giovedì 20 aprile 2017

Circa «Le mystère de Jésus» di Paul-Louis Couchoud (VIII)

(Questa è l'ottava parte della traduzione italiana di un libro del miticista Paul-Louis Choucoud, «Le mystère de Jésus». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


PARTE SECONDA:
IL MISTERO 

— I. CHE COS'È GESÙ ?

Il regno di Gesù è un'immensa città santa. Folle inginocchiate, di ogni razza, tribù, nazione e lingua supplicano, recitano il loro credo, cantano i loro inni e gustano Dio. L'incenso dei cuori sale sotto tutte le volte, consumato in invisibili incensieri. Campane ed organi confondono le loro allegrezze e i loro sogni. Edifici di tutte le età e di tutte le forme si serrano gli uni contro gli altri. Si passa dalla catacomba alla cattedrale, dal nudo chiostro di san Bernardo alla sala d'opera del gesuita. Ogni popolo, ogni generazione ha fatto la sua chiesa secondo il suo gusto. Forse in questo momento nella periferia della città si apre una pagoda indiana, un torii giapponese.
Nel centro della città si trova il piccolissimo edificio intorno al quale tutto il resto è cresciuto. È il primo santuario dove fu adorato il Signore Gesù. La sua forma è singolare, esso somiglia poco ai grandi monumenti usciti da lui. Ricorda piuttosto i templi antichi, suoi contemporanei, distrutti da tanti secoli. Ha come loro un portico aperto a tutti ed una cella chiusa. Si modella, in piccola scala, sul tempio di Gerusalemme, dai sacrati riservati, e più ancora sul telesterion interdetto in cui si conferivano le iniziazioni antiche.
Ad esso io sono ricondotto, mosso da un alto desiderio non alterato da alcun interesse. Avendo sciolto il mio calzare, voglio avanzare sul puro sacrato. Rispettoso profano, voglio intendere ciò che viene enunciato nel telesterion, scorgere ciò che si cela nella cella chiusa. Vi si trova forse, come mi si assicura, il sudario di un cadavere perduto, l'ombra d'un'ombra, una reliquia umana trasformata in idolo gigantesco? Io non credo a ciò che dicono gli intriganti intorno al peristilio. Non ammetto che sopra un equivoco puerile sia fondata l'immensa città la cui durata occupa il terzo dell'epoca storica e la cui estensione copre il terzo dell'umanità.
Dopo due anni, voglio indagare ancora l'enigma di Gesù. Dovrò rivedere i medesimi documenti. Non eviterò alcune ripetizioni. Non si può vedere bene una cosa torbida se non guardandola molte volte. Qui il metodo non è quello dell'arte oratoria e delle sue belle gradazioni, ma quello dell'inchiesta scientifica e dei suoi perpetui ricominciamenti.
L'enigma di Gesù si risolve in un mistero. A questa parola ricca e piena di risonanze io darò il più vasto significato possibile. Il credente parla del mistero dell'Incarnazione nel designare una verità conosciuta mediante la sola rivelazione. Pascal, nel Mistero di Gesù, s'intrattiene con una persona interiormente percepita. I misteri di Eleusi designavano un insieme di riti e di formule che assicuravano l'immortalità beata. La storia di Gesù è una rivelazione fatta al cuore, la vita di un essere che l'anima sola avvicina, un insieme di atti efficaci e di parole viventi che procurano la salvezza. È per eccellenza un mistero.
Il problema di Gesù non è una difficoltà storica ordinaria, uno di quegli alti problemi in cui tutto lo spirito di un'epoca si tende, si sperimenta e si giudica. Gesù fu concepito nello spirito ragionevole e mistico del secolo XVII, poi al modo filosofico dell'Enciclopedia, poi nel gusto romantico di un Renan, poi da Loisy nella luce cruda del materialismo storico. Oggi il progresso del metodo sociologico apre nuove vedute. Credo che verso il 1940 Gesù tutt'intero sarà passato dal piano dei fatti materiali in quello delle rappresentazioni mentali collettive.
All'occhio dello storico le cose concernenti Gesù apparterranno alla storia delle idee, non a quella dei fatti. Ma il significato tutto quanto ne sarà afferrato soltanto dal sociologo; la scuola sociologica francese ha stabilito che le rappresentazioni sacre sono fatti molto consistenti e definiti, oggetti di descrizione precisa e di scienza: sono cose. La storia di Gesù è una rappresentazione collettiva di natura sacra. Sotto questo aspetto è un oggetto di studio esaltato — ed una delle cose più grandi della storia universale. Le concezioni di questo ordine sono connesse col reale mediante un lato simbolico e profondo. Esse traducono certe relazioni oscure dell'universo con l'umanità, che le concezioni razionali sono impotenti ad esprimere. Ma sarebbe ingenuo pensare che esse si congiungano necessariamente a qualche fatto reale. Se così fosse, l'“evemerismo” dovrebbe spiegare tutti gli Dèi. Osiride dovrebbe essere stato un antico faraone, Attis un pastore fra i pastori di Frigia, Adone un cacciatore cananeo, Demetra una contadina egea, Mitra un principe persiano. Credere che l'umanità sarebbe stata incapace di concepire un Dio Gesù se prima un fosse esistito un individuo di nome Gesù, è dubitare fuor di proposito del sovrano genio creatore della religione.
Al contrario, il fatto particolare non saprebbe generare alcunché di divino di larga estensione. L'esistenza dell'individuo Gesù, se fosse provata, toglierebbe al cristianesimo il suo carattere propriamente religioso. La commemorazione iperbolica di un gran morto può a malapena essere chiamata una religione. Il divino è un mondo a parte. Avrete un bel sublimare un uomo, non ne farete un vero Dio.
Gesù è di colpo un vero Dio. Per questo, non può essere stato un uomo storico. Per spiegare in qual modo un uomo storico sarebbe diventato il Gesù di Paolo occorre ammucchiare troppe congetture inverosimili. Non val meglio risparmiarle?
Più medito e più mi convinco che il Gesù storico non è pienamente accettabile se non dai credenti, e da essi soltanto è ben compreso.
Per i credenti, Gesù è un essere senza nessuno del suo genere, unico della sua specie, un Uomo-Dio eterno che si incarnò per insegnarci la verità e morire per noi, che morì come uomo, resuscitò come Dio, risalì al cielo, sua vera dimora, dove attende l'ora di giudicare, cristiane o no, tutte le nazioni, i morti e i vivi, tutti gli uomini.
Questa credenza, in una forma arcaica ma non attenuata, riempie i primi documenti che parlano di Gesù: le lettere di Paolo. Paolo non è il biografo di un saggio né di un martire, è l'apostolo di un Uomo-Dio. Ed i Vangeli si bagnano nella teologia di Paolo e negli ardenti effluvi del culto cristiano. I poeti che li composero, gli uditori appassionati che li ascoltarono, hanno creduto recitare e ascoltare non la vita di un santo ma la storia di un Uomo-Dio, dalla quale dipendeva la loro salvezza.
I credenti posseggono la chiave di quei vecchi testi. Essi li leggono senza fatica, ne penetrano il vero significato. Possono desiderare la spiegazione di un particolare, ma non incontrano difficoltà radicali. Per essi non esiste un enigma di Gesù. L'ostacolo in cui io urto, come mai Paolo avrebbe adorato un ebreo, suo contemporaneo, dandogli gli attributi di Jahvè, non esiste. Paolo trattò Gesù come un Dio perché Gesù è veramente un Dio. I credenti vedono chiaro. Essi non possono compiangere coloro che dichiarano di non vedere altrettanto chiaro.
In esegesi la loro posizione è invidiabile. Essi ricevono di fronte e accettano nel loro senso completo i documenti che i critici prendono di sbieco e dove tentano una cernita azzardata. Se il Figlio di Dio esiste (e per essi questo se è già una bestemmia) tutto ciò che si trova in Paolo e nei Vangeli va preso alla lettera: è parola di Vangelo. Una volta ammesso quel se, l'esegesi ortodossa ha tutti i vantaggi!

Ahimè! — non si ha quanto si vuole la fede cristiana. Non è più dato a chiunque di credere che un essere quale un Uomo-Dio possa esistere ed esista. Ciò è indipendente dalla volontà individuale. Si è prodotta una lenta rivoluzione dell'intelletto.
Sospetto che Kant c'entri per qualche cosa. Si concepisce sempre meno bene una persona che, secondo la curiosa espressione di Illingworth, si trovi in casa sua nei due mondi, assoluto introdotto nel condizionato, Dio personaggio storico. Lamartine lo disse: “Dio non è sceso in uno sguardo di carne”. L'idea che Dio si sia incarnato per far sapere, ad esempio, che è inutile lavarsi le mani prima del pasto, o per qualsiasi altro disegno, ci urta. È una concezione anteriore a Kant. È entrata agevolmente in grandi spiriti come sant'Agostino, San Tommaso, Pascal, ma oggi rimane inassimilabile. Si può credere che lo spirito umano cambi a poco a poco le sue categorie. Gesù diventa impensabile. Molti cristiani, pur mantenendo il dogma dell'Uomo-Dio, scivolano verso l'idea d'un uomo semplicemente divino, ciò che è la dissoluzione del cristianesimo e un surrettizio ritorno alle idee greco-romane. In breve, per questa ragione e per venti altre, l'antica fede non ispira più la maggior parte degli esegeti che si accingono a spiegare Gesù.
E allora cominciano le difficoltà. Quando si è gettata via la teologia, quale uso lo storico dei fatti particolari, lo storico secco e netto, può fare di Paolo e dei Vangeli, testi fortemente teologici, ben diversi da quelli ch'egli è avvezzo a maneggiare? Da sessant'anni in qua la critica di questi testi è stata sempre più drastica. Da Renan a Loisy o a Guignebert, il Gesù storico si è terribilmente assottigliato. Renam, preoccupato, come diceva Sainte-Beuve, di far dare a Gesù le sue dimissioni da Dio, gli offriva al vertice dell'umanità un posto privilegiato. Oggi lo si considera come un personaggio storico oscuro, un illuminato morto a Gerusalemme in un mal definito tentativo d'insurrezione, al quale capitò l'avventura straordinaria di essere deificato.
Questa soluzione del problema di Gesù, urtante per i credenti, ha probabilità di imporsi definitivamente ai non credenti? Nonostante la sua apparente evidenza e la sua aria modesta che la raccomanda a molti buoni spiriti, non mi sembra che essa renda conto dei larghi termini del problema.
Essa implica una nozione molto meschina del cristianesimo. Se la grande religione d'Occidente non è altro in fondo che la deificazione di un uomo, che la povera apoteosi di un individuo, essa nonostante la sua diffusione immensa, è di un tipo abbastanza basso. Religiosamente, è inferiore all'ebraismo e all'islam, che si guardarono bene dal prendere per Dèi Mosè o Maometto, e al paganesimo che respinse a buon diritto la Dottrina di Evemero. Sulla scala delle religioni essa si colloca al livello mediocre del culto imperiale romano, forse del pitagorismo, non dico del confucianesimo che è al contrario un sano esempio del culto ragionevole che si deve ad un grande uomo.
Era frivolo opporsi fino al martirio all'apoteosi dell'imperatore per sostituirle quella d'uno dei suoi sudditi. “O voi che avete ricevuto le Scritture, non sorpassate la misura giusta nella vostra religione. Il Messia Gesù non è altri che il figlio di Maria... Dio è unico”. Queste parole dorate che corrono intorno alla moschea azzurra di Omar, sulla terrazza morta dove fu il tempio di Gerusalemme, sarebbero il perentorio rimprovero del musulmano e dell'ebreo al cristiano, se Gesù fosse ciò che i critici dicono. Ma è questa un'obiezione? Sì, per coloro che sentono confusamente che il cristianesimo non è ciò.
In ogni caso una deificazione, in ambiente ebraico, anche in ambiente della Diaspora, rimane un fatto senza esempio. Pietro, Paolo, e tanti altri, rabbini ebrei o profeti cristiani, guarirono storpi e fecero miracoli. Nessuno di essi fu considerato come l'Agnello che sta sul trono di Jahvè. Teuda, l'Egiziano, Bar Kochba, altri furono messia. Non furono loro accordate le prerogative del Dio trascendente. Il caso di Gesù è unico. Per lo storico i casi unici sono sempre enigmi. Se Gesù fu un ebreo fra gli ebrei, ciò che egli è diventato confonde la mente.
Si dice spesso: il cristianesimo ebbe bisogno di un iniziatore.
Esso ne ebbe più di uno: Giovanni il Battista che annunciò il Messia, Cefa che lo vide sopra una spiaggia all'alba e sopra una montagna di Galilea, Giacomo discendente di Davide che lo vide a Gerusalemme, dopo aver digiunato, Stefano che lo vide di sopra dal Sinedrio nell'ora di morire, Paolo che lo vide nel deserto di Damasco all'istante della sua conversione, Barnaba, Apollo e molti altri che non sono conosciuti. Non confondete i fondatori di una religione col Dio ch'essi proclamano.
Di mano in mano che si studiano le origini cristiane se ne scopre la complessità. Il grande moto religioso che trasformò l'ebraismo e gli aprì il mondo è paragonabile alla Riforma o alla Rivoluzione Francese. Non può riassumersi in un solo nome. Era già cominciato da molto tempo quando scoppiò e si sviluppò. Quel Figlio dell'Uomo di cui Giovanni il Battista predisse l'imminente venuta, che Cefa vide fra Mosè ed Elia, che Paolo vide ed attese fino alla morte, era in movimento sotto i cranii ebrei fin dal vecchio libro di Daniele. Egli fu concepito come un uomo celeste ben prima di essere definito come un Dio umano che sarebbe vissuto. La sua lenta formazione fu un'opera comune, opera gigantesca, tempestosa, trionfale. I Vangeli si trovano all'esito finale di questa grande gestazione. Non ne sono il punto di partenza.
Il cristianesimo uscente da Gesù è un modo di vedere mistico, non storico. Esso ha la sua bellezza e il suo pregio, per il credente, nel piano della fede. È il pannello centrale della storia santa, da collocare fra la Creazione del mondo e il Giudizio finale. Per pigrizia e meccanicamente lo storico profano, che dal pannello centrale taglia via i pannelli laterali, prova la tentazione di conservare quello di mezzo. Ma se ha cura di decantare il divino dall'umano, è condotto alla concezione opposta. Egli vede elevarsi dal cristianesimo, che è un lungo sforzo doloroso e una battaglia accanita, la pura figura di Gesù. Egli assiste alla procreazione di un Dio in un gruppo sociale. Questo quadro vero ha pur esso la sua bellezza.
Per rintracciarlo, disponiamo anzitutto di apocalissi ebraiche dove Gesù è più che abbozzato, senza essere ancora nominato. I primi documenti propriamente cristiani che si offono a noi fanno esattamente seguito a quelle apocalissi. Dal libro di Daniele all'Apocalisse di Giovanni, passando per le Parabole di Enoch e le lettere di Paolo, c'è una tradizione apocalittica perfettamente continua, che va crescendo e precisandosi. Ad un punto di questo sviluppo regolare appare il nome di Gesù. Esso designa un essere di natura celeste.
L'interpretazione delle lettere di Paolo è sicura da quando si ha cura di distinguere due questioni molto differenti: quella dell'umanità di Gesù e quella della storicità di Gesù. La prima è teologica e di fede, la seconda è di fatto.
Paolo ha bisogno, per il suo sistema della redenzione, che Gesù sia veramente “in somiglianza di uomini” così come è veramente “in forma di Dio”. Paolo afferma dunque in molti luoghi l'umanità di Gesù. Se si esaminano questi luoghi, si vede che essi formano una parte integrande di una teologia. Non hanno nulla di comune con le testimonianze accettabili in materia di storia. Sarebbe stato più imprudente stabilire la storicità di Gesù col poema teologico di Paolo che stabilire quella della dolorosa Demetra con l'inno omerico.
Umanità di Gesù e storicità di Gesù si confondono soltanto nel cuore che ha già la fede. Se voi credete per ragioni del cuore all'Uomo-Dio, voi credete al Gesù storico, per semplice corollario. Tutti i testi confermano la vostra fede: essi furono scritti per voi. Ma se voi non potete credere all'Uomo-Dio, non sperate di ricavare dai medesimi testi l'uomo storico. Egli non vi è più. Se voi ve lo metteste, non sarebbe per voi altro che un imbarazzo.
L'uomo-Dio rischiara, tutto, ma non è concepibile. L'uomo ordinario è chiaro ma rende tutto inconcepibile. È dunque possibile comprendere Gesù diversamente che in questi due modi: come un Uomo-Dio o come un uomo ordinario? Esiste una terza via? Io credo di sì. La più antica e migliore testimonianza che noi abbiamo, quella di San Paolo, fa pensare che in origine Gesù non fu un uomo, ma un essere spirituale, uno spirito che si manifestava ai suoi fedeli con visioni, miracoli, poteri miracolosi. Si credette a quello spirito a causa delle sue manifestaiozni e perché se ne sapeva la storia grazie alle apocalissi.
Se io ho ragione, all'origine del cristianesimo si trova non una biografia individuale ma un'esperienza mistica collettiva, che rafforzava una storia divina misticamente rivelata. Gesù fu conosciuto in grazia dei libri santi e del cuore. Lascio al teologo, allo psichiatra ed al sociologo il compito di discutere la natura degli esseri spirituali. Gesù è un essere spirituale: ecco ciò che risulta, a mio parere, dai primi documenti.
La vera chiave del problema è in sette od otto testi di Paolo. Essi sono oscuri, ed oscurati da interpretazioni convenute. Essi meritano che si compia uno sforzo di pazienza e di simpatia per arrivare all'idea del grande profeta.

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