lunedì 20 febbraio 2017

Sulla cooptazione della figura di Giovanni il Battista come “Paolo mancato” in Marco




 ANTICHITÀ: Non sbaglia mai e non ha mai sbagliato; la vecchiaia è sempre prova indubitabile della validità di un'opinione, di un uso, di una cerimonia, eccetera. È molto importante non innovare nulla: le vecchie calzature sono più comode di quelle nuove, i piedi non vi stanno stretti. Il clero non deve mai rinunciare a ciò che ha sempre praticato. La Chiesa più vecchia è la meno soggetta a farneticazioni. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768

Sì, la forza della verità è maggiore che non si creda, e la sua tenacia indicibile. Ne troviamo le numerose tracce in tutti i dogmi, anche i più bizzarri e assurdi, dei vari paesi e dei vari tempi; spesso, è vero, in strana compagnia e in un amalgama curioso, ma tuttavia sempre riconoscibili. La verità è simile ad una pianta che germoglia sotto un mucchio di grosse pietre, ma che tuttavia si arrampica verso la luce; con sforzi inauditi, con mille giravolte e inflessioni, sformata, pallida, intristita, ma pur sempre verso la luce.
(Arthur Schopenhauer)

È giunto il momento di parlare più approfonditamente della figura storica di Giovanni il Battezzatore,  sapendo che in qualche modo, prima o poi, dirò qualcosa di originale su questo tizio.
Perchè furono i cristiani ad essersene interessati, a volere che finisse nei loro vangeli, ma non prima che il primo di loro, quello su cui tutti gli altri si basarono, fosse stato scritto. Ed io ho deciso di parlarne, perchè la curiosità dei miei lettori sulla mia opinione in merito si è rivelata ben più grande di quanto le loro parole sarebbero riuscite a spiegare. Confesso di essermi scandalizzato dalla curiosità che hanno attorno a Giovanni il Battista, quasi contenesse in sè il segreto delle origini cristiane, eppure si tratta dell'uomo il cui nome non figura nemmeno nelle epistole di Paolo – il nostro più antico testimone del mito di Cristo – perciò come mai tanto interesse? Certo, è esistito, ma anche Caifa oppure Ponzio Pilato è esistito, eppure non suscita altrettanto interesse (nonostante anche Pilato fosse stato cooptato dalla successiva propaganda cristiana e venduto come convertito cristiano!).

E così ho deciso di investigare più a fondo su Giovanni il Battezzatore. Di certo tutti sanno che è difficile perfino convenire se Giovanni fosse stato davvero un profeta, come i vangeli pretendono che fosse, visto che Flavio Giuseppe non lo chiama affatto “profeta”, ma solo “uomo buono”. E di certo raccogliere le masse non basta a elevare un leader al ruolo di “profeta”.
Ad alcuni dei Giudei sembrò che l’esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l’uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quell'uomo buono che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per la purificazione del corpo, in quanto certamente l’anima è già purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre persone – infatti provarono il massimo piacere nell’ascoltare i suoi sermoni – temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione – parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro sua esortazione – ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l’iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà fu ucciso”. (Antichità Giudaiche 18, 116-119)

Però io credo che Giovanni fu importante agli occhi di “Marco” (autore) a causa della concomitanza di tre fattori:

1) Giovanni era considerato un “uomo buono” a detta di tutti (Antichità Giudaiche 18:116);
2) Giovanni era radunatore di folle;
3) Giovanni fu vittima del Potere.

I vari Giuda il Galileo, Teuda, il “Profeta Egiziano”, Giovanni di Gamala, ecc., potevano pure soddisfare il secondo requisito e/o il terzo, ma di certo non venne riconosciuta loro dal popolo una bontà d'animo, tantomeno da un filoromano come Flavio Giuseppe.
il problema per un cristiano storicista è evidente: se Giovanni il Battista presentava tre aspetti così fondamentali anche per l'inventato Gesù di carta (reverenza popolare, notorietà e martirio innocente), come mai un uomo simile non conobbe affatto il Gesù di carta?

Forse il problema sarà compreso più facilmente se lo presento nella forma di una dicotomia tanto insolubile quanto imbarazzante (per “Marco”): se tutti gli ebrei – e perfino i lettori greco-romani di Flavio Giuseppe – furono scossi dal sentire quanto sembrasse buono, famoso e martire innocente Giovanni il Battezzatore, allora quanto sarebbe assai più inaspettato per i futuri lettori dei vangeli il loro sgomento al senso di spaventosa distanza tra l'esistenza storica di Giovanni (chiamato il Battista) e quella sola presunta (perchè essenzialmente non-storica) di Gesù (che fu chiamato Cristo) ?

È chiaro che quella distanza, così imbarazzante, aveva da essere compensata, se non in proto-Marco, quantomeno in Marco e a seguire in tutti gli altri vangeli. Quest'imbarazzo – l'imbarazzo di un Gesù di carta ignaro di Giovanni il Battista, e viceversa – doveva essere superato – con la menzogna, se necessario. E così ecco l'ennesima prova che chi evemerizzò Gesù la prima volta sulla Terra, ossia “Marco” (autore), agì così deliberatamente col proposito di ingannare, e soddisfare, gli stupidi hoi polloi.

Il malcelato imbarazzo all'idea che uno storico Giovanni il Battista in vita sua non conobbe mai Gesù è grande ancor oggi, visto come si affannano goffamente i folli apologeti cristiani, come e peggio del proto-cattolico “Matteo”, a rendere Giovanni e il Gesù di carta non solo ciascuno a conoscenza dell'altro, ma anche ciascuno profondo estimatore dell'altro.
La realtà non è che i due non si stimassero a vicenda, ma peggio (!): che i due non si conoscevano affatto perchè l'uno era esistito (Giovanni) mentre l'altro non era esistito (Gesù).

La menzione di Giovanni il Battista nella santa favola di “Marco” è quindi una prova contro il Gesù storico, perchè è evidente e atteso l'imbarazzo dell'inventore nel caso di una sua eventuale mancata introduzione di Giovanni nel racconto: “Marco” non avrebbe mai avuto bisogno di menzionare un predicatore “buono, famosissimo e per giunta vittima innocente del potere”, all'inizio della sua narrazione, a meno che non portasse un nome diverso da “Gesù” e fosse, a differenza sua, realmente esistito, pena altrimenti di rassegnarsi alla terribile “evidenza” di un Gesù di carta preteso “buono, famosissimo e per giunta vittima innocente del potere” eppure – e qui risiede la fonte ultima dell'imbarazzo – del tutto trascurato da un personaggio (realmente) storico di egual valore quale fu Giovanni il Battista.

Nel più antico vangelo, l'eventuale silenzio del Gesù di carta intorno ad un eroe popolare come Giovanni, del tutto ricambiato nella Storia reale da un Giovanni il Battista in carne e ossa verso il Gesù predicato da Pietro e da Paolo, sarebbe stato troppo imbarazzante, addirittura controproducente, per il primo fabbricatore del Gesù di carta (cioè “Marco”): sarebbe equivalso all'implicito riconoscimento della totale inesistenza del Gesù che “Marco” (autore) si apprestava, su carta, a vendere come storico.

E così il criterio di imbarazzo, in questo caso, lungi dal dimostrare la storicità del battesimo di Gesù da parte di Giovanni, ne conferma invece il carattere puramente mitologico e leggendario: un Gesù a conoscenza di Giovanni, al punto da dirigersi personalmente da lui pur di riceverne il battesimo al pari di un qualsiasi altro suo oscuro seguace, fu evidentemente meno imbarazzante per “Marco” – evidentemente il suo piccolo finto “prezzo” da pagare – rispetto ad un Gesù ignorante di Giovanni e che – peggio ancora! – da Giovanni non fu affatto visto né udito in tutta la sua nobile vita.

Molti secoli dopo, la stessa logica di “Marco” dietro l'introduzione di Giovanni nel suo vangelo porterà un sovrano ugonotto a pronunciare la famosa frase: “Parigi val bene una messa”.

Questo ci dice anche che i caratteri del Gesù fittizio mutuati dal Giovanni storico – ricordiamoli di nuovo: notorietà, buona fama e morte innocente – furono così tanto connaturati al DNA stesso del Gesù di carta (nelle intenzioni del suo inventore) che immaginare un Gesù diverso – un ipotetico Gesù storico puntualmente non famoso, non amato dal popolo e non martire innocente – significa di fatto, a meno che non si voglia ridicolizzare la questione, quantomeno trovarsi nella profonda necessità – come prima e perfino più di prima – di una prova indipendente ed extra-evangelica dell'esistenza storica di quest'altro Gesù così diverso dal Gesù di carta.

In un blog precedente del
10/02/17 avevo già illustrato come lo stesso Giovanni il Battista venisse allegorizzato da “Marco” (autore) nientemeno che nella Parabola del Seminatore, più precisamente in quella parte di seme finito lungo la “via”, impedito dal metter radici perchè “divorato” da “uccelli”. Sempre in quel blog, avevo anche accennato all'identificazione di Erode con chi “divorò” simbolicamente Giovanni, in una scena che presenta tutti i tratti di una macabra “contro-eucarestia”, come ebbe a dire efficacemente Henrik Tronier:
 Come introduzione a questa sezione, Marco narra in 6:14-29 l'incidente circa Erode e Giovanni il Battista in maniera che i lettori lo vedano come dotato di un significato simbolico. Ciò che otteniamo è una pervertita contro-eucarestia: un deipnon tra i capi politici ebrei che è dominato dalle passioni del corpo (desideri sessuali) e in cui la testa di Giovanni il Battista è servita su un vassoio. (Fortunatamente, io non sono il solo a leggere la storiella in questo modo; si veda Iersel 1998 ad hoc.).
(Henrik Tronier, “Philonic Allegory in Mark”, pag. 33, mia libera traduzione)
Ora, io penso che quell'identificazione allegorica (il “seme” finito lungo la “via” come lo stesso Giovanni preparatore della “via” al futuro Messia) aiuti a comprendere – e nel contempo ad esaurire completamente – il ruolo ed il significato di Giovanni nel primo vangelo:

1) egli viene prima di tutti gli altri “semi” (prima di Pietro, il “seme” inutile che cade nel terreno pietroso, prima di Giacomo e Giovanni, il “seme” inutile caduto “nelle spine” della loro ambizione dei primi posti – si veda Marco 10:35-45 – prima di Paolo, il “seme”, l'unico “seme”, che porterà immenso “frutto” tra i gentili nella “terra buona” – la “Galilea dei gentili”) e in questo senso è anteriore cronologicamente alla setta cristiana.

2) egli non è cristiano e non vide neppure la “colomba” dello spirito posarsi sul capo del Gesù di carta, in Marco 1:10-11, e poichè morì precocemente per mano di Erode (essendo in questo senso il seme “divorato” prematuramente dagli “uccelli”, in una sorta di macabra contro-eucarestia, appena prima di recare veramente “frutto”) non fece in tempo a conoscere il Gesù di carta perchè – è sottinteso – se soltanto gli fosse stata data la possibilità, l'avrebbe riconosciuto senza indugio, dalle sue stesse opere, come il Messia da lui stesso profetizzato.

In questo modo Giovanni diventa il profeta simbolo di tutti i profeti anteriori a Cristo, e come loro, “seme” martirizzato troppo presto dal malvagio di turno perchè divenisse capace di realizzare pienamente l'identità del Messia da lui stesso profetizzato.

Così quello che per “Marco” rischiava d'essere un reale e imbarazzante punto di debolezza e di estrema vulnerabilità – l'esposizione alla facile accusa che non perfino il grande eroe popolare Giovanni il Battista conobbe il Gesù di cui pure avrebbe inconsapevolmente imitato le orme – fu trasformato da “Marco”, con un genuino colpo da maestro, in un formidabile punto di forza: Giovanni il Battista venne fisicamente a contatto con Gesù – addirittura lo battezzò! (“come puoi dubitarne che non lo fece?”, sembra domandare con fin troppa sospetta enfasi l'inventore “Marco” del Gesù di carta) – però non fece in tempo a riconoscerlo per la figura da lui stessa predetta, perchè caduto troppo precocemente vittima innocente del malvagio Erode, come da copione per ogni vero profeta del Messia degno del ruolo.

La decapitazione di Giovanni per mano di Erode costituisce quindi per “Marco” un provvidenziale espediente narrativo così da allegorizzare adeguatamente Giovanni dietro il seme “divorato” dagli “uccelli” troppo presto per poter recare “frutto” a beneficio della “Parola”, ma intanto “Marco” avrebbe almeno esorcizzato il rischio imbarazzante (e soprattutto: reale) di un Gesù sconosciuto a Giovanni, rendendo consapevole il secondo dell'esistenza del primo almeno durante un'unica, brevissima quanto fittizia, occasione: durante il battesimo di Gesù al Giordano.

Una consapevolezza (di un Gesù storico) altrimenti evidentemente mancante nel Giovanni il Battezzatore realmente esistito.

    
Perchè probabilmente un Gesù storico non era mai esistito.


Nel frattempo, il lettore non-iniziato di “Marco” non avrebbe mancato di riconoscere – ed apprezzare – il fatto che Pietro e il resto dei dodici, seppure resi partecipi privilegiati della prolungata compagnia del Gesù di carta (a differenza del Battezzatore che lo vide in una sola breve occasione, secondo il racconto) furono così idioti da non riconoscerlo come messia crocifisso – addirittura da rinnegarlo o abbandonarlo come tale: un peccato mortale che invece di certo non avrebbe commesso Giovanni il Battista, se solo gli fosse stato concesso di sopravvivere più a lungo nel racconto. Proprio come nella Parabola del Seminatore il seme caduto lungo la “via”, se non fossero intervenuti troppo presto gli “uccelli” a “divorarlo”, avrebbe di certo recato “frutto” in egual misura al seme caduto sulla “terra buona” (simboleggiante Paolo).

Giovanni il Battista fu dunque trasformato dal paolino “Marco” (autore) in una sorta di Paolo mancato, e in quella misura, un precursore di Paolo stesso nella figura del Gesù di carta.

È “Marco” stesso, fingendosi “Erode”, a reiterare il punto che Giovanni sarebbe stato un alter Christus, ovvero un “altro Paolo”, se soltanto avesse conosciuto più a fondo “Gesù”/Paolo:
Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui». Altri invece dicevano: «È Elia»; altri dicevano ancora: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!».
(Marco 6:14-16)

Ma intanto gli inventori avevano ottenuto ciò che volevano: “il suo nome”, quello di Gesù, “era diventato famoso”, e così la fama positiva – e soprattutto: storica – di Giovanni il Battista sarebbe andata a maggior gloria del Gesù di carta, agli occhi dei lettori di Marco.

Quest'analisi si ricollega per via indiretta, perciò, a quella fatta da Tom Dykstra a proposito di Giovanni il Battista nel primo vangelo:
Presentazione di Giovanni il Battista come un'Immagine di Paolo

Non è difficile vedere che esistono alcuni paralleli tra Giovanni il Battista e Gesù in Marco, da una parte, e tra Paolo l'Apostolo e Gesù, dall'altra parte. Giovanni predicava (κηρύσσω) un Gesù che doveva venire dopo di lui. Paolo predicava (κηρύσσω) un Gesù risorto che doveva venire al giudizio dopo di lui. Giovanni predicava conversione e battesimo come una preparazione per l'incontro col Signore venturo; Paolo predicava conversione e batteismo come preparazione per l'incontro col Signore venturo. L'opera di Giovanni come battezzatore cominciò “nel deserto”, che implica che era una terra non-ebraica; quella di Paolo fu commissionata da Dio come l'apostolo dei gentili e cominciò la sua opera apostolica nel deserto dell'Arabia, una terra non-ebraica. Giovanni proclama di essere “non degno” di Gesù esattamente allo stesso modo in cui Paolo proclama di essere “non degno” di Gesù:

E predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non sono degno (οὐκ εἰμὶ ἱκανὸς) di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.”
(Marco 1:7)

Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e io non sono degno (οὐκ εἰμὶ ἱκανὸς) di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.
(1 Corinzi 15:9)
Il passo di 1 Corinzi è lo stesso contenente il tema de “l'ultimo sarà il primo” e de “il minimo sarà più grande”, che come mostrai prima è un altro modo di Marco per alludere a Paolo.

È anche significativo che Gesù esplicitamente difende l'autorità di Giovanni in Marco, e che fa questo giusto dopo la purificazione del tempio così che possa diventare un luogo di preghiera per “le nazioni”. Di fatto, Marco si assicura che il passo circa l'autorità di Giovanni comincia in una maniera che la collega direttamente alla purificazione del tempio:

Andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: «Dal cielo», risponderà: «Perché allora non gli avete creduto?». Diciamo dunque: «Dagli uomini»?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
(Marco 11:27-33)
Il dilemma dei “capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani” è lo stesso di quello dei “pilastri” della chiesa di Gerusalemme: se l'autorità di Paolo non proveniva da Dio, perchè loro fecero un accordo con lui (Galati 2:1-10)? E poi se l'autorità di Paolo non proveniva da Dio, perchè loro rinnegarono il loro accordo con lui (Galati 2:11-14) ?
(Tom Dykstra, Mark, Canonizer of Paul, pag. 147-149, mia libera traduzione)

La cooptazione di Giovanni il Battista come una specie di “Paolo mancato”, attuata così efficacemente dal creatore del primo vangelo, non avrebbe placato i cristiani successivi dal fare del Battezzatore un indiretto alfiere dei loro contrapposti punti teologici.

In particolare, l'autore di proto-Luca (alias Mcn), vale a dire l'eresiarca Marcione, fece di Giovanni il disilluso testimone, ancor prima di morire, della messianicità fondamentalmente non-ebraica di Gesù, di cui arrivò ad annusare – e solamente ad annusare – che si trattava in realtà del Messia di un altro dio (il “dio buono” e alieno di Marcione, superiore al dio degli ebrei).

Ovviamente, a tale scopo, Marcione aveva necessità di far sopravvivere Giovanni il Battista nel suo racconto quel tanto che basta perchè potesse giungere a conoscenza, in carcere e tramite i suoi discepoli, delle incredibili e straordinarie imprese compiute dal Gesù di carta, e averne in tutta risposta una reazione negativa, al limite della disillusione e della frustrazione.

Questo punto è illustrato ottimamente dal prof Markus Vinzent:
Dopo la guarigione del servo quasi morto del centurione, Gesù, i suoi discepoli e la folla entrano a Nain e questa volta si trovano di fronte al cadavere di un uomo morto, “l'unico figlio di sua madre”, “una vedova”. Ancora più potente di prima, Gesù resuscita il figlio e lo restituisce alla madre. Come reazione - la folla è presa dalla paura, ma anche glorifica Dio, affermando che '“Un grande profeta è venuto avanti” e che “Dio è venuto per aiutare la sua gente”, il più forte riconoscimento di Gesù come un Μέγας προϕήτης in questo vangelo da parte della folla e dei discepoli. Eppure, in Mcn, questa dichiarazione serve per contrastare Gesù, il mega-profeta, con Giovanni, il Battezzatore – e qui, troviamo la seconda correzione di Luca che distoglie lontano la linea della storia da questo confronto. Senza evidenziare tutti i dettagli della differenza tra Mcn e Luca (per esempio, il passaggio da “Gesù” a “Signore” in Luca), il primo grande cambiamento è che Luca rimosse il ponte tra la pericope precedente con la resurrezione del ragazzo di Nain e la nuova pericope dell'incontro con i discepoli di Giovanni, dove Mcn introduce Giovanni Battista come colui che “dopo aver udito le sue [di Gesù] opere, fu scandalizzato”. Dopo aver rimosso questa forte caratterizzazione di Giovanni, Luca, però, perduta l'inquadratura di tutta la storia, come la benedizione di Gesù al termine del dibattito coi discepoli di Giovanni nel suo riferimento a Giovanni e ai propri discepoli, torna all'apertura: “Beato chi non è scandalizzato da me”. Detto questo, e una volta congedati i messaggeri di Giovanni, Gesù approfondisce questo rimprovero di Giovanni perfino di più, ammonendo la folla che potrebbe aver cercato un profeta, e lui non nega che Giovanni il Battista fosse un profeta, addirittura il più grande “nato da donna”, ma aggiunge che “colui che è più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui”. Anche in questo caso, senza elaborarlo qui – è importante sapere che per tutto il secondo secolo, Marcione era noto per aver contrastato Gesù contro Giovanni il Battista e, come dichiarava il suo vangelo (Luca 16:16 par.), come è ancora noto in Giustino ed Ireneo, che la legge e i profeti terminarono con Giovanni il Battista: “la legge e i profeti esistevano fino a Giovanni; da allora, il regno di Dio è stato proclamato. Perciò è più facile che passino il cielo e la terra, piuttosto che cada un sol apice della legge del Signore”. Come intese correttamente Giustino e come riporta Ireneo, la legge che “ha avuto origine con Mosè”, fu “terminata con Giovanni per necessità” (Ireneo, Adv. Haer. IV, 4). Il nuovo editto del Signore, tuttavia, era più robusto di quanto il cielo e la terra potessero mai essere. E tuttavia, di nuovo, in questo caso, Luca capovolge Marcione, sostituendo “Signore” e facendo dire a Gesù che il cielo e la terra passeranno più facilmente che un piccolo apice di una lettera della Legge”. Si realizza quindi senza alcuna sorpresa che Luca aggiunge i versi 7:29-35 alla pericope che abbiamo discusso in precedenza, al fine di sostenere e rivendicare la sapienza, il Battista, criticando la critica di Giovanni, mettendolo alla pari con le critiche sollevate contro Gesù e incolpando i farisei: “E tutto il popolo che lo aveva udito, e i pubblicani riconobbero la giustizia di Dio, e si fecero battezzare del battesimo di Giovanni. 7:30 Ma i farisei e i dottori della legge respinsero il disegno di Dio per loro e non si fecero battezzare.  ... 7:33  È venuto infatti Giovanni Battista che non mangia pane né beve vino, e voi dite: "Egli ha un demone". 7:34 È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: "Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori"”.
(estratto da Markus Vinzent, Jesus versus John the Baptist, fonte, mia libera traduzione e mia enfasi)
Viceversa, il protocattolico – e finto giudeocristiano (se per giudeocristiano si intende un reale seguace dei Pilastri storici e di Pietro) – “Matteo” (rieditore di “Marco”) necessitò di ritardare appositamente la morte di Giovanni nel suo racconto appena in tempo perchè egli potesse, sia pure in prigione, goderne le news circa i suoi straordinari miracoli e confermarne così, sia pure in extremis, la totale continuità – in senso anti-marcionita – con la propria azione e la propria ebraicità.

Ma sebbene gli occhi degli stupidi hoi polloi – tra gli ebrei, i pagani e gli stessi cristiani non-iniziati – non vedevano altro che il Gesù di carta come presentato loro dai suoi primi propagandisti, dentro quasi ognuno di loro, sepolto come in un sogno dimenticato in ognuno di loro, c'era l'immagine perfetta di un altro Gesù, conosciuto appena qualche decennio prima: un Gesù arcangelo celeste, mai sceso sulla Terra nel recente passato.

Ma i primi propagandisti del Gesù di carta non lasciarono spazio a quell'altro, più antico Gesù, mentre erano alacremente intenti nella loro opera di diffusione, a macchia d'olio, del nuovo credo in un presunto “Gesù storico”.

Uccisero così l'entità invisibile nella quale gli occhi dell'apostolo Paolo, e dei Pilastri prima di lui, erano stati trascinati nel corso di sogni, visioni, allucinazioni.

E chiusero definitivamente, meglio che potevano, le loro menti e quelle degli altri cristiani, davanti all'abisso che è dimora del Gesù mitico e invisibile dei primi apostoli cristiani.

Nessun commento: