sabato 22 aprile 2017

Circa «Le mystère de Jésus» di Paul-Louis Couchoud (IX)

 (Questa è la nona parte della traduzione italiana di un libro del miticista Paul-Louis Choucoud, «Le mystère de Jésus». Per leggere il testo precedente, segui questo link)


— II. L'APOCALISSE DI PAOLO

Le lettere di Paolo sono anteriori ai Vangeli. L'accordo è fatto su questo punto, la sequenza è ben definita. Le lettere di Paolo furono scritte verso gli anni 50-55, i vangeli fra l'80 ed il 120. L'intervallo minimo è di 25 anni, lunga durata nel primo slancio del cristianesimo, così rapido e così mutevole.
Da questo riferimento cronologico deve partire ogni esame approfondito del problema di Gesù. L'immagine di Gesù che si trova in Paolo è anteriore a quella che si ricava dai Vangeli. Si deve forse capovolgere l'ordine reale col pretesto che la prima è più divina, la seconda è più umana? Sarebbe un metodo poco prudente. Per una investigazione così delicata la cronologia è il solo filo conduttore.
Ma la lunga abitudine che si ha di leggere in primo luogo i Vangeli fa sì che si presti a Paolo, nostro malgrado, l'immagine di Gesù che si prende dai Vangeli. Ci si espone a controsensi. Bisogna prima interrogare Paolo. Si deve avere di Paolo una conoscenza fresca, una visione vergine. Può darsi che il Gesù dei Vangeli sia soltanto una derivazione di quello di Paolo. È il Gesù di Paolo che si deve spiegare.
Il difficile è cogliere l'immagine che Paolo si faceva di Gesù. Egli non la espone nelle sue lettere perché l'aveva brandita e delineata nei suoi problemi ispirati. I suoi corrispondenti, quelli a cui egli scriveva, la conoscevano già sovrabbondantemente. Essi erano iniziati alla fede intera di quei primi tempi dalla grande speranza e dal bell'amore.
Noi non siamo iniziati. Dobbiamo contentarci di allusioni chiaro scure, di pronti compendi, di una mezza parola, di una formula ermetica. Passa un lampo, scopre profondità di cielo, chiuse non appena aperte. Talvolta la spiegazione sembra venire, noi tendiamo il nostro spirito, ma essa è troncata perché il profeta l'ha giudicata superflua. Egli non scrive per noi ma per alcune dozzine di persone poco conosciute, poco ricche, poco colte, perdute nel tumulto di un porto o nel silenzio delle steppe, in cui egli aveva accesa una speranza smisurata. Egli non suppose che noi scruteremmo le sue piccole frasi ritmiche più di mille ottocento anni dopo il tempo da lui assegnato alla fine del mondo ed all'apparizione di Gesù. Noi siamo degli scoliasti che, con splendidi frammenti, dobbiamo ricostituire un poema perduto.
Non ci vuol molto a raccogliere i passi in cui Paolo fa a Gesù qualche allusione carica di significato.
Il più completo, ma pur tuttavia ancora incompleto ed enigmatico, si trova in una lettera a quelli di Filippi.
Paolo è in carcere, sotto la minaccia di una condanna a morte. Egli si lamenta delle rivalità funeste che straziano i capi del movimento cristiano. Non tutti hanno l'amore. Alcuni sono ambiziosi, gelosi, cattivi, falsi, impuri. Egli non vuole che la stessa cosa avvenga a Filippi. Egli sa che fra i “diaconi” due donne, Evodìa e Sintìche, si divorano. Dovette supplicare il buon Sinzigo di riconciliarle. Con voce solenne e patetica scongiura i suoi cari Filippesi di essere umili e sottomessi, s'innalza al sublime e mostra l'esempio del Messia Gesù:
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che fu in Cristo Gesù. Egli, che era in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini. E trovato nell'esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di GESÙ si pieghi ogni ginocchio delle creature celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che GESÙ CRISTO È IL SIGNORE, alla gloria di Dio Padre”.
Ecco il più antico compendio da noi posseduto della storia di Gesù. Esso ha la forma di lezione. Paolo avverte coloro che sono misticamente nel Messia Gesù di conformarsi a colui in cui vivono, o piuttosto che vive in loro. Gli apostoli e i profeti di Gesù non devono profittare della loro dignità (come fanno i rivali di Paolo). Essi devono accettare le umiliazioni e la morte (come fa Paolo). La storia di Gesù è il grande esempio imitatore.
Quanto ameremmo sapere questa storia come la sapevano quelli a cui era indirizzata l'ammonizione! Noi vediamo in breve che essa comprendeva due grandi momenti. Un essere divino si abbassava nel mondo materiale fino a rivestire la servile figura umana e subire una morte da schiavo. E risaliva in cielo e riceveva un nome mistico potente quanto il nome di Dio per far piegare ogni ginocchio in tutti i mondi. Quel nome è “Gesù”, che significa:
Jahvé Salvatore.
Le ultime parole spiegano la magica potenza del nome di Gesù e perchè questo nome serviva a cacciare i demoni che tormentavano i malati e a discernere gli spiriti che possedevano i profeti.
Quanto al racconto prodigioso della discesa e dell'ascensione di un essere divino, è questo il fondamento della teologia cristiana. Vertiginoso sguardo sulle cose celesti, esso non può provenire se non da una rivelazione dall'alto.
Noi abbiamo la fortuna di possedere una versione antica del medesimo racconto, più piatta ma più particolareggiata del lirico compendio di Paolo, preziosissima perché suggerisce in qual modo Paolo narrasse la storia di Gesù quando la narrava per esteso. Essa si trova nella Ascensione di Isaia, antica apocalisse cristiana cucita ad una leggenda ebrea e giunta a noi in traduzione etiopica.
Si ritiene che una rivelazione sia stata fatta già al profeta Isaia. Steso senza respiro sul trono di re Ezechia, davanti ad una folla di ufficiali, di eunuchi, di profeti e di discepoli, egli fu rapito di mondo in mondo, sino al settimo cielo... Giuntovi là, egli contemplò con santo orrore la scena misteriosa che deve contraddistinguere la fine dei tempi.
Dio ordina ad un essere divino che è chiamato il Prediletto o l'Eletto, in attesa che il suo nome sia rivelato, di scendere, attraverso i sette cieli, il firmamento e la terra, fino allo Sheol, l'immensa caverna dove custoditi da un angelo potente, giacciono i morti nella putredine. Egli risalirà da trionfatore per giudicare e distruggere “i Principi, gli angeli e gli Dèi di questo mondo e il mondo che è dominato da essi”. Affinché al suo passaggio nelle sfere inferiori egli non sia riconosciuto dagli esseri che vi dimorano, gli è ingiunto di prendere la forma di questi esseri. Eccolo che tiene dietro alla sua caduta:
“Ed io lo vidi scendere nel quinto cielo e trasformarsi secondo l'aspetto degli angeli che si trovavano là. Essi non lo glorificarono, poiché il suo aspetto era ancora come il loro. (La stessa cosa avviene nel quarto, nel terzo, nel secondo, nel primo cielo). E di nuovo scese nel Firmamento, dove abita il Principe di questo mondo (Satana) e diede la parola d'ordine a quelli alla sua sinistra, per poter passare, e il suo aspetto era come il loro. Ed essi non lo lodarono. Ma per invidia essi si battevano l'uno contro l'altro, poiché là vi è un potere del male e risse senza ragione. Ed io lo vidi scendere e rendersi simile agli angeli del'Aria e fu egli stesso come uno di loro. E non diede la parola d'ordine, poiché essi si derubavano e si opprimevano fra loro... E lo vidi simile ad un figlio dell'uomo e abitante nel mondo. E gli uomini non lo conobbero”.
Qui il testo diventa incerto. Da un brano anteriore si può ricostruire che i Principi di questo mondo (Satana e i suoi angeli) “misero le loro mani su di lui e lo sospesero al legno senza sapere chi fosse” (9, 14). Quindi egli spogliava l'Angelo della morte, risaliva il terzo giorno, dimorava sulla terra 545 giorni e continuava a salire:
“Egli salì al Firmamento e non si trasformò secondo la loro forma. E tutti gli angeli del Firmamento e Satana lo videro e si prostrarono. Vi fu là una grande tristezza. Essi dicevano: come mai il nostro Signore è disceso su di noi, e noi non abbiamo riconosciuta la sua gloria? Ed egli salì al secondo cielo e non si trasformò. Tutti gli angeli che stanno a destra e a sinistra e il Trono che sta in mezzo l'adorarono, lo lodarono e dissero: Come mai il nostro Signore ci fu nascosto quando discese e noi non abbiamo compreso? (Lo stesso avviene nel terzo, quarto, quinto, sesto cielo). E lo vidi salire al settimo cielo. Tutti  i giusti e tutti gli angeli lo glorificarono. E lo vidi assiso alla destra della Grande Gloria” (11, 22-23 secondo Tisserant).
È chiaro che Paolo conosceva una rivelazione molto affine a quella che è attribuita al vecchio Isaia. Di là viene la sua allusione ellittica alla storia dell'essere che, esistendo in forma di Dio, si fa rassomigliante agli uomini per subire la morte, e risalire al più alto dei cieli per ricevervi il nome onnipossente.
Tale è la forma più antica a cui noi possiamo giugnere della storia di Gesù. Essa non ha colore storico, ma colore gnostico. È affine al mito più opaco di Simone,
la Grande Potenza di Dio, il cui nome significa “l'Obbediente” e che trionfa sugli Arconti celesti, prototipo o tipo samaritano corrispondente a quello di Gesù. È ancora imparentato col mito dell'Uomo-Dio di certi misteri greci, immortale che si sottomette alla morte, sovrano che si fa schiavo. Gli Arconti che crocifiggono Gesù vi sostengono la stessa parte dei Titani i quali lacerano Zagreo nel mistero orfico. Essa ha tutto l'aspetto della sacra leggenda di un mistero.
Essa si colloca in una mitologia d'apocalisse che ci è nota mediante documenti ebraici quale il libro palestiniano di Enoch e il libro alessandrino dei Segreti di Enoch. L'universo si compone in altezza di dodici piani eterei di cui almeno nove sono invisibili agli uomini. In basso sta l'Abisso, poi il carcere dei morti, poi la terra dove gli uomini passano, poi l'Aria e il Firmamento solcati da Satana e da Principi invisibili, ingiuriosi e crudeli, poi sette cieli inauditi. Nel centro di ogni cielo sta un Trono, essere vivente intorno al quale si accalcano Principati, Potenze, Dominazioni. Nel luogo più alto, Dio. Presso di lui, creature divine che sono i suoi poteri: il suo Trono, il suo Spirito, il suo Angelo, la sua Parola, la sua Saggezza, la sua Gloria, la sua Immagine, il suo Nome, che con lui costituiscono il Pleroma della Divinità. Su questo universo trasparente, sovrappopolato, la piccola popolazione umana conta poco. Tale è la cornice immensa. Strana cometa, un essere esce dal Pleroma, precipita oscuro attraverso i mondi e risale luminoso. Ecco ciò che sa il cristiano, ecco la sua gnosi.
Sette semi-ebraiche adoravano il Pleroma e i suoi angeli. Il cristianesimo cominciava quando si giurava che un solo essere privilegiato, chiamato “Messia Gesù”, assorbiva in lui tutto il Pleroma ed era il primo dopo Dio, con Dio, di tutti gli esseri celesti.
Nel fondo di una fossa donde scrisse ai suoi cari Filippesi, Paolo incontrò Epafrodito, apostolo come lui che aveva fondato assemblee a Laodicea, Colossi e Ierapoli, nei posti avanzati della Frigia mistica. Epafrodito supplicò il suo compagno di catena di mandare ai fratelli di lassù qualche consolazione ispirata. Dalla lettera a quelli di Colosse appare che quegli imperfetti cristiani non distinguevano abbastanza Gesù dai più alti angeli, e questo offre occasione a Paolo di definire Gesù:
“... Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, primogenito di ogni creatura, poiché in lui furono creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra”.
“Gli esseri visibili e gli esseri invisibili, Troni, Dominazioni, Principati, Potenze, tutti sono creati mediante lui e per lui. Egli è avanti a tutti e tutti si conservano in virtù di lui.”
“Egli è la testa del corpo dell'Assemblea, essendo Principio, primogenito fra i morti per essere fra tutti, egli, il Primo. Poichè in lui volle abitare tutto il Pleroma e tutti gli esseri vollero riconciliarsi per mezzo di lui facendo la pace per il sangue della sua croce, sì,  per mezzo di lui, quelli che sono sulla terra e quelli che sono nei cieli”.
Gesù primeggia su tutti gli esseri, eccettuato Dio. Egli è l'unica potenza di Dio, l'Immagine, il Primogenito, il Primo, che creò e sostiene ciascuna classe dell'universo degli spiriti.
Perché compì egli il misterioso viaggio che gli fece vestire la condizione dei mortali? Paolo lo dice qui.
Onde inaugurare con la sua resurrezione un nuovo ordine cosmico in cui egli è ancora, il Primo. Onde riconciliare con Dio gli esseri celesti e terrestri mediante un sacrificio sanguinoso, simile ad un sacrificio del Tempio o piuttosto ad una sublime pasqua di cui egli è l'eterno agnello.
Dunque gli angeli erano in urto con Dio? Paolo non ha occasione di dirlo. I suoi frammenti di dottrina suppongono una rivolta degli angeli, a guisa di quella che si legge nel Libro di Enoch.
Perché da lui sia sgorgato un sangue mediante il quale tutto fu cambiato nell'universo, occorre che il Figlio di Dio sia diventato un uomo. Secondo Paolo, egli è ben diventato un uomo, della razza d'Israele e della famiglia di Davide.
La questione decisiva si pone. È questo un dato di apocalisse, considerato come il resto per cosa rivelata? O è la vita di un contemporaneo, incastonata senza ritocchi in un poema di salvezza universale?
Lo stato dei testi non permette di esitare nel rispondere.
Sul passaggio del Figlio di Dio nell'umanità, Paolo non fornisce alcuna precisione cronologica né topografica. Quando ebbe luogo? Cinque anni fa, o dieci, o cento? Paolo non lo dice. Dove ebbe luogo? A Nazaret? A Cafarnao? A Gerusalemme? Paolo non pronuncia nemmeno questo nome di Gerusalemme a cui la storia, a rigore, potrebbe aggrapparsi.
Non enuncia nessuna data, in nessun luogo. La nascita umana di Gesù, nelle due allusioni da lui fatte, è dedotta unicamente da necessità dottrinali e dalla Scrittura considerata come rivelazione divina.
Nella sua lettera ai Galati, infervorato nel provare che la Legge ebraica non obbliga più il cristiano, egli proclama:
“... Quando noi eravamo nelle prime età, eravamo asserviti agli Elementi del mondo.Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto alla Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ci fosse conferito il diritto dei figli!” (Galati 4, 4-5).
A uomini sciocchi, impegolati nelle osservanze legali, Paolo ricorda la medesima divina partenza che ricordò a quelli di Filippi e di Colosse. Mette diversamente l'accento, per ricavare una diversa lezione. Facendosi obbediente fino a morire, il Figlio di Dio ha adempiuto una Legge suprema. Dio è soddisfatto e noi siamo riscattati dalla Legge di Mosè, non eseguibile fino in fondo, semplice allenamento. E questo Figlio di Dio si fece come noi figlio di donna perchè noi non fossimo più bambini sotto la ferula, ma veri figli come lui. Prendendo la nostra natura ci fece prendere la sua. Un'idea mistica, quasi magica, anima questo brano. Ma un riferimento storico è cosa diversa.
Nella firma enfatica della sua lettera ai Romani Paolo declina il suo titolo:
“Paolo, schiavo del Messia Gesù, eletto apostolo, incaricato di una buona novella di Dio, quella che fu da lui promessa per mezzo dei suoi profeti, in sante scritture, relativa a suo Figlio, uscito dal seme di Davide secondo la carne, stabilito figlio di Dio in potenza secondo lo spirito di santità per resurrezione dei morti...”.
Anche qui traspare la mistica odissea del Figlio di Dio. Paolo afferma che essa fu rivelata agli antichi profeti. Poiché Isaia, Geremia, Michea, Zaccaria dissero che il Messia è del seme di Davide, se si vuol dare al Figlio di Dio il nome di Messia bisogna pure dirlo uscito dal seme di Davide secondo la carne. Ciò discende dalle Sante Scritture. Non si realizza che la sua vita umana sia riferita. Essa è rivelata.
Un testo decisivo taglia la questione. È una brusca allusione alle circostanze della crocifissione. Sorge in una lettera ai Corinti destinata a minare il prestigio di Apollo che era succeduto a Paolo come animatore dell'assemblea.
Paolo era più apocalittico, Apollo più gnostico. Paolo concepiva il mistero del Messia come una rivelazione scandalosa e folle, che si provava per mezzo di miracoli, Apollo la concepiva come una sapienza suprema che sapeva persuadere. Paolo disprezza la sapienza che si crede di raggiungere prima dell'Età futura. Essa non è ancora altro che la sapienza di Satana e dei suoi sicari.
“Di saggezza noi parliamo fra adulti, di sapienza che non è di questa Età né dei Pincipi di questa Età che sono aboliti. No, noi parliamo di sapienza di Dio in segreto, di quella che è nascosta, che Dio predestinò dalle prime età alla nostra gloria, che nessuno dei Principi di questa Età ha conosciuta: se l'avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della Gloria” (I Corinzi 2, 6-8).
Qui non c'è dubbio. Gesù fu crocifisso dai Principi di questa Età, cioè da Satana e dagli altri Arconti che percorrono l'aria e il firmamento. Il loro atto provò che ignoravano le segrete intenzioni di Dio. Questi tratti sono caratteristici di una pura apocalisse. Sono ricavati espressamente da una conoscenza rivelata, da quella sapienza di Dio che Paolo si vanta di conoscere e che gli Arconti non hanno conosciuta.
Nella rivelazione attribuita ad Isaia, è detto che i Principi di questo mondo “appenderanno al legno il Prediletto senza sapere chi egli sia” (Ascensione d'Isaia, 9, 14). L'equivoco degli Arconti celesti è un tema essenziale. Essi sono ingannati, perché il Figlio di Dio si è trasformato di grado in grado nella sua discesa meravigliosa. Questo tema ricompare in un luogo dove Paolo, a proposito della crocifissione, dice che Dio “spogliando i Principati e le Potenze, le rende apertamente oggetto di riso facendo loro seguire il trionfo” del Messia (Colossesi 2, 15). Il commento di queste parole oscure è nella rivelazione di Isaia, dove sono descritti il ritorno trionfale del Prediletto e la costernazione di Satana e degli angeli del firmamento, costretti a piegare il capo (Ascensione d'Isaia, 9, 23-26). Sotto le sparse allusioni di Paolo si segue il filo di una vera apocalisse, coordinata e ben costruita, di cui quella del falso Isaia ci dà l'idea.
La curiosa espressione “il Signore della Gloria” per designare Gesù è significativa. Essa mostra che Paolo immagina di leggere la sua apocalisse nella Scrittura. Essa si riferisce al Salmo 24:
“Levatevi, o Principi, apritevi, o porte esterne: entrerà il re della Gloria! — Chi è questo re della Gloria? — Il Signore forte e possente, il Signore formidabile in guerra!” 

“Togliete le vostre porte, o Principi, apritevi, o porte eterne: entrerà il re della gloria! — Chi è questo re della Gloria? — È il Signore dei prodigi, questo re della Gloria!” (Septuaginta, Salmo 23, 10).
Questo antichissimo salmo era stato composto forse per la festa annuale dell'avvento di Yahvé. Era recitato nelle funzioni del Tempio il primo giorno della Settimana, diventato per i cristiani il giorno della Resurrezione. Paolo gli attribuisce un senso misterioso in rapporto con la misteriosa epoca di Gesù. Le porte del Tempio si trasportano in cielo. Dio ingiunge ai Principi di questo mondo di aprire le loro porte per lasciar passare il re della gloria. Essi domandano con sorpresa chi sia questo re della Gloria (poiché l'hanno ucciso senza riconoscerlo). E apprendono ch'egli è il loro Signore. Il Salmo diventa una scena apocalittica.
Ciò rende sicuro il fatto della crocifissione tolta dal Salmo che precede di poco quello, dal Salmo 22, considerato come il lamento del Figlio caduto nelle mani degli Arconti crudeli:
“ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? [...] Poiché cani mi hanno circondato, una folla di malfattori mi ha attorniato. Mi hanno forato le mani e i piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e mi osservano: spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica”.
A chi aveva l'esperienza dei supplizi romani queste parole cupe e forti suggerivano l'immagine della croce. Se il Figlio di Dio le pronuncia, rivela dunque egli stesso che fu confitto in croce. Coloro che lo inchiodarono e lo spogliarono, sono quei Prìncipi dell'aria che vengono interpellati nel Salmo 24.
Così due brani di antiche scritture fanno sentire a chi ha orecchie, le due scene maggiori della morte di Gesù: la sua morte e la sua resurrezione. Entrambe si svolgono nell'etere mistico, fuori del luogo del tempo, oggetto di fede, non di cose udite riferite.
È la Scrittura soltanto a far conoscere Gesù? Non esiste anche la controprova diretta.
Gesù non rimane nascosto, dietro il diafano sipario dei testi sacri. Come Jahvé, egli si è manifestato ed egli si manifesta ancora, come un essere reale, vivente, agitante, parlante, talora visibile, in una parola come uno spirito.
In un prezioso passo di una lettera a quelli di Corinto Paolo indica le due vie per le quali Gesù è venuto a lui ed agli altri. Sono due vie mistiche: la Scrittura e l'estasi.
Dopo atroci tormenti egli si trovava in un periodo di consolazione. In grazia della diplomazia di Tito egli aveva potuto terminare il suo scisma e riconciliarsi con gli apostoli palestinesi. Con lo spirito aveva compiuto il suo ritorno a Gerusalemme prima di compierlo col corpo. Quanto orgoglio aveva messo nel separarsi, tanto ne mette nel rientrare nelle file. Egli grida forte che la sua dottrina del Messia non differisce in nulla da quella di tutti:
“Io vi trasmisi per cominciare ciò che avevo ben ricevuto: che il Messia morì per i nostri peccati secondo le Scritture: ch'egli fu sepolto e resuscitò il terzo giorno secondo la Scrittura.”
“Che egli fu visto da Cefa e poi dai Dodici; in seguito fu visto da più di cinquecento fratelli ad un tempo, di cui la maggior parte vive ancora ed alcuni si addormentarono; quindi fu visto da Giacomo, e poi da tutti gli Apostoli. In ultimo luogo, come da un aborto, fu visto anche da me”.
Queste poche linee contengono il più vecchio compendio della fede comune, il primo e autentico Simbolo degli Apostoli. La fede in Gesù riposa da una parte sulle Scritture, dall'altra parte sulle apparizioni.
In Isaia si legge che il Servo di Jahvé, che è Gesù, fu “trafitto per i nostri peccati, infranto per le nostre iniquità”; che “quando egli è strappato alla terra dei viventi, e messo a morte per il peccato del popolo, gli si appresta una tomba” (Isaia, 53, 5, 8-9); altrove si sa leggere ch'egli resuscitò il terzo giorno. Tale è la testimonianza delle Scritture, cioè di Dio. Ed egli si mostrò a Cefa e ad altri. Tale è la testimonianza degli uomini.
Ciò che è storicamente accertato, secondo il testo medesimo di Paolo, sono le apparizioni di Gesù. Qui noi abbandoniamo l'alto mare teologico, mettiamo piede nella storia. Gesù è apparso a Cefa, ai Dodici, a Giacomo, ebrei palestinesi di carne e d'ossa che Paolo ha ben conosciuto per aver disputato con essi. Ecco ciò che è determinato. Finalmente afferriamo Gesù nel dominio dei fatti. E afferriamo un essere spirituale. Il Gesù resuscitato è il solo storico.
Paolo non suppone mai che gli apostoli palestinesi abbiano veduto Gesù in modo diverso da quello in cui lo vide egli stesso. Egli si paragona ad essi in tutti i punti. Egli grida: “Non sono io un apostolo? Non ho io veduto Gesù nostro Signore?”. Certamente egli non l'ha visto nel senso proprio della parola. Nella lettera ai Galati egli specifica che lo vide per rivelazione (Galati 1, 16). Lo vide nell'estasi, dopo gli altri, come gli altri. Essere apostoli, significa essere stati favoriti di una visione autentica di Gesù.
Nell'opinione di Paolo, che è quella degli antichi, uno spirito non può apparire se non a condizione di avere un corpo. Poiché Gesù è apparso agli uomini degni di fede di cui si possiede l'elenco, egli ebbe un corpo spirituale.
Paolo spiega agli ignoranti che ci sono due specie di corpi; quelli di carne viva e di sangue, corpi animali, e i corpi spirituali. Da Adamo noi teniamo un pesante corpo animale, teniamo da Gesù un corpo spirituale, l'uomo interiore. Adamo e Gesù sono due grandi antenati. Dall'uno provengono i corpi fatti di fango, dall'altro i corpi celesti, puri soffi e pure luci.
“Se c'è un corpo animale, c'è anche un corpo spirituale. Come fu scritto: il primo uomo, Adamo, fu fatto anima che vive (Genesi 2, 7), l'ultimo Adamo fu fatto soffio che crea la vita...”.
“Il primo uomo proviene dalla terra, ed è di fango; il secondo uomo proviene dal cielo. Quale è l'uomo di fango, tali sono gli uomini di fango. Quale è il Celeste, tali sono i celesti. Come noi prendemmo l'immagine del fangoso, prendiamo anche quella del Celeste!” (1 Corinzi 15, 44-49).
Gesù è quell'uomo celeste che Davide vide in un sogno sacro (Daniele 7, 13-15). I cristiani sono la sua stirpe astrale. L'idea è strana per noi. Essa non era tale per un mondo saturo di orfismo.
Fra Gesù, corpo celeste, e il cristiano ancora impegolato nella carne, vi erano ineffabili convegni. Una volta o due Paolo fu rapito fino al terzo cielo. Egli udì parole inesprimibili, che non si possono ripetere ad un uomo (2 Corinzi 12, 2-4).
Più spesso Gesù discendeva. Egli parlava in linguaggio umano per la bocca dei suoi profeti. Molte volte Paolo annuncia che egli parlerà in parola del Signore (1 Tessalonicesi 4, 15; 1 Corinzi 7, 10). Lo spirito, cioè Gesù, dettava un pensiero di sapienza o di conoscenza, un'istruzione, una rivelazione, o cantava un salmo, una lode o un inno, o dava una visione, schiudeva gli abissi di Dio, o ancora infondeva il potere di guarire, il dono dei miracoli, la fede che muove le montagne. La sua presenza reale si manifestava mediante i gemiti melodiosi delle gole oppresse, come la presenza del vento si manifesta sulle arpe eolie.
Paolo grida con orgoglio che egli non fa discorsi, ma la dimostrazione d'uno spirito e d'una forza (1 Corinzi 11, 4). Quei gemiti, quei singhiozzi ispirati, quei gesti che comandano o guariscono, quei disordini, quelli oracoli, quei rapimenti, ecco i fatti che lo storico constata. Gesù, è l'interpretazione.
Per i mistici cristiani, Gesù-Spirito era un essere vivente, un essere corporale: Questo punto particolare è per noi il più difficile da cogliere. Il corpo del Figlio di Dio non rassomiglia in nulla ai corpi materiali. Dirlo infinitamente sottile è non dire nulla. Esso è illimitato. Esso è in tutti i tempi ad una volta ed in tutti i luoghi ad una volta. Può essere un corpo nel senso sociale della parola. Tutti i cristiani si aggiungono gli uni agli altri in un solo corpo: questo corpo è Gesù (1 Corinzi 12, 7 ecc.).
È talvolta un oggetto materiale la cui apparenza nasconde uno spirito. Quando nel deserto, secondo un racconto popolare, una rupe magica accompagna gli ebrei per dissetarli, quella rupe era Gesù (1 Corinzi 10, 4). Quando i fedeli rompono un pane e bevono una coppa di vino per inaugurare, secondo l'uso giudaico, la festa del primo giorno della settimana, festa di Gesù, quel pane vino sono il corpo e il sangue di Gesù stesso: 
“Io ricevetti dal Signore e ve lo trasmetto: “Il Signore Gesù, la notte in cui fu consegnato, prese un pane e benedicendolo lo ruppe e disse: ecco il mio corpo che è per voi. Fate questo in memoria di me”.“Così pure per il calice dopo la cena, dicendo: questo calice è la nuova alleanza per mezzo del mio sangue. Fate questo ogni volta che berrete in memoria mia” (1 Corinzi 11, 23-25).
Questo oracolo sarà più tardi inserito nei Vangeli, come un racconto storico. A Paolo esso viene mediante un'espressa rivelazione. Esso si riferisce alla storia segreta e rivelata del Figlio di Dio. Si basa non sopra una testimonianza di uomini ma sopra la testimonianza divina. Quest'ultima è consegnata nel Salmo 116, dove il mistico vede Gesù morente innalzare il Calice di salvezza, in Geremia che annuncia la Nuova Alleanza, in Isaia che dice tre volte che il servo fu consegnato (egli fu consegnato nella notte, poiché Dio vuole poi di seguito “mostrargli la luce”). Il Salmo è messo in azione, e sull'oracolo di Isaia s'innesta quello di Paolo.
L'importanza capitale dell'oracolo è quella d'avvicinare la morte di Gesù, concepita come immolazione di un mistico agnello pasquale, col rito ebdomadario dei cristiani, sostituito ai più alti riti ebraici: al banchetto pasquale e al giorno dell'Espiazione. Fuori di Palestina, nel banchetto pasquale si mangiava un arrosto in memoria dell'agnello pasquale ucciso a Gerusalemme. Allo stesso modo i cristiani devono mangiare il pane e bere il vino liturgico in memoria del loro Agnello celeste Gesù. E la dottrina di Paolo sul corpo spirituale permette di dire che questo pane e questo vino sono il corpo e il sangue di Gesù.
Così le rivelazioni particolari dei nuovi profeti potevano aggiungersi agli oracoli antichi e arricchire la storia apocalittica di Gesù.
Quanto alla fine del viaggio divino, Paolo la deduce a modo suo dai Salmi 110 e 8:
“Occorre ch'egli regni finché non abbia messi tutti i nemici sotto i suoi piedi” (Salmo 110, 1);
come ultimo nemico è soppressa la Morte, poiché fu posto tutto sotto i suoi piedi” (Salmo 8, 7).
“Quando egli dirà: tutto è sottomesso! (eccetto, beninteso, Colui che gli sottomise tutto), quando tutto gli sarà stato sottomesso, allora egli, il Figlio si sottometterà a Colui che tutto gli sottomise, perché Dio sia tutto, in tutto” (1 Corinzi 15, 25-28).
L'universo sarà ristabilito nell'ordine e nell'unità. Gli Arconti e le Potenze ribelli saranno state soppresse, la Morte non esisterà più. Allora Gesù abdicherà. Unito ai suoi fedeli si fonderà nel Pleroma divino donde uscì per compiere la loro salvezza. Così finirà la sua divina avventura.
Al tempo di Paolo la tragedia cosmica si trova in un punto culminante. La fine del mondo giunge: Gesù ha compiuto la sua discesa segreta, la sua morte e la sua resurrezione. Egli ha adempiuto la sua missione incredibile e ingannato gli Arconti. Si è intronizzato alla destra di Dio (Colossesi 11, 1; Romani 8, 34) secondo il Salmo 110. Ritornerà in gloria alla sommità dell'aria per giudicare ed abbattere le Potenze cattive.
Al suo tribunale assumerà come assessori i suoi eletti, quelli che in terra hanno già il suo spirito. Essi, i cristiani, sopra nubi, voleranno incontro a lui. Essi pure si siederanno. Essi giudicheranno gli angeli, essi giudicheranno il mondo (1 Corinzi 7, 2-3).
Una difficoltà fu sollevata da quelli di Tessalonica. Nella loro città morirono alcuni fratelli, uccisi, sembra, in un tumulto che accompagnò la propaganda cristiana. Si sa bene che essi resusciteranno un giorno. Ma qual giorno? Dovranno essi aspettare la fine del regno temporale di Gesù e la resurrezione generale dei morti? In questo caso i viventi che stanno per essere rapiti nell'aria avranno un vantaggio sui martiri! Paolo rassicura le famiglie in lutto e pronuncia per esse questo oracolo:
“Ecco ciò che noi diciamo in parola del Signore: Noi viventi che restiamo per l'Apparizione del Signore non precederemo gli addormentati. Il Signore, egli, ad un comando, a voce d'Arcangelo e tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti nel Messia si leveranno primi”.“In seguito noi viventi, noi che restiamo, saremo com'essi rapiti sopra nubi per incontrare il Signore nel cielo!” (1 Tessalonicesi 4, 15-17).
Con gli occhi fissi su questo cielo, Paolo attende che Gesù appaia e manifesti nel mondo la sua presenza effettiva, di cui la sua presenza spirituale nelle assemblee è l'annuncio sacro e la caparra sostanziale.
Riassumiamo la più antica testimonianza da noi posseduta su Gesù e il cristianesimo.
Non vi è in Paolo nessuna allusione ad un personaggio storico di nome Gesù. Il Messia Gesù Figlio di Dio è l'eroe di un'apocalisse. Ed è l'oggetto di una esperienza mistica. È il Dio di un mistero. Né il Dio né il mistero sono ancora resi storici.
Il cristianesimo nascente non è l'apoteosi incomprensibile di un uomo. È un mutamento nelle cose divine, una creazione nell'infinito. È una teologia nuova, che muta Dio. Ed è, nel medesimo tempo, la meravigliosa rinascita del vecchio profetismo ebraico, una esplosione di visioni, di miracoli e di deliri sacri di cui il nuovo essere divino è lo Spirito ispiratore.

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