questo voi farete, consapevoli del momento:  . . . perché la nostra salvezza [liberazione] è più vicina ora di quando diventammo credenti. 12 La notte è avanzata, il giorno è vicino. [NEB]

Il giorno è vicino? Non c'è stata nessun'alba di qualche tipo con l'incarnazione del Figlio di Dio? La recente presenza di Gesù sulla terra non era riuscita a dissipare qualcosa dell'oscurità di notte? Anche la salvezza di per sé è qualcosa che si trova interamente nel futuro, e il suo unico punto di riferimento nel passato non è un atto di redenzione di Cristo stesso, ma il momento in cui i cristiani per prima credettero in Cristo. Come può Paolo usare la parola salvezza e non introdurre il personale atto di Gesù ?

Questo non è un mondo post-messianico, non è post-Gesù. Paolo ed i suoi colleghi apostolici hanno intrapreso una missione che è interamente rivolta al futuro. Nella mente di Paolo, il fattore che la cominciò non fu la vita di Gesù, ma la chiamata da parte di Dio, il vangelo rivelato, il segreto a lungo nascosto ora dischiuso: Cristo stesso, l'agente di salvezza di Dio, il Figlio che arriverà per la prima volta alla Fine imminente, per portare la notte alla fine e lanciare un nuovo giorno.

37. - Romani 14:13
Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello. [NEB]
Paolo non sentiva evidentemente alcun bisogno di sottolineare che Gesù stesso aveva detto: “Non giudicare, per non essere giudicato”, come Matteo riporta nel suo Sermone della Montagna (7:1; si veda Luca 6:37). Quel sermone ha anche cose da dire su come trattare un fratello (5:22, 7:3-5) sulle quali Paolo è altrettanto silenzioso.

38. - Romani 14:14
    Sono assolutamente convinto, come cristiano [come uno che è nel Signore Gesù: NIV], che nulla è impuro in sé. [NEB]
Qui Paolo sembra anche inconsapevole delle dichiarazioni di Gesù sulla purezza dei cibi. Questo era un tema scottante all'interno dell'antico movimento cristiano. La nuova setta doveva continuare ad applicare le severe leggi alimentari sollecitate dai farisei, con le loro preoccupazioni ossessive sulla purezza di alcuni alimenti? Se mai ci fosse stato un momento in mezzo ad un argomento emotivo quando Paolo si sarebbe aggrappato alla dichiarata posizione di Gesù  come sostegno, questo passo in Romani lo è sicuramente. Il suo silenzio non può che indicare che egli è veramente ignorante di tali scene come quelle ricordate in Marco 7 dove Gesù accusa i farisei di ipocrisia e dice alla gente: “Nulla di ciò che entra nell'uomo dal di fuori può contaminarlo”. L'evangelista porta a casa il punto, concludendo “Così ha dichiarato puri tutti i cibi”.

Lo stesso silenzio nel corso di una discussione sui cibi si verifica in 1 Timoteo 4:4. E la lettera di Barnaba di inizio 2° secolo dedica un intero capitolo (il 10) ad un tentativo di screditare le restrizioni alimentari ebraiche, ma neanche qui, neppure così tardi,  uno scrittore cristiano che conosce le sue scritture tradizionali interne ed esterne si riferisce alle stesse parole di Gesù sull'argomento.

39. - Romani 15:3-4
    3 Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: “gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me”. 4 Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle scritture teniamo viva la nostra speranza. [RSV]

Paolo qui attinge dal Salmo 69:10 per caratterizzare—non l'esistenza di Gesù, come sostenne G. A. Wells (Historical Evidence for Jesus, pag. 36), ma il suo sacrificio esemplare per il bene più grande, ed il suo rifiuto da parte del mondo (nel movimento che lo predica) in parallelo al rifiuto esperito dal credente cristiano. Wells sottolinea che Paolo, se avesse posseduto qualche informazione del vangelo su Gesù, avrebbe potuto derivare dallo stesso detto di Gesù, come in Marco 8:34: “Se uno viene dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Invece, la voce di Cristo, e con lei la conoscenza di lui, arriva direttamente dalle scritture, una caratteristica dell'antico pensiero cristiano che incontreremo molte volte.

E. B. Cranfield (International Critical Commentary, Romans, pag. 732) ammette che “ha colpito molte persone il fatto davvero sorprendente che a questo punto Paolo, invece di citare un esempio o esempi dalla storia dell'esistenza terrena di Cristo, deve semplicemente citare l'Antico Testamento”. Cranfield cerca di razionalizzare questo, ma la vera intuizione sta nel verso 4. Non che Paolo sta riflettendo la sua convinzione che “Cristo è il vero significato della legge e dei profeti”, come dichiara Cranfield, ma che quelli scritti sacri sono l'unica fonte di informazioni su di lui, e il testimone principale sul quale i credenti pongono le loro speranze, piuttosto che su memorie e tradizioni delle recenti parole e atti di Cristo. Questa attenzione ai passi della scrittura, invece che al ricordo della vita di Gesù, se orale o scritto, è una caratteristica importante delle epistole (si veda in particolare 2 Pietro 1:19), e sarebbe una scelta bizzarra, nel contesto di un movimento originato da una vita che avrebbe dovuto essere ancora viva e vegeta nelle menti dei suoi membri.

— Romani 16:25-27 - Si veda “Principali 20” #2

mercoledì 16 novembre 2016

Sul Suono del Silenzio (I)

CURIOSITÀ: Peccato gravissimo. Dio in passato condannò a morte il genere umano per la curiosità di una donna di conoscere il bene e il male. Questo prova che si rischia di contrariarlo enormemente quando si ha buon senso o quando si vuole sapere più di quanto i nostri preti non vogliono che sappiamo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
 
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?
...Ehrman ha sostenuto che il silenzio di Paolo su eventuali specifiche non aumenta la probabilità di Gesù non esistente. Egli ha basato questa tesi su un argomento per analogia: anche le lettere ardenti della madre di Ehrman sul suo cristianesimo oggi non parlano mai di alcun fatto biografico di Gesù; perciò neppure le lettere di Paolo avrebbero fatto così.
 ●  Risultato: nessuna risposta. Punteggio 0. Price non affrontò mai neanche questo. Anche se è un'illustre Fallacia di Falsa Analogia. In effetti, quella che ho già confutato in OHJ, pag. 514-15 (Credo di essere psichico!).

In primo luogo, in realtà io dubito che la premessa è perfino vera (Davvero, Bart? Tua madre non parla mai di ogni fatto storico di Gesù in tutte le sue ventimila parole della sua discussione sulla sua fervente fede in Gesù? Sulla base della mia esperienza con i cristiani, lo trovo straordinariamente improbabile, e affermazioni straordinarie richiedono una prova straordinaria—e la parola di un bugiardo documentato non conta neppure come prova ordinaria). Ma poichè non riusciamo ad esaminare le lettere di sua madre, non possiamo davvero provare quel sospetto. 
● In secondo luogo, le lettere scritte duemila anni dopo, nel contesto di una religione culturalmente normativa—da qualcuno non coinvolto affatto nel persuadere persone ad agire come Gesù o a seguire i suoi comandi, e neppure affatto coinvolto nel ripetuto compito di stabilire sé stesso come un'autorità su ciò che Gesù disse , fece, e aspetta— non sono neanche di una virgola rilevanti come analogia per le epistole di Paolo. 
● Paolo stava tentando di convincere la gente ad imitare e a seguire i comandi di Gesù, cercando di renderli adeguati ad uno specifico insieme di insegnamenti, senza alcun vangelo o Nuovo Testamento su cui fare affidamento oppure citare per quel compito (solo le scritture precristiane), contro numerosi avversari che stavano contestando le sue affermazioni o stavano facendo affermazioni contrarie alla sua, a congregazioni appena convertite e in imminente pericolo di apostasia o di eresia per prevenire le quali Paolo stava scrivendo le sue lettere, congregazioni popolate da membri che vissero nello stesso lasso temporale dell'uomo che essi stavano adorando come un dio celeste, un dio celeste che credevano avesse camminato proprio di recente sulla terra e predicato a centinaia di persone ancora viventi. 
● In quel contesto, il silenzio di Paolo fa zero senso. Le lettere della madre di Ehrman sono assolutamente non analoghe. 
● Proviamo una migliore analogia: la madre di Ehrman si converte ad un nuovo culto marginale e poi scrive ventimila parole a più parti, cercando di persuaderli a non ascoltare a dubbiosi e sfidanti che tentano di indirizzarli a nuove dottrine, e invece di imitare, e seguire gli insegnamenti, del Signore e Maestro del suo nuovo culto, Jorgé, da lei descritto come un pre-esistente dio salvatore celeste che comunica tramite messaggi nascosti nelle scritture ed estatiche rivelazioni e sogni, e da lei dichiarato assassinato da “i poteri di questo eone”, che furono ingannati da Dio nell'ucciderlo così che il sangue della sua morte avrebbe posto magicamente fine al potere di Satana ... ma lei mai una volta in tutte le ventimila parole menziona qualcosa che questo Maestro Jorgé disse o fece mai sulla terra, mai dice chi sono “i poteri di questo eone”, e non menziona mai nessuno che lo abbia mai incontrato nella sua vita. Non pensi che dopo la loro lettura tu fortemente sospetteresti che Maestro Jorgé fosse una persona immaginaria? Io so che farei così.
(estratto da Il Dibattito Ehrman-Price, Richard Carrier, mia traduzione)



Il silenzio circa un ipotetico Gesù storico nelle lettere di Paolo è troppo difficile da spiegare e da esorcizzare per ogni individuo che voglia essere onesto con sè stesso. Già Richard Carrier ha elencato nel suo On the Historicity of Jesus una lista di silenzi principali già riconosciuti come tali, in tutta la loro stranezza ed enigmaticità, da parecchi esperti. La semplice congettura che Paolo se ne fregava di ogni cosa che avesse a che fare con un ipotetico Gesù storico è troppo implausibile da accettare e troppo inaccettabile da credere. E soprattutto, non spiega un bel niente. Non spiega perchè Paolo manca di avvertire preventivamente il lettore che lui se ne frega di un ipotetico Gesù storico. Non spiega perchè nessun altro cristiano, amico o nemico di Paolo, manca di avvertire a sua volta di fregarsene in anticipo di un ipotetico Gesù storico. Non spiega perchè nessuno interpella un ipotetico Gesù storico neppure quando è troppo avidamente—o disperatamente— interessato a far passare la propria opinione come indiscussa verità di fede per tutti i cristiani sparsi nel globo (qualcosa che invece sarà praticamente una noiosissima prassi comune dopo la stesura del primo vangelo). Una congettura non è una prova. Il silenzio rimane semplicemente strano ed enigmatico —e di gran lunga meglio spiegato dal fatto che non c'erano fatti rilevanti dell'esistenza di Gesù su cui discutere, nessun testimone di quei fatti, pertanto la più semplice spiegazione è che non c'era mai stato un Gesù storico sulla Terra. 

Allo scopo di meglio illustrare ai miei lettori la profondità di questo silenzio, ho tradotto in italiano una lista più lunga, elaborata da Earl Doherty, di ben 200 mancati riferimenti ad un ipotetico Gesù storico nelle epistole di Paolo

Iniziando con i...

 “Principali 20”

“Il Suono del Silenzio” inizia con una selezione di 20 riferimenti mancanti, scelti dall'intero spettro delle epistole, silenzi che dovrebbero colpire ogni osservatore come particolarmente sorprendenti e sconcertanti. All'interno di questo gruppo di 20, ho cercato di coprire tutti gli aspetti principali del racconto evangelico, mentre dimostrando allo stesso tempo che cosa ci mostrano le epistole sulla vera natura dell'antico movimento cristiano e sulla visione del Cristo da esso predicato.

1. - Romani 1:19-20
19 Poiché tutto quel che si può conoscere di Dio è manifesto di fronte a loro, avendolo Dio manifestato loro. 20 Infatti le sue qualità invisibili ... si vedono chiaramente ... per mezzo delle opere sue.

La mia prima scelta è un passo apparentemente un pò innocuo, eppure uno che rivela un vuoto eloquente nella mente di un antico scrittore cristiano come Paolo. A differenza dei successivi commentatori dal 2° secolo in poi, Paolo qui non mostra nessuna concezione che Gesù sulla terra era stato un riflesso di Dio stesso, il Figlio che dimostra gli attributi invisibili del Padre nella sua stessa persona incarnata. Ancora più importante, come poteva Paolo non riuscire a concepire ed esprimere l'idea che Gesù stesso era il rivelatore principale di “tutto quel che si può conoscere di Dio” ? È difficile spiegare come ogni scrittore cristiano, consapevole di una recente esistenza e predicazione di Gesù, potesse mostrare un tale vuoto su qualsiasi ruolo svolto da Gesù sulla terra, e tuttavia noi incontriamo quel silenzio ad ogni svolta, come vedremo.

2. - Romani 16:25-27

Questo è uno dei numerosi passi in tutte le epistole che ci danno un quadro chiaro della natura dell'antico movimento cristiano. Ci comunica la fonte della conoscenza di Paolo intorno al Cristo, e come cominciò il movimento. Allo stesso tempo, non lascia nessuno spazio nel quadro per un Gesù storico.
25 A colui che può fortificarvi secondo il mio vangelo e il messaggio circa Gesù Cristo, conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, 26 ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell'eterno Dio, a tutte le nazioni perchè ubbidiscano alla fede, 27 a Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Il concetto di un “mistero” divino, un segreto custodito da Dio per lunghi secoli, ricorre più volte nel corpus paolino (si veda Colossesi 1:26 e 2:2, Efesini 3:5, Tito 1:3, ecc.). Il semplice significato delle parole di cui sopra sembrerebbe definire il mistero come Cristo stesso, ora rivelato attraverso il vangelo di Paolo (e di altri) dopo essere stato nascosto per lunghi secoli. Non vi è nessun'occasione per intendere una qualche incarnazione in queste parole, e abbiamo in più l'elemento che ciò che è noto e proclamato al mondo passa attraverso le scritture.

Il passo è anche denso di parole di “rivelazione”: apocalypsis, i verbi phaneroo e gnoridzo. Queste parole sono utilizzate in tutto le epistole per descrivere quanto è accaduto nel periodo presente (si veda 1 Pietro 1:20, 2 Timoteo 1:10, ecc.). Questo linguaggio caratterizza il 1° secolo come un'epoca di rivelazione, quando la conoscenza ispirata è venuta attraverso una nuova lettura dei testi sacri. È la scrittura, e in ultima analisi Dio, a cui predicatori come Paolo puntavano regolarmente come supporto per le loro dichiarazioni, non la vita ricordata e gli insegnamenti di Gesù. Il “mistero” è risieduto negli scritti sacri, in attesa della chiave ispirazionale fornita da Dio per rivelarlo.

[Ecco un buon esempio dell'opportunità di leggere preconcetti del vangelo all'interno di un passo. Diverse traduzioni usano la frase “attraverso il mio vangelo e la predicazione di Gesù Cristo”, con la possibile implicazione che è intesa la predicazione da parte di Cristo. Il greco è “to kerygma Iesou Christou” con “Gesù Cristo” come un genitivo che dovrebbe essere preso come oggettivo, cioè, Gesù Cristo è l'oggetto della predicazione, non colui che la fa. “Kerigma” nelle epistole si riferisce costantemente alla predicazione degli apostoli come Paolo, con Gesù come il contenuto del messaggio. Il Lexicon di Bauer specifica questa frase nel senso di “predicazione circa Gesù Cristo.” La traduzione NAB è sorprendentemente lucida nell'intendere l'intero passaggio, con la sua resa: “...il vangelo che io proclamo quando io predico Gesù Cristo, il vangelo che rivela il mistero nascosto per molti secoli ma ora manifestato attraverso gli scritti dei profeti... ” Tra il mistero a lungo nascosto e la sua decifrazione dalla scrittura da parte di quelli come Paolo, non c'è nessuno spazio per un Gesù storico.

In brani come questo non rileviamo nessun senso che Gesù era stato recentemente sulla terra, rivelandosi attraverso la sua predicazione. Gli studiosi gradiscono affermare che il mistero ora dischiuso si riferisce al piano a lungo inteso da Dio per la salvezza. Ma anche se fosse questo il significato, non ebbe Gesù stesso un ruolo fondamentale nel rivelare questo piano, nel rivelare sé stesso come la sua pietra angolare? Eppure, Paolo non ha lasciato nessuno spazio o ruolo qui per la carriera di Gesù; invece, egli pone il centro della rivelazione e l'avvento della salvezza interamente su apostoli come lui. ]


3. - 1 Tessalonicesi 2:2
     ... trovammo il coraggio nel nostro Dio, per annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.
I primi scrittori cristiani come Paolo stanno riferendosi costantemente al messaggio che recano come al “vangelo di Dio.” Parlano anche dell'opera di Dio, delle azioni salvifiche di Dio, della chiamata di Dio (si veda Romani 1:16, 3:24, 1 Corinzi 1:9, Filippesi 1:6, Galati 4:7, eccetera.). Se questi apostoli stavano predicando un messaggio su un Gesù storico che aveva egli stesso insegnato su Dio e la sua relazione personale con lui, sicuramente loro lo avrebbero definito il “vangelo di Gesù.” Perché non c'è alcuna menzione nelle epistole di una predicazione terrena di Gesù? D'altra parte, se Gesù è una figura spirituale, un “mistero” noto solo attraverso la scrittura e la rivelazione di lui da parte di Dio, allora il messaggio di Paolo è davvero il vangelo di Dio (vedi in particolare Romani 1:1-4), e Dio è il “Salvatore” primario (vedi anche Tito 1:3).

4. - 1 Tessalonicesi 4:9
Quanto all'amore fraterno non avete bisogno che io ve ne scriva, giacchè voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri.
Un silenzio sorprendente da parte di Paolo. Non era il fulcro dell'insegnamento di Gesù il comandamento dell'amore? Poteva forse Paolo essere ignorante di quello? Quale cristiano, quando ammonisce il credente a mostrare l'amore per gli altri esseri umani, sceglierebbe di dire che Dio era il maestro di una tale dottrina e ignorerebbe tutto il peso e il focus della predicazione di Gesù? Eppure questo silenzio sul comandamento dell'amore ricorre costantemente durante le epistole: vedi Romani 13:8, 1 Corinzi 13:1, Galati 5:14, Efesini 5:1, Giacomo 2:8, 1 e 2 Giovanni (passim). Si noti che qui non si tratta di un caso di fallimento nel riferire a qualcosa perché tutti già lo sapevano; la dichiarazione di Paolo è un'esclusione di qualsiasi ipotesi che Gesù avesse insegnato a proposito di amore.

[J. P. Holding ha una spiegazione molto forzata per questo fenomeno sorprendente, sostenendo che, poiché Gesù parlò in nome di Dio, tutti quei insegnamenti sono correttamente attribuiti a Dio. Ho sottolineato nella mia risposta a lui —vedi la sezione Reader Feedback—che è inconcepibile che tutti gli scrittori cristiani di lettere si conformerebbero ad una considerazione esoterica del genere ed eviterebbero volutamente  di attribuire eventuali insegnamenti a Gesù stesso. Vedi  la sezione “A Twenty-Pound Gorilla” (il suo titolo) nella mia risposta a lui per una sintesi esauriente della situazione che abbiamo di fronte per quanto riguarda i silenzi nelle epistole: Risposta a J. P. Holding]

5. - 1 Pietro 3:9
    Non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite, poichè a questo siete stati chiamati affinchè ereditiate la benedizione.

Anche il Jesus Seminar considera il monito di “porgere l'altra guancia” come un'autentica predicazione di Gesù. Eppure lo scrittore di 1 Pietro (presumibilmente proprio lo stesso discepolo principale di Gesù) può esprimere i sentimenti di cui sopra senza nemmeno uno sguardo alle parole ricordate nel Discorso della Montagna in Matteo: “Non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra” (5:39); e “Amate i vostri nemici” (5:44). Lo scrittore dell'epistola non ci dà nemmeno un “come Gesù stesso insegnò a noi.” Non ci si deve aspettare che ogni scrittore debba fornire una frase del genere in ogni occasione, ma un riferimento ad un Gesù terreno ed alle sue parole sembrerebbe naturale in un contesto del genere, sia per rafforzare l'autorità dell'azione sollecitata dallo scrittore, sia per onorare Gesù come la fonte. Con la possibile eccezione di due “parole del Signore” in 1 Corinzi (che sono spesso interpretate come direttive che Paolo crede di aver ricevuto direttamente da Cristo in cielo: si veda l'Appendice e "Parte Uno" negli Articoli Principali), non abbiamo mai una tale attribuzione da ogni scrittore di epistole.

6. - Galati 2:8
    7 ...[gli apostoli di Gerusalemme] videro che a me era stato affidato il vangelo per gli incirconcisi, come a Pietro per i circoncisi 8 perchè Dio [ "lui"] che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in me per farmi apostolo degli stranieri. [NEB]
Non soltanto le epistole sono silenti su Gesù il maestro, ma sono silenti su qualsiasi nomina di apostoli da  parte di Gesù sulla terra. (Si veda 1 Corinzi 12:18, 2 Corinzi 10:13, Efesini 2:20). Qui Paolo identifica sia la propria chiamata che quella di Pietro all'apostolato come provenienti da Dio. (Il greco ha il pronome “lui”, dove la traduzione NEB inserisce “Dio” e questo è il modo in cui lo interpretano la maggior parte dei traduttori. Alcune traduzioni lasciano il “lui”, ma nessuna di cui io sia consapevole lo sostituisce con “Gesù”.)

Inoltre, Paolo non sta permettendo chiaramente alcuna distinzione in termini di qualità o di origine tra il suo apostolato e quello di Pietro. In tutta la discussione sulla legittimità delle sue credenziali come apostolo e l'opposizione da lui affrontata da altri predicatori del Cristo (ad esempio, 2 Corinzi 10 e 11), possiamo noi credere che nessuno avrebbe mai potuto usare contro di lui il fatto che altri erano stati apostoli di Gesù durante la sua esistenza, laddove Paolo non lo era stato? Ma Paolo non mostra mai alcun segno che fosse sollevata una questione del genere, e non affronta mai tale considerazione.

7. - Tito 1:2-3
2... nella speranza della vita eterna che Dio, che non può mentire, ha promesso prima di tutti i secoli, 3 e ora nei tempi stabiliti ha rivelato la sua parola mediante la predicazione che è stata affidata a me per ordine di Dio, nostro Salvatore. [NEB/NIV]
Ecco un altro passo nelle epistole, che traccia un quadro di quanto è successo nel periodo presente, non lasciando spazio per un eventuale ruolo che Gesù potrebbe aver avuto nella recente storia di salvezza. Nel passato si trovano le promesse di Dio di vita eterna, e la sua prima azione su quelle promesse è la presente rivelazione di apostoli come Paolo che erano andati a proclamare il messaggio. La personale proclamazione di Gesù della vita eterna, la sua persona come incarnazione di quella vita (come la introduce in modo così memorabile il vangelo di Giovanni), è stata espulsa fuori.

Nota il riferimento a “Dio nostro Salvatore”. Il termine “Salvatore”, in tutte le epistole, è applicato nella grande maggioranza dei casi (si veda 1 Timoteo 4:10) a Dio, e solo in una piccola minoranza a Cristo Gesù. Questo non dice di un forte senso di immediatezza per Gesù nelle menti dei suoi seguaci, o del ruolo che aveva svolto nelle vicende storiche del Calvario e della resurrezione dalla tomba. Invece, mentre Gesù era il Figlio che si era sottoposto ad un sacrificio, nessuno aveva assistito a questo evento, dal momento che aveva avuto luogo nel regno spirituale (come gli atti di salvezza di tutti gli dèi salvifici del giorno). L'agente immediato nel tempo presente è stato Dio, che rivela suo Figlio e le attività di redenzione di quel Figlio. Così, alle menti di uomini come Paolo e i suoi successori, tra cui lo scrittore di Tito, c'è un senso primario di Dio come il “salvatore” e come colui che fornì loro il suo vangelo.

8. - 2 Corinzi 6:1-2
...vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano. Poichè egli dice: Nel tempo favorevole ti ho esaudito, nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza! [NEB]
Un altro chiaro passo che parte dalle previsioni di Dio del passato, contenute nella scrittura, e dal momento presente di salvezza ora posta in atto da Dio. Paolo cita Isaia 49:8, vedendola come un'antica promessa di Dio che un tempo verrà quando egli giungerà in soccorso dell'umanità e concederà la salvezza. Ma cos'è quel tempo? È un conto per Paolo, come fa spesso, concentrarsi sulla sua carriera apostolica ad esclusione di qualsiasi menzione della predicazione di Gesù. È piuttosto un altro conto per lui sostenere, come fa qui, che le parole profetiche della scrittura predicono non il tempo della vita di Gesù come “il tempo favorevole”, non gli atti di sacrificio e resurrezione di Gesù come “il giorno della salvezza”, ma le personali attività di Paolo e la sua predicazione del messaggio cristiano!

Luca almeno era in grado di riconoscere la monumentale inopportunità di questo (se avesse letto anche Paolo), infatti nel passo 4:19 del suo vangelo, ha un Gesù nella sinagoga di Nazaret che legge un brano simile da Isaia (61:1-2) e dichiara alla sorpresa assemblea che è lui colui al quale si riferisce questa sacra profezia.

Si noti ancora una volta come il passo citato sopra inizia con un'attenzione esclusiva su Dio come colui che compie l'opera del tempo presente; la grazia è venuta da lui. Paolo sembra impermeabile a qualsiasi pensiero di un ruolo in questo periodo fatidico della storia della salvezza per l'uomo che lui è supposto di star predicando.

9. - 1 Corinzi 15:12-16
12 Ora se si predica che Cristo è stato resuscitato dai morti, come mai alcuni tra voi dicono che non c'è resurrezione dei morti? 13 Ma se non vi è resurrezione dei morti, neppure Cristo è stato resuscitato. 14 E se Cristo non è stato resuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. 15 Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poichè abbiamo testimoniato contro Dio che egli ha resuscitato Cristo, il quale egli non ha resuscitato, se è vero che i morti non resuscitano. 16 Difatti, se i morti non resuscitano, neppure Cristo è stato resuscitato. [NASB/NIV]
Ci sono alcune implicazioni devastanti da trarre da questo passo. Paolo si esprime come se la resurrezione di Cristo dai morti fosse una questione di fede, non di un ricordo storico evidenziato da testimoni oculari di un fisico Gesù risorto a Pasqua. Egli è così irremovibile sulla necessità di credere che i morti saranno resuscitati, che egli è disposto a dichiarare—e lo ripete per quattro volte—, che se non lo sono, allora Cristo stesso “non è stato resuscitato”. Se gli uomini da lui conosciuti avessero assistito all'effettivo ritorno di Gesù dai morti, io non penso che lui avrebbe pensato di fare perfino una sua negazione retorica.

Inoltre, il verbo per “testimoniare” (martureo) è spesso usato nel senso di testimoniare a, di dichiarare la propria fede in, un elemento di fede, non di un ricordo fattuale (anche se può significare questo in alcuni contesti). Tale significato qui è fortemente supportato da quanto segue questo verbo: kata tou theou, o “contro Dio”. I traduttori spesso sembrano incerti sull'esatta portata di questa frase, ma il Lexicon di Bauer lo dichiara fermamente nel senso di “dare testimonianza in contraddizione a Dio. L'idea che Paolo sta cercando di far passare è che se in realtà Dio non resuscitò Gesù dalla morte (che avrebbe dovuto essere la conclusione, egli dice, se tutti i morti non resuscitano) allora, retoricamente parlando, lui e altri apostoli sono stati a contraddire Dio e a mentire sulla resurrezione di Gesù.

Il punto è, ed è inequivocabile, che Paolo sta dicendo che la conoscenza sulla resurrezione di Gesù è giunta da Dio, e che la sua personale testimonianza di predicazione, vera o falsa, è qualcosa che si riferisce ad un'informazione che è giunta da Dio—in altre parole, mediante rivelazione. Non la storia, non una tradizione apostolica circa recenti avvenimenti sulla terra. In tutta questa discussione circa la veridicità della resurrezione di Cristo, il modello di Paolo è un modello di fede, fede basata sulla testimonianza di Dio—che significa, nella Scrittura. (Si veda Romani 8:25, 10:9, 1 Tessalonicesi 4:14). Una storica testimonianza umana non gioca alcun ruolo.

[Si può affermare che il famoso passo poco prima di questo, 1 Corinzi 15:3-8, la dichiarazione di Paolo del suo vangelo che “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture (kata tas graphas), che fu seppellito, e che resuscitò il terzo giorno secondo le Scritture”, seguìta (versi 5-8) da una lista di tutti coloro che lo “videro”, costituisce un appello ad una testimonianza storica. Ma notiamo che Paolo dice due volte che il suo vangelo è derivato dalla scrittura, infatti un significato del genere può essere preso da kata tas graphas. Notiamo anche che nella successiva discussione (versi 12-16) sul fatto che Cristo sia risorto o no, Paolo non ripete o fà riferimento a quella lista di “visioni” come prova che Cristo fu resuscitato. Perchè no? Poiché la lista si riferisce ad una serie di visioni del Cristo spirituale (Paolo comprende la sua personale visione, una visione riconosciuta, utilizzando esattamente lo stesso linguaggio per tutte loro), un Cristo che, come parte del vangelo derivato dalle scritture intorno a lui, è dichiarato essere stato resuscitato il terzo giorno. (Quest'ultimo punto viene da Osea 6:2, non dalla cronologia del vangelo sulla Pasqua). Quelli “eventi” del vangelo di Paolo facevano parte del più alto mondo spirituale del mito, e quindi non vi è alcuna relazione sequenziale immediata tra la “resurrezione” e il verificarsi delle visioni, che è la ragione per cui queste ultime non sono dichiarate in nessun posto come una prova della resurrezione di Cristo. Si veda il mio Articolo Complementare Numero 6: La fonte del Vangelo di Paolo per una discussione completa del passo di 1 Corinzi 15:3-8. Si veda anche questo passo nel documento su 1 e 2 Corinzi, qui di seguito.]


Ma c'è ancora un altro importante silenzio da sottolineare in questo passo. Paolo è più ansioso di convincere i suoi lettori sulla fattibilità della resurrezione umana. Se si accettano certi racconti evangelici, oppure se si presume che tali tradizioni si svilupparono molto presto, una prova disponibile si trova a portata di mano. Storie della resurrezione della figlia di Giairo, l'emergere stupefacente di Lazzaro dalla sua tomba (per non parlare del ricordo di Matteo di cadaveri che risorgono dalle loro tombe alla crocifissione di Gesù), avrebbero provvisto Paolo della prova innegabile per i suoi lettori che in realtà gli esseri umani potevano essere resuscitati dalla morte. Lazzaro poteva ancora dover morire di nuovo, ma una resurrezione eterna sarebbe sicuramente vista come prefigurata da quelle temporanee concesse da Gesù sulla terra, e non c'è nessuna spiegazione perchè Paolo non avrebbe fatto appello a quei miracoli nella sua argomentazione.

Né avrebbe lasciato perdere un appello alle stesse promesse di Gesù in materia. Luca riporta quei detti: “Il contraccambio ti sarà reso alla resurrezione dei giusti
(14:14); e: “ma quelli che saranno ritenuti degni di aver parte al mondo avvenire e alla resurrezione dei morti, non prendono né danno moglie” (20:35). Anche il vangelo di Giovanni è pervaso dalla promessa di Gesù che “chi crede in me avrà vita eterna”. Se tali parole, oppure tali tradizioni sui miracoli di Gesù, fossero state in circolazione nelle comunità cristiane del tempo di Paolo, non ci sarebbe stato alcun bisogno della sua richiesta lamentosa: “come mai alcuni tra voi dicono che non c'è resurrezione dei morti?”

In effetti, questo tipo di considerazione scredita l'intera razionalizzazione del silenzio di Paolo sul Gesù storico e sulla sua predicazione, che egli “non ebbe alcun interesse nella vita terrena di Gesù”. Paolo ebbe un innegabile interesse per la questione della resurrezione dei morti, come lo aveva in molte altre cose, e se Gesù avesse predicato su queste cose, mentre era sulla terra, Paolo non avrebbe potuto fare a meno di essere profondamente interessato a ciò che Gesù aveva da dire su quelle materie e gli esempi che aveva introdotto. Per non parlare dell'inevitabile interesse che le sue congregazioni avrebbero avuto in tali cose. Le lettere di Paolo dovrebbero essere piene di riferimenti a ciò che il Gesù storico, il Figlio di Dio incarnato, aveva detto e fatto, mentre era sulla terra.

10. - Giacomo 5:10
Prendete, fratelli, come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. [NIV]

La piccola epistola di Giacomo ha probabilmente più silenzi per pollice quadrato rispetto a qualsiasi altro documento del Nuovo Testamento, ma nessuno di loro è sorprendente come questo. Come potrebbe lo scrittore non indicare Gesù stesso come il migliore e più convincente esempio quando invita i suoi lettori a mostrare pazienza di fronte alla sofferenza? Anche se i vangeli non erano ancora in esistenza quando quest'antica epistola fu scritta (molti la datano alla metà del 1° secolo), la tradizione orale avrebbe sicuramente progredito al punto in cui il comportamento di Gesù davanti a Pilato e ai suoi giudici ebrei implicherebbe un'idea del genere. Qui c'è davvero tanto “bisogno” di riferirsi a Gesù, perfino se il lettore fosse a conoscenza del fatto.

11. - Romani 6:2-4

2 Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? 3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato resuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. [NEB]
Se un qualsiasi momento cruciale della carriera di Gesù si fosse impresso nei primi cristiani, sarebbe stato sicuramente la sua inaugurazione: quella scena drammatica in mezzo alle acque del Giordano, con un ardente Giovanni con indosso pelo di cammello che esorta al pentimento e scaglia i suoi moniti apocalittici alla folla. Che impatto deve aver fatto quando Gesù ricevette un improvviso omaggio deferente di Giovanni, quando si immerse nelle acque del fiume, per riemergere con la colomba e la voce di Dio che discende su di lui dal cielo. Anche se lo Spirito Santo e le parole divine furono un'elaborazione successiva, indicano che l'incidente del battesimo di Gesù deve essere stato investito davvero presto di un significato mitico.

Eppure nessuno lo saprebbe mai da Paolo. Per Paolo, il battesimo è il sacramento principale del rito cristiano. Con il battesimo, il convertito muore alla sua vecchia vita peccaminosa e sale ad una nuova vita. Con il battesimo, il credente partecipa del corpo spirituale di Cristo. In Romani 6:1-11 egli dettaglia il rituale battesimale nelle sue parti mistiche che lo compongono. Eppure mai una qualsiasi di quelle parti si riferisce alla scena del battesimo di Gesù. Nessun significato è dato ad un qualsiasi dettaglio di quella scena, infatti da scrittori del 1° secolo come Paolo non sapremmo neppure che Gesù era stato battezzato.

Se Paolo avesse conosciuto una tradizione che lo Spirito Santo era disceso su Gesù al suo battesimo, che era stato accolto da Dio stesso come suo Figlio Prediletto, possiamo forse credere che Paolo non avrebbe integrato tali motivi nella sua presentazione del rito? Paolo sottolinea dovunque che i credenti sono stati adottati come figli di Dio, come in Romani 8:14-17. Come poteva non riuscire a cogliere le parole del Padre al Figlio divino e applicarle al convertito battezzato? In quell'ultimo passo di Romani, dice anche che “lo Spirito di Dio si unisce al nostro spirito nel testimoniare che siamo figli di Dio.” Dal momento che il battesimo di Paolo comportava la discesa dello Spirito Santo nell'iniziato, è impensabile che lui non avrebbe indicato la discesa dello Spirito in Gesù al suo battesimo come un parallelo archetipo, se fosse esistita una tradizione del genere.

E dov'è il Battista? Nella mitologia cristiana difficilmente esiste una figura più imponente di Gesù stesso. Il precursore, l'araldo, il flagello degli impenitenti, la voce che grida nel deserto. Fino a quando appaiono i vangeli, Giovanni è veramente perduto nel deserto, infatti nessun scrittore cristiano si riferisce mai a lui. Anche più tardi agli inizi del 2° secolo, lo scrittore di 1 Clemente tace su Giovanni quando dice (17:1): “Siamo imitatori di quelli che camminavano nelle pelli di capra e di pecora annunziando la venuta di Cristo. Alludiamo ai profeti Elia ed Eliseo ed anche a Ezechiele, ed oltre a questi anche a coloro che resero testimonianza”.

Dobbiamo vedere Giovanni il Battista nascosto in quell'ultima frase? Egli difficilmente merita un tale anonimato di passaggio. Inoltre, Clemente continua a dettagliare esempi di quei “grandi nomi” e sono tutti dall'Antico Testamento. Neanche Ebrei 11 riesce ad includere Giovanni nella sua enumerazione di eroi della fede che soffrirono, affrontarono dileggi e frustrate, la lapidazione e la galera e persino la morte. (Del resto, come vedremo, Ebrei non riesce neanche a comprendervi Gesù.)

Esisteva una comune credenza ebraica che la venuta del Messia sarebbe stata preceduta dalla comparsa dell'antico profeta Elia, per annunciare il suo avvento. Se i predicatori cristiani del 1° secolo fossero stati del tutto interessati a giustificare la loro pretesa che Gesù era stato il Messia, Giovanni il Battista sarebbe stato prezioso come una figura tipo  Elia per soddisfare quest'aspettativa.

12. - Ebrei 9:19-20

19 Infatti, quando tutti i comandamenti furono secondo la Legge proclamati da Mosè a tutto il popolo, egli prese il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, 20 e disse: “Questo è il sangue del patto che Dio ha ordinato per voi.” [NEB]
Al centro della teologia di questo scrittore si trova il nuovo patto stabilito dal sacrificio di Cristo, un sacrificio che si svolge nei cieli. (Vedi Articolo Complementare Numero 9: Il Figlio nella Lettera agli Ebrei) La sua tecnica esegetica ruota attorno alla derivazione di parallelismi tra il rituale della comunità e la teologia e l'incarnazione o prototipo di quelle cose nelle Scritture. Eppure l'evento scritturale primo che aveva stabilito il vecchio patto, il sacrificio di sangue di animali condotti da Mosè e le parole pronunciate durante questo rito (Esodo 24:8), è presentato senza il minimo sguardo verso il personale stabilimento di Gesù della nuova alleanza colle parole che lui pronunciò sopra il pane e il vino durante l'Ultima Cena.

Il parallelo tra il vecchio e il nuovo, la somiglianza molto suggestiva tra le parole pronunciate da Mosè in Esodo e le parole pronunciate da Gesù al pasto sacramentale che istituì la celebrazione perpetua del suo sacrificio, avrebbero dovuto essere così convincenti che l'autore forse non poteva evitare di richiamare l'attenzione su ciò. L'unica conclusione da trarre è che egli non sapeva di tale evento, come di nessuna parola pronunciata da Gesù durante l'Ultima Cena. (La scena mitica in 1 Cor. 11: 23f che Paolo presenta alla sua congregazione come un prodotto di rivelazione personale—si veda la sezione “L'apprendimento di un pasto sacro” nell'Articolo Complementare 6: La Fonte del Vangelo di Paolo—non ha apparentemente ancora raggiunto la comunità della Lettera agli Ebrei.)

[Potremmo sottolineare che anche il documento cristiano dei primi anni del 2° secolo conosciuto come la Didaché (Insegnamento) mostra un impressionante silenzio sull'istituzione dell'Eucaristia di Gesù. Nel capitolo 9, preghiere comunitarie associate ad un pasto di ringraziamento sono menzionate, e non contengono alcun elemento sacramentale qualunque. Il pane e il vino in questo pasto comune in nessun modo significano la morte di Gesù. Gesù non istituì questa cerimonia. Essa non è associata ad alcun episodio della sua vita, non certo alla vigilia del suo sacrificio. Il ruolo di Gesù  nella teologia della comunità sembra essere niente di più che una sorta di canale(spirituale) da Dio, come indicato da questo passo, che cita un verso delle preghiere:


“Riguardo all'eucaristia, così rendete grazie: dapprima per il calice: Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per il santo vino di Davide tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli”. In effetti, la Didachè nella sua interezza è notevolmente silenziosa su qualsiasi aspetto della vita e della morte di Gesù. ]


13. - Ebrei 12:15-17

15 Vigilate bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati; 16 che nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. 17 Infatti sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto. [NEB]
Dante nel suo Inferno colloca Giuda nella fossa dell'Inferno, imprigionato nel ghiaccio, maciullato da Satana. L'arci-traditore che piantò il suo bacio ingannevole sulla guancia  di Gesù e aiutò a consegnarlo a morte doveva diventare un simbolo nelle menti cristiane di tutta l'ipocrisia e l'incredulità giudaica. Giuda inaugurò l'Ebreo come demone, e un'intera razza soffrì ferocemente per più di due millenni. Eppure, prima di comparire a recitare il suo ruolo di traditore nel racconto della Passione di Marco, nessun fantasma di Giuda ossessiona il paesaggio cristiano. Lui in particolare risulta mancante dal passo di cui sopra in Ebrei, dove la vendita del Signore stesso per 30 pezzi d'argento da un uomo rancoroso, invidioso e ingannevole, sarebbe stato sicuramente il simbolo più adatto dell'amara radice velenosa che spunta incontrollata all'interno della comunità dei santi.

L'epistola agli Ebrei di solito è datata o subito prima o subito dopo la guerra giudaica. È in questo periodo (60-80) che gli studiosi solito collocano la stesura di Marco, dove Giuda affiora per la prima volta. Considerando  l'apparente ignoranza di Ebrei di una tale figura, o Marco dovrebbe essere datato più tardi, oppure altrimenti il primo vangelo contiene idee che non erano ampiamente note tra le comunità cristiane del tempo. O entrambe le possibilità.

Potremmo notare che anche lo scrittore di 1 Clemente si occupa del tema della gelosia, ma alla sua lista di figure dell'Antico Testamento che soffrirono per mano di uomini gelosi, non riesce ad aggiungere Gesù stesso, tradito dal perfido apostolo nella sua stessa compagnia.

14. - Romani 13:3-4

3 infatti i dominatori non sono da temere per le opere buone ... se tu non vuoi temere l'autorità fà il bene e avrai la sua approvazione, perchè il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene. [NIV/NEB]
Paolo può forse avere qualche senso di prova storica della crocifissione di Gesù ed ancora esprimere tali sentimenti? Pilato, se credeva nell'innocenza di Gesù oppure no, consegnò quest'uomo giusto alla flagellazione e ad un'ingiusta esecuzione. Se la storia di un simile destino subìto da Gesù di Nazaret fosse presente nella mente di ogni cristiano, la lode di Paolo delle autorità, al di là se ebraiche o romane, come agenti di Dio per il bene di tutti, e da cui gli innocenti non hanno nulla da temere, suonerebbe strana davvero.

Infatti, tutti i primi scrittori mancano dell'atmosfera essenziale della presentazione evangelica della morte di Gesù: che questa fu l'ingiusta esecuzione di un innocente, afflitto da tradimento e false accuse e da uno spietato establishment. Invece, Paolo in Romani 8:32 esalta la magnanimità di Dio, che “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti”, e per lo scrittore di Efesini (5:2), è Cristo stesso che per amore “ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave”. Questo sembra lontano dal terribile Golgota dei vangeli e la sua scena di deicidio. (Si veda Articolo Complementare Numero 3: Chi crocifisse Gesù? per una discussione approfondita sulla natura e la località della “crocifissione” redentiva del Cristo spirituale).

15. - 1 Giovanni 4:1-3

1 Carissimi, non crediate a ogni spirito [cioè, pronunciamento profetico, enunciato sotto l'influenza dello Spirito di Dio], ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; poichè molti falsi profeti sono sorti nel mondo. 2 Da questo conoscete lo spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio, 3 e ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio... [NIV]
Questo passo ci dice che nell'antica predicazione cristiana, il test che determinava se un apostolo cristiano stesse dicendo la verità era relativo allo spirito che Dio gli aveva mandato. Questa epistola fu scritta probabilmente negli ultimi dieci anni del 1° secolo. Ci si aspetterebbe che da questo momento i cristiani possedessero un corpo di materiale considerato proveniente da Gesù stesso, trasmesso loro nel corso di decenni attraverso una catena di autorizzati apostoli e leader di comunità, un processo di trasmissione tramite la “tradizione apostolica”. Eppure, un'idea del genere è introvabile in ciascuna delle epistole (si veda 2 Corinzi 11:4). Noi non incontriamo neanche il più semplice concetto di un insegnamento passato tra le generazioni, derivante da un passato apostolico associato, in ultima analisi, a Gesù. Invece, la dottrina proviene direttamente mediante rivelazione da Dio, ispirata dallo Spirito Santo, anche se alcuni “spiriti” possono provenire dal diavolo.

Nel passo di cui sopra, la prova del vero spirito è se il messaggio che viene predicato corrisponde alla posizione personale dello scrittore, alla quale egli è arrivato tramite lo spirito: il credo che Gesù Cristo è venuto nella carne. Anche se non sono offerti né tempo né circostanze, una rivalità del genere tra diversi “spiriti” dimostra che alla fine del secolo, la dottrina che il Cristo celeste era stato sulla terra (qualcosa nota attraverso lo Spirito Santo, oppure una rivelazione) non stava per essere accettata da ogni cristiano. (si veda il mio Articolo Complementare Numero 2: Una Soluzione per la Prima Lettera di Giovanni, per una discussione approfondita del significato di questo passo.)

Potremmo confrontare la Didachè, capitolo 11, che contiene una lunga discussione su come giudicare la legittimità di apostoli itineranti, sia nel loro insegnamento che nelle loro attività carismatiche. Nessuna parte di questo giudizio si basa su qualche legame con la tradizione apostolica; non si tratta di rintracciare un'autorità o una correttezza indietro a Gesù, oppure ad un gruppo di apostoli che lo avevano conosciuto e seguito sulla terra.

16. - 1 Corinzi 10:11

...per noi il compimento delle epoche è giunto. [NEB]
Una delle forze motrici del movimento cristiano fu l'attesa che la fine del mondo e l'arrivo di Cristo per stabilire il Regno di Dio fossero imminenti, parte di una perdurante anticipazione ebraica del giorno del Signore.

La concezione e la struttura della storia era semplice. Il periodo che va indietro nella storia era il “vecchio eone”, un'epoca di peccato e male e tenebre, quando Dio aveva permesso a Satana di governare, quando i giusti erano perseguitati e la giustizia divina era ritardata. La “nuova età” sarebbe iniziata con l'arrivo di una figura celeste o un agente messianico di Dio, che avrebbe diretto il rovesciamento dei nemici di Israele e delle forze del male in generale. Il culmine di tutto questo sarebbe stato un giorno del giudizio, quando i giusti sarebbero stati esaltati e il peccatore e l'oppressore consegnati alla punizione. Il modello della storia di salvezza, che si estende in una retta dal passato verso il futuro, cadeva in due sezioni: il vecchio eone e il nuovo eone. Gli studiosi si riferiscono a questo modello come “dualismo delle due età”.

Nel ritratto ortodosso delle origini cristiane, tuttavia, una dimensione radicalmente nuova è stata aggiunta al modello. Il Messia era venuto, ma non il Regno con lui. Cristo era morto e risorto, ma ancora la nuova era non era spuntata. Questa doveva essere ritardata fino al suo ritorno, questa volta in gloria e come giudice della Parusia. Tra le due venute di Cristo, così breve come periodo come poteva esserlo, il messaggio del Vangelo, doveva essere portato al maggior numero possibile di persone e il mondo doveva farsi pronto.

Se questo era davvero lo scenario affrontato dal primo paio di generazioni di predicatori e fedeli cristiani, ci si aspetterebbe di trovare due cose. In primo luogo, una revisione significativa del modello di due anni. La venuta di Gesù dovrebbe essere vista come un punto cardine nello schema in corso della storia di redenzione. Dopo tutto, il Figlio di Dio era venuto sulla terra; la sua vita doveva comprendere l'atto di salvezza per sé, la morte espiatoria e una resurrezione divina che garantiva la risurrezione dei cristiani alla Parusia. L“interregno”, quel periodo tra la vita di Cristo e la sua seconda venuta, dovrebbe essere visto come un periodo distinto per sé, durante il quale forze che erano state in precedenza assenti stavano operando, quando precedenti stabiliti da Gesù attendevano il loro compimento finale.

“Per noi il compimento delle epoche è giunto!”
dichiara Paolo in 1 Corinzi 10:11, indicando la Parusia da lui creduta davvero vicina.

Egli non vede nessun “compimento” nel recente passato, in Gesù? Precedente a questo commento c'è stata l'enumerazione di Paolo di eventi simbolici della storia d'Israele al tempo dell'Esodo. Quelli eventi guardavano verso il futuro, “per il nostro beneficio”. Ma quel futuro è gettato interamente nei termini di credenti come Paolo, che aspettano la fine imminente. Paolo qui e altrove, non ha il minimo sguardo ad un evento sopraggiunto nella vita terrena e nell'opera di Cristo. Nella misura in cui Paolo ha un intero “punto cardine” passato (come si vedrà in Romani 8:22-23), esso è il tempo della rivelazione, il “dono dello Spirito”, a volte l'invio dello Spirito del figlio. Il punto di svolta della storia della salvezza fu l'arrivo della fede quando Dio rivelò Cristo e le persone risposero ai trasmettitori della rivelazione—cosa più importante, lo stesso Paolo. Quando Paolo di tanto in tanto guarda dietro di sé, è alla rivelazione del mistero di Cristo, le visioni e ispirazioni, la “visione” del Cristo da parte di così tanti apostoli, compreso sé stesso (1 Corinzi 15:3-8). Quelli sono gli eventi che nella sua considerazione inaugurano il periodo finale della vecchia età che porta alla nuova.

Né qui né in uno qualsiasi di altri brani come quello, Paolo si rivolge a ciò che avrebbe dovuto essere la domanda chiave: Perché la reale venuta del Messia di per sé non provocò il volgere degli eoni? Infatti questa era stata l'aspettativa di secoli. Nessuno avrebbe potuto prevedere che l'arrivo del Messia non sarebbe stato accompagnato dalla costituzione del Regno. Ci si aspetterebbe di trovare un qualche tipo di industria apologetica sorta nel movimento cristiano per spiegare questa svolta inaspettata e deludente degli eventi. Eppure ogni singolo scrittore di epistole è silente su una cosa del genere.

[Ci sono state molte analisi della concezione cristiana del tempo con l'intento di vedere l'antica visione cristiana secondo una riformulazione del modello di due età. Un'analisi famosa e influente è di Oscar Cullmann, Christ and Time, 1955. Cullmann professa di vedere una nuova concezione di tre stadi in Paolo: in primo luogo, la storia primordiale (che risale ai miti dei patriarchi); in secondo luogo, l'evento storico di Gesù di Nazaret, il perno attraverso il quale tutta la storia di redenzione è ora vista passare; e il terzo, il mito e l'attesa del futuro escatologico (fine del tempo). Cullmann vede in Paolo un orientamento che non è più escatologico (guardare al futuro); piuttosto è “verso Lui (sic), che è già venuto.”

Sfortunatamente, lo scenario di Cullmann è un frutto della sua immaginazione, un prodotto dei suoi preconcetti che egli imporrà su Paolo non importa quello che dice Paolo. Il Numero 2 nella nostra lista, Romani 16:25-27, e il Numero 7, Tito 1:3 (insieme ad altri a venire), parlano dei misteri divini nascosti a lungo che Dio ha rivelato nel tempo presente ad apostoli e profeti. Non vi fu di certo alcuna “seconda fase”, occupata dal recente Gesù di Nazareth e dalla sua vita redentrice, nessun punto cardine della storia della salvezza, che ora risiede nel passato. L'orientamento di Paolo è proprio rivolto al futuro, come mostreranno il presente passo e gli altri a venire (tra cui Romani 8:19 e 13:11-12). ]


17. - 1 Corinzi 1:7-8

Non mancate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. [RSV]
Questo passo è rappresentativo di molti nelle epistole che parlano della sperata venuta di Cristo (la Parousia). In parecchi casi, come qui, il verbo impiegato è un termine di rivelazione. Cioè, lo scrittore parla della “rivelazione” del Cristo (si veda 1 Pietro 1:7 & 13, 2 Tessalonicesi 1:7). Questo è un modo strano di introdurla, se Gesù avesse appena vissuto un'intera vita sulla terra all'interno di una memoria vivente.

Un altro comune modo di espressione è l'uso del verbo “venire” (erchomai). Il greco non ha nessuna parola specifica per “ritorno” nel senso di tornar indietro ad un luogo che uno ha visitato oppure presso cui è stato tempo prima. La parola erchomai è un basilare verbo di moto e può significare venire, oppure andare, oppure passare; un significato specifico, che può comprendere “ritorno”, è dato da aggiunte oppure dal contesto. Altri passi veicolano l'idea della venuta di Cristo usando parole come la manifestazione di” (ad esempio, 1 Timoteo 6:14). Salvo una possibile eccezione (Ebrei 9:28, che sarà toccata in connessione ad Ebrei 10:37 ed esaminata pienamente nell'Appendice), da nessuna parte qualche scrittore tenta di veicolare il senso di “ritorno”. Per esempio, la semplice parola palin, “di nuovo”, impiegato con erchomai, poteva aver servito a tale scopo, tuttavia nessuno lo usa mai. (Si veda anche Filippesi 1:6 e 3:20, Tito 2:13).

Tale riluttanza è in forte contrasto agli studiosi del Nuovo Testamento i quali, nel tradurre o interpretare termini come “venire” o manifestazione nelle epistole, solitamente utilizzano la parola “ritorno” oppure la frase “seconda venuta”. Ma se i lettori possono liberarsi dallo sfondo dei vangeli, troveranno che tutti quei riferimenti veicolano la diversa impressione che questa sarà la prima e sola venuta sulla terra, che questa attesa, questo desiderio di vedere Cristo, non è stato in alcun modo realizzato in precedenza.

Noi tendiamo a volere che quelli scrittori intendono, riconoscono, che che Gesù fosse già venuto prima, che avesse cominciato quando stava sulla terra il lavoro che avrebbe completato alla Parusia; che le persone avessero già testimoniato la loro liberazione nell'evento della sua morte e risurrezione; che egli fosse stato “rivelato” alla vista di tutti nella sua vita incarnata come Gesù di Nazaret. Ma mai un eco di queste idee ascoltiamo nel sottofondo di quei passi.

[Nota: esiste un problema relativo ma separato se la “venuta” nel Giorno del Signore è visto come la venuta di Cristo stesso (come è qui), oppure solo l'idea ebraica più antica della venuta di Dio. Ciò sarà discusso in connessione con Giacomo 5: 7.]


18. - Romani 10:9

(Questa è la parola della fede che noi annunciamo:) Che se tu confesserai con la tua bocca il Signore Gesù [homologeseis ...kurion Iesoun], e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvato. [KJ]
Qui c'è la basilare dichiarazione di fede di Paolo, da lui predicata nella sua opera missionaria, e la userò per illuminare uno dei fondamentali silenzi che si trovano in tutte le epistole del Nuovo Testamento. La traduzione sopra è tratta dalla versione di Re Giacomo, e riflette il greco letterale, a differenza della maggior parte delle traduzioni moderne che rendono la frase chiave: “se tu confessi con la tua bocca che Gesù è Signore”. (Il NASB si avvicina con la sua resa “Se tu confessi con la tua bocca Gesù come Signore”, dove il suo “come” in corsivo rappresenta una parola aggiunta che non è nell'originale).

Per tutta la discussione sulla fede alla quale indulge in tutte le sue lettere, Paolo non elenca mai l'unico elemento della fede che ci si aspetterebbe, quello che dovrebbe venire all'inizio. Infatti, anche nella moderna predicazione cristiana al mondo esterno, lo incontriamo continuamente: che Gesù di Nazaret, un essere umano che visse in un determinato punto nel passato e fece certe cose, era in realtà il Figlio di Dio e Messia. In tutte le epistole del Nuovo Testamento, nessuno è mai esortato a credere che un uomo storico fosse qualcosa. Le dichiarazioni di fede di Paolo sono una fede in qualcosa. Si crede che esista un tale essere, che egli possieda alcuni poteri e lo status celeste, che egli sia  strumento di salvezza di Dio. Ma mai che un recente essere umano fosse così e così.

Quando letta semplicemente (come fa la traduzione KJ), la dichiarazione di cui sopra dice: “se confessi il Signore Cristo”, che è una dichiarazione che il credente riconosce l'esistenza di Cristo e del suo potere. Se Paolo stesse parlando di un recente uomo storico, quell'uomo sarebbe stato il punto di inizio del suo pensiero, e lui avrebbe inquadrato le sue dichiarazioni di fede nei termini di ciò che quell'uomo era, la sua natura, identità e ruolo. Invece, qui come altrove, il suo punto di inizio è il Figlio divino nel cielo, l'oggetto del vangelo rivelato di Dio. Le pretese sono fatte su questa figura spirituale, tutto questo sulla base di scritture.

Paolo colloca una dichiarazione del genere interamente nel regno della fede presente, non nella Storia. Anche se assumiamo la traduzione comune moderna di “se confessi che Gesù è il Signore”, si nota il tempo presente e il fatto che la dichiarazione è una confessione circa una determinata figura celeste. Paolo riconosce che “Gesù è il Signore nostro”, che ha l'effetto di un'invocazione diretta alla divinità: “Tu sei Signore”.

19. - Giacomo 5:15

I vangeli ci dicono come i malati facevano ressa per toccare il lembo del mantello di Gesù; come stavano in disparte e lo chiamavano appena passava, gridando per la liberazione dalle loro afflizioni. Gesù aveva mostrato pietà a tutti loro, perfino se coloro oggi che desiderano rendere più terra terra i racconti evangelici suggeriscono che parecchie di quelle guarigioni fossero psicologiche. Come poteva esser cresciuta così forte la tradizione che Gesù aveva operato tali guarigioni se egli non avesse in realtà portato sollievo a parecchi malati e persone peccatrici nel corso della sua predicazione?

Tuttavia noi non lo sapremmo mai da Giacomo 5:15 :

C'è tra voi qualcuno che soffre? .... 15 La preghiera della fede salverà il malato e il Signore [qui senza dubbio lo scrittore intende Dio] lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. [NEB]
È inconcepibile che lo scrittore non avrebbe fatto appello al fatto che Gesù stesso aveva fatto esattamente quelle cose, se avesse posseduto tali tradizioni. Marco 2:1-12 ci presenta una scena miracolosa in cui Gesù fa entrambe le cose. Al paralitico dice: “Prendi il tuo lettuccio e cammina”, e allo stesso tempo dichiara perdonati i peccati dell'uomo. Lo scrittore di Giacomo non ha chiaramente mai sentito parlare di ciò.

E neppure ne ha sentito parlare colui che ha inviato la lettera nota come 1 Clemente, da Roma a Corinto, alla fine del primo secolo. Nel capitolo 59, “Clemente” offre una lunga preghiera a Dio che deve essere stata nella liturgia della chiesa di Roma. Ecco una parte di essa:

“Ti preghiamo, Signore, sii il nostro soccorso e sostegno. Salva i nostri che sono in tribolazione, rialza i caduti, mostrati ai bisognosi, guarisci gli infermi, riconduci quelli che dal tuo popolo si sono allontanati, sazia gli affamati, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli, consola i vili.”

I vangeli ci dicono che Gesù fece esattamente quelle cose, dalla guarigione dei malati alla nutrizione degli affamati. Nel nome di Dio, mentre camminava sulle sabbie della Galilea e della Giudea, ebbe pietà, supportò, confortò, rivelò Dio. Il lettore dovrebbe essere lasciato a bocca aperta di fronte al silenzio di Clemente e della sua comunità circa tali attività.

20. - Filippesi 3:10

Mi sono disfatto di qualsiasi altra cosa allo scopo di  conoscere Cristo, la potenza della sua resurrezione, la comunione delle sue sofferenze... [NEB]
Il silenzio finale nei nostri “Principali 20” è un silenzio che risuona in tutta l'intera documentazione dell'antica corrispondenza cristiana, ma siamo in grado di concentrarci su di esso mediante un solo passo in Paolo. Questo silenzio sorprendente e pervasivo, forse il più eloquente di tutti loro, si può riassumere in un'unica domanda: Dove sono i luoghi santi?

In tutti gli scrittori cristiani del 1° secolo, in tutta la devozione che ostentano su Cristo e la nuova fede, nessuno di loro esprime mai il minimo desiderio di vedere il luogo di nascita di Gesù, di visitare Nazaret il suo villaggio natale, i luoghi della sua predicazione, il cenacolo dove tenne la sua ultima cena, la collina su cui fu crocifisso, o la tomba dove fu sepolto e risorse dai morti. Non solo non c'è alcuna prova che qualcuno mostrò un interesse verso tali luoghi, ma va completamente sotto silenzio. Le parole Betlemme, Nazaret e Galilea non compaiono mai nelle epistole, e la parola Gerusalemme non viene mai utilizzata in connessione con Gesù. Più sorprendente di tutto, non vi è un accenno di pellegrinaggio al Calvario stesso, dove fu consumata la salvezza dell'umanità. Come può un posto del genere non esser divenuto il centro della devozione cristiana, come poteva non essere stato trasformato in un luogo di culto? Ogni anno a Pasqua, ci si aspetterebbe di trovare cristiani che osservano la propria celebrazione sulla collina fuori Gerusalemme, eseguendo un rito ogni Domenica di Pasqua presso il sito della tomba vicina. Le prediche cristiane e la meditazione teologica difficilmente poteva non mancare di costruirsi attorno ai luoghi di salvezza, non solo attorno agli eventi astratti.

I cristiani evitavano di frequentare tali luoghi per paura? Atti, conservando forse un nucleo di realtà storica, ritrae gli Apostoli mentre predicano senza paura nel Tempio nei primissimi giorni, nonostante l'arresto e la persecuzione, e la persecuzione è stata in ogni caso molto esagerata per i primi decenni. Anche una tale minaccia, tuttavia, non deve e non avrebbe impedito visite clandestine da parte dei cristiani, e ci furono molti altri luoghi della carriera di Gesù la cui visita non avrebbe comportato alcun pericolo. E, naturalmente, non ci sarebbe stato alcun pericolo nel menzionarli nella loro corrispondenza.

Anche Paolo sembra immune al fascino di quei luoghi. Egli può parlare, come in Filippesi, di voler conoscere Cristo, di conoscere la potenza della sua resurrezione, di condividere le sue sofferenze. E tuttavia, corre alla collina del Calvario alla sua conversione, per vivere quelle sofferenze più vividamente, per gettarsi sul sacro suolo che portò il sangue del suo Signore ucciso? Attende davanti al sepolcro vuoto, per meglio eovcare su di sè la potenza della risurrezione di Gesù, per meglio sentire la convinzione che la sua personale resurrezione è garantita? Questo è un uomo le cui lettere rivelano qualcuno pieno di insicurezze e di dubbi personali, posseduto dai suoi demoni, altamente emotivo, un uomo costretto a predicare, col rischio altrimenti di finire pazzo, come ci dice in 1 Corinzi 9:16. Non avrebbe derivato grande consolazione dal visitare il giardino del Getsemani, dove è riportato che Gesù è passato attraverso orrori simili e dubbi personali? Non sarebbero state accentuate le sue convinzioni sacramentali circa la Cena del Signore, che egli è ansioso di impartire ai Corinzi (11:23f), da una visita al Cenacolo di Gerusalemme, per assorbire l'atmosfera di quel luogo sacro e occasione?

Ancora una volta, tali considerazioni rendono inaccettabile la razionalizzazione solita che Paolo era disinteressato della vita terrena di Gesù. Inoltre, quando Paolo si impegna a svolgere la sua missione alle genti, sicuramente avrebbe desiderato—e necessitato—di andare armato dei dati sulla vita di Gesù, con i ricordi dei luoghi che Gesù aveva frequentato, pronto a rispondere alle domande inevitabili che le sue nuove audience avrebbero chiesto nel loro desiderio di sentire tutti i dettagli circa l'uomo che era il Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Invece, che cosa fa? Secondo il suo stesso resoconto in Galati, aspetta tre anni dopo la sua conversione prima di fare una breve visita a Gerusalemme, “per conoscere Cefa. Rimasi con lui per quindici giorni, senza vedere uno qualsiasi degli altri apostoli—solo Giacomo, il fratello del Signore”. E neppure dovette tornare lì per altri quattordici anni. Paolo imparò tutti i dati della vita di Gesù in quella occasione? Visitò i luoghi santi? Non avendo sentito il bisogno di farlo per tre anni, il suo silenzio su queste cose forse non è sorprendente. Ma se l'avesse fatto, possiamo credere che non avrebbe condiviso quelle esperienze—e sarebbero state intensamente commoventi—con i suoi lettori? Se non qui, almeno ad un certo punto nelle sue molte lettere?

Ma non è solo i luoghi della vita e della morte di Gesù. Che dire delle reliquie? I vestiti di Gesù, le cose che ha usato nella sua vita di tutti i giorni, le cose che ha toccato? Possiamo credere che tali elementi non sarebbero rimasti dietro, per essere raccolti, pubblicizzati, visti e toccati dagli stessi fedeli? Non sarebbe stato un apostolo come Paolo ansioso di portare un tale ricordo dell'uomo che predicò? Non si sarebbe sviluppata una rivalità tra gli apostoli, tra le comunità cristiane (come accadde in seguito), per ottenere tali ricordi e cimeli per il culto e come status symbol? Non sopravvisse una sola coppa dell'Ultima Cena—una che sarebbe stata pretesa di aver toccato le labbra di Gesù? Non c'era un solo chiodo con la carne di Gesù su di esso, non una spina della corona insanguinata, non una lancia del centurione, non un pezzo di stoffa delle sue vesti disputate dai soldati ai piedi della croce—non, in realtà , una serie di reliquie pretese di essere esattamente quelle cose, come ad esempio ne troviamo per tutto il Medioevo?

Perché è solo nel 4° secolo che i pezzi della “Vera Croce” cominciano ad affiorare? Perché è lasciato a Costantino di istituire il primo santuario sulla presunta collina della morte di Gesù, e di iniziare la mania del pellegrinaggio ai luoghi santi che si è protratta fino ad oggi? Perché qualcuno nei primi 100 anni del movimento non avrebbe cercato ugualmente di camminare sullo stesso terreno che il Figlio di Dio stesso aveva calpestato così di recente? La totale assenza di queste cose nei primi cento anni di corrispondenza cristiana è forse il singolo argomento più forte per considerare l'intero racconto evangelico della vita e della morte di Gesù come nient'altro che fabbricazione letteraria.

[Si è spesso affermato, in relazione non solo a questo silenzio, ma ad una miriade di altri, che le lettere, essendo scritti “occasionali”, semplicemente non accadono di contenere qualche “occasione” per ricordare queste cose. Ebbene, l'oggetto del presente esercizio è di dimostrare che questo non è il caso. Ma c'è una controreplica più grande ad una tale razionalizzazione. Se fossero esistite queste cose nell'antico mondo cristiano, sarebbero state impresse nelle menti degli scrittori di epistole, raccomandandosi per una menzione; gli scrittori avrebbero creato un'occasione per introdurle nelle loro lettere. In effetti, loro non potevano trattenersi dal fare così. 

Se si analizzano le epistole, si trova una coerenza nei motivi impiegati, nei modi espressivi utilizzati. In larga misura questi sono tratti dalla Bibbia ebraica; e riflettono l'atmosfera di rivelazione e ispirazione che caratterizzò il 1° secolo. Ma se le parole e le opere, i luoghi e le reliquie della vita recente di Gesù fossero state nell'aria, ricordate e discusse e visitate e toccate, queste sono le cose intorno a cui vorremmo trovare un orientamento inevitabile di pensiero e di espressione. Tale fenomeno sarebbe stato inevitabile se tutto era iniziato con una risposta ad un uomo storico la cui vita e morte impressionarono così tanto i suoi seguaci e coloro che stavano dicendo di lui. Un focus sull'uomo stesso, e le sue tracce fisiche, avrebbe pervaso la documentazione. Ma per quelli scrittori non mostrare il minimo segno che qualcosa delle parole, opere, luoghi e reliquie di Gesù fosse presente nei loro pensieri quando presero carta e penna, è una situazione così bizzarra, così improbabile, che noi siamo obbligati a cercare un'altra spiegazione. Quella che più si raccomanda è che loro non sapevano di nessuna di queste cose e niente di questa persona.

Forse quando si è passati per l'intero corpus delle epistole del Nuovo Testamento, e la  realizzazione della portata e della scioccante natura del silenzio è completa, anche voi lettori potreste giungere alla stessa conclusione. ]