martedì 13 giugno 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (VI)

(per il capitolo precedente)

V
Sir James George Frazer, probabilmente il principale mitologista del nostro giorno, afferma in “Il Ramo d'Oro”: “Il principio di delegare ad altri le proprie sofferenze è compreso e praticato da quelle razze che hanno un livello molto basso di cultura intellettuale e sociale. Si verifica nella storia dell'antichità classica, mentre i popoli rimasero ancora nella barbarie. L'esempio tipico è il sacrificio di Ifigenia”.
Il culto del dio siriano Attis aveva in comune col cristianesimo la purificazione dell'anima mediante lo spargimento di sangue. Ed è significativo notare come i suoi riti prevedevano che il sangue del bue sacrificale dovesse esser versato sullo stesso luogo dove sorge la chiesa di San Pietro.
Nessuno considera più il vangelo di Giovanni una prova documentale di fatti storici. Esso è puro simbolismo, pura teologia. Esso introduce ancora una volta in forma ringiovanita la concezione messianica che era esistita secoli prima.
Le dichiarazioni dei più antichi cosiddetti vangeli sinottici sono qui volti in simbolismo e misticismo. Il numero di miracoli riferiti sono sette. Lo storpio è guarito di Sabato, che è il settimo giorno. La lunga sequenza di anni durante cui rimase paralitico simboleggiano l'attesa del Messia da parte del popolo ebraico. L'atto stesso di guarigione (Giovanni 5:17) è descritto come un simbolo dell'intera attività di Gesù. La moltiplicazione dei pani è un simbolo della distribuzione del pane di vita. Il miracolo di Gesù che cammina sulle acque implica che il Messia è vittorioso, che egli è uno spirito, che egli è la Parola che ritorna ancora una volta alla sua eternità originaria. La guarigione del cieco significa che il Messia è la luce del mondo; la resurrezione di Lazzaro dai morti, che egli è vita.
Il misticismo di numeri ricorre dovunque. Gesù cammina tre volte per la Galilea, e tre volte per la Giudea. Il numero dei miracoli operati in ciascun caso sono tre. Tre volte (Giovanni 13:18-21-26) egli denuncia Giuda come colui che dovrà tradirlo. Gesù risorge dalla tomba al terzo giorno, e tre volte si lascia vedere in seguito.
Questo vangelo sembra essere stato prodotto nella prima metà del secondo secolo. Ma per quanto è possibile dire, le compilazioni gradualmente costruite e ripetutamente modificate note come vangeli sinottici devono essere di almeno cinquant'anni più giovani delle parti autentiche delle epistole attribuite a Paolo.
Paolo, vale a dire, Piccolo Saulo, dev'essere stato un piccolo uomo impetuoso e pericoloso, riguardo il quale ci vien detto negli Atti che ottenne un impiego a Corinto da una coppia di coniugi ebrei, Aquila e Priscillla, che erano di professione fabbricatori di tende, e che erano stati esiliati da Roma dall'imperatore Claudio.
È riportato che quei due  fossero stati coinvolti nelle rivolte menzionate da Svetonio nel famoso ed enigmatico passo che sembra esser stato copiato da qualche più antico scrittore di annali. Egli dice:
“Poichè i giudei, sobillati da Chrestus, si ribellavano continuamente, (Claudio) li cacciò da Roma”.
Cresto a quel tempo era un nome dato frequentemente a schiavi e liberti. Capitava niente meno che ottanta volte nelle iscrizioni trovate al di sotto della chiesa di San Pietro a Roma quando questa ricevette certe aggiunte durante l'ultima parte del Rinascimento.
Aquila e Priscilla furono probabilmente tra gli ebrei così esiliati da Roma. Essi passarono la loro esistenza come fabbricatori di tende o capanne, e assunsero al loro servizio come collega questo fiero, incalcolabile e ingovernabile piccolo Saul di Cilicia.
Le epistole che portano il suo nome, autentiche o meno, sono di gran lunga più antiche dei vangeli. L'autore di quelle epistole non aveva mai visto Gesù, e né sa né comunica per nulla qualcosa circa la vita reale di Gesù.
L'uomo chiamato Paolo ha una concezione puramente teologica di Gesù. Secondo Colossesi 1:15-16, essa è come segue: “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili, Troni, Dominazioni, Principati e Potenze: tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”.
Da dichiarazioni come quelle noi siamo, in effetti, trasportati assai distanti dall'eloquente ed entusiasta giovane figlio di un falegname galileo che, a causa della sua agitazione puramente spirituale, è detto esser stato condannato a morte dal governatore romano di Gerusalemme. Ma ancora più ulteriormente ci sembra d'esser rimossi dal più flebile avvistamento di un profondo senso umano.
Per parecchi anni la disputa è infuriata riguardo quali parti delle epistole attribuite a Paolo potessero essere considerate autentiche. Infatti in tutte quelle epistole furono sospettate interpolazioni più tarde, mentre alcune di loro potevano non essere state scritte affatto da lui. La probabilità sembra essere che solamente le epistole ai Galati, ai Romani, e parti della prima epistola ai Corinzi possono essere ritenute autentiche.
Il problema potrebbe aver perso qualcosa del suo interesse di quei giorni. Perfino se essi dovessero risultare più antichi dei vangeli, gli scritti paolini potrebbero ben essere anticipati. E ci sono persone, come l'olandese Van Manen, che mantiene fermamente che nulla di nulla indica l'esistenza nel primo secolo di un “apostolo” che predica lungo la linea di pensiero attribuita a Paolo. Sembra probabile che la costituzione di più vaste congregazioni che non erano più ebraiche, ma puramente cristiane, non prese luogo fino al secondo secolo.
Una teoria apparentemente ironica, ma considerata piuttoto seriamente dal prominente biblista inglese, Thomas Whittaker, suggerisce che il vero fondatore del cristianesimo storico fu il Sommo Sacerdote Caifa in virtù del suo “avviso agli ebrei”, che, secondo l'autore del vangelo di Giovanni (11:50-51), dev'essere stato posto sulle sue labbra per ispirazione divina:
“E non considerate che conviene per noi che un solo uomo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione. Ora egli non disse questo da se stesso; ma, essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione”.
E Caifa è una personalità storica, nota e nominata come tale da Flavio Giuseppe, ciò che non si può dire di Gesù, in quanto il passo fabbricato nelle “Antichità Giudaiche” (18:63) da lungo tempo è stato riconosciuto come tale da anche gli studiosi più conservatori.
Contemporaneamente a Giuseppe esisteva un altro scrittore che, come lui, fu sia un soldato che uno storico. Egli è detto esser stato un connazionale di Gesù nel senso più stretto, poichè proveniva proprio dal distretto dove Gesù fu detto di esser nato. Il suo nome fu Giusto di Tiberiade. Come Flavio Giuseppe, egli scrisse su “Le Guerre Giudaiche”. In aggiunta egli scrisse una “Cronaca dei Re Ebrei da Mosè ad Agrippa II”. Entrambe le opere sono ora perdute, ma esse furono lette nel nono secolo da Fozio, patriarca di Costantinopoli, il quale espresse meraviglia nel trovare che loro non contengono più menzione di Gesù di quanta ne contenessero le opere di Flavio Giuseppe.  

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