domenica 27 agosto 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (XVII)

(continua da qui)
Una Possibile Variante — “Qualcuno è passato...”
Inizieremo con una possibile replica da parte del mio opponente che rifiuta l'argomento del saeculi silentium (silenzio di un secolo).

Opponente:
È impossibile prendere seriamente questo argomento. Esso implica che gli avvenimenti che accaddero in una remota provincia romana non molto importante, come la Giudea, dovevano diventare noti quasi immediatamente per tutto l'Impero romano, e soprattutto a Roma. Questo equivale a valutare l'antichità coi criteri del nostro tempo. Oggi, grazie ai media, ogni evento locale di una qualche importanza è conosciuto il giorno successivo in tutto il mondo. Gli eventi che si svolsero a Gerusalemme negli anni trenta del I secolo E.C. potevano essere passati inosservati al di fuori della Giudea. Per di più, non avrebbero potuto lasciare neppure un'impressione profonda su coloro che li testimoniarono o che vi parteciparono. Questo punto è stato sostenuto con convinzione da O. Chwolson.

Autore: Ora ciò è interessante. Che cosa ha da dire sul soggetto questo erudito studioso, che approva fortemente la storicità di Gesù?

Opponente: Egli afferma che sotto Erode, Archelao e i prefetti romani migliaia di ebrei furono condannati a morte a Gerusalemme e così sarebbe difficile, se non impossibile, che uno storico avrebbe dovuto ricordare che tra quelle migliaia ci fosse stato uno chiamato Gesù. Ad opinione di Chwolson fu solo venti anni dopo la morte di Gesù Cristo che cominciò il fermento popolare che portò alla guerra ebraica. La disfatta degli ebrei in questa guerra e lo sconvolgimento che ne seguì potevano aver fatto rivivere i ricordi del maestro che era stato condannato a morte, e solo in seguito quei ricordi avrebbero trovato un'espressione letteraria. [47]

Autore: Se ti capisco correttamente, tu stai dicendo che non si deve insistere sulla veridicità del resoconto evangelico della vita di Gesù, e che la sua predicazione e morte potrebbero non essere stati altrettanto straordinari e drammatici come vengono presentati nel Nuovo Testamento. Ma guardiamo più da vicino questo punto di vista, infatti è estremamente diffuso nelle opere di fiction come pure negli scritti accademici. Una brillante illustrazione artistica di questa concezione è il famoso racconto storico di Anatole France “Il Procuratore di Giudea”. [48]

Un uomo vecchio e malato, Ponzio Pilato, venne ad una località balneare per un trattamento medico. Là vi incontrò per puro caso il suo amico, Aelio Lamia, un aristocratico romano, che nella sua gioventù aveva trascorso molti anni in esilio in Palestina. Sotto il caldo sole meridionale i due vecchi si ricordarono del passato, rammentando gli eventi in Palestina di cui furono testimoni. Lamia chiese della rivolta samaritana, contro il dominio romano, che prese luogo sul monte Gerizim, e Pilato fornì un racconto dettagliato dell'insurrezione e del suo esito. I due uomini avevano così tanto da ricordare che decisero di incontrarsi il giorno successivo nella casa di Pilato. Là quei due amici ricordarono ancora il tempo in cui erano entrambi giovani e vissero nella barbarica Giudea. Pilato parlò di più, poichè Lamia era interessato al lavoro di Pilato in Giudea come amministratore e procuratore e voleva ascoltare tutti i dettagli. Pilato affermò di aver ordinato spesso condanne a morte passate da un tribunale ebraico:

“Cento volte, almeno, li ho visti, radunati, ricchi e poveri, tutti uniti sotto i loro sacerdoti, condurre un assalto furioso alla mia sedia d'avorio, afferrandomi per le pieghe del mio abito, per i lacci dei miei sandali, e tutti a implorarmi — no anzi, a pretendere da me — la pena di morte per alcuni disgraziati la cui colpa non riuscii a realizzare, e riguardo i quali io potevo solo dichiararli pazzi al pari dei loro accusatori. Un centinaio di volte, io dico! Non un centinaio, ma ogni giorno e per tutto il giorno.... Alla scadenza del mio mandato io tentai di persuaderli a sentir ragione; io tentai di strappare alla morte le loro miserabili vittime. Ma questa ostentazione di pietà ebbe solo l'effetto di irritarli ancora di più.”

Questo suona davvero molto simile al processo di Gesù come raccontato nei vangeli. E mentre si ascolta il monologo di Pilato, ci si aspetta che in qualsiasi momento Pilato avrebbe rammentato un uomo così disgraziato da averlo dovuto consegnare ai fanatici scribi e farisei e lasciare che se ne occupassero come piaceva loro.  Ma Pilato non aveva alcun ricordo di questo caso più eccezionale, un caso che ebbe conseguenze così importanti.

Gli amici allora si volsero ad altri soggetti. Lamia ricordò una danzatrice, un'ebrea di straordinaria bellezza e fascino, di cui era innamorato. La loro relazione si concluse bruscamente: “Un giorno.... scomparve, e non la vidi più... Appresi per puro caso che si era unita ad una piccola compagnia di uomini e donne che furono seguaci di un giovane guaritore galileo.

La donna di cui parlò Lamia è apparentemente Maria Maddalena, e il “giovane galileo” è senza dubbio Gesù Cristo. Lamia continuò:

“Il suo nome fu Gesù, egli venne da Nazaret e fu crocifisso per qualche crimine... Ponzio, ti ricordi qualcosa di quell'uomo?”

 “Ponzio Pilato contrasse le sopracciglia e portò la sua mano alla sua fronte nel gesto tipico di chi scruta le profondità della memoria. Allora dopo un silenzio di alcuni secondi —
 
“'Gesù?', mormorò, 'Gesù di Nazaret? Non riesco a ricordarmelo'.”

 Opponente: Tu non pensi che in questa storia Anatole France possa aver trovato la giusta risposta ad una domanda che ha eluso finora gli studiosi e gli storici?

Autore: Questo non è escluso. Ma in quel caso le narrazioni evangeliche devono essere considerate inaffidabili come  una fonte storica. Se gli eventi connessi alla vita e alla morte di Gesù Cristo erano così insignificanti, allora il loro racconto fornito nei vangeli è, per usare un eufemismo, inaccurato. Là ci viene detto del movimento popolare in Galilea e in Giudea che fu apparentemente provocato dall'azione di Gesù; dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme dove fu accolto da “una gran folla
, del processo di Gesù durante la notte, che fu straordinario nell'ambito e nel modo in cui fu condotto; della partecipazione di grandi folle alla tortura di Gesù e così via. Tutto questo perde credibilità. Io ho già parlato degli accadimenti miracolosi che, come dicono i vangeli, accompagnarono la passione e la morte di Gesù Cristo. Se anche uno solo di loro fosse veramente accaduto, l'intera storia avrebbe lasciato un'impronta indelebile nel ricordo delle persone.

Opponente: Non si parli dei miracoli, ma limitiamo la nostra discussione entro un contesto storico. Supponendo che il resoconto degli eventi da parte degli evangelisti sia non solo esagerato ma anche impreziosito con fantasia religiosa, è comunque costruito attorno ad un nucleo storico. Sicuramente tu sei consapevole che questa è un'opinione tenuta dall'importante scrittore russo N. Nikolsky, dal famoso storico francese e comunista Henri Barbusse e dallo studioso inglese e comunista Archibald Robertson? Tuttavia tu non hai considerato le loro opinioni sulla questione alla quale noi siamo interessati.

Autore: ciò è proprio quello che io intendo fare. L'accademico Nikolsky riconosce il fatto che noi non possediamo che informazioni scarse e contraddittorie circa Cristo. In sostanza, tali informazioni si trovano solo nei vangeli sinottici, ma la loro analisi offre risultati piuttosto deludenti. Nikolsky scrive: “Infatti le conclusioni storiche non sono veramente incoraggianti, in particolare sulla questione della vita e della predicazione di Gesù”. E se trascuriamo ciò che è contraddittorio e dubbioso o addirittura implausibile nei vangeli, Nikolsky continua: “Cos'è che resta del resoconto dato nei vangeli sinottici? Ci fu un falegname di Nazaret, Gesù, che sembra aver eseguito miracoli e predicato, ma ciò che predicò non lo sappiamo per certo; poi egli fu arrestato dalle autorità ebraiche e fu condannato a morte. E quello è tutto”. [49] Nikolsky insiste, tuttavia, che in questo scarso materiale risiede il nucleo storico da cui successivamente crebbe l'albero maestoso della leggenda cristiana. 

Secondo Nikolsky, dovremmo respingere quelle prove evangeliche che si contraddicono l'un l'altro oppure non ispirano fiducia in generale, ma non tali pezzi di informazione che concordano a vicenda in sostanza. Egli scrive: “Quando tutte le fonti — sia i vangeli che gli scritti apocrifi — sono unanimi nel dire che Gesù fu di Nazaret e fu un falegname o figlio di un falegname, che suo padre fu Giuseppe e sua madre fu Maria, allora stiamo trattando ovviamente di fatti generalmente conosciuti intorno ai quali non vi fu alcun disaccordo”.  Elaborando questo pensiero, Nikolsky dice: “Se Gesù non fosse una persona reale, ma una figura inventata, perché allora fu chiamato un falegname di Nazaret, perché ci fu un generale riconoscimento riguardo a quali fossero i nomi di suo padre e di sua madre, e anche i nomi delle città e dei villaggi dove predicò? Per spiegare questo, noi dobbiamo assumere che ci fosse una storia fantasiosa circa Gesù che sia più breve di quella menzionata nei vangeli sinottici e che, per qualche ragione, ognuno accettò quella storia come solenne verità”. [50]

Nikolsky ritiene che i vangeli offrono un quadro generalmente vero delle circostanze storiche in cui Gesù condusse le sue attività. Così, Ponzio Pilato fu effettivamente il capo della Giudea e fu crudele e spietato. Le morali e i costumi e le località descritte nei vangeli corrispondono pienamente alle realtà di quel periodo. Anche per Nikolsky, l'argomento del silenzio non è convincente.

La predicazione di Gesù, dice Nikolsky, durò solo per breve tempo, forse non più di un anno. Durante questo periodo egli non diventò ampiamente conosciuto. Così, “prima che Gesù entrò a Gerusalemme, le autorità romane apparentemente non udirono mai di lui”; Gli ebrei, naturalmente, lo conoscevano, ma “per i quartieri dominanti della società ebraica Gesù fu solo uno dei loro nemici, e nemmeno uno dei principali”. [51] Pertanto, “se gli scrittori romani non menzionarono Gesù, questo dev'essere spiegato col silenzio degli scrittori ebrei; gli scrittori romani ottennero quasi tutte le loro informazioni sulla Giudea e sugli eventi ivi occorsi esclusivamente da fonti ebraiche”.

Nikolsky pensa che anche i discorsi di Gesù formino un insieme omogeneo. Egli scrive: “Nonostante alcune contraddizioni, i discorsi di Gesù, come è percepito da tutti coloro che hanno letto attentamente i vangeli sinottici, sono un tutt'uno in spirito, tono e contenuto.... È possibile inventare qualche detto e parabola, ma è impossibile introdurli senza alcun ordine, come avviene nei vangeli, e tuttavia far sentire al lettore che dietro di loro ci sia un vivente predicatore”. [52]  Così Nikolsky è portato alla conclusione che Gesù fosse una persona reale, una persona che aveva un'esistenza storica.

Per molti aspetti gli argomenti di Nikolsky sono simili a quelli di Henri Barbusse, il quale a sua volta riconosce la storicità di Cristo. Gli argomenti avanzati da Barbusse, tuttavia, sono più provocatori, più brillanti: fanno parte di una concezione originale per quanto riguarda la nascita stessa del cristianesimo. Al pari di Nikolsky e di certi altri autori, che riconoscono l'esistenza storica di Cristo, Barbusse non ignora il fatto che le fonti storiche ci dicono molto poco su Gesù. Barbusse scrive: “Si affrontino le prove ... e si dica: tutti i documenti di cui disponiamo, sia religiosi che secolari, riguardanti le origini del cristianesimo fino al momento in cui il canone della chiesa stabilì 'ne varietur' [scrittura non soggetta a cambiamento — I.K.], cioè, all'inizio del quinto secolo, sono quasi senza eccezione  inaffidabili e in linea di principio non meritano fiducia. Non c'è una sola riga di cui si possa essere sicuri, niente che si possa affermare, nemmeno un nome, neppure una data.” [53] I libri del Nuovo Testamento non ci dicono nulla di definitivo su Gesù Cristo. Barbusse sottolinea il fatto che gli autori delle epistole e degli Atti che, come apostoli, devono aver conosciuto Cristo meglio di qualunque altro, non dissero niente di Cristo.

Ma se avessero conosciuto Cristo probabilmente essi avrebbero considerato loro dovere riportare quello che sapevano. Barbusse scrive: “Parliamo il linguaggio chiaro del senso comune. Se tu e io potessimo essere stati a contatto con Dio, se fossimo vissuti con lui per lungo tempo e avessimo udito la sua voce per un periodo di numerosi anni e mesi, perfino se la sua parola ci venisse trasmessa dai suoi contemporanei un pò di anni dopo la scomparsa di Dio, noi avremmo considerato nostro dovere diffondere il suo insegnamento. È possibile che noi avremmo pronunciato una parola oppure scritto una riga senza riferirci direttamente ad alcuni tratti di questa  impressionante e concreta realtà?” [54]

Inoltre, gli apostoli, parlando di Cristo, sembrano aver attinto da tutte le altre fonti tranne che dai loro stessi ricordi e impressioni. Essi copiarono molti termini e frasi dai profeti dell'Antico Testamento. Per esempio, parlarono molto del sacrificio di agnelli, dell'umile servo e figlio, ma praticamente niente dell'esistenza reale di Gesù l'uomo o l'uomo-e-Dio. “Sembra inconcebile” afferma Barbusse, “che mentre si affidano ai profeti, quei pastori [autori degli Atti e delle epistole — I. K.] non si riferirono mai alla realtà umana di Dio con cui essi erano stati apparentemente in contatto. Ciò dovrebbe essere sottolineato: è inconcepibile che essi non avrebbero invocato questa realtà in ogni riga da loro scritta”. [55] Sarebbe inconcepibile, cioè, se gli autori degli Atti e delle epistole avessero davvero conosciuto Cristo come una persona reale!

Nondimeno, Barbusse trova parecchi punti di partenza da cu ricostruire una concezione che implica, tra le altre cose, un riconoscimento dell'esistenza storica di Gesù. Quei punti di partenza sono i vangeli.

Pur riconoscendo il fatto che i vangeli contengono molte contraddizioni e un gran numero di aggiunte e modifiche piuttosto recenti, Barbusse trova comunque nei vangeli un nucleo di verità storica. Per lui, le “numerose ovvie contraddizioni che troviamo nei vangeli e che provengono dalla penna di scrittori inesperti” [56] sono la dimostrazione che quelli scrittori non inventarono tutto quel che narrarono.  In seguito gli editori furono incapaci di raddrizzare le cose nel presentare questa verità. Con un'abile redazione, ritiene Barbusse, le divergenze nei vangeli sarebbero stati rimosse.

Le stesse incoerenze e contraddizioni nelle narrazioni degli evangelisti sono, per Barbusse, segni di veridicità storica. Così, Gesù il Dio ostenta spesso segni di debolezza umana. Quando accusato di tentare di attribuirsi qualità divine, egli citò testi dell'Antico Testamento nei quali persone ordinarie che udivano la parola di Dio erano riferite come dèi; in questa maniera egli praticamente negò di essere Dio. Gesù ammise di non sapere il giorno e l'ora quando sarebbe venuta la fine del mondo, dicendo che Dio solo sapeva questo. In molte occasioni Gesù andò a nascondersi per sfuggire alla persecuzione. La sua preghiera — “rimuovi da me questo calice” - prova magnificamente la sua povera e nuda umanità”. [57] E il suo grido sulla croce — “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” - è un grido umano di dolore e sconfitta. Gli evangelisti non potevano aver inventato tutto questo; sarebbe stato inutile per loro fare così.
 
Barbusse ritiene che molti episodi descritti nei vangeli siano realistici e storicamente plausibili. Scrive: “Tali eventi sensazionali come la cacciata dei mercanti dal tempio e il processo di Gesù non possono essere considerati pura finzione. Ma ciò che porta l'impronta di una verosimiglianza sono gli aspetti precisi e coerenti del personaggio, le specificità del rilievo pittorico e gli episodi aneddotici che, a quanto pare, sono in sé stessi dimostrazioni e diffondono una misura di autenticità a tutto il resto. I dettagli relativi, ad esempio, alla natura intrattabile del tesoriere della comunità, il comportamento sgraziato dei fratelli del profeta, la lentezza di comprensione dei discepoli, e la personalità di Marta e Maria Maddalena non possono essere condiderati altrimenti se non autentici. Chi li avrebbe inventati, e per quale scopo?  In tutto questo c'è qualcosa che non può essere inventato”. [58] Secondo Barbusse, anche il modo di parlare di Gesù come predicatore, interlocutore e polemista è qualcosa che non può essere inventato.

Barbusse cita molti dei detti di Gesù, per esempio il suo “verdetto veramente geniale, originale e giusto” sulla donna colta in adulterio, e constata la loro arguzia e concisione. “Quelle splendide cristallizzazioni verbali”, scrive Barbusse, “sono nati da labbra e da un cuore che sono liberi e non provengono dalla penna d'oca di un ecclesiastico intento al suo compito”. [59] Anche la sostanza dei discorsi di Gesù, secondo Barbusse, tende a confermare l'autenticità delle narrazioni evangeliche.

L'insegnamento di Gesù, come introdotto nei vangeli, dice Barbusse, non dovrebbe essere considerato identico all'insegnamento dell'apostolo Paolo che divenne il teorico cristiano più importante. Se fosse inventata la personalità di Gesù, e specialmente se fosse stata inventata nel periodo quando le epistole di Paolo erano già note, gli si sarebbe fatto pronunciare detti e predicare discorsi in accordo con lo spirito dell'insegnamento di Paolo. Ma poiché gli aspetti specifici dell'individualità di Gesù sono conservati nei suoi discorsi come riportati nei vangeli, significa che questa individualità non è una creazione mitologica, ma un riflesso di una reale personalità storica.

Le narrazioni degli evangelisti, dice Barbusse, meritano una certa dose di fiducia. Sarebbe irrazionale, a suo parere, supporre che quelle narrazioni siano finzione dall'inizio alla fine. Un inganno su una così vasta scala è in principio impossibile, tantomeno una simile ricchezza di fantasia. Tenendo conto di ciò, quali conclusioni si possono derivare riguardo la questione se Gesù fosse un personaggio reale oppure una figura mitica?

Barbusse è cauto nel formulare la sua conclusione, che si limita a sole tre parole: “qualcuno è passato ....”. E il più che si possa dire di quel “qualcuno” è sintetizzato in due brevi frasi: “passò
un pover'uomo, di cui si ebbe bisogno in seguito”; e “qualche oscuro profeta ebreo passò, che predicò e fu crocifisso”.  [60]

“...Di cui si ebbe bisogno in seguito” — quelle parole sintetizzano la concezione di Barbusse delle origini del cristianesimo, che comporta un riconoscimento della storicità di Gesù.

Per circa vent'anni, secondo questa concezione, questo oscuro predicatore vagabondo, che al pari di molti altri sconosciuti sofferenti, fu crocifisso, fu completamente dimenticato. Più tardi, emersero condizioni sociali e storiche che suscitarono ricordi vaghi e confusi intorno a lui. Avvenne un processo di riforma ellenistica dell'ebraismo. Riti e dottrine originarie della religione e delle concezioni greche e orientali furono innestate su questa religione. Al fine di diffondere questa nuova religione tra il popolo, ciò che era necessario non erano così tanto discorsi astratti-teologici quanto una parola d'ordine che avrebbe catturato l'immaginazione delle masse e influenzato gli aspetti emotivi della coscienza sociale. Il “vangelo” (che significa “buona notizia”) che “il Messia è venuto” diventò tale parola d'ordine. Era conveniente presentare un Gesù risorto come questo Messia. Da qui in poi si trattava di abbellire l'immagine di qualcuno che fu veramente vissuto coi colori vivaci della fantasia mitologica. Questo fu storicamente così inevitabile che se Gesù non fosse esistito sarebbe stato necessario inventarlo in questo momento. Ma non era stato necessario inventarlo dal momento che qualcuno, un uomo di Galilea, che non seppe mai il ruolo che sarebbe stato chiamato a recitare, era già esistito.

Il Gesù storico fu così un vero e proprio sostituto di un principio ideale su cui fu costruita la prima versione del cristianesimo. Gesù non pensò di sè stesso come Cristo; né fu ritenuto Cristo dai suoi contemporanei. Fu solo più tardi che egli diventò risorto nella memoria del popolo come Cristo, Messia e Salvatore. Barbusse scrive: “Quando Gesù apparve, non c'era ancora Cristo, e quando Cristo apparve, Gesù aveva cessato da tempo di esistere. Gesù Cristo non è mai esistito”. [61]

Questa concezione fallisce di rispondere a molte domande. Se Gesù non fu crocifisso per aver detto di essere il Messia e perciò Re degli ebrei, per che cosa allora fu crocifisso? Se egli fosse stato messo a morte per la stessa ragione di migliaia di altri predicatori itineranti come lui, perché il suo nome acquisì un così grande significato e diventò il simbolo del nuovo movimento religioso? Qualsiasi nome fittizio avrebbe servito allo stesso scopo. Non dovrebbe essere importante in questo caso se il simbolo rappresentasse qualcuno che fosse esistito oppure qualcuno che non fosse mai esistito.

Si potrebbe anche chiedere perchè gli evangelisti non avevano rimosso oppure almeno minimizzato questa contraddizione. Essi avrebbero potuto crearla indipendentemente dal fatto che i vangeli fossero circa una persona fittizia oppure una persona storica. In ciascun caso le contraddizioni non possono che mettere in dubbio l'affidabilità delle narrazioni stesse. Ci devono essere state certe altre ragioni per cui quelle contraddizioni non avrebbero potuto essere riconciliate. Sicuramente non è perché il testo fosse basato completamente su una verità storica. Nel capitolo precedente io ho trattato quelle ragioni. Ma, così l'argomento va, sarebbe strano per i vangeli attribuire a Gesù caratteristiche puramente umane se non esistette una persona simile.   Per nulla affatto! Il compito degli autori dei vangeli non era quello di presentare un'immagine di Dio ma un'immagine di qualcuno che venne ad incarnare una divinità. Così gli evangelisti devono aver usato la loro fantasia creativa per umanizzare al massimo la personalità di Gesù. Più precisamente, non è tanto un problema della fantasia degli evangelisti quanto quello della fantasia dei credenti che avevano creato un ritratto del loro eroe in linea con le loro esigenze ideologiche evolutesi storicamente. Quello che fecero gli autori dei vangeli fu dare una forma letteraria a questo materiale religioso-folcloristico, interpretandolo e senza dubbio introducendovi molti cambiamenti. E quest'intero processo poteva aver avuto luogo non solo spontaneamente ma anche con il deliberato proposito di creare un'immagine dell'uomo Gesù a cui niente di umano fosse alieno.

Barbusse è deliziato dall'integrità e dall'attrattività di quest'immagine raffigurata nei vangeli, dall'ingengosità e spirito ostentati da Gesù in alcuni dei suoi discorsi e detti. Non si può che concordare con questo, e perfino il comportamento contradditorio dell'eroe principale dei vangeli non distrugge quest'impressione. Al contrario, esso può solo rafforzarla. Infatti nella vita reale il comportamento delle persone è spesso contradditorio sia a causa di circostanze sia a causa della natura del carattere umano. Ma una fantasia artistica può creare una vivida immagine di una persona senza avere un suo modello storico? Certamente non c'è nessuna mancanza di immagini simili nella letteratura mondiale.  Basti solo ricordare Amleto, Pierre Bezukhov ed Egor Bulychev, per esempio.

Ognuno può, ovviamente, risolvere le contraddizioni relative alla personalità di Gesù e ai suoi discorsi descritti nei vangeli stratificando i diversi strati temporali nelle narrazioni del Nuovo Testamento, come è fatto da Barbusse. Questo approccio, comunque, non è esente da pericoli, poichè si potrebbe essere tentati di datare questi “strati” secondo certi preconcetti. Per esempio, se uno vuole che Gesù fosse un rivoluzionario, assegnerà quei passi nei vangeli che si prestano a questa interpretazione al periodo più antico e i passi che contraddicono questa visione, ad un periodo successivo. Oppure si potrebbero considerare le parole “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare” appartenenti alla parte più antica della tradizione e così approvare una tesi opposta. Ad ogni caso, non esiste alcuna  necessità logica per considerare che la tradizione, al di là se più antica oppure più recente, sia basata sull'esistenza di una persona storica reale.

In un libro pubblicato negli anni '50 Archibald Robertson esprime opinioni simili a quelle di Barbusse. Si consideri ciò che è nuovo negli argomenti di Robertson e che non si trova in Barbusse.

Anche Robertson ha la propria concezione dell'origine del cristianesimo. Secondo lui, lo sviluppo del cristianesimo cominciò con “un movimento rivoluzionario condotto prima da Giovanni il Battista e poi da Gesù il Nazareo”. [62] In una fase iniziale del movimento Giovanni Battista fu condannato a morte da Erode Antipa. “Un tentativo Nazareo di conquistare Gerusalemme portò alla crocifissione di Gesù da parte di Pilato”. [63]  In seguito a questo, il movimento si frantumò in due rami. Il nome di Gesù Nazareo diventò associato a un popolare movimento messianico che per lungo tempo mantenne il suo spirito rivoluzionario. Un secondo movimento guidato da Paolo usò il nome di Cristo per coprire opinioni sociali e politiche direttamente opposte. In seguito, dopo la riconciliazione di Paolo con l'ordine esistente delle cose, i due movimenti si fusero in uno.

Così nacque una nuova religione, che diventò ufficialmente stabilita nel quarto secolo E.C.. Secondo Robertson, questo “non fu il culto di un Messia ebreo morto, ma il culto di un dio-redentore che differiva da altri solo nell'avere un'origine locale nella Palestina del primo secolo e un nome ebraico con associazioni messianiche”. [64] Il portatore di questo nome, comunque, fu una persona reale. Durante i successivi tre secoli la sua immagine ricevette più e più aspetti mitologici: l'immacolata concezione e la nascita miracoloca del bambino, i numerosi casi in cui Gesù guariva i malati e riportava i morti alla vita, e la stessa resurrezione di Gesù dopo il suo martirio. Robertson scrive: “In qualche modo un individuo storico di cui conosciamo poco, ma la cui esistenza la ricaviamo dalle prove di Tacito e dal Talmud e da un'analisi dei documenti sinottici, diventò il soggetto di storie dimostrabilmente mitiche”. [65] Abbiamo già considerato queste prove in Tacito e nel Talmud. Vediamo ora come Robertson affronta le difficoltà che sorgono nel tentativo di dimostrare la storicità di Cristo che è basato sull'argomento del silenzio.

Perché Seneca, Plinio il vecchio, Giovenale, Marziale, Dione Crisostomo, Filone e Giusto di Tiberiade, tutti contemporanei ai primi cristiani, non dicono niente di Cristo o del cristianesimo? Perché, dice Robertson, non furono storici. [66] Alcuni di loro erano filosofi, mentre gli altri furono poeti, retori o naturalisti. Questa spiegazione non sembra molto convincente.

Non esisteva una stretta differenziazione di attività ideologiche nei tempi antichi. Allora non esisteva nessun confine netto tra filosofia e storiografia, tra opere con un messaggio sociale e scritti scientifici come nel nostro tempo. Pertanto, affermare che un autore, solo perché fosse un filosofo, non avrebbe potuto scrivere scritti sugli eventi legati alla storia dei movimenti sociali e religiosi, equivarrebbe a chiudere un occhio. Inoltre, la figura di Gesù Cristo e il movimento associatogli non possono essere considerati solo nel quadro della storia politica. L'intero problema ha molto a che fare con la religione e la filosofia, in ogni caso con l'ideologia. Filone era molto occupato di questioni ideologiche nei suoi scritti, ed era particolarmente interessato ai movimenti religiosi. Poiché egli scrisse in dettaglio sulla setta essena, perché non fece almeno menzione dei cristiani e del loro maestro? Robertson pensa che è illogico aspettarsi informazioni sul cristianesimo da quelli autori. Al contrario, direi. Sarebbe logico aspettarsi tali informazioni proprio da quelli autori.

E che cosa circa Giusto di Tiberiade e  Flavio Giuseppe, che sono essenzialmente storici? Anche qui, Robertson trova una via d'uscita. Nella sua Storia dei Re di Giudea Giusto cominciò con Mosè e terminò con Agrippa II. Ma durante il tempo di Gesù ci fu un'interruzione nella successione dei sovrani ebrei. Robertson perciò conclude che Giusto non aveva niente da dire su questo periodo. Questo è naturalmente un argomento debole. Infatti, anche se i sovrani si chiamavano formalmente etnarchi e tetrarchi (rispettivamente “governatori di una provincia” e “governatori di una quarta parte di una provincia”), nella letteratura ebraica, compresi gli scritti socio-politici, essi erano riferiti come re. È difficile immaginare che nella sua cronaca, che parte dai tempi antichi fino al 92 E.C. (l'anno in cui morì Agrippa II), Giusto avrebbe omesso il periodo in cui, secondo il volere dell'imperatore romano, i re ebrei non furono formalmente chiamati re. Per inciso, essi furono chiamati re nei vangeli.

Quanto al silenzio di Flavio Giuseppe, Robertson l'attribuisce al fatto che lo storico antico evitò sistematicamente di discutere di questioni sensibili del suo tempo riguardo il movimento messianico di Giudea. Pur di “trattenere il favore dei suoi patroni romani”, dice Robertson, “egli deve insistere che l'ortodossa ebraica è politicamente innocua. Egli perciò omette per quanto possibile ogni riferimento al movimento messianico”. [67] Come materia di fatto, Flavio Giuseppe parlò del movimento messianico in Palestina almeno due volte: una volta in riferimento al nome di Teuda, e un'altra volta in connessione con qualcuno senza nome che volle trovare i santi vessilli nascosti da Mosè nella montagna di Gerizim. Flavio Giuseppe racconta anche del movimento di Giuda il Galileo e di altri movimenti popolari che, nel loro spirito, erano simili al messianismo. Perchè allora egli avrebbe dovuto evitare di descrivere il movimento associato a Gesù Cristo?

Secondo Robertson, nessuno degli autori antichi, i cui scritti ci sono conosciuti, ebbero dubbi circa l'esistenza storica Gesù. [68] E questo, ad opinione di Robertson, è una ragione per credere che Cristo è esistito. Questo argomento deve colpire il lettore come alquanto strano se non altro perché gli autori che sono appena stati menzionati non scrissero affatto circa Cristo. Sicuramente non potevano esprimere dubbi circa l'esistenza di Cristo se essi non sapevano nulla di lui. Per quanto riguarda gli scrittori del secondo secolo, le loro opere manifestarono dubbi simili, sebbene indirettamente. È vero, sappiamo di un solo esempio del genere. Nel Dialogo con Trifone Giudeo dell'apologeta cristiano Giustino Martire, Trifone dice: “Voi state seguendo false dicerie, vi siete inventati Cristo per voi stessi ... se egli era nato davvero, e visse da qualche parte, è completamente sconosciuto”. [69] Ma a parte questo passo, è assolutamente possibile che nel secondo secolo la leggenda cristiana prese radici abbastanza ferme da rendere difficile esaminare criticamente la concezione della sua figura centrale.

Un punto piuttosto curioso è il trattamento di Robertson di un passo di Papia di Ierapoli. Robertson citò Papia mentre afferma che lui era solito domandare agli anziani a proposito di Gesù e dei suoi discepoli. Non è necessario, afferma Robertson piuttosto enfaticamente, fare un'analisi dettagliata di questo passo. Ma si potrebbe sollevare almeno la domanda se Papia stesse chiedendo agli anziani circa personaggi mitici. E inoltre Robertson afferma che è negli interessi accademici considerare Gesù una figura storica se non altro per lo scopo di spiegare passi come questo. [70] In realtà non c'è niente da spiegare qui. Infatti Papia considerò Gesù e i suoi discepoli personaggi storici e quindi fece domande su di loro. Ma noi non siamo obbligati ad accettare l'opinione di Papia su questo argomento, né è necessario per noi confutarla.

 Quindi, gli argomenti di Robertson a favore dell'esistenza storica di Cristo sono piuttosto vacillanti. Nella suo introduzione al libro di Robertson (in traduzione russa) lo storico sovietico S. Kovalev smentisce in modo convincente la tesi di Robertson. Occasionalmente, in molti casi, Robertson stesso parla della storicità di Gesù senza molta convinzione. “Non c'è niente di improbabile”, afferma Robertson, “nella dichiarazione che Ponzio Pilato, procuratore di Giudea sotto Tiberio dal 26 al 36 E.C., crocifisse Gesù il Nazareo....”. [71] Naturalmente non c'è nulla di improbabile circa questo, ma difficilmente qualcuno ne farebbe una cosa degna di nota. Nel suo libro Robertson deriva una conclusione piuttosto inaspettata: “Attorno ad un capo crocifisso di questo movimento [cristiano — I.K.] o, più probabilmente, attorno a confuse tradizioni di più di un capo fu scritta l'originale storia evangelica”. [72] In altre parole, “qualcuno è passato ...”, o piuttosto numerose persone “sono passate”. Non c'è messun bisogno di prendere in considerazione una concezione simile. Infatti numerose persone parteciparono nel movimento cristiano, come in ogni altro movimento sociale, e tra loro alcune giocarono un ruolo più significativo di altre. Questo è fin troppo ovvio, ma non comporta che il personaggio più importante tra loro fosse il Gesù Cristo dei vangeli.

Ancora, noi non possiamo respingere su due piedi la versione che “qualcuno è passato”. Non è una versione improbabile. L'intero problema è un problema del grado di probabilità. Di seguito considereremo un'altra versione più probabile alla luce delle fonti materiali disponibili a noi oggi.

NOTE

[47] O.D. Chwolson, Hegel, Haeckel, Kossuth und das zwölfte Gebot. Eine kritische Studie, Braunschweig, 1906.

[48] Golden Tales of Anatoli France, New York, 1926, pag. 20-21, 25.

[49] N. M. Nikolsky, Gesù e le Antiche Comunità Cristiane, Mosca, 1918, pag. 31 (in russo).

[50] Ibid., pag. 36.

[51] Ibid., pag. 40.

[52] Ibid., pag. 35.

[53] Henri Barbusse, Les Judas de Jésus, pag. 82.

[54] Ibid., pag. 56-57.

[55] Ibid., pag. 55.

[56] Ibid., pag. 70.

[57] Ibid., pag. 114-115.

[58] Ibid., pag. 69-70.

[59] Ibid., pag. 71.

[60] Ibid., pag. 80, 68.

[61] Ibid., pag. 92.

[62] A. Robertson, The Origins of Christianity, Londra, 1962, pag. 93.

[63] Ibid., pag. 95.

[64] Ibid., pag. 96.

[65] Ibidem.

[66] A. Robertson, Le Origini del Cristianesimo, Mosca, 1959, pag. 296 (in una traduzione russa).

[67] A. Robertson, op. cit., pag. 88 (edizione inglese).

[68] A. Robertson, op.cit., pag. 135 (in una traduzione russa).

[69] Citato da A.B. Ranovich, Sul Cristianesimo Primitivo, Mosca, 1959, pag. 241 (in russo).

[70] A. Robertson, op. cit., pag. 74 (edizione inglese).

[71] Ibidem.

[72] Ibid., pag. 209.

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