martedì 11 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXXVII)

(per il capitolo precedente)


XXXVI
Il Figlio venuto in questo mondo è allora, come viene detto dalle righe di apertura del vangelo, la rivelazione dell'eterno Logos. In quanto tale egli ha parte e partecipa delle qualità della divinità. In quella misura egli è Dio e uno con Dio. D'altra parte, in quanto il Figlio che ha ricevuto tutto dal Padre, è subordinato a quest'ultimo. Il Padre è più grande di lui.
Eppure, come l'unigenito Figlio (monogen), egli non è solo il Figlio prediletto, ma è il prototipo unico e perfetto per quella linea di discendenza divina dalla quale emergeranno i Figli di Dio.
 Essendo fatta di carne, la Parola diventa il Figlio. Ma la distinzione non viene mai pienamente mantenuta. Quando Gesù appare dopo la sua resurrezione (Giovanni 20:22), soffia sui discepoli mentre dice loro: “Ricevete lo Spirito Santo”. Quando ha convinto il dubbioso Tommaso, e quest'ultimo dice semplicemente: “Mio Signore e mio Dio”, questo non provoca nessuna protesta da parte di Gesù, ma egli dice semplicemente: “Perché mi hai visto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto, e hanno creduto” (Giovanni 20:28-29).
Quello che il quarto vangelo vuole veicolare in molte forme è la naturale incapacità dell'uomo nel trovare la salvezza, e la possibilità di ottenere la vita eterna attraverso la Parola deificata.
Questo è lo scopo di tutte le sue storie e tutte le sue predizioni. Esso si applica alla guarigione del figlio del nobile menzionato in Giovanni 4:46 et seq. Gesù non deve neppure vedere il ragazzo morente, che giace malato a Cafarnao, mentre Gesù stesso è a Cana. Egli agisce a distanza, dicendo al padre ansioso: “Tuo figlio vive”. Tutta la storia è puro simbolismo e intesa a chiarire il potere della fede.
Lo stesso vale per la storia della donna samaritana presentata nel quarto capitolo. Tutto in essa è inteso simbolicamente. C'è, per esempio, il contrasto tra l'acqua del pozzo e l'acqua viva servita da Gesù. Il punto della storia è quello di mostrare l'insignificanza del luogo scelto per il culto. L'unica cosa che conta è l'adorazione in spirito e verità. I discepoli dicono: “Maestro, mangia”. Gesù li mette da parte con le parole: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato”. Poi segue la similitudine della mietitura, che di nuovo è simbolica. La raccolta sarà vicina tra quattro mesi: “Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna”. Infine arriva la conversione ottenuta piuttosto facilmente dai samaritani, che esclamano: “Sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”.
L'ottimo brano che illustra la mitezza di Gesù verso la donna che era stata colta in adulterio e doveva essere lapidata in conformità alla legge di Deuteronomio 22:22, non fu in origine parte del quarto vangelo, ma rappresenta una interpolazione posteriore. Non si presenta nei manoscritti più antichi e più affidabili, e la brusca maniera della sua inserzione rompe la continuità della storia. E l'esito dell'episodio, con la fuga della donna, è estremamente improbabile. I suoi carnefici senza dubbio si sarebbero considerati sufficientemente liberi dal peccato e non avrebbero lasciato andare la loro vittima semplicemente perchè un uomo senza alcuna autorità esortava loro a rompere la Legge facendo precedere la giustizia dalla pietà.  Quindi segue, in Giovanni 8:12, l'impeto di Gesù: “Io sono la luce del mondo”. Quando questa espressione di auto-affermazione superumana riappare in Giovanni 8:5, ha un fondamento di gran lunga migliore nella sua guarigione simbolica dell'uomo che era stato cieco fin dalla nascita. 

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