martedì 26 dicembre 2017

Sull'Evoluzione del Cristianesimo (III) — Antico Sviluppo Gnostico

(procede da qui)

CAPITOLO III

ANTICO SVILUPPO GNOSTICO


1. Il Logos, Chrestos

La concezione del dio ebraico Jahvè come una divinità inferiore, e la distinzione tra Jahvè e il supremo Dio buono, diventarono comuni a tutte le sette gnostiche, e fu successivamente una delle loro eresie. Non si può mai abbastanza sottolineare che non ci fu nessuna singola origine o singolo originatore del cristianesimo. Il dogma cristiano non è mai stato un semplice, concordante e coerente intero —
totus, teres, atque rotundus — un corpo dottrinale i cui membri espansero naturalmente a partire da un principio centrale unificante. Esso venne formato in modo eclettico a partire da diversi flussi di pensiero che si incontrarono e parzialmente si mescolarono nel primo secolo. Le idee che in ultima analisi si rivelarono accettabili alla maggioranza furono amalgamate per formare i dogmi della Chiesa cattolica; Il resto fu rifiutato e condannato, e gli uomini che continuarono a tenerli furono marchiati come eretici. L'amalgama anche nella stessa Chiesa cattolica non fu completo. Anzi, non fu mai del tutto un amalgama completo, ma ad un grado considerevole semplicemente un mettere assieme elementi costitutivi alcuni dei quali  furono uniti solo debolmente; da qui per secoli  proseguì il conflitto teologico sopra un dogma o l'altro. Il risultato fu che alcune delle idee gnostiche vennero assorbite, mentre altre furono respinte e diventarono eresie.
L'antitesi introdotta dagli gnostici tra la materia come essenzialmente malvagia e lo spirito come puro e buono fu una delle loro dottrine che influenzarono profondamente il pensiero cristiano; lo influenza ancora oggi nella Chiesa cattolica. Ma alcune delle conclusioni a cui gli gnostici furono condotti nel logico sviluppo di quell'antitesi non erano di una natura tale da guadagnare accettazione, poiché si scontrarono con idee derivate da un'altra fonte che furono più accettabili alla mente comune. Ad esempio, avendo concluso che il Dio buono non poteva aver creato un mondo malvagio, ritenendo malvagio questo mondo, essi identificarono Jahvè, in quanto deità malvagia,  con il creatore, che coerentemente chiamarono il demiurgo (dal greco
demiourgos), artigiano, fabbricatore, o autore. La creazione fu pertanto sottoposta al male dalla deità malvagia che la creò. Il dominio di questa deità sarebbe stato interrotto dalla venuta dal cielo di un'emanazione dell'essere divino, chiamata da loro un eone. All'inizio la concezione fu relativamente semplice; questo eone sarebbe il Logos, o Figlio di Dio. Ma gli gnostici successivi  trasformarono la teoria dell'emanazione degli eoni in un sistema molto complicato. La nozione della sottomissione della creazione al male da parte del demiurgo e la sua definitiva redenzione da parte dell'eone o figlio di Dio, quando i redenti diventeranno a loro volta figli di Dio mediante l'unione con Cristo, è rappresentata nell'epistola ai Romani, 8:19-20: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. Poiché infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa”.
Alcuni degli gnostici, come abbiamo visto, identificarono il loro Logos col Messia, il Cristo, anche se essi diedero al termine “Cristo” un significato molto più ampio di quello strettamente ebraico. La loro opinione allora era che il Messia ebraico fosse uno pseudo-Cristo. È comunque certo che il nome che molti di loro utilizzarono fu Chrestos, che significa buono, utile, gentile. Lo stesso epiteto fu applicato anche ad alcuni degli dèi-salvatori greci ed egiziani, e sarebbe stato familiare agli gnostici di lingua greca. C'è una prova dell'utilizzo gnostico di questo nome. È stata scoperta un'iscrizione greca datata intorno al 318, che recita:
Sinagoga dei Marcioniti di Lebaba
del Signore e Salvatore Gesù Chrestos.
In Atti 11:26 si dichiara che i discepoli furono chiamati la prima volta cristiani ad Antiochia; ma nel manoscritto del quarto secolo, il Codex Sinaiticus, la lettura in questo punto è “Crestiani”. E gli gnostici furono generalmente numerosi ad Antiochia e in Siria. La pronuncia dei due nomi fu praticamente la stessa, perciò erano indistinguibili nel linguaggio parlato. Per qualche tempo entrambi i nomi furono in uso; ma gradualmente la forma “Christos”, sotto l'influenza cattolicizzante, assorbì l'altra e divenne quella universalmente impiegata.
Secondo gli gnostici, la redenzione dell'umanità consisteva nella loro liberazione dalla schiavitù del peccato in cui erano tenuti per sottomissione a Jahvè e soprattutto per sottomissione ai falsi dèi pagani, che fu da loro descritta come una tirannia. Fintantoché gli uomini credevano che Jahvè fosse l'unico Dio e ignoravano il buono, puro Dio supremo, essi non potevano essere salvati. Il Dio buono nella sua compassione li avrebbe salvati inviando loro il figlio, il Logos, Chrestos, che li avrebbe condotti alla gnosi — cioè la conoscenza di Dio e i mezzi mediante cui poteva essere ottenuta l'unione con lui e poteva essere promessa una condivisione del suo puro spirito, o pneuma. Ma ora gli gnostici erano già in possesso di questa gnosi. Nei loro incontri religiosi essi erano in grado di comunicare col Dio supremo che era stato rivelato loro. Ma se essi avevano avuto quella rivelazione, se essi già conoscevano il vero Dio, che non poteva essere rivelato agli uomini da nessuno se non da suo figlio Chrestos, allora Chrestos deve già essere venuto e apparso agli uomini. La conclusione non poteva essere evitata. Gli gnostici devono aver creduto che Dio, attraverso il suo Logos, avesse mostrato loro la verità e si fosse rivelato loro. Ora gli gnostici stessi possedevano la gnosi, che essi potevano impartire ad altri; ma essa poteva venire sulla terra solo per mezzo del Logos, Chrestos. L'apparizione di Chrestos sulla terra non era pertanto più un evento da attendersi nel futuro; accadde nel passato. Non possiamo evitare la conclusione che questo fosse il credo dello gnosticismo, soprattutto quando ricordiamo che gli gnostici, pur trattando davvero tanto di astrazioni e simboli, rappresentarono sempre a sé stessi quelle astrazioni e simboli come se fossero cose e persone reali; dunque scrissero di loro come oggetti concreti di devozione.
Neander dice di loro: “Essi si muovevano più tra intuizioni e simboli che tra concezioni. Dove il pensatore occidentale si sarebbe formato sé stesso una concezione astratta, risiedeva di fronte all'anima dello gnostico un'apparizione vivente, una vivente personalità in vivida intuizione  ...... L'immagine e ciò che l'immagine rappresentava, nel modo di rappresentazione gnostico, erano spesso confuse insieme”. Di conseguenza, quando essi credevano che Dio avesse insegnato loro la verità tramite la sua sapienza e la sua parola, la sapienza di Dio si sarebbe presentata davanti a loro personificata sotto forma di una donna, Sofia, e la sua parola come il Logos nella forma di un uomo. E così, quando ringraziavano Dio nelle loro assemblee religiose, essi avrebbero usato una forma di parole come: Ti ringraziamo, o padre, per la gnosi che tu ci hai dato tramite tuo figlio, Chrestos. E la figura di Chrestos sarebbe balenata alla loro mente come quella di un essere divino nella forma di un uomo che era apparso agli uomini e li aveva istruiti su Dio e la sua gnosi. Possiamo vedere come questo credo dev'essere sorto quando consideriamo il brano già citato da Baruc che dice che la sapienza “fu vista sulla terra e dimorò tra gli uomini”. Quando la Sapienza era stata personificata, il credo che lei in qualche tempo fosse apparsa tra gli uomini fu una conseguenza necessaria. Lo stesso ragionamento vale per il Logos, che fu l'incarnazione della sapienza di Dio. Dato che gli uomini avevano già ricevuto la gnosi, il Logos doveva essere già apparso tra loro. Gli gnostici allora furono chiamati Crestiani perché essi credevano che il Logos, Chrestos, il Figlio di Dio, fosse apparso sulla terra nella forma di un uomo per offrire agli uomini i mezzi di redenzione rivelando loro il vero Dio e i mezzi con cui poter avere la comunione col puro spirito, e così elevarsi al di sopra del corrotto mondo materiale. Nulla in tutto questo ha qualche connessione con un Gesù di Nazaret, reale o immaginario. Il nome “Gesù” sarà discusso in un capitolo successivo.

2. La Morte e Resurrezione del Logos


Le dottrine gnostiche finora descritte non recano alcun segno di essersi originate nella chiesa cristiana ebraica; si è mostrato, infatti, che esse si sono sviluppate da fonti pre-cristiane indipendenti. In quale misura i dogmi degli gnostici riguardo la morte e la resurrezione del loro Salvatore fossero originali, e in quale misura, se non completamente, fossero derivati oppure modificati da flussi paralleli di pensiero cristiano, è molto più difficile da determinare. La letteratura gnostica che è sopravvissuta è alquanto scarsa, e le dottrine degli gnostici successivi sono note principalmente dalle opere controverse che i padri della Chiesa scrissero contro di loro; e quei padri non sono noti per essere stati molto accurati. La Chiesa Cattolica aveva ogni motivo di distruggere tutte le prove da cui potesse essere appreso il corso dell'antico sviluppo cristiano, perché i fatti di quello sviluppo erano in conflitto coi suoi dogmi. Abbiamo dei fatti, tuttavia, da cui si possono trarre deduzioni e raggiungere conclusioni che possono essere accettate con una buona dose di fiducia. Dove dobbiamo scegliere tra una storia incredibile e un processo inferito che possiede un grado di probabilità elevato, noi dobbiamo accettare il probabile piuttosto che l'incredibile, perfino se il primo non può essere evidentemente dimostrato in tutti i suoi dettagli.
Siccome le principali idee gnostiche erano antagoniste a quelle della chiesa giudeocristiana e derivavano da fonti diverse, non è molto probabile che gli gnostici avessero copiato un elemento così importante come la loro fede nella morte e resurrezione del loro Salvatore, specialmente poiché il contenuto dogmatico di quel credo era molto diverso da quello corrente in altri circoli cristiani. Questa conclusione è supportata dal verso citato in precedenza dalla prima lettera ai Corinzi, capitolo 2, circa la Crocifissione, poiché esso dev'essere stato derivato da una fonte gnostica e chiaramente antica. In quello che è appena stato scritto, naturalmente, non è implicato che lo gnosticismo fosse privo di fonti ebraiche per il credo in questione. I primi gnostici ebrei ereditarono nel complesso le idee correnti tra gli ebrei. Alcuni di quelle furono respinte o modificate; ma il corso di sviluppo non sarebbe stato lo stesso qualora avesse avuto la sua radice in un altro suolo. Il dogma relativo alla Crocifissione che diventò prominente nella Chiesa cattolica ed è prominente nel Nuovo Testamento, è che Gesù morì come sacrificio espiatorio; ma ci sono passi che indicano l'esistenza di un'altra opinione che dev'essersi originata in una cerchia di pensiero diversa dalla prima. Per esempio, nella lettera ai Romani, 14:9, troviamo:
“Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi”. La stessa idea è posta in un'altra forma: “Per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere — cioè il diavolo”.
La concezione della morte e resurrezione del loro Signore Chrestos non poteva difficilmente non pervenire agli gnostici lungo la loro propria linea di pensiero. Il suo germe si trova già in Ecclesiastico, il libro della Sapienza di Gesù, figlio di Sirach, in cui la Sapienza dice: “Attraverserò tutte le parti più basse della terra: guarderò tutti quelli che sono addormentati e illuminerò tutti coloro che confidano nel Signore”. Anche nella Sapienza di Salomone (capitolo 2) troviamo questo: “Dicono fra loro sragionando: « . . . Tendiamo insidie al retto, perché non ci è utile ed è contrario alle nostre azioni; . . . Proclama di possedere la conoscenza (gnosi) di Dio e si dichiara figlio del Signore. . . . Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il retto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà». La pensano così, ma si sbagliano ...... Poiché non conoscono i misteri di Dio”. La parola tradotta “utile” è nel greco della Septuaginta dus-chrestos — cioè, non chrestos. Se, allora, l'uomo giusto non fu chrestos per i malvagi, egli dev'essere stato chrestos per i buoni. Inoltre, la parola tradotta “retto” è dikaios, che significa anche giusto. Ora gli Gnostici avevano numerosi nomi per il Logos; tra gli altri il Santo, e il Giusto. In vista di tutto questo, come poterono essi, con il loro acuto intelletto speculativo, il loro amore per il simbolismo, e la loro abitudine di leggere un doppio significato nelle dichiarazioni bibliche, aver evitato l'identificazione di questo Giusto, che fu chrestos, con il Logos; specialmente quanto è detto che egli ha preteso di essere il Figlio di Dio, e di possedere la conoscenza di Dio, che per gli gnostici sarebbe la gnosi?  Un ulteriore incentivo a quest'identificazione è il riferimento ai misteri di Dio. Così, avrebbero ragionato, c'è un mistero divino connesso a questo Giusto; egli deve essere un'entità divina. Un altro indizio che punta alla stessa direzione è il ben noto passo della Repubblica di Platone, in cui si afferma che l'uomo veramente giusto, l'uomo giusto, poiché è considerato ingiusto, sarà flagellato, imprigionato, accecato; e, dopo aver sopportato tutto questo, sarà impalato; mentre l'uomo apparentemente giusto riceverà ogni tipo di ricompensa per la falsa apparenza di giustizia.
Gli gnostici furono familiari con la filosofia greca, sia con gli scritti di Platone che degli Stoici, del cui fatto c'è evidenza nelle epistole paoline. Ora, gli Stoici erano molto desiderosi di derivare un'immagine del sapiente ideale, che fosse anche l'uomo buono ideale, come modello sul quale i filosofi avrebbero dovuto modellare la propria condotta; ma essi ammisero che l'ideale non era mai stato raggiunto se non, forse, da uno o due. Il loro sapiente ideale visse secondo il Logos, o ragione dell'universo. Combinando con questa concezione il Giusto frainteso e perseguitato di Platone, e risalendo in cerca di una fonte ebraica all'uomo giusto del libro della Sapienza, gli gnostici potevano arrivare al loro  uomo divino, il Logos, o Chrestos.
Se il Figlio di Dio, che fu sulla terra in forma umana, fu anche ucciso, era impossibile che le potenze delle tenebre trionfassero su di lui; egli doveva necessariamente risorgere dai morti; e gli gnostici avevano un sacco di motivi per completare la loro concezione in quel senso. Perché è noto che le loro speculazioni furono influenzate dal misticismo orientale e dall'astro-mitologia, con cui vennero a contatto ad Alessandria, Antiochia ed in altre città del vicino Oriente. È difficile per noi realizzare l'intensità dell'interesse con cui dal tempo più antico uomini contemplativi osservavano le stelle, e la strana ingenuità con cui essi interpretavano i movimenti e le configurazioni delle stelle e dei pianeti. Essi pensavano che l'aspetto continuamente mutevole dei cieli simboleggiasse eventi terreni e celesti e accadimenti della massima importanza per gli uomini. Il sole lo consideravano un dio o un essere divino; la porzione del cielo stellato a nord dell'equatore celeste era, nella loro immaginazione, il regno della luce e della vita; l'emisfero meridionale sotto l'equatore, attraverso il quale il sole viaggia nei mesi invernali, era la regione dell'oscurità e della morte. E così il passaggio del sole verso il lato meridionale dell'equatore all'equinozio d'autunno simboleggiava la morte del dio-Sole, e il suo ritorno in primavera la sua resurrezione dai morti. Le costellazioni rappresentavano entità potenti, alcune dei quali erano ostili al dio-Sole e combattevano contro di lui; altre erano benigne e propizie agli uomini. Mentre una costellazione si avvicinava all'orizzonte e gradualmente calava, apparentemente perseguita da altre che la seguivano, una grande battaglia sembrava infuriare nel cielo tra le potenze benigne e quelle malvagie. E si ritenne che ciò prefigurasse una grande battaglia che un giorno sarebbe stata condotta tra un esercito di angeli guidati da Dio, oppure dal suo rappresentante divino, e le potenze del male, quando quest'ultimo sarebbe stato finalmente distrutto ed una nuova era di felicità e virtù sarebbe cominciata. Ci fu una grande diversità nei miti che furono costruiti su questa fondamenta — il sole avrebbe potuto rappresentare un dio o un altro genere di essere divino, un semi-dio, oppure un figlio di dio, come Ercole, per esempio. Tutti quei miti del Sole, tuttavia, condividevano questo in comune — che il dio o il semi-dio fosse ucciso e resuscitato dai morti.
Ora, se il dio Sole, dopo essere stato ucciso e mandato al mondo sotterraneo, era capace di riemergere di nuovo da esso, egli dev'essere stato considerato un vincitore dei dominatori di quel mondo e un distruttore del potere della morte. E in questo gli uomini trovarono una conferma della possibilità della loro resurrezione definitiva. Nella mente degli gnostici quest'idea avrebbe trovato la sua connessione con il verso citato sopra dell'Ecclesiastico, in cui dice la Sapienza: “
“Attraverserò tutte le parti più basse della terra: guarderò tutti quelli che sono addormentati”. Parecchio di quel che fu detto negli scritti precedenti intorno alla Sapienza venne trasferito successivamente al Logos. Noi troviamo la stessa idea nei due versi citati dalle epistole paoline. Il Logos, pertanto, il Signore della Gloria, dopo essere stato ucciso, non dagli uomini, ma dagli arconti di questo eone (entità celesti nelle quali il pensiero gnostico aveva sviluppato gli ingiusti della Sapienza di Salomone), necessariamente resuscitò dai morti, e così distrusse il potere della morte, e divenne Signore sia dei morti che dei vivi, come dice lo scrittore paolino. In questa maniera diventò possibile la resurrezione dai morti per tutta l'umanità.
Il Logos, inoltre, fu concepito come rivelatore del vero Dio agli uomini, non solo insegnando loro su Dio come avrebbe potuto fare un maestro umano, ma perché lo spirito di Dio, il Pneuma, fu in lui, e così egli mostrò Dio agli uomini. Attraverso di lui Dio si rese manifesto nella carne. Ora abbiamo tracciato l'evoluzione del dogma che trova espressione nel passo seguente dell'epistola a Timoteo:
“Grande è il mistero della pietà: colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria”. Il lettore tenti di liberare la sua mente da pregiudizi e consideri accuratamente la citazione di cui sopra, e poi domandi a sé stesso cos'è più probabile — che il credo espresso in quei termini fosse il risultato di un processo di evoluzione come quello che ho cercato di descrivere, oppure che facesse riferimento a qualche uomo che fu così oscuro che nulla di certo è conosciuto su di lui. Certamente soltanto una risposta è possibile.
Ci sono, naturalmente, altri elementi del dogma che non sono ancora stati considerati. Questi saranno discussi nei capitoli successivi.

3. Altre Idee Gnostiche

Le idee generali degli gnostici riguardo alla natura di Dio e dell'uomo furono le seguenti: Dio è puro spirito, pneuma, invisibile, ed eterno. Le anime degli uomini comuni sono composte da qualcosa chiamata psyche, che è la parola greca per anima. La psyche è visibile ma non materiale nel senso ordinario, né è immortale. I corpi degli angeli sono psichici. Per ottenere una vita eterna, gli uomini devono diventare imbevuti di pneuma, che è possibile solo attraverso una comunione con Dio, per la quale è necessaria la fede nel suo Logos, Chrestos o Cristo. Attraverso questa comunione gli uomini possono diventare progressivamente meno psichici e più pneumatici. Tutta la materia è essenzialmente corrotta, e quando il corpo materiale perisce non può mai essere rinnovato. Quindi non ci può essere nessuna resurrezione del corpo. Quelle idee possono essere ricondotte a Platone e alla letteratura della Sapienza, che naturalmente era influenzata dalla filosofia greca. In Sapienza 9:15, leggiamo:
“Un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri”. Questo conflitto tra corpo e anima, materia e spirito, divenne poi un elemento molto importante della dottrina gnostica. Indizi di esso si trovano nelle epistole paoline. Ancora una volta, in Sapienza 3:1-4, leggiamo: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio ... Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità.” È scritto anche: “Il giusto vivrà per sempre”. Da questi passi gli gnostici derivarono il loro credo nella risurrezione dell'anima, mentre gli ebrei credevano generalmente nella resurrezione del corpo. Una forte prova della correttezza della nostra tesi, che il cristianesimo è una sintesi, si presenta nelle due concezioni della Resurrezione, rintracciabili a fonti indipendenti ed entrambe ancora tenute dai cristiani di oggi come lo erano dall'inizio. Nei primi giorni del cristianesimo ci fu un conflitto tra le due concezioni, e non ci può essere nessun dubbio che le parole “Io credo nella resurrezione del corpo” fossero introdotte nel credo come protesta contro l'opinione gnostica. Alla fine le due opinioni furono riconciliate supponendo che alla morte l'anima risalga di colpo alla sua dimora, e che il corpo risorgerà alla fine del mondo. La prima opinione, però, non si armonizza con la dottrina generale cristiana sull'ultimo giudizio, e non può essersi evoluta dalla stessa radice di quest'ultima. Da quelle idee speculative degli gnostici, si derivarono conclusioni pratiche davvero diverse da diverse sette gnostiche. Alcuni dedussero da loro opinioni molto licenziose rispetto alla condotta. Gli pneumatici, essendosi liberati dalla Legge Mosaica, erano diventati una legge per sé stessi; e poiché, sostennero quelli uomini, il vizio riguarda solo il corpo corrotto, tutto è permesso. Quest'opinione sembra essere accennata dallo scrittore paolino dove dice: “Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova” e in certi altri punti. Altri gnostici, al contrario, come Marcione e i suoi seguaci, furono spinti ad un ascetismo estremo, perché pensavano che il corpo, essendo essenzialmente malvagio, debba essere mortificato. Quest'opinione, senza dubbio, fu la radice da cui scaturì l'ascetismo che è stato praticato in diversi momenti da tutti i rami della Chiesa cristiana. Non c'è certamente alcun motivo per pensare che gli gnostici in genere non avessero un livello ragionevole ed elevato di moralità. Poiché identificarono lo Spirito di Dio con Sofia o Sapienza, essi devono aver considerato autorevoli i profondi precetti morali della Sapienza data dalla letteratura sapienziale. Quelli, però, non furono ritenuti sufficienti, e così i capi delle comunità composero a beneficio dei loro seguaci  opuscoli oppure manuali di precetti morali; e proprio come gli scrittori profetici dell'Antico Testamento, per aggiungere peso alle loro affermazioni, le introducevano con le parole: “Così dice il Signore”, o Jahvè, così anche i maestri delle antiche comunità cristiane, che furono a loro volta chiamati profeti, cominciano le loro ingiunzioni con le parole “Il Signore ha detto”, “Il Logos ha detto”, oppure “Gesù ha detto”.
Quei precetti morali, chiamati
“Logoi”, “Logia”, o “Detti del Signore”, non erano nel complesso originali; essi sono stati fatti risalire per lo più a precedenti fonti ebraiche apocalittiche e ad altre fonti, oppure alla filosofia greca. Siccome alcuni maestri, però, furono indubbiamente uomini di avvistamento spirituale e di mente aperta, essi potrebbero occasionalmente aver migliorato le loro fonti, anche se ci sono casi in cui il senso non è così buono oppure le idee non così ben espresse. In alcuni casi c'è un accordo molto stretto nella fraseologia tra i Logia e la fonte originale; In altri casi l'espressione è molto diversa, anche se l'idea è la stessa. Ad esempio, nell'Insegnamento dei Dodici Apostoli leggiamo: “Innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri. ....: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici. ... Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra e sarai perfetto; se uno ti costringe ad accompagnarlo per un miglio, tu prosegui con lui per due. Se uno porta via il tuo mantello, dagli anche la tunica. Se uno ti prende ciò che è tuo, non ridomandarlo, perché non ne hai la facoltà. A chiunque ti chiede, da' senza pretendere la restituzione, perché il Padre vuole che tutti siano fatti partecipi dei suoi doni. Beato colui che dà secondo il comandamento, perché è irreprensibile. Stia in guardia colui che riceve, perché se uno riceve per bisogno sarà senza colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere conto del motivo e dello scopo per cui ha ricevuto. Trattenuto in carcere, dovrà rispondere delle proprie azioni e non sarà liberato di lì fino a quando non avrà restituito fino all'ultimo centesimo”.
Il libro da cui è preso questo estratto è un'opera ebraica ed esisteva prima dei vangeli. Molti di quei precetti possono essere ricondotti a fonti ebraiche più antiche, o ad alcuni dei libri dell'Antico Testamento oppure agli apocrifi ebraici come i
Testamenti dei Dodici Patriarchi. Ad esempio, nel Testamento di Gad, leggiamo: “Amatevi gli uni gli altri di cuore; e se uno pecca contro di te, parlagli in pace, senza nascondere inganno dentro di te; se poi si pente e confessa, perdonagli.” E nel Testamento di Levi: Fate giustizia, figli miei, sulla terra, affinché possiate avere un tesoro in cielo”.
Ad un certo tempo nel primo secolo si fece una selezione di quei
“Logia” e la collezione venne pubblicata. Questa collezione è stata inclusa, in tutta o in parte, nel vangelo di Matteo. Il cosiddetto Discorso della Montagna è una sua vasta parte, ed è certo che quella raccolta di precetti morali non fu mai consegnata oralmente come predica. Il lettore imparziale la confronti con qualsiasi predica o discorso che ha mai sentito o letto, e poi con una raccolta di massime scritte come il Libro dei Proverbi. Difficilmente riesce a vedere che appartiene alla seconda categoria, e non alla prima.

4. Le Odi di Salomone

È stato recentemente scoperto il manoscritto di un antico documento intitolato Le Odi di Salomone, che ci illustra la dottrina tenuta da una comunità che fu di una natura fortemente gnostica, sebbene differisca in qualche modo dallo gnosticismo a noi noto in precedenza. Il libro è un'opera ebraica. Ciò è dimostrato dal suo titolo, dalla sua natura generale, e dal fatto che, secondo Lattanzio, fece un tempo parte del canone dell'Antico Testamento. In una delle Odi troviamo quelle righe: “Un ruscello è scaturito ed è diventato un grande fiume; ha portato via tutto e l'ha portato al Tempio”. Ciò ci ricorda l'insegnamento di Zaccaria e degli altri scrittori ebrei successivi, che il tempio di Gerusalemme doveva diventare il centro di culto per il mondo intero. Come al solito con gli gnostici, l'idea viene espressa nell'Ode in forma simbolica. Il libro fu evidentemente destinato all'uso nelle riunioni della comunità per il culto. La sua data non può essere determinata; ma, dal momento che una volta costituiva parte del canone dell'Antico Testamento, è più probabile che sia pre-cristiana piuttosto che altrimenti. In ogni caso deriva la sua dottrina da fonti ebraiche, dalla letteratura sapienziale, dai salmi e dai cosiddetti capitoli messianici di Isaia. Ciò si può facilmente vedere confrontando alcuni suoi estratti con gli scritti sopra citati: “Chi mi vedeva si meravigliò, perché fui perseguitato. Pensarono che fossi inghiottito, perché sembrai loro come individuo perduto. Ma la mia oppressione salvezza fu per me. Il loro rifiuto comunque son diventato, perché invidia in me non c’era. Ad ognuno faccio del bene; per questo fui odiato! Mi circondarono come cani rabbiosi ....... Divisero il mio bottino, benché io non fossi loro debitore. Io però pazientai, tacqui e rimasi tranquillo, come uno da loro non provocato. ....... La loro amarezza con umiltà sopportai, volendo il mio popolo redimere e farlo erede”.
Confronta quelli estratti con il cinquantatreesimo capitolo di Isaia e il ventiduesimo salmo, in particolare i versi 16 e 18: “Poiché cani mi hanno circondato; una folla di malfattori m'ha attorniato .... spartiscono fra loro le mie vesti”.
Di nuovo paragona quanto segue con quanto detto sulla Sapienza nelle citazioni date in precedenza dalla letteratura sapienziale:

“Fui inutile per i miei conoscenti, perché nascondermi dovetti a coloro che non mi possedevano. Io però sarò con quelli che mi amano. Tutti i miei persecutori son morti e mi cercarono quelli che su me ponevano la loro speranza perché son vivo. Mi levai, son con loro e parlerò per loro bocca. Essi invero sprezzarono chi li perseguitava ed io ho posto su loro il giogo del mio amore. Come il braccio dello sposo sulla sposa, così è il mio giogo su quelli che mi conoscono; e come la stanza nuziale si estende nella casa-nuziale, così è il mio amore su coloro che credono in me. Benché lo sembrassi, non fui rigettato né perii; eppure lo pensarono a mio riguardo! L’ade mi vide e fu prostrato; la morte mi vomitò fuori e con me molti”.
Questa comunità, come in genere gli gnostici, venerava un “Giusto”, il Figlio di Dio, che era stato messo a morte dagli empi. Questo Figlio di Dio, come il Logos, era venuto sulla terra per riscattare gli uomini recando loro la conoscenza di Dio; Ed essendo morto, e naturalmente resuscitato, egli aveva sconfitto la morte e resa possibile la resurrezione per tutti coloro che lo amano e credono in lui. In una delle Odi si suppone che la maniera della morte sia la crocifissione:
“Stesi le mie mani e mi accostai al mio Signore. Lo spiegamento delle mie mani è il segno di lui. Ed il mio stare eretto, il legno steso che fu levato sul sentiero del Giusto” (oppure sul quale il Giusto fu appeso per la via).
C'è molto dubbio sulla corretta traduzione di questi versi, e il significato è oscuro. Tuttavia, evidentemente, stiamo trattando qui un simbolismo che si può far risalire ad antiche idee ebraiche. Le mani distese — cioè la forma della croce — sono
“il segno del Signore”. La croce fu un simbolo sacro per tutti i popoli dell'antichità. C'è una pittura egiziana che rappresenta la resurrezione di Osiride in cui un uomo si trova alla destra del dio tenendo una croce. Abbiamo testimonianze ebraiche indipendenti della dichiarazione fatta nei versi appena citati di Esodo 17, dove è detto che durante la battaglia con gli amaleciti, mentre Mosè tendeva le sue mani — in altre parole, adottava una postura cruciforme — gli israeliti prevalevano, ma quando abbassava le sue braccia, gli amaleciti prevalevano.
Il Figlio di Dio in quelle Odi non è chiamato Logos, ma è descritto come
“l'Unto”, il Messia o Cristo. Noi abbiamo allora in quelle Odi ebraiche, che recano di fronte a noi idee di una natura piuttosto diversa da quelle dei vangeli e non tradiscono alcuna loro conoscenza di sorta, un Figlio di Dio che possiede un'affinità davvero stretta col Logos di altri Gnostici, ma davvero poca col Gesù evangelico; e che è chiamato Cristo, ma solo nel significato di Messia, cioè in un senso puramente ebraico, anche se non giudaico. Quest'identificazione del Logos col Cristo ci ricorda l'osservazione di Kohler sui Mandei pre-cristiani. Quelle Odi non possono essere descritte come cristiane, anche se contengono idee che, dopo una sintesi con altre, contribuirono infine alla formazione della dottrina cristiana. Harnack, pur riconoscendo la loro natura essenzialmente ebraica, ha tentato di sostenere che esse sono state sottoposte a manipolazione ed interpolazione cristiane. Una suggestione del genere è piuttosto inammissibile: lo stile è dappertutto lo stesso; non ci sono segni in loro di congiunture o di materiale intruso; ogni ode forma un'unità coerente; e se ci fossero state interpolazioni cristiane esse sarebbero state più cristiane — non contengono alcun dogma specificamente cristiano, e il nome di Gesù non occorre in loro. Harnack è, naturalmente, parziale, ed è stato abbastanza sincero da indicare il suo motivo per presumere un'interpolazione. Egli dice che la si deve presumere, perché altrimenti le Odi “anticipano così tanta dottrina cristiana che la storicità di Gesù è minacciata nel più alto grado”! È scientifico ciò? È lo spirito nel quale si dovrebbe perseguire un'indagine storica? Altri hanno cercato di superare la difficoltà sostenendo che le Odi sono scritti cristiani; ma questo è perfino meno ammissibile dell'ipotesi di Harnack. La loro natura ebraica è chiara per ogni critico privo di pregiudizi. Ma i critici tradizionalisti hanno adottato come principio guida del loro metodo critico che il loro Gesù storico deve essere conservato a tutti i costi. Questo principio è un letto di Procuste a cui le prove, qualunque siano, sono costrette ad adattarsi.

5. Le Apologie

Per gli Gnostici l'idolatria era un abominio. Gli dèi pagani sembravano a loro davvero malvagi e i loro adoratori sono assai più distanti degli ebrei da una conoscenza del vero Dio. Credendo che il Logos fosse venuto a rivelare Dio agli uomini, alcuni di loro hanno ritenuto che specialmente i pagani  avessero bisogno di quella rivelazione e che fosse un sacro dovere recarla a loro. Il professor W. B. Smith ha chiarito che a partire da una certa cerchia, ad ogni caso, l'attiva propagazione del cristianesimo tra i pagani fu veicolata nello spirito di una crociata contro l'idolatria e i falsi dèi. Quei dèi furono creduti demoni dai primi propagandisti cristiani — un fatto per il quale ci sono prove abbondanti negli scritti cristiani del secondo e terzo secolo; e il credo ha lasciato un segno profondo nei vangeli stessi. Penso che il signor J. M. Robertson abbia molto ragione a dire che il cristianesimo della massa dei convertiti  più umili e incolti non avrebbe potuto assumere questa forma; ma che la dichiarazione sia vera circa molti dei cristiani più colti, soprattutto quelli che furono associati con comunità gnostiche, sembra essere al di là di ogni dubbio.
Considera ora quanta potente attrazione l'appello ad una fede così semplice ed esaltata deve aver fatto a molti greci colti, i quali avevano cessato di credere alle loro divinità. Lo stoicismo fu una filosofia molto nobile e avrebbe potuto quasi chiamarsi una religione; esso fu forse candidata ad attrarre i migliori e più fini intelletti del tempo; ma i suoi ideali erano troppo alti, e fu troppo impersonale per la maggioranza. Fu fin troppo una filosofia e non abbastanza una religione, e l'uomo medio sente il bisogno di una religione. Una religione monoteistica che offrisse agli uomini un Dio che fosse puro e compassionevole, non solo giusto e severo, che richiedesse dagli uomini uno spirito puro e non desiderasse sacrifici e consumo di offerte; una religione che sembrava avere una qualche speranza per un mondo distratto, e che fosse priva dell'idolatria e delle orge e dei riti rozzi che erano così predominanti presso altri culti religiosi — una tale religione deve aver esercitato una grande attrazione. È vero che quelli non furono gli aspetti del cristianesimo, o almeno furono solo alcuni di loro, che attiravano la popolazione incolta; ma questa fu la natura della dottrina cristiana insegnata nelle comunità di origine gnostica. E che attrasse gli uomini di cultura è provato dalle Apologie del secondo secolo scritte da uomini appartenenti a quella classe.
Quelle Apologie sono molto interessanti in quanto illustrano la natura di questa corrente dottrinale cristiana prima del suo divenir fusa nel flusso principale della Chiesa Cattolica. Prendi ad esempio l'Apologia di Atenagora. In questo trattato Atenagora dichiara il suo semplice credo così:
“I cristiani ammettono come unico Dio colui che è increato ed eterno e invisibile ....... dal quale tutto l’universo, per mezzo del suo Logos, è stato creato e ordinato ed è conservato”. Non c'è nessuna implicazione qui di un'uguaglianza di persone, di una triplice Divinità. Il dogma della Trinità vi è, in effetti, latente e successivamente fu sviluppato sulla sua base. La maggior parte dell'opera è un attacco al politeismo. Atenagora ha parecchio da dire sui demoni, e sostiene che sono loro che attirano gli uomini agli idoli e agiscono sotto i nomi degli dèi. Non c'è nessun riferimento ad alcun elemento del racconto del Nuovo Testamento. L'Apologia di Aristide è probabilmente il più antico di quelli scritti. Questa, come quella appena menzionata, consiste quasi interamente di un attacco al politeismo; esso contiene l'asserzione che i cristiani credono in un solo Dio, ma non vi è alcun riferimento al Nuovo Testamento o alla vita evangelica di Gesù. Lo stesso si può dire sull'opera intitolata Octavius, scritta da Minucio Felice. Non sarebbe corretto chiamare gnostici questi scrittori, perché per il loro tempo lo gnosticismo era stato altamente elaborato, e non fu più la semplice dottrina descritta in questo capitolo. Ma essi rappresentano evidentemente un tipo di cristianesimo che ebbe un'origine gnostica, e che si era sviluppato tra gli ebrei di lingua greca della Diaspora. Di conseguenza, fu abbastanza naturale che quando l'apparizione del Logos cominciò ad essere localizzata, come doveva accadere molto certamente, si sarebbe dovuto immaginare che fosse successo in Giudea o in qualche parte della Palestina. Di conseguenza, leggiamo nell'Apologia e negli Atti di Apollonio, che visse nella seconda metà del secondo secolo, che “il Logos di Dio, il Salvatore delle anime e dei corpi, diventò un uomo in Giudea e realizzò ogni giustizia”. Il tenore di quest'Apologia è la stessa delle altre. Il tipo di cristianesimo rappresentato dagli scrittori enfatizzava il monoteismo, e uno dei suoi principali interessi manifestati fu l'abolizione del politeismo. Nessuno di loro tradisce una conoscenza di qualche dettaglio della storia evangelica. Escludo Giustino, in quanto egli rappresenta una scuola di pensiero diversa.

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