mercoledì 14 giugno 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (VII)

(per il capitolo precedente)


VI
Gli scrittori pagani di Roma non ci offrono nessun indiscusso riferimento a Gesù. La prima menzione di lui occorre in una lettera di Plinio il Giovane all'Imperatore Traiano, scritta nell'anno 111 o 112, quando Plinio era stato inviato come legatus propraetore alle province di Bitinia e Ponto, e fu detto di averle trovato entrambe infestate dal cristianesimo. Ma può la lettera esser considerata autentica? Noi dobbiamo notare che la sola forma in cui ci ha raggiunto è un manoscritto completamente separato dal resto delle sue lettere. Per giunta, in connessione coi suoi riferimenti ai cristiani, Plinio parla di “Clemente di Roma” come di un uomo ben noto che realmente ha scritto le epistole attribuite a lui. Ma il consenso dell'opinione degli esperti è che, di quelle epistole, solamente la prima dalla chiesa di Roma ai Corinzi può eventualmente esser autentica. E quest'epistola non fu riconosciuta fino all'anno 170. Come, allora, Plinio poteva sapere qualcosa di essa? Questa circonstanza getta un considerevole sospetto sulla menzione di Plinio dei cristiani nella 96-esima epistola. Questo è ciò che si presume avesse scritto a Traiano:
“Quanto a quelli che negarono di essere stati cristiani, mi sentii obbligato a rilasciarli liberi non appena avessero adorato gli dèi e sacrificato alla tua statua.
Tutti questi (che affermarono di non essere cristiani) venerarono la tua immagine e i simulacri degli dèi, e imprecarono contro Cristo. Ma affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno (carmen) a Cristo come se fosse un dio (Christo quasi deo).
Se, come sembra altamente incerto, questo passo dovesse essere autentico, allora Plinio vide nella condotta dei cristiani una pubblica minaccia fintantochè questo nuovo dio, che era stato innestato sull'antico geloso dio degli ebrei, e al quale essi cantavano inni, sembrava incompatibile con gli altri dèi dell'impero, a cui gli adoratori del Messia non avrebbero offerto incenso e vino, e fintantochè fu anche incompatibile col culto del deificato Cesare.
Tutto sommato, ci sono solo due riferimenti a Cristo nella letteratura latina. Entrambi figurano in opere di scrittori romani che vissero durante il periodo di transizione dal primo al secondo secolo. Quelle sono le opere di Tacito e Svetonio, entrambi amici del più giovane Plinio.
Negli “Annali” di Tacito (15:44), con la loro esposizione particolarmente drammatica, leggiamo in connessione coll'incendio di Roma sotto Nerone:
“Nerone si inventò dei colpevoli responsabili di questo crimine. Li sottomise a pene raffinatissime. Sono coloro che ognuno detesta a causa delle loro nefandezze, e che dal popolo sono chiamati Chrestiani. L'originatore del nome (Christus), fu condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio”.
Sembra impossibile per ogni critico privo di pregiudizi dubitare che questo passo rappresenti un'interpolazione, un'aggiunta fabbricata al testo, inserita molto tempo dopo i giorni di Tacito da qualche monaco o copista cristiano. Esso è formulato nella più stretta sintonia con la tradizione cristiana che gradualmente era divenuta stabilita. Chrestiani, che è l'equivalente greco di Christiani, è un appellativo che difficilmente può esser stato noto a Tacito quando egli scrisse “Gli Annali”. La parola greca Cristo, in vece di Messia non venne in uso fino al tempo di Traiano. Nessuno degli evangelisti impiega la parola Cristiani in connessione con quelli che seguirono Gesù. Il solo passo (Atti 11:20) dove si fa una menzione delle conversioni di gentili presenta l'origine di questo movimento in Antiochia. Tacito non menziona il nome di Gesù, e apparentemente non lo udì. Egli sembra considerare Cristo un nome personale e non sa che significa il Messia. Ciò che è particolarmente sospetto, comunque, è che, come un cristiano di un'epoca posteriore, egli parla di Pilato come se questa personalità dev'essere familiare ai lettori senza alcuna spiegazione aggiuntiva.
Nessun'opera di Tacito ci ha raggiunto senza inserzioni fabbricate. La fede mostrata da Gibbon sulla genuinità dei più antichi manoscritti di Tacito è stata abbandonata da lungo tempo.
La ragione più forte per ritenere un'interpolazione questo passo è perchè ciò che dice Tacito . . . oppure appare dire . . .  circa la relazione di Nerone coi cristiani non può eventualmente essere vero. Non è immaginabile che, così presto come nei giorni di Nerone, i seguaci di Gesù a Roma potessero aver formato una congregazione vasta abbastanza da attirare l'attenzione pubblica e così suscitare l'odio del popolo al punto da divenir soggetti all'accusa di aver incendiato la città. E come poteva Tacito, che non prese mai seriamente le dottrine degli ebrei, ma (secondo Tertulliano) credette che il loro dio, che egli non distinse mai da quello dei cristiani, fosse un uomo con la testa d'asino come quella del famoso graffito della crocifissione . . . come poteva egli considerare la presenza a Roma di una piccola setta ebraica una minaccia all'Impero?
Nessun uomo ragionevole al giorno d'oggi crede alla leggenda che attribuì a Nerone stesso la responsabilità dell'incendio di Roma. Svetonio, che fu propenso a sospettarlo di qualunque cosa, non aveva udito alcuna diceria che lo indicasse colpevole. E nè ci fu una ragione del perchè Nerone dovesse accusare i cristiani di aver iniziato l'incendio. Essi si chiamarono Iesseni o Nazareni, gli Scelti o i Santi, e così via. Comunemente essi erano considerati ebrei. Osservavano la Legge Mosaica, e il resto della popolazione non poteva distinguerli da altri ebrei. Essi ci tenevano a loro stessi e si preoccupavano di attrarre poca attenzione quanto fosse possibile.
La storia circa le torce umane che è giunta a noi da Tacito, sembra il prodotto di un'immaginazione incitata dalla lettura di una martirologia cristiana posteriore. 
Una punizione per l'incendio non esisteva a Roma al tempo di Nerone. I giardini dove si suppose che quelle torce fossero state messe erano stati trasformati in un rifugio per gli sfortunati che erano stati resi sfollati dall'incendio della città. Essi furono riempiti di tende e baracche di legno, tra le quali nessuno si sarebbe sognato di erigere pire per il rogo di criminali.
Gli scrittori pagani non esibiscono nessuna conoscenza di quelli orrori. I più antichi scrittori cristiani sapevano altrettanto poco di quelle “torce viventi”, che avrebbero fornito un così eccellente materiale per la propaganda. La loro menzione più antica occorre in un famigerato falso del quarto secolo . . . la corrispondenza totalmente immaginaria tra Seneca e l'apostolo Paolo [Il Capitolo 12 dell'Epistola di Paolo e Seneca allude all'incendio di Roma, e alla punizione di ebrei e cristiani come suoi responsabili, ma non ha nulla da dire circa “torce viventi”]. Una loro menzione più estesa è fatta da Sulpicio Severo, che morì nel 403, ma è mischiata con leggende cristiane come quelle circa la morte di Simon Mago e l'episcopato romano di san Pietro. In generale, le parole usate da Sulpicio sono identiche a quelle attribuite a Tacito. È aperto al dubbio se il testo di Tacito utilizzato da Sulpicio contenesse il famoso riferimento ai cristiani . . . odium generis humani. Altrimenti esso deve esser diventato noto ad altri scrittori cristiani che citarono Tacito. La probabilità è che il passo negli “Annali” (15:44) fu trasferito a Tacito da Sulpicio da qualche monaco scriba  . . . per la maggior gloria di Dio, e per rafforzare la continuità della tradizione cristiana mediante una testimonianza pagana.
Per quanto possiamo realizzare, allora, non esiste nella letteratura romana contemporanea nessun riferimento autentico che supporti l'esistenza storica di Gesù.

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