giovedì 7 dicembre 2017

Gesù era mai vissuto? (IV) — La storia della Passione

(segue da qui)

IV

LA STORIA DELLA PASSIONE

Sacrificare un re al dio della regione, specialmente in periodi  di pericolo o angoscia, era una pratica ampiamente diffusa nei tempi antichi e persiste tra alcune razze primitive al giorno d'oggi. Nel corso del tempo il sacrificio si evase mediante la sostituzione di una vittima. All'inizio probabilmente la vittima sostituita era il figlio del re, dal momento che si richiedeva una vittima regale. Esempi del sacrificio del figlio di un re sono documentati. [Confronta 2 Re 3:27.] Successivamente un re concepì l'idea di avere qualche uomo incoronato come un re temporaneo che potesse allora venir sacrificato al suo posto. [Il soggetto è trattato pienamente in Il Ramo d'Oro di Frazer.] Il finto re veniva incoronato, addobbato di vesti regali, e gli era concesso un periodo di licenza prima di essere messo a morte. Si desideravano vittime volontarie, ma se queste non si fossero fatte avanti, venivano sostituiti da criminali o prigionieri oppure le vittime venivano comprate. La vittima in quei sacrifici veniva ad identificarsi col dio al quale egli era sacrificato, e nei tempi antichi il suo cadavere veniva mangiato dai devoti sotto l'idea che essi in tal maniera avrebbero acquisito in qualche misura la natura del dio. Nel corso del tempo cominciarono ad essere sacrificati animali invece di uomini, oppure venne sostituita un'effigie. In questi casi ci sarebbe stata una rappresentazione drammatica del rito sacrificale seguita da un sacro pasto il quale si sarebbe consumato una immagine al forno o riso, frutta o dolci, e si sarebbe bevuto vino. Nelle Saturnalia romane un finto re veniva scelto a sorte. C'è qualche ragione per credere, in base all'autorità di un antico manoscritto greco, che egli rappresentasse Saturno e venisse allo stesso tempo sacrificato al dio.
Rappresentazioni popolari dell'elezione del finto re continuarono per un lungo tempo dopo la cessazione dei sacrifici. Filone offre un racconto di una pantomima che egli aveva visto ad Alessandria. Un lunatico fu addobbato come un re in veste e corona, e poi condotto in una processione, portando uno scettro. Filone dice che il nome dell'uomo fu Karabbas. È stato suggerito che la K in questo nome potrebbe essere una trascrizione erronea di B, e che il nome fosse realmente Barabbas.
Evidentemente si considerava importante nei sacrifici che dovesse scorrervi del sangue, e in alcuni casi che i devoti si dovessero cospargere di esso; e così la vittima era di solito pugnalata o trafitta. In seguito può essere stata legata a una croce o appesa a un albero; oppure potrebbe essere stato appesa prima e trafitta in seguito. La flagellazione del re finto prima che fosse sacrificato era la pratica nella Sacee babilonesi.
[Ramo d'Oro, pag. 584.]
La notevole somiglianza tra alcune porzioni della storia della Passione e l'antico rituale del sacrificio del finto re, sacrificato come un dio ad un dio, è del tutto al di là la possibilità di una coincidenza. E bisogna ricordare che, a parte i vangeli, la letteratura cristiana più antica non sa nulla della vita di un uomo buono, e neppure di un processo e di un'esecuzione giudiziaria, ma tratta abbondantemente della morte sacrificale di Gesù e dell'efficacia del suo sangue redentore. Come materia di fatto, difficilmente può essere stato versato del sangue nella crocifissione come descritto. Una possibile spiegazione di questa discrepanza si darà in seguito.
Esaminando in ordine i dettagli della narrazione abbiamo per prima l'ingresso trionfale a Gerusalemme. Parecchi critici hanno espresso dubbi circa questo. È davvero difficile da comprendere come la folla che acclamò Gesù in quell'occasione come
“figlio di Davide” potesse, qualche giorno più tardi, aver chiesto a gran voce la sua esecuzione. Ci sono altre difficoltà. [Si veda J. M. Robertson, The Jesus Problem, pag. 43. È a malapena possibile che un profeta galileo possa essere stato acclamato così a Gerusalemme.] Ma la ragione principale per dubitare della verità storica della rappresentazione è che essa è stata fabbricata a partire dai passi dell'Antico Testamento, ad esempio Zaccaria 9:9, Salmo 118:26. Secondo l'antica maniera cristiana di pensare, dal momento che ciò era stato predetto ciò deve essere accaduto. [La descrizione della processione è copiata evidentemente dalla processione al Tempio nel rituale ebraico della Festa dei Tabernacoli.]
L'Ultima Cena non è realmente la pasqua sebbene si chiami così. Essa è un pasto sacrificale. Gli gnostici interpretarono in maniera simbolica la partecipazione del pane e del vino. Ma il racconto dei vangeli prova che, nel culto antico del dio salvatore Gesù, i partecipanti credevano, come credono ancora i cattolici romani, che il pane fosse veramente la carne del Salvatore. Non ci può essere alcun dubbio di un simbolismo qui. Gesù dice: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo”. E della coppa, “Questo è il mio sangue, che è versato — non sta per essere versato — per molti”. È certo che nell'antica Chiesa cristiana il pane e il vino erano creduti il corpo e il sangue di Gesù. Nel quarto vangelo leggiamo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. [Giovanni 6:53.] Ed Ireneo dice esplicitamente che il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo. [Contra omn. haer., V, 2:3.] Essi si chiamavano thusia, che è il regolare termine greco per una vittima sacrificale. Ed era costume del sacerdote officiante, dopo aver spezzato il pane nella forma di una croce, pronunciare le parole: “Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. È sorprendente che persone pensanti possano continuare a credere che questi spaventosi dogmi e riti si fossero raccolti attorno al corpo di un maestro ebreo condannato a morte. Nella narrazione evangelica il pasto è spostato, perché gli evangelisti erano mossi dalla necessità di rappresentare Gesù mentre offre egli stesso il pane e il vino. Ma la carne del dio non si poteva consumare mentre il dio era ancora vivo. Originariamente il pasto veniva dopo il sacrificio. 
In Luca è riferito che, quando Gesù se ne stava andando per l'ultima volta, egli disse ai suoi discepoli:
«chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una . . . Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ed gli disse: «Basta».
Che cosa significa questo? Come poteva immaginare lo scrittore che il Gesù che impartì la non-resistenza e l'amore dei nemici avrebbe esortato i suoi seguaci a procurarsi spade? E in Matteo, dove è detto che uno dei discepoli colpì un servo del Sommo Sacerdote, Gesù lo rimprovera, dicendogli “tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada”. Da dove prese quelle spade Luca? Egli deve aver avuto una ragione per introdurre un'incongruenza simile. L'episodio non fu inserito da Luca come una dimostrazione pratica, perché egli omette il secondo dei due discorsi citati sopra, deliberatamente, dal momento che egli sostituisce qualcosa di diverso. Dujardin ha offerto un'ipotesi che sembra degna di considerazione. [Le Dieu Jésus, pag. 187.] L'evangelista si trovò di fronte ad un'antica tradizione che egli non comprese e che ha tentato in qualche modo di adattare nel racconto. L'imbarazzo dell'inserzione lo tradisce. Ora la parola greca che qui si traduce “spade” non significa principalmente quello. La parola significa propriamente un lungo coltello, o altrimenti un pugnale; un coltello simile a quello che si sarebbe utilizzato per un sacrificio. Salomon Reinach dice che il significato adeguato fu dato alla parola in questo punto da Crisostomo, che vide in quelle due spade i coltelli che si utilizzavano per sgozzare l'agnello pasquale. Ma perché precisare di prenderli quando il pasto è già finito? Sostituisci a quella spiegazione l'ipotesi che essi fossero originariamente i coltelli destinati a venire usati per il sacrificio. Nota che, secondo Luca, l'ordine di procurarsi coltelli è seguito immediatamente dalle parole: “Infatti . . . deve compiersi in me questa parola della scrittura”, che puntano direttamente al sacrificio. Probabilmente qui abbiamo una reminiscenza di un antico rituale.
La scena nel Getsemani è impossibile come Storia. Come poteva sapere qualcuno che cosa stava provando Gesù e cosa stava pregando mentre i discepoli erano addormentati? La spiegazione migliore della scena è che essa sia la trascrizione di una parte del dramma misterico del culto di Gesù.
[J. M. Robertson, The Jesus Problem, pag. 97.] Getsemani non è il nome di un luogo reale. Esso significa il “frantoio”, ed è stato fabbricato collegando il Monte degli Olivi con un ricordo del “torchio della sofferenza divina” (Isaia 53:2). [W. B. Smith, Ecce Deus, pag. 295.] Nel verso di Isaia è scritto: “Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me”. Il riferimento in Isaia a vesti macchiate di sangue contribuì al trasferimento della metafora a Gesù.
Nella storia del tradimento di Giuda abbiamo un possibile riferimento alla pratica di comprare vittime. Giuda vendette Gesù a coloro che si stavano recando a sacrificarlo per trenta pezzi d'argento. Quell'ipotesi fornisce un'interpretazione razionale di un episodio che è inspiegabile come figura nei documenti. La storia del tradimento ha esercitato duramente le menti dei teologi, e alcuni hanno risolto che esso non può essere storico.
[Si veda Encyc. Bibl., Art. “Giuda,” § 10.] Costumi di cui si sapeva tradizionalmente che erano esistiti furono assorbiti nella narrazione fittizia.
Alla luce di tutto quel che sappiamo circa la legge ebraica e la procedura giudiziaria, il processo da parte del sacerdote principale e del concilio è piuttosto impossibile. Un processo durante la notte era decisamente proibito;
[Si veda anche Robertson, The Historical Jesus, capitolo 16.] e un arresto da parte di una forza armata durante la notte in cui si consumava l'agnello pasquale è ancor più inconcepibile. Loisy ha abbandonato francamente questo processo; mantenendo, comunque, quello di fronte a Pilato; non, probabilmente, con molta convinzione, ma perché egli osserva che un'esecuzione giudiziaria dev'essere stata preceduta da un processo di qualche sorta. Il processo da parte di Pilato, comunque, è difficilmente meno incredibile del processo da parte del Sinedrio. I governatori romani non esitavano di fronte alla minaccia di un tumulto. Come sappiamo da Flavio Giuseppe, insurrezioni e tumulti tra gli ebrei erano soppressi con pugno duro. Gli imperatori desideravano in effetti che si dovessero rispettare i costumi ebraici e i pregiudizi nazionali, ma essi non si sarebbero aspettati che il Procuratore fosse intimidito da un clamore popolare; ed è detto che Pilato era stato brutale e piuttosto incurante di offendere le suscettibilità ebraiche. Inoltre, non è credibile che il popolo avesse chiesto a gran voce la crocifissione di Gesù. Perché avrebbe dovuto? E fu detto appena prima che i sacerdoti erano timorosi di arrestare Gesù a causa del popolo. Secondo il racconto, dopo un processo che colpisce per essere stato stranamente informale, Pilato risolse che Gesù non aveva commesso nessun'offesa. Che un governatore romano dovesse dichiarare pubblicamente l'innocenza di un prigioniero e poi immediatamente condannarlo a morte non è davvero facile da credere.
Perché Gesù fu messo a morte? Il racconto evangelico sembra vacillare tra un'offesa contro la legge ebraica e un'offesa contro il governo romano. È detto che Gesù, quando interrogato da Pilato, avesse ammesso di essere re degli ebrei; ma da nessuna parte in tutti i documenti si può trovarvi qualche prova che egli avesse mai fatto una simile rivendicazione. Certamente il Gesù della moderna teologia liberale non la fece mai. Se Gesù affermò veramente di essere re degli ebrei, Pilato potrebbe avervi visto una ragione per condannarlo a morte. Ma Pilato dichiarò che egli era innocente; cosa che lui probabilmente avrebbe fatto senza prove di qualche agitazione sovversiva o istigazione popolare. D'altra parte, non c'è nessuna ragione apparente del perché i capi ebrei dovessero averlo condannato. Di certo è detto che durante il corso della sua predicazione egli aveva commesso alcune infrazioni alla legge ebraica; ma egli non fu accusato di quelle infrazioni. La storia di lui che caccia i venditori e i cambiavalute fuori dal Tempio è assurda; ad un singolo uomo con una frusta non sarebbe mai stato permesso di farlo. Una pretesa di essere il Messia non era blasfemia, sotto la legge ebraica. E se Gesù, essendo un semplice uomo, avesse dichiarato pubblicamente di essere l'unico Figlio di Dio — un'ipotesi assolutamente improbabile — egli si auto-illuse; nessuno avrebbe creduto in lui, e i capi ebrei sarebbero stati molto più propensi a pensare che fosse pazzo piuttosto che a ucciderlo.
 È impossibile fare senso delle procedure, per quanto le esaminiamo. Se Gesù fosse stato colpevole di qualche offesa contro la legge ebraica meritevole di morte, Pilato lo avrebbe consegnato agli ebrei, ed egli sarebbe stato lapidato in coerenza alla loro legge. Se egli fu crocifisso per ordine di Pilato egli deve aver commesso qualche offesa contro l'autorità romana. Ma Pilato non trovò nessuna colpa in lui. L'interrogativo rimane: Perché allora egli fu ucciso?
[L'interpolatore cristiano del Flavio Giuseppe slavonico stava tentando molto probabilmente di fornire una risposta a questa difficile domanda.] I teologi liberali non possono dare nessuna risposta valida alla domanda; ma i primi scrittori cristiani sapevano la risposta. Il dio Gesù doveva morire come un sacrificio; ma guai agli ebrei che lo uccisero. In origine, naturalmente, non ci fu nessuna colpa; quella seguì quando il sacrificio venne ad essere rappresentato come un evento storico.
Ma mentre a Pilato si fa condannare a morte un uomo che egli aveva dichiarato innocente, è detto che egli avesse rilasciato un altro uomo che aveva commesso un omicidio in un'insurrezione contro l'autorità romana. Un comportamento simile a quello non sembra affatto probabile. Come hanno riconosciuto Loisy e altri teologi critici, il rilascio di Barabba non ha la minima pretesa di essere accettato come fatto storico. E tuttavia, dal momento che non c'è nessun motivo apparente per la sua invenzione, ma piuttosto il contrario, la probabilità è che qualcosa di reale risieda dietro di esso. Quando si esaminano i dettagli emerge qualche fatto curioso. In primo luogo, si deve notare che in Matteo 27:16-17 la lettura primitiva era Gesù Barabba.
[Nicholson, The Gospel According to the Hebrews, 1879, pag. 141-42.] Quella lettura esiste ancora in un antico manoscritto. Non è probabile che sia stato inserita; al contrario, l'offesa che avrebbe dato ai lettori cristiani è una spiegazione naturale della sua avvenuta rimozione.
Ora il nome Barabba significa Figlio del Padre, così che Gesù Barabba è Gesù Figlio del Padre. Una coincidenza notevole che richiede una spiegazione. E dal momento che Barabba è un nome ebraico e non ci si aspetterebbe di trovare a Gerusalemme un nome mezzo greco e mezzo ebraico, si potrebbe concludere che originariamente esso era Giosuè Barabba. Potremo concludere anche che probabilmente esso non era il nome di un uomo reale. In precedenza è stato menzionato che la vittima sostituita in un sacrificio era frequentemente un criminale oppure un prigioniero. E la dichiarazione nella narrazione dell'episodio che era stato consueto rilasciare un prigioniero in occasione della festa, considerata assieme agli altri dettagli, suggerisce che l'origine della consuetudine fosse la disposizione di una vittima per il rito sacrificale. Una ricostruzione ragionevole è che in qualche tempo del passato, in occasione di una festività religiosa accompagnata da un sacrificio, un prigioniero, a cui si dava per quell'occasione il nome Giosuè Barabba, oppure Gesù Figlio del Padre, venisse rilasciato così da poter servire come la vittima.
[Nella festività delle Sacee persiane un prigioniero che era stato condannato a morte veniva rilasciato per essere la vittima. (Dione Crisostomo, Orat. 4:67.)] Nella storia evangelica un Gesù Figlio del Padre è veramente sacrificato. Ma dal momento che gli scrittori evangelici desiderarono rappresentare la crocifissione come un evento unico, e per loro non sarebbe stato affatto appropriato dover credere che il Gesù che fu ucciso fosse stato un criminale, essi dovettero fingere che Gesù Barabba fu rilasciato non per essere sacrificato e che il loro Gesù Cristo fu la vittima. Come menzionato prima, nei sacrifici la vittima si identificava col dio; cosicché nel culto di un dio Giosuè un Giosuè sarebbe stato sacrificato. Esiste una ragione per pensare che in tempi antichi Adone venisse personificato a volte da un uomo vivo che subiva una morte violenta nel personaggio del dio. [Il Ramo d'Oro, pag. 339.] Ad un periodo successivo le sue immagini, vestite così da rassomigliare a cadaveri, venivano trasportate per la sepoltura; in alcuni punti la sua resurrezione veniva celebrata il giorno successivo, ma di solito dopo tre giorni.
La tradizione di un Gesù Barabba sarebbe stata per gli evangelisti una tradizione davvero imbarazzante da trattare ed essi non avrebbero introdotto affatto questo nome a meno che qualcosa per loro avesse reso necessario fare così. Probabilmente la necessità derivò dal fatto che la tradizione di Gesù Barabba era nota al tempo ed essi dovettero trattarla  in un modo o nell'altro.
[Dujardin offre una spiegazione differente dell'episodio di Gesù Barabba (Le Dieu Jésus, pag. 194).] Non è necessario supporre che il ricordo del sacrificio di un Gesù Barabba sopravvisse al tempo quando furono scritti i vangeli; ma è ragionevole assumere che la memoria di una pratica antica fosse stata perpetuata da qualche parte nel rituale di un culto di Gesù.
Nei versi 26-31 di Matteo 27, abbiamo la tortura e l'incoronazione del finto re, con accompagnamenti noti per essere esistiti altrove. Questo episodio potrebbe essere stato copiato dalle Sacee babilonesi, ma il culto di un Giosuè divino non può essersi originato da ciò.
Se il processo da parte di Pilato è non storico, Gesù deve essere stato messo a morte dagli ebrei. Sebbene le epistole hanno così tanto da dire circa la morte di Gesù, la sola menzione è nella tarda prima epistola a Timoteo.
[A opinione di van Eysinga l'epistola fu scritta attorno all'anno 140.] Ma in 1 Tessalonicesi 2:15 si dichiara che gli ebrei “uccisero il Signore Gesù”. È proprio un fatto curioso che in Atti 5:30, Pietro non utilizza il termine “crocifissione”, e neppure menziona Pilato. Egli dice, “Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi uccideste appendendolo al legno” (un albero, o forse una croce). Le stesse parole si trovano di nuovo in un altro discorso di Pietro in Atti 10:39. La descrizione corrisponderebbe alla maniera ebraica di esecuzione, che è stata definita una crocifissione. [Ciò che segue si basa principalmente su un'illuminante esposizione di Dujardin, Le Dieu Jésus, pag. 174-178, 222-227.] La parola tradotta “appendere” nei testi citati significa semplicemente “sospendere”, senza nessun'implicazione di soffocamento.
Se ci volgiamo a Deuteronomio 21:22-23, troviamo l'ingiunzione che se un uomo ha commesso un crimine che merita la pena di morte egli sarà prima lapidato e poi appeso al legno. Il verso 23 è degno di nota:
“Il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull'albero, ma . . . lo seppellirai lo stesso giorno”. Se, perciò, Gesù fu ucciso dagli ebrei, potremo concludere che egli fu prima messo a morte e dopo appeso ad un albero o a una rozza croce. In ciascun caso il corpo potrebbe essere stato sospeso con le braccia distese, a formare una croce, così da essere in un certo senso “crocifisso”. Ciò sarebbe probabilmente il caso in un rito di sacrificio, dal momento che la croce fu un simbolo sacro in numerose religioni antiche. Quest'ipotesi è supportata dalla dichiarazione citata in precedenza negli Oracoli Sibillini. Il Gesù ben Pandira del Talmud fu prima lapidato e poi appeso ad un albero.
Esiste una discrepanza nel racconto evangelico della crocifissione che suggerisce che esso è stato manipolato per portarlo in conformità con una concezione più tarda. I romani crocifiggevano vivi. La vittima rimaneva in estrema agonia per giorni e veniva lasciata in pasto a rapaci. Che egli dovesse morire nel giro di poche ore sarebbe stata una cosa straordinaria e quasi incredibile. A Pilato, in realtà, si fa esprimere meraviglia per il fatto che Gesù era morto così presto. Di sera il corpo di Gesù fu rimosso e seppellito in  accordo all'ingiunzione di Deuteronomio. Quei dettagli, che si adattano così male nel racconto in nostro possesso, presi assieme alla conclusione che la crocifissione fu una crocifissione ebraica e non una crocifissione romana, sollevano più di un sospetto che se Gesù fosse stato ucciso egli fu prima ucciso e dopo crocifisso. 
La morte prima della crocifissione non fu necessariamente per lapidazione quando non era un'esecuzione giudiziaria. Giosuè, dopo aver vinto la battaglia contro i cinque re degli amorrei, sterminò un gran numero dei nemici; ma i cinque re furono trattati in una maniera particolare.
[Giosuè 10:26-27. La storia stabilisce l'esistenza di una pratica, anche se non ammettiamo che fu Giosuè a fare ciò che è riferito.] Ci viene detto che Giosuè “li percosse”, presumibilmente con una spada o una lancia, e così li uccise; dopodiché egli li appese a cinque alberi. La differenza di trattamento potrebbe essere dovuta al fatto che i cinque re erano offerti come un sacrificio [a Giosuè?]. L'immensa enfasi riposta dai primi scrittori cristiani, e da parecchi cristiani al giorno d'oggi, sul sangue di Cristo che è detto essere stato “versato”, non si accorda affatto col racconto evangelico della crocifissione, in cui davvero poco sangue può essere visto “versato”, se versato si possa perfino considerare la giusta parola da usare in tali circostanze; ma si sarebbe accordato davvero bene con un sacrificio in cui la vittima veniva trafitta da un coltello. [Aristide nella sua Apologia dice che Gesù “fu trafitto dagli ebrei”. È abbastanza possibile che racconti diversi fossero correnti allo stesso tempo in circoli diversi.]
Quando il sacrificio fu descritto come un evento storico e doveva essere fissata una data per esso nel regno di Tiberio, il governatore romano vi doveva essere introdotto, dal momento che agli ebrei non sarebbe stato permesso di mettere Gesù a morte senza il suo permesso. La maniera di uccidere allora doveva essere o per lapidazione oppure una crocifissione romana. Molto probabilmente il credo gnostico che il Cristo Logos era stato crocifisso fece inclinare la bilancia a favore di quest'ultima. Ma un fattore determinante potrebbe essere stato il desiderio di portare l'evento in conformità con un verso del 22-esimo Salmo: “Uno stuolo di maligni mi ha circondato; Essi mi hanno forate le mani ed i piedi”. Uno dei dettagli della crocifissione si copiò da un altro verso dello stesso Salmo: “Spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica”. [Anche il grido di Gesù sulla croce, dal verso 1.] Così ricaviamo una spiegazione dell'incoerenza della narrazione. Queste incoerenze non preoccuparono gli autori.
Il sito della crocifissione si mostra ai visitatori di Gerusalemme; ma il credo che il sito mostrato sia il reale Golgota si basa su fondamenta davvero insicure. “Nel complesso dobbiamo accontentarci di credere che la scena del più grande evento della storia di Gerusalemme sia ancora ignota”.
[Encyc. Bibl., Art. “ Golgota.”] La parola Golgota si scrisse in aramaico Golgoltha, e in ebraico Gulgoleth. Quest'ultima parola si trova col significato di “cranio” in tre punti dell'Antico Testamento. La spiegazione del nome Gulgoleth che è preferita dalla maggior parte degli studiosi è che una collina si chiamava Gulgoleth perchè rassomigliava ad un cranio, non perché fosse un luogo di teschi. [Encyc. Bibl., Art. “Golgota.”] Come appare nei vangeli greci il nome ha perso la seconda “l”. Ora in ebraico “t” oppure “th” si aggiungeva a volte alla fine di un nome come un espletivo; così Nazaret da Nazara, Genesaret da Gennesar. Se il suffisso “th” è rimosso da Gulgoleth noi ricaviamo Gulgola. Inoltre, in ebraico the vocali si rappresentano solo con puntini di piccoli segni  (lineette) collocati sotto le consonanti; e così in ebraico privo di punteggiatura i nomi Gulgola e Gilgal sarebbero precisamente lo stesso. In greco, Gilgal è dato di solito come Galgala; ma dove capita il nome in Deuteronomio 11:30, in due dei migliori manoscritti greci, è scritto Golgol. [Confronta questo con l'aramaico Golgoltha.] Così c'è una rassomiglianza davvero stretta tra le forme antiche dei due nomi Gulgoleth e Gilgal.
Gilgal, al pari di Golgota, non è soltanto il nome di un luogo; esso significa propriamente
“il cerchio”, ossia un sacro cerchio di pietre, della forma ora chiamata cromlech dagli archeologi — ci furono parecchi di loro in Palestina. Un Gilgal, perciò, fu un luogo dove esisteva un cerchio del genere, e quei cerchi sembrano essere stati situati sempre su un luogo o colle elevato; nel cui fatto troviamo un'altra associazione tra Gulgoleth e Gilgal. Ma un Gilgal, quello presso Gerico, è associato in particolare a Giosuè. È detto che egli vi avesse eretto un cerchio di pietre, e vi avesse restaurato il rito di circoncisione. È creduto che questo Gilgal fosse un antico santuario. [Non era Jahvè ad esservi adorato. Si veda Amos 4:4, 5:5.] Gulgoleth e Gilgal, perciò, sono strettamente connessi etimologicamente e nel significato; e laddove esiste un'intima relazione tra Gulgoleth e Gesù, c' una relazione altrettanto intima tra Gilgal e Giosuè. Questa può essere una coincidenza? Se così, essa sarebbe una in più da aggiungersi al numero che è già stato illustrato. E quando troviamo un numero di notevoli coincidenze che puntano tutte alla stessa conclusione, diventa logico concludere che esse sono qualcosa di più che coincidenze accidentali. Coerentemente si potrebbe concludere che il Golgota dove fu sacrificato Gesù sia il Gilgal dove fu adorato Giosuè. Questo Gilgal è un luogo desolato non lontano dal Mar Morto. Là vi potevano essere praticati in segreto i riti sacri del culto di Gesù. Nei tempi antichi, forse per centinaia di anni, una vittima umana vi veniva sacrificata periodicamente al dio. In seguito, al posto del reale sacrificio si sostituì una rappresentazione drammatica. Per alcuni ebrei, comunque, Giosuè diventò il Messia celeste.
Se Gesù era morto nella maniera descritta nei vangeli è difficile credere che ogni conoscenza del sito della crocifissione e della situazione della sua tomba sarebbe stata perduta. Nessuno sembra mai aver saputo qualcosa circa ciascuno di loro.
La dichiarazione che Pilato avesse attaccato un'iscrizione sulla croce,
“Il Re dei Giudei” è chiara fiction. Ma se Gesù oppure, per dire più correttamente, qualche uomo che rappresentava il dio Gesù fu ucciso come il sacrificato finto re, è abbastanza probabile che qualche etichetta del genere gli venisse collocata sulla sua testa.
Secondo i sinottici due Marie stavano ad osservare la crocifissione e in seguito portarono spezie alla tomba di Gesù così da poterlo ungere; nessuna di quelle era sua madre. Una quarta Maria, associata strettamente a Gesù, era la sorella di Lazzaro. Sarà interessante indagare nel significato di tutte quelle Marie. Senza dubbio esse non sono storiche; e per ricavare qualche luce su di loro il modo migliore sarà esaminare le circostanze associate alla morte del dio salvatore in certi altri culti contemporanei.
Nei miti di quei dèi il corpo del dio ucciso è ricercato dalla dèa, che piange la sua morte e gioisce alla sua resurrezione. Durante le festività di Adone, che fu chiamato anche Tammuz, si piangeva annualmente la morte del dio, principalmente da donne. Nell'Antico Testamento leggiamo di donne che piangevano per Tammuz. C'è ragione di credere che quelle donne rappresentavano Ishtar per l'occasione.
[Zimmern, Zum Streit um die Chrislusmythe, pag. 36.] Nella rappresentazione del mistero divino di Osiride due  piangiatrici a pagamento facevano le parti delle sue due sorelle, Iside e Nefti. Alla festa babilonese del Nuovo Anno veniva drammatizzata la morte, la sepoltura, e la resurrezione di Marduc; e nel corso della rappresentazione una donna, agendo nella parte di una dèa, si recava lamentandosi presso la tomba del dio per cercarlo. [Drews, Das Markusevangelium, pag. 373.] In Frigia la morte, la sepoltura e la resurrezione di Attis venivano rappresentate annualmente. In questo rituale il pianto di Cibele, la grande Madre, sul corpo mutilato del giovane è un aspetto cerimoniale. [Arnobio, Adversus Gentes, 5:7; 7:343. Riferimenti dati da Robertson, Christianity and Mythology, pag. 300.] Infine, la tomba in cui era stata sepolta l'immagine di Attis si apriva e si ritrovava vuota. [Frazer, ll Ramo d'Oro, pag. 347.]Come si rappresentava, nei misteri di quei culti, la piangente madre, sorella o signora del dio, così nel dramma misterico del culto di Giosuè una donna che rappresentava Maria avrebbe pianto il dio sacrificato e visitato la sua tomba, che, al pari di quella di Attis, fu trovata vuota. Nei vangeli la Maria in lutto è stata separata in due, una di cui è Maria “la Maddalena”. Il significato di questa separazione sarà proposto in seguito. L'identità originale delle due Marie è resa probabile dal fatto che in ebraico “magaddela” significa “parrucchiera”. E fu riferito da Plutarco che Iside, nella sua ricerca dell'assassinato Osiride, intrecciò i capelli delle ancelle di re Malcandro (Melqart) e della regina Astarte, per cui un profumo meraviglioso spirò sui loro corpi. La storia di Plutarco ci rammenta la donna che unse i piedi di Gesù con un unguento costoso e li asciugò con i suoi capelli; “e la casa fu piena dell’odore dell’olio profumato”. Questa donna nel quarto vangelo si identifica con Maria la sorella di Lazzaro. Potremmo vedere in quei nomi ed episodi miti collegati. La madre di Gesù ben Stada è chiamata Mariam Magdala in un punto del Talmud. Forse lo scrittore aveva trovato nominata così da qualche parte la madre del Gesù cristiano.
Giosuè sembra essere un duplicato di Mosè; ed esiste una buona ragione per credere che Mosè fosse originariamente una divinità ebraica.
[Si veda Robertson, Christ, and Myth., pag. 99, 100, 309. Anche Drews, Die Marienmythe, pag. 25 e 34. Filone dice che Mosè fu chiamato dio e re di tutto il suo popolo (Vita di Mosè, 2:106).] Nelle religioni orientali c'era una triade di dèi principali e una dèa vergine. Si potrebbe essere abbastanza certi che, dal momento che quello era il caso con gli assiri e i caldei, dev'essere stato così allo stesso tempo con gli ebrei razzialmente connessi. L'antica triade ebraica allora consisteva di Mosè, Aronne, e Ur, mentre Miriam fu la corrispondente dèa vergine. Nella Septuaginta il nome Miriam viene tradotta Mariam, e si pensa che sia stata la forma più antica del nome. [ Encyc. Bibl., Art. “Maria.”] Anche nel Testamento greco il nome che nelle nostre versioni inglesi è dato come Mary è di solito Mariam.
Un credo cristiano davvero antico, forse il più antico, fu che Gesù era nato in una grotta.
[Giustino, Dial. 78.] Ma anche Mihr, la madre vergine del Mitra-Saoshyant, partorì suo figlio in una grotta. [Drews, loc. cit., pag. 4.] La sillaba ebraica am significa madre. Se uniamo questa sillaba con Mihr, ricaviamo Miriam (Mihr la madre). La madre di Tammuz, di nuovo, si chiamava Myrrha; e Tammuz nei tempi antichi era adorato presso una grotta vicino Betlemme. Ermes, il Logos greco, ha per madre Maia, il cui nome ha legami con Maria. [Robertson, Christ, and Myth., pag. 297.] Ermes nacque in una grotta e Dioniso fu allevato in una grotta. Quei dèi sono rappresentati entrambi cullati in una cesta che, nell'Oriente, era anche una mangiatoia; e il primo nella sua culla è visto circondato da bestiame. [Ibid., pag. 192.]
Si potrebbe ricavare da alcune osservazioni di Filone, dove egli sta dando un racconto della setta gnostica dei Perati, che fu localizzata in Egitto, che Mosè era riverito da loro in quanto il loro dio del culto. [Lublinski, Die Entstehung des Christentums, pag. 175.] E un coro di donne che figurava nei loro misteri sembra essere stata una rappresentazione del coro di donne guidate da Miriam che intonavano il canto di trionfo dopo il passaggio del Mar Rosso. [Esodo 15:20-21.] I Perati traevano il loro nome da un verbo greco che significava passare attraverso, perché, dicevano, essi soli mediante la loro conoscenza (gnosi) erano in grado di “passare attraverso” la morte nella vita. Ma l'Egitto per gli gnostici ebrei simboleggiava o il mondo oppure il corpo mortale; cosicché, come Mosè salvò gli israeliti che passarono attraverso il Mar Rosso, i misteri del dio del culto dei Perati avrebbero permesso a coloro che vi parteciparono di passare dal mondo, o il corpo, attraverso la morte nella vita eterna. Il nome della setta, perciò, rende davvero probabile la conclusione che essi riverivano Mosè e Miriam come entità divine.
Giustino disse che Giosuè fu un prototipo di Gesù. Potremo confrontare questa dichiarazione con quella di Gregorio Nazianzio e altri secondo i quali Miriam fu il prototipo di Maria. Si potrebbe ricavare che un'identità è indicata in entrambi i casi. [Drews ha dimostrato la natura mitica di Miriam e Maria e la loro identità in Die Marienmythe. Nella tradizione orientale Giosuè è il figlio di Miriam. Robertson, Christ. and Myth., pag. 99.] I fatti illustrati sopra giustificano l'opinione che Maria, la madre di Gesù, fosse originariamente un essere divino, e che i cattolici romani nell'adorarla come la madre di Dio le stanno restaurando la dignità celeste di cui una tendenza razionalizzante l'aveva privata. Le Marie del Nuovo Testamento si potrebbero considerare varianti di una stessa Maria.
La fede nella resurrezione, che teologi critici si sono sforzati di spiegare con teorie diverse e a volte fantastiche, è facile ora da comprendere. Si credeva che tutti gli dèi salvatori fossero risorti dai morti. Naturalmente un dio che veniva ucciso annualmente dev'essere stato immaginato vivo nel frattempo nella visione dei suoi adoratori.
La prova esposta fin qui punta con insistenza all'antica adorazione in Palestina di un Giosuè divino con un relativo rito di sacrificio. Durante i secoli immediatamente precedenti l'era cristiana il culto sarebbe stato praticato segretamente, ma dopo la caduta di Gerusalemme non esistette più a lungo il bisogno di segretezza. Probabilmente ci furono gruppi di membri del culto in più di un luogo, ed essi potrebbero essere stati particolarmente numerosi in Samaria, dove è risaputo che Giosuè era tenuto in grande onore. Nel quarto vangelo gli ebrei, schernendo Gesù, asseriscono che egli è un samaritano; la quale asserzione Gesù non nega.
[Quest'asserzione suggerisce l'ipotesi che nel secondo secolo gli ebrei schernivano i cristiani per la loro adorazione di un dio samaritano. Non abbiamo nessun diritto di assumere che ogni opinione ebraica sia rappresentata nel Talmud.] La distanza di Gilgal dal confine meridionale della Samaria sarebbe solo di circa dieci miglia.

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