venerdì 7 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXX)

(per il capitolo precedente)

XXIX
L'Apocalisse, o la cosiddetta Rivelazione di San Giovanni, che chiude il Nuovo Testamento, sembra essere stata scritta prima di ogni altro libro e per certi aspetti può essere considerata il fondamento sul quale poggia l'intera struttura. È nella natura delle cose che non possiamo dire nulla dell'identità di quel Giovanni che appare come scrittore di questo documento. Solo proprio questo è certo, che egli non ha niente a che fare con l'autore del quarto vangelo.
Ci viene detto che lo scritto fu fatto a Patmos, una piccola isola a forma di mezzaluna, lunga quasi dieci miglia (inglesi), e situata non lontano dall'antica città di Efeso. In quel periodo il suo splendido porto forniva a quest'isola una posizione di non scarsa importanza. Essa fu l'approdo di viaggiatori provenienti da Efeso a Roma o viceversa. Durante il periodo greco fiorì notevolmente e fu fittamente popolata. Durante i Romani divenne un porto dal quale le navi salpavano quotidianamente. Come le altre isole greche nelle vicinanze, è oggi deserta, ma bella, tuttavia, priva di ogni tipo di effetto deprimente e abbastanza attraente con le sue rocce rossastre che sorgono al di sopra del mare blu sotto un Sole brillante. Un greco dell'età calssica avrebbe potuto scrivere un idillio d'amore su quell'isola. Nello stesso luogo un antico ebreo scrisse un libro inteso a riempire di terrore le persone per le sue stravaganti profezie, denunce, e condanne, nonché per la sua grottesca e barbara immaginazione: tutto si inserisce in quello stile insofferente in cui era gradualmente declinata la maniera austera di parlare degli antichi profeti ebrei  . . . una sorta di linguaggio rosacruciano che doveva riapparire un migliaio d'anni dopo nella poesia dei bardi islandesi, con le sue forzate circonlocuzioni.
Lo stile profetico cominciò a degenerarsi nel tempo di Ezechiele. Egli scrisse in esilio, tra gli anni 574 e 572 A.E.C., e fu lui che introdusse l'elemento visionario in vista di un effetto maggiore. “Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. Le loro gambe erano diritte e gli zoccoli dei loro piedi erano come gli zoccoli dei piedi d'un vitello, splendenti come lucido bronzo. . . . Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila”.  Poi continua senza fine circa questi grotteschi mostri  zoologici, che potrebbero essere stati ispirati dai tori alati e altre fantastiche creature viste da Ezechiele nei templi del suo esilio babilonese.
È violento e pittoresco, ma non tocca il cuore come facevano i primi profeti. 
Zaccaria, che visse molto più tardi, e scrisse intorno al 518 A.E.C., è ancor più oscuro di Ezechiele. Come quest'ultimo, riempie i suoi scritti di allegorie e visioni. “Poi alzai gli occhi ed ecco, vidi quattro corna. Domandai all'angelo che parlava con me: «Che cosa sono queste?». Ed egli: «Sono le corna che hanno disperso Giuda, Israele e Gerusalemme». Poi il Signore mi fece vedere quattro operai. Domandai: «Che cosa vengono a fare costoro?». Mi rispose: «Le corna hanno disperso Giuda a tal segno che nessuno osa più alzare la testa e costoro vengono a demolire e abbattere le corna delle nazioni che cozzano contro il paese di Giuda per disperderlo»”. Questo non è uno stile lucido, o istruttivo, o persuasivo. È uno stile di enigmi, di logogrifi, e inoltre viene usato da Zaccaria senza abilità o  grazia.

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