lunedì 17 aprile 2017

Circa «Le mystère de Jésus» di Paul-Louis Couchoud (V)

 (Questa è la quinta parte della traduzione italiana di un libro del miticista Paul-Louis Choucoud, «Le mystère de Jésus». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


— V. ERNESTO RENAN, ALFREDO LOISY.

 
L'esistenza positiva di Gesù è forse provata dall'esistenza del cristianesimo?
Molti storici pensano così. Essi ammettono che i Vangeli, pur non essendo buoni documenti storici, sono ancora utilizzabili, e che dopo tutto essi presentano le cose come sono successe. Essi trovano che l'inizio del movimento cristiano non si può spiegare se non con l'azione di un uomo di carne e d'ossa che dopo la sua morte fu trasportato nella sfera della divinità. È questa l'opinione che Renan ha reso popolare e superficialmente evidente. Tuttavia, guardando in fondo, io la credo insostenibile.
Ci sono due punti da esaminare: in qual modo, nello stato difettoso o per meglio dire manchevole dei documenti, si possa tuttavia ricostituire Gesù nel piano storico, e se il Gesù della congettura si connetta facilmente coi primi documenti sicuri del cristianesimo.
Cominciamo con mandar via, coronandolo di lauri e di giacinti, l'armonioso Sileno che sulla sua siringa divina modulò la Vita di Gesù.
Dotto accorto, Ernesto Renan aveva dichiarato che a gran pena si ottiene una pagina di storia sul personaggio reale che portò il nome di Gesù, ma nella capanna maronita di Ghazir, presso l'antica Byblos, tentato dal demone dell'arte e del viaggio, egli scrisse senza fatica su Gesù più di quattrocento pagine deliziose.
Il principale difetto di questo allievo di San Sulpicio è quello di non tener conto sufficiente della teologia. Egli non vuol vedere che i vangeli hanno un carattere profondamente dottrinale, e che essi dipendono strettamente dal poema teologico di Paolo. Gli piace farne semplici leggende ingenue come certe leggende di santi o come i racconti che avrebbero potuto fare tre o quattro vecchi soldati dellimpero che si fossero messi, ciascuno per suo conto, a scrivere la vita di Napoleone coi loro ricordi.
“Uno di essi metterebbe Wagram prima di Marengo; un altro scriverebbe senza esitare che Napoleone cacciò dalle Tuileries il governo di Robespierre; un terzo ometterebbe campagne, della più alta importanza. Ma una cosa risulterebbe certamente con un alto grado di verità da quegli ingenui racconti, ed è il carattere dell'eroe, l'impressione ch'egli faceva intorno a lui” (Vie de Jésus, 2 ed., 1863, pag. 44-45).
Gesù diventa dunque l'eroe di un racconto del tutto nuovo, di un ultimo Vangelo, dove gli elementi dei primi sono ricomposti dall'arbitrio sovrano dell'arte.
La vita di Maometto ha dato l'idea di un progesso graduale ed interessante nelle idee di Gesù (Vita di Gesù, pag. 57-58). Altri ancora oltre Maometto vennero a prendere la posa quando il modello sfuggiva. Il San Francesco d'Assisi di Ozanam presta molti lineamenti al fine e giocondo moralista dell'inizio. Condusse con sé la sua dolce Umbria, diventata una Galilea vaporosa. Lamennais ha posato per il cupo gigante della fine (Vita di Gesù, pag. 326).
Sotto il suo bianco mantello arabo il Gesù di Renan è mirabilmente informato delle questioni morali e politiche del secolo XIX. Egli ha molto frequentato i san-simoniani e Michelet, Quinet, Pietro Leroni, Giorgio Sand, Alfredo de Musset, tutto quell'ambiente. È in ottimi rapporti coi circoli parigini del 1863. Per questo è tanto piaciuto e tanto dispiaciuto.
Democratico, certamente, umanitario, uomo del 48, ma staccato dal contatto malsano delle necessità politiche, fondatore della “grande dottrina di sdegno trascendente” (Vita di Gesù, n. 119). Panteista con eleganza, hegeliano, idealista pedalo. Nemico dei preti, apostolo del culto puro e della religione liberata da ogni forma esterna. Affascinante soprattutto, squisito, circondato dalla simpatia delle donne, pieno d'indifferenza superiore, tuttavia amatore delle frequentazioni delicate. Quando, dopo una lunga attesa, l'autore svelò d'un colpo il suo quadro, non ci fu che una voce: “Ma questi è il signor Renan!”.
Successo prodigioso, insuccesso clamoroso, la Vita di Gesù deve scoraggiare per sempre coloro che cercassero di poter supplire col genio alla mancanza d'informazione.
Dopo Renan si è visto che si poteva rinunciare a scrivere una vita di Gesù. Tutti i critici si accordano nel riconoscere che mancano i materiali per una simile impresa. Si condusse su testi evangelici un lavoro d'analisi metodico e colossale. In generale si conservò l'opinione principale di Renan e del secolo XIX, che i Vangeli costituiscono una pia leggenda abbellita, completata, adattata, ma in fin dei conti referentesi ad una persona reale. Tuttavia l''idea che Gesù sia un essere tutto soprannaturale o mitico fu proposta e confortata di ragioni troppo confuse da Alberto Kalthoff e Arturo Drews in Germania, da John M. Robertson in Inghilterra, da W. Beniamino Smith in America.
Lo stato attuale della critica evangelica mi sembra ben rappresentato dai lavori di Alfredo Loisy e di Carlo Guignebert in Francia, di Edoardo Meyer e di Bultmann in Germania, di Vincenzo Enrico Stanton in Inghilterra; di Beniamino W. Bacon in America. Questi lavori condotti con metodi analoghi, giungono ad analoghe conclusioni. Fra i maestri della critica odierna è lecito prendere per tipo Alfredo Loisy, a nessuno inferiore per l'autorità che dànno il sapere e l'esattezza.
Temperamento di apologeta equilibrato da un'umile e fiera sottomissione ai fatti, spirito di una sicurezza meravigliosa, “perpendicolare” come fu detto, prudente e fine, gaio e delicato, progrediente con impulso regolare, incessantemente allargato e nuovo, Loisy è la gioia dell'intelligenza. In lui il gusto completa la scienza. La sua dialettica è una lama di cui non ci si stanca di contemplare il gioco serrato. Io gli devo quasi tutto ciò che so e gli direi la mia gratitudine se non temessi di essere rinnegato da lui e respinto nel mucchio dei mitologi di cui egli ha orrore e che soli gli fanno perdere la sua buona grazia quasi sempre serena.
Egli mi fa pensare ad un saggiatore che non finisce mai di saggiare le sue monete, di pulire la sua pietra di paragone e di perfezionare la sua bilancia. Da trent'anni tutti i “pericopi”, versetti del Vangelo, passano e ripassano nella bilancia di precisione. Molti documenti che dapprima erano sembrati avere un titolo sufficiente furono in seguito scartati.
Fin dal 1903 tutto quanto il quarto Vangelo fu dichiarato sprovvisto di qualsiasi valore storico, il saggio fu confermato e completato nel 1921 (A. Loisy, “Il quarto Vangelo”, Parigi 1903). Senza essere pura allegoria, tutto il libro è simbolico. Non è altro che una visione mistica: attraverso i racconti ed i discorsi si sviluppa la manifestazione del Logos, luce e vita.
“L'autore non conobbe mai altro che un Cristo liturgico, oggetto del culto cristiano... Da quei frammenti di biografia divina, non si sprigiona nessuna impressione di realtà”.
Nei Vangeli sinottici la lega sembra a Loisy via via più mediocre, il contenuto storico via via più debole, la differenza essenziale dal quarto Vangelo sempre meno accentuata.
Ecco come riassume egli stesso, sottilmente, i risultati del suo ultimo saggio:
“La critica diretta della leggenda evangelica ci fece vedere come si costruiì l'epopea ingenua, incoerente, candidamente ardita nelle sue finzioni che sono i nostri quattro Vangeli. In fondo, alcuni ricordi abbastanza magri, aggiustati nella tradizione, accomodati allo stile dell'Antico Testamento. E poi, dei miracoli... di cui il meglio che si possa dire è questo, ch'essi sono nel gusto dell'epoca e che probabilmente rassomigliano a quelli che poterono essere attribuiti a Gesù mentre viveva, o ancor meglio che la maggior parte di essi, se non tutti, fu compresa come simbolo concreto dell'opera spirituale compiuta da Gesù. Molti incidenti immaginati per dare rilievo al racconto e soprattutto per l'adempimento delle profezie e con uno scopo apologetico. Il tutto più o meno coordinato alla commemorazione rituale dell'epifania messianica e della salvezza realizzata con la morte di Cristo”.
Allo storico spetterà l'arduo compito di estrarre alcuni ricordi abbastanza magri dal grande cumulo e dal mucchio incoerente formato dagli accomodamenti alla Scrittura, dai simboli concreti, dalle finzioni apologetiche o letterarie, dai miti finali. Tanto sarebbe cercare un bagliore di minerale fra la cupa materia greggia di un filone metallico; o estrarre qualche granello di miglio da un grosso mucchio di sementi rimescolate. Chi non si sentirebbe scoraggiato, come la povera Psiche? Occorrerebbe l'aiuto di formiche che fossero un pò fate.
Seguiamo un istante Loisy alle prese col compito di Psiche. Vediamolo, per esempio, di fronte alla prima parte di Marco (Loisy, “La leggenda di Gesù”, 1922). Si è curiosi di spiare il punto preciso in cui egli prende la responsabilità, nella sua coscienza di storico e di critico, di dire: questo è storia!
Il battesimo di Gesù ha un significato storico?
“Questo significato è difficile da precisare. Il più chiaro è questo, che Gesù, come iniziatore del mistero cristiano, è ritenuto aver ricevuto per primo il battesimo spirituale, il vero battesimo che i suoi fedeli ricevono dopo di lui...: questo è il mito dell'istituto battesimale. È chiaro pure che Giovanni rappresenta una setta affine alla setta cristiana, anteriore a quest'ultima e da cui la setta cristiana in certo modo procede. Fu presa la precauzione di far proclamare da Giovanni la superiorità del battesimo cristiano e la missione trascendente di Gesù: questo è un mito apologetico e polemico”.
La Tentazione? Mito sicuro.
La chiamata dei quattro pescatori e la giornata a Cafarnao?
“Vi si può ravvisare un rudimento di ricordo storico concernente l'inizio dell'attività manifestata in Galilea da Gesù. Tuttavia la vocazione dei discepoli vi appare già presentata come un atto sovrano del Cristo-Salvatore che sveglia i suoi amici e affida una missione ai suoi ausiliari”.
La guarigione del lebbroso? Miracolo non identificato come simbolico.
“Sembra che il racconto abbia significato simbolicamente ciò che fu detto con parole chiare nel racconto seguente: la potenza di purificazione, di giustificazione che appartiene al Figlio dell'uomo, al Cristo di mistero. È dunque una mistica copia della prima giornata di Cafarnao”.
La storia del paralitico?
“Vi fu inserito tutto uno sviluppo sul potere che il Figlio dell'Uomo ha di rimettere i peccati, ciò che attribuisce ad un miracolo di guarigione, concepito dapprima come frutto della fede, il senso mistico che sembra appartenere alla guarigione del lebbroso”.
Le dispute fra Gesù ed i Farisei?
“Esse fanno eco alle polemiche sostenute dal cristianesimo nascente contro il giudaismo”.
Gesù trattato da pazzo dai suoi?
“Può darsi che il fatto non sia successo nelle condizioni che si dicono e che sono d'altronde insufficientemente indicate, nondimeno il racconto dà una impressione di realtà per quanto riguarda il suo significato generale”.
La scelta dei Dodici?
“Essa anticipa, ponendolo nella vita di Gesù, ciò che può essere stata un'istituzione della prima comunità. Tuttavia la finzione ha rapporto con una realtà: Gesù arruolò dei discepoli... che furono come lui grandi esorcisti. Il cristianesimo nacque in un'atmosfera di pesante spiritismo”.
Gesù che calma la tempesta? È il potere di Cristo sugli elementi “come immagine della sua funzione salvifica e dell'avvenire cristiano”. L'indemoniato di Gerasa? È il suo potere sui demoni “in condizioni che potrebbero simboleggiare la futura conversione dei pagani”. L'emorroissa e la figlia di Giairo? Vi si vede “la funzione del Salvatore che procura agli uomini mediante la fede il perdono e l'immortalità”.
Gesù che non è profeta nel suo paese?
“Sebbene l'aneddoto possa simboleggiare l'incredulità ebraica e spiegarla in qualche modo con una locuzione proverbiale, ciò che è detto della professione esercitata da Gesù, da sua madre, dai suoi fratelli e dalle sue sorelle dà qualche impressione d'antichità e di realtà”.
La prima moltiplicazione dei pani?
“Qui siamo in pieno mito. È il primo mito della istituzione della cena cristiana”.
L'esorcismo compiuto a distanza sulla fanciulla pagana?
“Esso significa che le nazioni devono essere salvate da Gesù, senza essere visitate da lui come furono visitati gli ebrei”.
La guarigione del sordomuto? Situata in terra pagana, “essa desta l'idea della salvezza dei Gentili, e la raffigura”. La seconda moltiplicazione dei pani? “Essa raffigura l'iniziazione dei Gentili al mistero cristiano”.
La guarigione del cieco di Betsaida? Nel suo contesto essa “non può altro che rappresentare l'educazione progressiva dei primi discepoli, la loro adesione e ad un tempo l'origine della comunità giudeo-cristiana, come la guarigione del sordomuto figura la conversione dei Gentili e l'origine della chiesa giudeo-cristiana”.
Pietro che dichiara: Tu sei il Messia!
“Ci si potè chiedere se la dichiarazione non anticipava la fede che i discepoli avrebbero acquistata soltanto dopo la morte di Gesù. Ma, se Gesù è esistito, i duoi discepoli non poterono crederlo dopo la sua morte vivente resuscitato dove non avessero precedentemente creduto alla sua missione messianica, quantunque questa fede abbia dovuto mostrarsi discreta”.
Fermiamoci qui e domandiamo: insomma, nell'intera leggenda di Gesù che cosa vi è di più consistente? Loisy risponde:
“Nulla nei racconti evangelici ha consistenza di fatto, tranne la crocifissione di Gesù per sentenza di Ponzio Pilato per causa di agitazione messianica”.
Su questo punto, Loisy mantenne un'affermazione categorica. Nella sua autobiografia, capolavoro di letteratura interiore, storia sobria e drammatica di una coscienza, egli dice in data del 1894:
“Io non accettavo alla lettera nessun articolo del simbolo, salvo quello che Gesù fu crocifisso sotto Ponzio Pilato” (“Cose passate”, pag. 165).
Nel 1907 egli scriveva:
“Se Gesù non fu condannato a morte come re dei giudei cioè come Messia, per sua propria confessione, si può altrettanto bene sostenere che egli non è esistito” (Vangeli sinottici, I, 212).
Nel 1910 egli ripeteva:
“Se questo fatto potesse essere revocato in dubbio, non si avrebbe più motivo di affermare l'esistenza di Gesù” (“Gesù e la tradizione evangelica”, pag. 45).
Così Gesù non si attacca alla storia se non per la sua condanna. Egli ne pende per un filo.
Diremo dunque che Loisy accetta come storico il racconto della Passione? Lungi da ciò! Quasi tutti gli incidenti del ciclo della passione “non costituiscono una catena di ricordi, ma furono dedotti dai testi biblici (“La leggenda di Gesù”, 1922, pag. 434)... Si potrebbe quasi dire che la passione fu costruita sul Salmo 22... (ibid., pag. 453). I fatti sono descritti per il loro valore mistico, non secondo il loro sviluppo storico... Della relazione del processo nulla è consistente, fuorchè l'accusa di pretesa alla regalità messianica”.
Loisy tiene il racconto della Passione per mitologico in gran parte; nella Passione di Marduk scrive:
“I Vangeli non raccontano la morte di Gesù..., ma esprimono il mito della salvezza realizzato con la sua morte, perpetuato in certo modo nella cena cristiana, intensamente commemorato e rinnovato nella festa pasquale. Nessun dubbio che il mito cristiano sia apparentato con altri miti di salvezza. Non per caso la resurrezione di Cristo nel terzo giorno dopo la sua morte si trova conforme al rituale delle feste di Adone. L'aneddoto di Barabba, la sepoltura per opera di Giuseppe d'Arimatea, la scoperta della tomba vuota sono finzioni apologetiche. L'episodio dei due ladroni crocifissi con Gesù potrebbe pure essere tale. E nulla si oppone al fatto che l'invenzione di tali episodi sia stata facilitata o suggerita in un modo o nell'altro dalle mitologie circostanti”.
Ma il fatto primordiale, la crocifissione di Gesù per sentenza di Ponzio Pilato, rimane intangibile. Nonostante il Salmo 22, che è all'immaginazione mistica un sufficiente tema della crocifissione, nonostante l'espressa dichiarazione di Paolo che Gesù fu crocifisso dai Principati celesti (e Pilato non è però tale), Loisy tiene fuori di contestazione la crocifissione di Gesù per sentenza di Pilato. Fortemente sicuro di questo fatto storico, egli non teme di amputare quasi tutto il resto col possente acciaio della sua critica.
Immagina un boscaiolo a cavallo sopra un grosso ramo, che taglia il ramo stesso dalla parte del tronco. Ad ogni scheggia che vola gli si grida: guàrdati! Il ramo si romperà e tu cadrai! Egli risponde con un fine sorriso: Non abbiate paura! Per poco che ne lasci, saprò attaccarmici!
A cavallo sulla sentenza di Pilato, resa per causa di agitazione messianica, Loisy nei Vangeli salva unicamente ciò che può accordarsi con l'azione e con la dottrina di un agitatore messianico. Con questo criterio egli stabilisce ciò che dà un'impressione d'antichità e di realtà. Il resto è sciabolato via. Egli ricava così un Gesù molto esile, molto magro, ma che sta diritto, che si comprende, coerente e storicamente possibile.
Se si riduce in termini di storia positiva il Gesù di Loisy si ottiene pressappoco questo:
Durante il gran periodo che si estende dalla deposizione di Archelao all'insurrezione giudaica (66) ci furono in Giudea piccole rivolte abortite che annunciavano la tempesta. Nell'immaginazione giudaica l'espulsione dei romani era connessa con la fine del mondo, cioè con l'avvento di Dio e del suo Messia. Flavio Giuseppe ci fa conoscere tre agitatori più o meno messianici.
L'anno 6 della nostra era, Giuda il Galileo tentò di opporsi al censimento ordinato dal legato P. Sulpicio Quirinio, e fondò il gruppo degli Zeloti che non riconoscevano altro padrone che Dio.
Verso il 44-46 il profeta Teuda, alla testa di una massa di popolo, marciò verso il Giordano da Gerusalemme annunciando che alla sua voce le acque del Giordano si dividerebbero. Il procuratore Cuspio Fado fece disperdere l'adunata dalla sua cavalleria. La testa del profeta fu portata a Gerusalemme (Antichità Giudaiche 20, 5).
Verso il 52-58 un ebreo d'Egitto condusse una folla sino al Monte degli Ulivi, promettendo che le mura di Gerusalemme cadrebbero al suo comando. Il procuratore Felice uscì con la guarnigione. Quattrocento fanatici furono uccisi, duecento fatti prigionieri, l'egiziano scomparve (Guerra Giudaica 13, 5; Antichità Giudaiche, 20, 8, 6).
A questi tre si dovrebbe aggiungere un quarto, omesso da Giuseppe, ricostruito da Loisy. Verso il 26-36 un contadino galileo, artigiano di villaggio, di nome Gesù, “si mise ad annunciare l'avvento di Dio. Dopo un tempo abbastanza bene di predicazione in Galilea, dove arruolò soltanto alcuni aderenti, venne a Gerusalemme per la Pasqua e non riuscì ad altro che a farsi condannare al supplizio della croce, come un volgare agitatore, dal procuratore Ponzio Pilato”. Ecco quanto si sa di lui. Tutto il resto fu immaginato dalla fede straordinaria dei suoi discepoli.
Questo Gesù ha su quello di Renan il grande vantaggio di non essere un personaggio arbitrario, una figura di Ary Scheffer, collocato fuori dello spazio e del tempo. Egli è un vero ebreo della sua epoca. È strettamente verosimile. Entra in una serie sufficientemente nota di rivoltosi disgraziati. La sua avventura modesta e senza rilievo illumina, accanto ad altre più impressionanti, le origini della grande insurrezione. Appartiene ad una serie di ebrei ingenui e chimerici. Aggiunge un nome al largo martirologio della sua nazione.
Se si va al fondo delle cose, si vede ch'egli è semplicemente verosimile. È molto. Se Gesù è esistito, ecco in qual modo egli può essere concepito storicamente. Ma non è tutto? Su che cosa riposa in fin dei conti la sua esistenza reale?
Non si può dire che riposi sui testi. I testi evangelici non si presentano come documenti di storia. Se si presentassero come tali, non potrebbero essere accolti. Gesù disegnato sulla falsariga di Teuda e dell'Egiziano, non esce da questi direttamente. È piuttosto imposto loro. Avendo questo modello nello spirito, si vaglia qua e là e si valorizza qualche frammento che, privo di esso, sarebbe considerato della stessa natura dei frammenti vicini e soggetto alla medesima interpretazione.
In ultima analisi, il Gesù storico è tratto da un'induzione. Lo si distingue male, o piuttosto non lo si distingue affatto, nella caligine dubbiosa in cui è perduto. Egli si trova nel limite della visibilità, o, per meglio dire, al di là. Ma lo si suppone, lo si indovina al fondo del crepuscolo. Lo si decreta d'autorità, lo si suppone come indispensabile, perché occorre che un primo impulso sia stato dato al movimento cristiano.
Poco importa ch'egli sia fuori dalla vista. Egli non poté fare che poca impressione. Nietzsche disse di lui: “Un fondatore di religione può essere insignificante. Un fiammifero, nulla di più!” Loisy riprende per suo conto la parola e dice parlando degli esecrabili
mitologi”: Abbiamo di meglio da fare che confutarli. Se essi diventassero troppo insistenti, chiederemo loro semplicemente: Dov'è il fiammifero?” È l'ultima questione. Bisogna vedere se il Gesù storico disegnato in linee punteggiate spiega bene i testi più antichi e se rende più facile o più difficile comprendere il grande incendio cristiano.

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