martedì 5 dicembre 2017

Gesù era mai vissuto? (II) — L'assenza di prove al di fuori dei vangeli

(segue da qui)


II

L'ASSENZA DI PROVE AL DI FUORI DEI VANGELI

La moderna teologia liberale comincia assumendo l'esistenza di un Gesù umano, e spera di raggiungere qualche solida conoscenza riguardo lui spulciando dai vangeli ogni cosa di soprannaturale, mentre accettando come autentici tutti i dettagli che non sono fisicamente o logicamente impossibili, e come detti genuini tutti i discorsi di Gesù che non si possono provare interpolazioni o aggiunte da parte dello scrittore e non si scontrano con il preconcetto. [Noi potremmo altrettanto bene sostenere che dal momento che la storia di Rut è possibile, perciò essa è vera. Non è vivida e toccante? Tuttavia tutti i critici competenti dell'Antico Testamento riconoscono che la storia di Rut è stata “inventata”. Si veda Encyc. Bibl., Art. “Rut”.] Ma se l'ipotesi principale dei teologi liberali è sbagliata, il risultato del loro metodo equivale solo a buttar via tutti gli elementi che sono di reale valore in un'investigazione scientifica. Il metodo sarebbe giustificabile e logicamente profondo solamente se fosse stata prima stabilita qualche prova indipendente della reale esistenza di Gesù. Ciò, comunque, non è stato fatto e non  si può fare. Non esiste una prova del genere.
È incredibile che se Gesù fosse stato dotato colla dinamica personalità che si deve ipotizzare nel fondatore di una religione mondiale non ci dovrebbe esserci nessuna testimonianza contemporanea della sua esistenza.
Non è meno incredibile che se gli eventi che si dichiarano accaduti durante gli ultimi giorni di Gesù fossero successi realmente a Gerusalemme uno storico ebreo del periodo non avrebbe dovuto farvi nessuna menzione. I teologi, naturalmente, hanno fatto del loro meglio per spiegare il silenzio di Flavio Giuseppe; ma le loro spiegazioni son lontane dall'essere soddisfacenti, e J. Weiss fu abbastanza candido da ammettere che il suo silenzio è enigmatico. Flavio Giuseppe offre qualche resoconto di parecchi capi popolari e agitatori messianici. Perchè allora egli non menzionò Gesù? Egli ha una buona quantità da comunicarci circa Pilato nel Libro 18, Capitolo 3, delle sue
Antichità, ed è inconcepibile che non vi dovesse aver menzionato il processo e la crocifissione di Gesù, i quali devono essere stati eventi importanti, se accaddero veramente. È evidente che ad un'antica data i cristiani furono penosamente coscienti di questa omissione fatale; perché tra le sezioni 2 e 4 del capitolo riferito ora vi figura una breve sezione, la 3, in cui si parla di Gesù e dei cristiani. La sezione è un'ovvia interpolazione, come hanno ammesso parecchi critici teologici competenti. Nel sedicesimo secolo Vossius possedeva un manoscritto di Flavio Giuseppe da cui il passo era mancante. Nessuno dei primi scrittori cristiani citò mai il passo come prova nelle loro controversie con ebrei e pagani, la qual cosa, se ne fossero stati al corrente, loro l'avrebbero fatta certamente.
Un secondo riferimento a Gesù si trova anche in copie esistenti di Flavio Giuseppe (
Antichità 20, 9, 1), dove è detto che per ordine di Anano, furono lapidati “il fratello di Gesù, chiamato Cristo (Giacomo fu il suo nome)”, e alcuni altri. È estremamente improbabile che Flavio Giuseppe avrebbe fatto questo riferimento casuale a Gesù senza aver detto altrove qualcosa circa lui. Questo passo sembra implicare l'esistenza di quello precedente e cade con esso. Ogiene ne fu evidentemente a conoscenza, e nessun antico scrittore cristiano lo cita. Critici teologici competenti hanno ammesso che le parole che si riferiscono a Gesù sono state interpolate. Schürer e Jülicher non affermano che il passo sia genuino; Credner e Weiss lo considerano un'interpolazione cristiana. [Le due interpolazioni sono state discusse da Drews The Witnesses to the Historicity of Jesus, pag. 9, e W. B. Smith, Ecce Deus, pag. 230.] All'inizio del presente secolo vi si scoprì una traduzione slavonica della Guerra Giudaica, in un manoscritto datato da qualche parte nel tardo Medioevo, che contiene alcuni passi “cristiani”. Il passo principale è evidentemente un'espansione del passo interpolato nelle Antichità, dato che sono stati aggiunti un pò di dettagli, alcuni dei quali sono suggeriti chiaramente dai vangeli. La natura generale di questo passo, la data posteriore del manoscritto, l'assenza di tutti i passi dai più antichi manoscritti, il silenzio dei polemisti cristiani intorno a loro e la nota abitudine cristiana di interpolazione si combinano a distruggere il loro valore probatorio. È assunto da alcuni che desiderano credere che siano genuini che Flavio Giuseppe, avendoli scritti nella sua versione originale in aramaico, li omise dalla sua versione greca. L'autenticità dei passi non si può stabilire tramite un'ipotesi del genere, per la quale non si può offrire nessuna ragione convincente.
Un argomento ulteriore a supporto del passo principale è che esso contiene una dichiarazione circa Gesù che nessun cristiano poteva aver scritto — cioè, che Gesù organizzò una rivolta contro i romani. Non è facile in alcun modo decidere che cosa poteva oppure non poteva aver scritto circa Gesù un interpolatore cristiano. Abbiamo visto dalla diversità delle opinioni tenute dai teologi moderni quante contradditorie possano essere le opinioni cristiane in merito alla natura e alle intenzioni di Gesù; e questo interpolatore stava personificando Flavio Giuseppe. Sarebbe davvero estremamente improbabile per Flavio Giuseppe aver scritto le parole se ci fosse del vero nella presentazione evangelica; ma dal momento che alcuni teologi moderni pensano che egli potesse averli scritti un interpolatore cristiano potrebbe aver pensato così. Il dr. Eisler, il proponente principale della tesi di un riferimento originale da parte di Flavio Giuseppe, ammette che i passi nel complesso provenivano dalla mano di un interpolatore cristiano, ma sostiene che quello che contiene il riferimento a Gesù sia un'espansione di una dichiarazione primitiva assai più corta. L'opinione è altamente ipotetica; ed equivale a chiudere il caso in maniera assai moderata concludere che la menzione di Gesù da parte di Flavio Giuseppe in quest'opera è troppo discutibile per pesare in modo apprezzabile contro ogni argomento forte con cui la storicità di Gesù può essere assalita
[Si veda anche J. M. Robertson, Jesus and Judas, pag. 170.] L'opinione del dr. Eisler su questo punto è simile a quello dei teologi che hanno ipotizzato che il passo interpolato nelle Antichità ha rimpiazzato un passo originale in cui Flavio Giuseppe scrisse sfavorevolmente di Gesù. L'ipotesi è confutata dal fatto che la sezione interpolata, 3, causa una rottura di continuità tra le sezioni 2 e 4.
Un altro scrittore ebreo da cui ci si sarebbe potuto aspettare che ci comunicasse qualcosa circa Gesù è Filone. Filone visse fino a dopo l'anno 40 E.C.; egli scrisse una buona quantità di cose, e fu particolarmente interessato a sette e movimenti religiosi ebraici contemporanei. Anche lo storico ebreo Giusto, come ci informa Fozio, non fece nessuna menzione di Gesù. Il silenzio combinato di quelli scrittori ebrei è fatale all'ipotesi di un Gesù storico.
Esiste un riferimento a
“Cristo” in una lettera che Plinio scrisse all'imperatore Traiano intorno all'anno 113, in cui lo scrittore domanda istruzioni per quanto riguarda ogni azione da dover prendere contro i cristiani di Bitinia, dato che era Proconsole di quella provincia. Egli informa l'imperatore che i cristiani all'alba cantavano inni a Cristo, come a un dio. L'autenticità della lettera è stata messa in discussione; ma, rinunciando a quella domanda, sta ai credenti nella storicità spiegare come un rabbì ebreo, di qualsiasi personalità carismatica, giunse ad essere adorato come un dio in Bitinia nell'anno 113. Qui di certo non c'è nessuna prova dell'esistenza di un uomo Gesù.
Lo storico romano Svetonio ci comunica nella sua
Vita di Claudio che l'imperatore espulse gli ebrei da Roma perchè, “su istigazione di Chrestus”, essi stavano facendo disturbi continuamente. Le parole “su istigazione di Chrestus” (impulsore Chresto) implicano che l'istigatore fosse presente al tempo. E il nome “Chrestus” era abbastanza comune a Roma. [Chrestus fu anche un nome del dio Serapide.] È possibile che, siccome “Christus” è greco-latino per “Messia”, i diturbi sorsero da dispute tra gli ebrei riguardo alla natura del Messia. Svetonio potrebbe non aver compreso chiaramente la materia. Ad ogni caso, la dichiarazione non ha nessun valore probatorio per la storicità di Gesù; e quel fatto è stato riconosciuto dai teologi.
Successivamente veniamo alla prova di Tacito. Lo storico, dopo essersi riferito al grande incendio di Roma nell'anno 64 e alla diceria persistente che l'incendio fosse stato appiccato deliberatamente, continua:
“Pur di porre fine a questa diceria, Nerone accusò e colpì con severa punizione quegli uomini, odiosi per i loro crimini, che la gente chiamava cristiani. Colui dal quale il nome fu derivato, Christus, fu messo a morte dal procuratore Ponzio Pilato sotto il regno di Tiberio”. Successivamente è detto che ne “furono arrestati un gran numero, che non furono tanto condannati per il fuoco quanto per l'odio del genere umano”.
Tacito non può aver avuto alcuna conoscenza diretta dei cristiani, oppure egli non avrebbe detto che essi erano odiati per i loro crimini; e le parole
“odio del genere umano” si applicano meglio agli ebrei a causa della loro esclusività nazionale. [“Gli ebrei da gran tempo ormai sono in rivolta non solo contro i Romani, ma contro l'intero genere umano”, Filostrato, Vita di Apollonio, 5:33.] Il passo non consente nessuna prova certa che dovessero trovarsi cristiani nel nostro senso nei giorni di Nerone. Come sottolineò il signor Whittaker — dal momento che Christos = Messia — “sotto nessun altro nome greci o romani avrebbero potuto parlare di ebrei messianici”. [The Origins of Christianity, quarta edizione, pag. 26.] In ogni caso è impensabile che vi dovrebbero esserci stati un gran numero (multitudo ingens) a quel tempo. Il prof W. B.. Smith ha mostrato [Ecce Deus, pag. 240.] che è ricavabile da passi nelle lettere di Clemente di Roma ed “Ignazio” che nessuno di quelli scrittori avessero qualche conoscenza di un eccidio di cristiani da parte di Nerone. Nell'Apologeticum di Tertulliano (intorno al 200 E.C.) noi troviamo per prima un riferimento vago ad una persecuzione neroniana di cristiani, ma i termini impiegati sembrano implicare che perfino Terulliano non avesse nessuna conoscenza dei dettagli trovati ora negli Annali, un fatto che supporta fortemente l'opinione del prof W. B. Smith che il paragrafo sia un'interpolazione. Anche se fosse autentico tutto quel che si prova è che al tempo in cui scriveva Tacito, diciamo attorno all'anno 115, i cristiani credevano che Cristo fosse stato messo a morte da Pilato più di ottant'anni prima. Un credo simile non è una prova storica del fatto. Inoltre, se i “Cristiani” menzionati qui fossero ebrei messianici, il riferimento a Pilato è irrilevante nel suo contesto. Sembriamo, perciò, quasi indotti a supporre che la frase contenente quel riferimento sia stata interpolata. Lo storico E. Meyer, un fermo credente nella storicità di Gesù, dice che la dichiarazione in Tacito si basa apparentemente sulle parole del Credo Cristiano, “soffrì sotto Ponzio Pilato”.
Se Gesù fosse vissuto, avesse litigato con gli scribi e farisei, e fosse stato messo a morte dopo un processo da parte del Sinedrio, oppure su istigazione dei capi tra gli ebrei, i rabbini avrebbero avuto una conoscenza indipendente di lui e, si potrebbe supporre ragionevolmente, ci sarebbe stata una sua menzione nel Talmud. Ci sono, è vero, riferimenti a Gesù nel Talmud; ma essi sono tutti di tale natura da provare che i rabbini del secondo secolo non avessero nessuna conoscenza indipendente di Gesù e nessuna tradizione loro propria riguardante lui. Come hanno riconosciuto Jülicher e altri critici teologici, tutta la conoscenza che i rabbini avevano di Gesù fu da loro ottenuta dai vangeli. Osservando che gli ebrei, perfino nella presente età più critica, prendono per garantito che dietro la narrazione evangelica sta la figura di un uomo reale, non si ha bisogno di lasciarsi sorprendere se, nel secondo secolo, gli ebrei non pensarono di mettere in discussione quell'ipotesi. È certo, comunque, che alcuni la misero in discussione. Infatti Giustino, nel suo Dialogo con Trifone, rappresenta l'ebreo Trifone mentre dice, “Voi seguite una vuota diceria e create un Cristo per voi stessi”. “Se egli nacque e visse da qualche parte egli è del tutto sconosciuto”.
Che gli scrittori del Talmud non avessero nessuna conoscenza indipendente di Gesù è provato dal fatto che essi lo confusero con un altro uomo dallo stesso nome. Evidentemente nessun altro Gesù col quale potessero identificare il Gesù evangelico fu noto a loro. È detto che quest'uomo, Gesù ben Pandira, oppure ben Stada, [Non è certo se un solo uomo sia riferito sotto quei nomi, oppure due. In un unico passo non proprio affidabile, è detto che ben Stada era stato lapidato a Lidda, da qualche parte intorno all'anno 130.] considerato un operatore di miracoli, era stato lapidato a morte e poi appeso ad un albero alla vigilia di Pasqua nel regno di Alessandro Ianneo (106-179 A.E.C.) a Gerusalemme. Ovviamente, uomini che credevano che Gesù fosse stato lapidato 100 anni A.E.C. non possono avere avuto nessuna conoscenza tradizionale della sua crucifissione da parte di Pilato.
Così non c'è nessuna prova storica contemporanea dell'esistenza di Gesù. ma, si potrebbe sostenere, l'esistenza del Gesù dei vangeli è confermata dalla prova delle epistole paoline.
[La soluzione del problema paolino è un preliminare necessario alla soluzione completa del problema dell'antico sviluppo cristiano. Il problema paolino è stato da me discusso in A Critical Analysis of the Four Chief Pauline Epistles. Dovunque dichiarazioni si fanno nella presente opera circa il testo o paternità di un'epistola piacerà al lettore comprendere che le ragioni per queste dichiarazioni sono da trovarsi nel libro nominato.] La risposta è che, se non in davvero pochi passi interpolati, il Gesù delle epistole paoline è interamente nella regione del dogma. Non solo così; ma alcuni dei dogmi introdotti sono tra loro incompatibili. Fin dal lavoro della scuola di Tubinga veramente pochi teologi di primo rango si avventureranno ad asserire l'autenticità delle epistole oltre le prime quattro. Per quanto riguarda quelle noi potremo per il nostro presente obiettivo lasciare irrisolta la questione della paternità, prestando attenzione, comunque, al fatto che un'incompatibilità di dottrina prova che esse sono composite. In una sezione di Romani, dal capitolo 3 al 5, troviamo la dottrina di giustificazione per fede nel sangue redentivo e la specifica cosiddetta dottrina paolina della grazia. La dottrina dei primi due capitoli è incoerente con questa. Come osservò van Manen, l'uomo che scrisse 3:20, “In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato”, non può essere lo stesso uomo che scrisse 2:6, “Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere”. La controversia riguardo a se la giustificazione sia per fede oppure per “opere” ha continuato fino ai tempi moderni. Entrambe le dottrine si trovano in quest'epistola.
La dottrina teologica dei capitoli dal 6 all'8, di nuovo, è molto diversa da quella dei capitoli dal 3 al 5. Il significato della morte di Cristo come esposta qui è incoerente colla dottrina di espiazione mediante un sacrificio espiatorio. Essa non ha niente a che fare col
“sangue redentore di Gesù Cristo”. La dottrina è che il cristiano, tramite unione con Cristo e morendo con lui metaforicamente e simbolicamente, diventa spirituale invece di carnale, diventa una creatura nuova e capace di giustizia. La dottrina in questa sezione presenta un forte elemento mistico ed ha affinità colle religioni misteriche orientali; infatti nei misteri di Attis e di Osiride l'adoratore moriva e risorgeva di nuovo simbolicamente col dio, come faceva il cristiano nel battesimo gnostico paolino; e in ciascun caso l'atto simbolico, in aggiunta al suo rendere il partecipante “un uomo nuovo” da un punto di vista morale, gli offriva l'assicurazione di immortalità. È irrilevante se l'atto simbolico è considerato come una resurrezione oppure una rinascita. Per tutta questa sezione il pensiero è gnostico. C'è una prova specifica di docetismo in 8:3, “Dio manda il proprio Figlio nella forma somigliante (homoiotēs) alla carne”; il che implica che Gesù non fu un uomo di carne, ma solo apparve essere così. Esiste una buona ragione per credere che le sezioni gnostiche siano le più antiche nell'epistola; così che, se Paolo scrisse qualcosa, egli scrisse loro. [Il doceta Marcione affermò di aver ricevuto la sua dottrina da Paolo.] Difficilmente un doceta dev'essere dichiarato un testimone soddisfacente della realtà storica di Gesù. E, se ci si sbarazza dei preconcetti, non c'è motivo di ritenere che dogmi e simbolismi basati sulla morte di Gesù garantiscano la sua realtà storica di più quanto ce ne sia di ritenere che quelli basati sulle morti di Attis ed Osiride garantiscano le loro realtà storiche. [Apparentemente “Paolo” non aveva alcuna conoscenza di qualche insegnamento da parte di Gesù.] Le idee di un Messia sofferente e di un sacrificio espiatorio sono fornite nel cinquantatreesimo capitolo di Isaia; ed è certo che questo ed altri passi dell'Antico Testamento offrirono dettagli per la storia della crocifissione. La concezione di un figlio di Dio che giunse sulla terra, fu un benefattore di uomini, morì e risorse di nuovo, era largamente prevalente nel mondo pre-cristiano; si potrebbero menzionare Adone, Dioniso, ed Eracle. [Lo storico greco Diodoro Siculo fu altrettanto certo che Eracle fosse vissuto di quanto lo sono i cristiani che Gesù visse realmente.] Naturalmente, durante la loro permanenza sulla terra quei figli di Dio furono creduti in possesso di corpi mortali; così che l'attribuzione di un corpo mortale a Gesù e riferimenti al suo sangue in una disquisizione puramente dogmatica non provano niente di niente quanto alla sua storicità. Gli scrittori paolini sono interessati soltanto alla morte e resurrezione di Gesù. L'autore di Galati, che i teologi, tranne quelli della scuola radicale olandese, credono sia stato Paolo, dice che non solo egli non aveva appreso da uomini ciò che insegnò su questo soggetto, ma anche che egli non desiderò ricavare da uomini alcuna informazione a suo riguardo. Una dimostrazione sufficiente che ciò che egli insegnò fu puro dogma.
Come ho scritto altrove, supponi che Paolo avesse udito di qualche uomo che avesse vissuto una pura esistenza, avesse insegnato una dottrina meravigliosa, fosse morto sulla croce e risorto dai morti, e fosse arrivato a credere a questo resoconto, che cosa egli avrebbe fatto necessariamente? Egli avrebbe ricercato, naturalmente, coloro che avevano conosciuto quest'uomo meraviglioso pur di apprendere tutto ciò che poteva circa le sue parole ed atti. Invece di ciò egli ritiene importante dire di non aver avuto nessuna comunicazione con coloro che furono Apostoli prima di lui. Ma la cosa più significativa di tutte è che le parole di Galati 2:6 implicano che gli Apostoli nominati non furono stati seguaci personali di Gesù. Di conseguenza lo scrittore di questa epistola
non sapeva che Gesù avesse avuto discepoli. Paolo non comunica alcunchè ai suoi convertiti circa la vita meravigliosa di un buon uomo; ciò che fa è “predicare Gesù” e lo strumento di redenzione offerto tramite la sua morte. In altre parole, egli predica un dogma; e la morte di Gesù nelle epistole paoline è non più un evento storico di quanto lo sia la morte di Osiride.
È vero che un riferimento ad un atto dell'uomo Gesù si potrebbe vedere in 1 Corinzi 11:23-27, dove si dichiara che
“il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane”, ecc. Ma, innanzitutto, il signor J. M. Robertson ha provato, e alcuni teologi eminenti hanno ammesso, che la storia del tradimento di Gesù da parte di Giuda è una leggenda posteriore, [Jesus and Judas. Il grande critico Volkmar aveva raggiunto la stessa conclusione molto tempo prima. Nel Vangelo di Pietro tutti i dodici sono assieme dopo la crocifissione.] così che questo passo dev'essere un'interpolazione successiva. Dal momento che ci viene detto che Gesù si recò di sera al Monte degli Olivi,  i sacerdoti potevano facilmente averlo seguito e portato via quando egli era da solo coi suoi discepoli. In secondo luogo, come ha sottolineato W. B. Smith, [Ecce Deus, pag. 146-151.] la descrizione del sacramento in 1 Corinzi 11 come un'istituzione di ricordo lo pone in linea col resoconto di Luca. Esso è, in realtà, un'elaborazione di quello. I resoconti di Matteo e Marco sono incoerenti con questo. Quindi quello di 1 Corinzi 11 non è primitivo. C'è un'altra menzione della Cena del Signore in questa epistola, in una sezione di una data molto più antica, 10:16-17, dove l'interpretazione è diversa. In questo punto Gesù non è riferito come l'iniziatore del rito.
Il passo di 1 Corinzi 15:1-8 è una povera prova di storicità, e si può anche mostrare che è un'inserzione posteriore. La leggenda delle riapparizioni del Cristo risorto fu una leggenda crescente È abbastanza certo che nella forma più antica del vangelo l'Ascensione seguiva immediatamente la Resurrezione. I critici migliori riconoscono che il vangelo di Marco terminava in origine col capitolo 16:8, quindi in quel vangelo non era ricordata nessuna riapparizione. Secondo Matteo, Gesù apparve due volte; prima alle due Marie e poi agli undici apostoli. In Luca, che è più tardo di Matteo, sono ricordate tre apparizioni — ai due discepoli che stavano viaggiando per Emmaus, a Simon Pietro, e poi agli undici ed ad altri che erano con loro. Nel vangelo di Giovanni il numero di apparizioni è aumentato a quattro. In 1 Corinzi 15:5-7 c'è ancora un ulteriore sviluppo. Siamo obbligati a concludere che in questo passo noi abbiamo una fase davvero tarda nello sviluppo della leggenda. Senza dubbio il passo ha sofferto un'interpolazione successiva. Ma una caratteristica di questo resoconto è che non vi è nessuna menzione delle donne, in tale misura concorda con Luca. In ciascuno di quei casi, come osservò Steck,
[Der Galaterbrief, pag. 185.] l'omissione si deve considerare una correzione artificiale del racconto più antico; da cui si conclude che il resoconto di 1 Corinzi, come quello di Luca, è più tardo di quello di Matteo.
Ci viene detto che Gesù fu deificato come risultato dell'impressione straordinaria prodotta dalla sua meravigliosa personalità sulle menti dei suoi discepoli. Se ciò fosse vero noi dovremmo essere in grado di trovare qualche prova dell'impressione prodotta da questa personalità. Non c'è assolutamente nessuna. Non solo nelle epistole paoline, ma in tutte le epistole, non c'è la più pallida traccia di qualche impressione che fosse stata resa da una personalità umana. Se la presunta impressione fosse stata fatta, le esperienze attraverso le quali i discepoli avevano vissuto nella compagnia di Gesù sarebbero state preservate e il pensiero dei primi cristiani sarebbe stato ricolmo di loro. Ma quei primi scrittori non rafforzano mai i loro argomenti con qualcosa che avevano udito che Gesù avesse fatto. A coloro ai quali sono rivolte le epistole egli non è mai posto di fronte come un esempio che essi dovrebbero seguire in ogni relazione umana, indicando il suo comportamento in qualche occasione particolare. Per gli scrittori di quelle epistole Gesù non è un uomo il cui esempio altri uomini potevano seguire. Egli è il
“Figlio dell'amore di Dio, in cui abbiamo la nostra redenzione, l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione”. [Colossesi 1:13-15.] E si suppone comunemente che parole come queste furono scritte da un ebreo. Potrebbero davvero essere state scritte da un ebreo a proposito di un'entità che si riteneva essere stata divina da tempo immemorabile, ma mai circa un uomo deificato. [Filone scrisse in temini davvero simili del Logos; e il Logos di Filone fu indiscutibilmente un'entità divina.] Anche se l'epistola ai Colossesi non fosse stata scritta da un ebreo, i primi cristiani furono ebrei. E di tutti i popoli del mondo gli ebrei furono i meno candidati a deificare un uomo. L'orrore che provarono gli ebrei all'idea di adorare un uomo era così grande che gli imperatori romani furono obbligati a dispensare gli ebrei dal rendere loro l'onore divino che era aspettato da tutti gli altri soggetti a Roma. Alle legioni fu perfino proibito di trasferire le effigi dell'imperatore dentro Gerusalemme. Se ci si potesse sbarazzare dei preconcetti, quest'unico fatto sarebbe una dimostrazione che Gesù mai visse — cioè, che non c'è un singolo aneddoto intorno a lui in tutta l'antica letteratura cristiana. Durante un intero secolo, fino alla data di Giustino Martire, noi non troviamo nient'altro che dogma.
È vero che nell'epistola ai Romani i lettori sono esortati ad avere in loro il pensiero che fu in Gesù. Ma come si illustrò il pensiero di Gesù? Non attraverso il comportamento di un uomo in relazione con altri uomini. No! Gesù esibì la sua umiltà ed obbedienza nel fatto che,
“essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo in forma simile agli uomini”. Non è logico assumere che Gesù deve essere stato un uomo, e poi tentare di spiegare la sua deificazione tramite l'ipotesi ulteriore di un'impressione meravigliosa fatta sui suoi discepoli. Coloro che sostengono così producano qualche autentico pezzo antico di scrittura cristiana, non interpolato ovviamente da un vangelo, capace, col riferirsi ad un atto dell'uomo Gesù, di provare che un'impressione del genere fosse stata fatta. Citare un vangelo sarebbe una petitio principii, perché la questione controversa è se o no lo scopo dei vangeli sia di dare la storia della vita di un dio che diventò uomo.
Noi abbiamo nella mitologia antica esempi di dèi che divennero uomini, e avventure che essi esperirono in quanto uomini; ma non c'è nessun caso ricordato di un uomo che diventa il dio di una religione. E si suppone che questo fenomeno inaudito fosse capitato tra gli ebrei tra tutti i popoli. Secondo il mito greco Attis fu un pastore in origine; ma Sir James Frazer, che ha scritto una buona quantità intorno ad Attis, non si azzarda a dire che il pastore Attis  sia mai vissuto; ed evidentemente egli non lo crede. Uno scrittore gnostico, Giustino, insegnò che Gesù fu un pastore. Com'era possibile ciò se si sapeva che Gesù fosse un falegname? Ora noi abbiamo questo dilemma: se la personalità di Gesù fu così al di là di ogni meraviglioso  precedente, gli storici ebrei contemporanei devono aver saputo qualcosa intorno a lui, e qualche reminiscenza dell'effetto che era stato prodotto da questa personalità dev'essersi resa evidente negli antichi scritti cristiani. Nessuno di quei casi è vero. Perciò la presunta meravigliosa personalità umana non è mai esistita. Esiste un'epistola ai Corinzi che è attribuita a Clemente di Roma. Lo scrittore ha occasione di rimproverare i corinzi su vari punti, ma, nonostante egli ponga di fronte a loro gli esempi di Pietro e di Paolo, egli mai fa ben capire i suoi rimproveri rammentando loro che cosa fece Gesù in qualche occasione. Egli scrive del sangue di Cristo e della resurrezione, ma non di alcuna cosa che fece Gesù. Certamente egli cita da un vangelo, oppure, più probabilmente, da una collezione di
Logia, alcuni detti di Gesù; ma egli cita anche come un discorso di Gesù versi da uno dei Salmi! [1 Clemente 16.] Ciò illustra la misura in cui egli considerava Gesù un personaggio storico nel senso abituale del termine. Dovunque in questa letteratura antica noi siamo confrontati con un essere divino; mai con un semplice uomo.
Incontriamo un Gesù divino anche nello stesso antico Inno Naasseno, che, come dice W. B. Smith, non c'è nessuna ragione di considerare post-cristiano:
Allora Gesù parlò: Per questa ragione mandami, Padre. Portando i sigilli io discenderò; Passerò attraverso gli Eoni; Rivelerò tutti i misteri e mostrerò la forma degli dèi: Trasmetterò i segreti della santa via, che chiamerò Gnosi.


Esiste una rassomiglianza notevole tra quest'inno e un dialogo tra il dio Ea e suo figlio Marduk in certi incantesimi babilonesi. Il redentore Marduk, nel mito babilonese, è inviato sulla terra per il soccorso degli uomini sofferenti. Egli è torturato, ucciso, e risorge di nuovo.
Un altro documento davvero antico in cui capita il nome Gesù è l'
“Insegnamento dei Dodici Apostoli” [Quei dodici Apostoli sono, nell'opinione del tardo J. M. Robertson ed altri, i reali e storici dodici Apostoli o del Sommo Sacerdote prima, oppure del Patriarca dopo, la caduta di Gerusalemme. Dei dodici Apostoli di Gesù il dr. Cheyne scrisse, “i dodici Apostoli sono per me non storici così come i settanta discepoli” (Hibbert Journal, giugno 1911).] Nel documento sono state inserite sezioni scritte da cristiani in varie date, [Si veda J. M. Robertson, The Jesus Problem, pag. 131.] ma non c'è nessun consenso generale tra gli studiosi che l'originale sia ebraico. Difficilmente si può datare più tardi della metà del primo secolo e potrebbe essere più antico di un buon numero di anni. La comunità che utilizzò il libro adorava un Gesù che non è il Gesù dei vangeli. Vi troviamo le parole: “Ti ringraziamo, Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo, che tu hai fatto conoscere a noi per mezzo di Gesù tuo servo”. C'è qualche affinità tra questo Gesù e il Logos gnostico, dal momento che è detto che la vita e la conoscenza (gnosi) sono state rese note per mezzo suo. La “santa vite” ha un significato simbolico nella letteratura dei mandei gnostici. [Il mandeo Libro di Giovanni, 131-143.] Vedere che parte dell'Apocalisse, o Rivelazione di Giovanni, è probabilmente quasi altrettanto antico come ogni cosa nel Nuovo Testamento, potremmo aspettarci di trovarvi alcune tracce dell'uomo Gesù, se fosse corretta l'ipotesi di un processo graduale di deificazione. E tuttavia in quel libro non c'è nessuna allusione di sorta agli atti o parole di un personaggio storico. La figura terribile ritratta nel primo capitolo è tanto diversa quanto potrebbe esserlo dal Gesù della moderna teologia liberale. “Io ero morto, ma ora vivo per sempre”, egli dice. Naturalmente la morte e resurrezione dell'essere divino era il punto centrale del dogma, e non c'è nessun riferimento qui alla crocifissione di un uomo Gesù a Gerusalemme. Poi leggiamo di un Agnello ucciso sin dalla fondazione del mondo, una rappresentazione che si applica meglio al sacrificio immemorabile di un dio sotto la forma di un agnello piuttosto che all'esecuzione di un uomo conosciuto. [Era abbastanza abituale nei sacrifici antichi identificare la vittima col dio a cui si faceva il sacrificio. Si veda Il Ramo d'Oro di Frazer, edizione riveduta, pag. 475.] È detto che l'Agnello era stato “trafitto”, com'era la maniera comune nei sacrifici. Nessuno dei vangeli tranne il quarto dice che Gesù fu trafitto. L'episodio si aggiunse in quel vangelo sotto l'influenza di Zaccaria 12:10. La testimonianza di Apocalisse è solamente ad un Gesù divino, per nulla affatto ad un uomo Gesù.
L'Epistola agli Ebrei, di nuovo, una disquisizione dogmatica sulla auto-immolazione del grande Sommo Sacerdote, non sembra presupporre alcuna conoscenza del vangelo oppure della storia evangelica.
Nell'epistola ai Galati lo scrittore menziona Giacomo,
“il fratello del Signore”. È stato sostenuto da questo passo che Gesù avesse un fratello che era noto, e che egli dev'essere stato di conseguenza un uomo reale. Ma è una pura ipotesi dire che “fratello del Signore” deve significare un fratello di Gesù. Non ha affatto bisogno di significare ciò, e sembra possibile risolvere la questione. In Galati questo Giacomo è menzionato assieme a Cefa e Giovanni come un pilastro della comunità giudeo-cristiana. Anche in Atti appare che Pietro, Giacomo, e Giovanni sono i tre Apostoli principali. L'associazione di quei tre nomi punta abbastanza chiaramente a Giacomo il fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo. Tre uomini che portano gli stessi nomi sono separati nei vangeli dagli altri discepoli in quanto partecipano più degli altri della fiducia di Gesù, e là Giacomo è fratello di Giovanni. In Atti, in effetti, [12:2.] è dichiarato che Giacomo il fratello di Giovanni fu ucciso da Erode, da cui si potrebbe ricavare che il Giacomo menzionato successivamente non fosse fratello di Giovanni. Ma dal momento che è dichiarato anche che Erode imprigionò Pietro immediatamente dopo, è chiaro che lo scrittore intendeva rappesentare Erode mentre cattura i due principali Apostoli; e nei capitoli 15 e 21, Giacomo è ancora l'Apostolo principale. È vano tentare di estrarre Storia da documenti simili. E dal momento che è ben stabilito che gli Atti degli Apostoli è un'opera composita possiamo comprendervi la presenza di dichiarazioni incoerenti. Un altro discepolo di Gesù si chiamava Giacomo — cioè, il figlio di Alfeo, ma egli non sembra essere mai stato importante. [Il Giacomo del capitolo 15 è quello riferito in Galati, e là egli è, al pari del Giacomo dei vangeli, intimamente associato con Pietro e Giovanni.]
Secondo i vangeli nessun fratello di Gesù fu suo discepolo. Fratelli di Gesù, è vero, vi sono menzionati; ma essi sono rappresentati come ostili a lui piuttosto che altrimenti; di conseguenza sembra impossibile che uno di loro possa esser divenuto un Apostolo prominente immediatamente dopo la sua morte. In Atti i
“suoi fratelli” sono menzionati solo una volta in maniera piuttosto superficiale e non sono dati i loro nomi. [1:14. Il significato probabile dei fratelli di Gesù nei vangeli sarà spiegato in seguito.] Gli antichi scrittori cristiani non interpretarono la frase “fratello del Signore” ad implicare parentela. Origene dice che Giacomo fu chiamato così a causa della sua grande pietà. Girolamo fa un'asserzione simile. La spiegazione migliore dell'espressione è che essa è il titolo di un gruppo, dato ad una cerchia interna dei membri della Chiesa. La frase “fratelli del Signore” si trova in 1 Corinzi 9:5. Il termine “il Signore” (Kyrios) è l'equivalente greco dell'ebraico Adonaï, Jahvè; e dato che figura senza un nome che lo segue si sarebbe utilizzato solo a proposito di Dio, oppure di un essere divino, che non poteva avere fratelli nella carne. Né negli Atti e neppure nelle epistole la frase “fratello di Gesù” è mai applicata a Giacomo.
Ed ora un pò di parole circa gli Apologeti che scrissero a difesa del cristianesimo durante il secondo secolo. Il fatto più degno di nota in merito a quelli scrittori è che l'esistenza terrena di Gesù come raffigurata nei vangeli non aveva affatto nessun interesse per loro. Il punto di vista è dato da Melito di Sardi, [Egli scrisse da qualche parte intorno all'anno 170.] che descrive la sua religione come la
“nostra filosofia”; ed egli dice che questa filosofia cominciò a fiorire nell'Impero romano sotto la sovranità dell'imperatore Augusto. Se la filosofia cominciò a fiorire allora, essa deve essersi originata qualche tempo prima. Che equivale a dire, i suoi inizi furono pre-cristiani. Il termine filosofia potrebbe offrire un'impressione fuorviante ai lettori moderni — teosofia sarebbe un termine migliore. Per nessuno di quelli scrittori Gesù fu un maestro. L'essenza della loro teosofia fu che Dio, vedendo che gli uomini erano fuorviati da falsi dèi, ebbe pietà di loro e inviò sulla terra il suo unico Figlio, il Logos, così che essi potessero imparare a conoscere il vero Dio e così venire salvati da distruzione eterna.
Probabilmente l'Apologia di Aristide è la più antica di quelli scritti. Essa consiste quasi interamente di un attacco al politeismo e di una difesa del monoteismo cristiano. Aristide non offre alcun dettaglio della vita di Gesù. Egli si riferisce ad un vangelo da cui egli ha appreso che
“il Dio dei Cristiani” discese dal cielo e “si fece carne” da una vergine ebrea. Egli è interessato solo alla discesa, morte, e resurrezione di un dio. L'Apologia di Atenagora è di una natura simile. Egli dice che i cristiani “riconoscono un unico Dio . . . che ha creato l'universo per mezzo del suo Logos, chiamato anche suo Figlio”; e che “quelli poi che li attirano intorno agli idoli sono i demoni anzidetti, i quali si attaccano al sangue delle vittime e vanno attorno lambendole”. Naturalmente era naturale supporre che il Logos diventò uomo al fine di rivelare agli uomini il vero Dio; ma su ciò si ripone davvero poca enfasi. Questo è specialmente il caso nell'Octavius di Minucio Felice, che non accenna mai ad alcuna storia del Nuovo Testamento. Quelli Apologeti conservarono il loro monoteismo identificando Cristo con Dio come un aspetto o emanazione. Clemente di Alessandria scrive della “Parusia del Cristo di Dio”. E tutti loro avrebbero ripudiato più enfaticamente il Gesù così ammirato dai moderni teologi liberali.

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