domenica 17 settembre 2017

Un'Analisi delle Origini Cristiane (XIII) — Simboli e realtà.

(segue da qui)

Simboli e realtà.

È necessario, ad ogni modo, aderire al significato letterale dei riferimenti a Gerusalemme nel vangelo?
Costituì una tradizione ebraica trasporre nomi geografici e storici. Quella è la ragione per cui, in Isaia, Damasco e la Samaria sono rappresentati con gli antichi nomi di Razin e Pekach — e che la Siria è simboleggiata dal nome Assur. In Geremia, Ezechiele e Naum, la città di Alessandria si chiama No-Amon. Tutti sanno che Roma si raffigura come Babilonia. Si possono trovare altri esempi. Quella è la ragione per cui non è impossibile per il nome di Gerusalemme nei vangeli celare quello di un'altra città o di un'altra regione. Non si venga più ipnotizzati da parole come “sinagoga”; si sostiene che poiché Paolo parlò spesso ai suoi seguaci nelle sinagoghe, era agli ebrei a cui egli predicò le buone notizie. Non si deve dimenticare che attorno all'anno 150, i marcioniti, che furono fanatici “anti-giudei”, si riferirono ai loro luoghi di incontro chiamandoli sinagoghe (si veda la nota a pagina 89).
D'altra parte, il Nuovo Testamento ci offre due forme diverse del nome Gerusalemme: Hierosolyma e Ierousalem. Quei due nomi si alternano e figurano fianco a fianco nei nostri testi, il che prova che per i due editori, che avevano una cultura diversa, e che si succedevano l'un l'altro nella produzione di scritti cristiani (uno di loro come minimo), la città fu più un simbolo che una realtà geografica.
Si capisce ugualmente che il Nabucodonosor menzionato nel libro di Daniele fu in realtà Antioco Epifane, un contemporaneo dell'autore del libro; siamo perciò giustificati nel domandarci se i nomi di Ponzio Pilato, Anna e Caifa non siano allusioni a persecutori di cristiani molto più recenti, e se gli eventi a noi descritti tramite storie incoerenti accaddero veramente a Gerusalemme durante il tempo di Pilato.
Ci è assicurato da parte cattolica che gli gnostici trasformavano i fatti in simboli, gli eventi in segni, e le figure storiche in astrazioni. Quest'assicurazione è solo un'opinione, ed è del tutto possibile che sia vero l'opposto. È anche più facile dare ad un'astrazione sembianze umane (Dio, la Verità, o la Giustizia) che non trasformare l'uomo Gesù nel Logos o la Parola.
Eracleone, il primo commentatore del Nuovo Testamento, disse che la storia della donna samaritana fu solo un'allegoria circa il dramma di redenzione — cosa che molta gente accetta senza alcuna difficoltà, poiché la scena non ha nessuna natura storica.
Eracleone disse anche che quando Gesù discende a Cafarnao (Giovanni 2:12), ciò significa — poiché tale è il significato del nome della città — che egli sta discendendo nelle regioni inferiori del Cosmo. Questo significato si preserva nella lingua francese, dove la parola “capharnaüm” allude ad un luogo di caos e corruzione, secondo il [lessicografo francese] Littré; e il riferimento più antico a questa città è nel Nuovo Testamento. Da là, Gesù ritorna a Gerusalemme — in altre parole, dal reame fisico ad una regione intermedia dove vivono gli psichici. Non c'è niente di storico circa questa Gerusalemme simbolica.
Dal canto loro, i Perati intesero l'Egitto a simboleggiare la terra di schiavitù, il reame fisico, il mondo corruttibile. Lasciare Egitto equivaleva a distaccarsi dal mondo e dalla corruzione materiali, e a volgersi all'ascetismo per poter garantirsi la salvezza (si veda la nota a pagina 89). 
Il verso 1:22 di Atti degli Apostoli (“…fino al giorno che egli, tolto da noi, è stato assunto in cielo”) fu frainteso a volte dai giudeo-cristiani; in realtà, l'espressione aramaica e siriana corrispondente può avere due significati diversi: può riferirsi altrettanto facilmente alla salita a Gerusalemme proprio come all'ascensione dello spirito in cielo! Questo spiega come eventi celesti possano essere trasportati sulla terra e venire storicizzati. [19] Quando leggiamo Luca 9:51 e 19:38, possiamo osservare facilmente che ciò che fu preso per la “salita” di Gesù a Gerusalemme poteva derivare da un testo in cui si trattava della resurrezione o l'ascensione di Gesù — o piuttosto, del suo corpo etereo, il suo spirito — nel cielo.
Quest'impressione è confermata quando leggiamo l'Apocalisse. Giovanni il Veggente sede la Nuova Gerusalemme discendere dal cielo; le sue mura hanno dodici fondamenta (adornate da pietre preziose), che sono i suoi apostoli. Il Signore Dio e l'Agnello sono il tempio di questa città, in cui potrebbero entrare solo quelli i cui nomi sono scritti nel Libro della Vita dell'Agnello.
Tertulliano (Contra Marcionem, 1:3) disse che Ezechiele seppe di questa santa Gerusalemme, che Giovanni aveva visto e che i profeti avevano rivelato prima che fosse costruita.
I montanisti credevano che la Gerusalemme celeste si fosse manifestata in Pepuza, in Frigia, ed essi visitarono questa città per celebrare i loro misteri. Dal 155 circa fino al 165, uomini e donne vi sarebbero andati per venire iniziati e per aspettare una visione di Cristo oppure una teofania. Montano dette a questa regione il nome di Gerusalemme.
Si credette, allora, nella seconda metà del secondo secolo E.C., che la nuova Gerusalemme si sarebbe stabilita a Pepuza, la quale era già indicata con quel nome. Quest'illusione era destinata ad essere accompagnata da un numero di altri dettagli leggendari, e potrebbe essere stata in questa atmosfera “mistica” e in Frigia che avvenne l'entrata gloriosa di Gesù in Gerusalemme tra gli applausi del popolo. La mitologia prevalse sulla Storia. La Gerusalemme ideale fu presa erroneamente per una Gerusalemme reale localizzata da qualche altra parte al di fuori della Palestina. Essa era la città di Cristo; si credette che lui avesse visitato quella città, che vi avrebbe fatto ritorno, e che vi si fosse manifestato ai profeti e profetesse di ogni tempo.
Ora, il montanismo esercitò una grande influenza sull'evoluzione del cristianesimo nella sua infanzia; i vangeli nello stato in cui li abbiamo ora sono contemporanei a questo movimento, forse persino parzialmente successivi. Di conseguenza, non c'è una prova che le storie evangeliche circa Gesù siano il riflesso di una realtà oppure una interessante leggenda proveniente da Israele.
Ma se non stiamo trattando una realtà geografica, e se i nomi di città sono simbolici a volte, essi sono anche un risultato di reali giochi di parole inventati dai copisti e interpolatori dei vangeli. Quando quelli scribi ebrei vollero completare il testo greco del Nuovo Testamento, non potevano liberarsi della loro cultura ebraica, e la trasposero nella loro ingegnosità linguistica greca.
Se Gesù guarì una suocera dalla sua febbre, che è in realtà solo un miracolo davvero minore, fu perché la stessa parola in ebraico significa sia febbre che suocera, come pure significa la capitale di Galilea. “Hamat” significa città di sorgenti calde, febbre, e suocera. Hamat è il nome ebraico di Tiberiade. Così, leggendo che Gesù si era recato a Tiberiade, il copista ha ritenuto conveniente offrire dettagli ulteriori che sembrano credibili ma sono il prodotto naturale della sua fantasia quando messo di fronte ad una parola che possiede tre significati.
Si è anche osservato che Luca, mentre raccontava il miracolo dei pani, usa sempre (a differenza degli altri sinottici) la parola greca episitismos per cibo o provviste. Dietro questa parola c'è la parola ebraica saida, e Luca è il solo evangelista a includere il nome del luogo dove accade la storia: Betsaida. Quando scoprirono questo, il colto traduttore Nestle si ritrasse dal terrore, ma poi ritornò al suo posto e scrisse,  “Le squame mi stanno cadendo dai miei occhi. Dove è avvenuto il miracolo dei pani? A Betsaida, tradotta come ‘casa di provviste’. Guai a te, Betsaida!” [20]
Ci troviamo davvero molto lontani dal dominio della Storia.

NOTE

[19] Dirk Plooij, The Ascension in the Western Textual Tradition. (Mededeelingen der Koninglijke Akademie van Wetenschappen) Afdeeling Letterkunde, Deel 67, serie A, Numero 2, 1929, 39–58.

[20] Quelli esempi si potrebbero moltiplicare. Si veda l'articolo di H. Raschke: “Lieux et routes de Jésus 20 d’après l’évangile selon Marc,” Congrès d’Histoire du christianisme, libro I, pag. 188, Rieder, Parigi 1928, che offre a pag. 193 autori e libri che danno un'informazione completa in materia di nomi di luogo allegorici.

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