sabato 10 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (VII) — Fabbricazione dei Vangeli

(procede da qui)

CAPITOLO VII

FABBRICAZIONE DEI VANGELI

§ 1. Tradizione

Secondo la tradizione preservata tramite Papia (risalente al 165 circa) da “Giovanni l'anziano”, che non si pretende che sia stato Giovanni l'Apostolo, i primi vangeli furono quelli di Marco, l'“interprete” di Pietro, che mise per iscritto in nessun ordine cronologico i “detti e gli atti” del Signore come gli aveva raccolti da Pietro; e di Matteo che scrisse i logia o detti “nel dialetto ebraico” [1]  — apparentemente in aramaico. Questo, la più antica tradizione riguardante il materiale rappresentato nei vangeli, ci è preservato grazie ad Eusebio dalla perduta “Esposizione degli Oracoli del Signore” [2] di Papia (Λογίων κυριακών). Dal suo canto, Papia dichiarò di aggiungere più materiale da ciò che ricevette da Aristione e da Giovanni l'Anziano ed altri discepoli del Signore invece che da qualcosa “proveniente da libri”. Ed è probabile che egli fornì come un Oracolo del Signore [3] così certificato un crudo scenario di meraviglie apocalittiche che è preso in realtà o dall'Apocalisse di Baruc, che qui imitò il Libro di Enoc, oppure da una fonte più antica. [4] Riguardo questo detto del Signore, inoltre, Papia narrò una conversazione tra Gesù e Giuda, in cui quest'ultimo figura come un libero pensatore, che esprime sfiducia nella profezia.
Eusebio, scandalizzato da una testimonianza simile, definì Papia un uomo di piccola intelligenza. Ma egli è la prima autorità cristiana quanto alla storia dei vangeli; e lo stesso fatto che egli attinse meno materiale da loro che dalla tradizione orale è una prova che egli non aveva alcuna ragione di ritenerli più autorevoli del materiale che lo raggiunse per via orale. Potrebbe essere che egli conoscesse solo greco, e che non potesse leggere per sé stesso i logia aramaici riguardanti i quali egli dice che “ognuno li interpretava per sé a seconda di come era capace”. Dai logia e da proto-Marco ai primi due sinottici si può solo ipotizzare l'evoluzione. Nessuno ora pretende di possedere i documenti originali perfino in una traduzione. Matteo come sta non è per ammissione comune una traduzione; e il dottor Conybeare, che oziosamente presume che io non presti attenzione all'ordine di priorità dei vangeli, ed insiste costantemente sulla generale priorità di Marco, confessa che “Marco, la fonte principale del primo e del terzo evangelista, è egli stesso non uno scrittore originale, ma un compilatore, che mette assieme e modifica documenti più antichi in cui i suoi predecessori avevano messo per iscritto tradizioni popolari dei miracoli e della passione di Gesù”. [5] Ed egli predica in una parte “quattro fasi di sviluppo documentario”. [6] Come in questo stato di cose il Marco esistente si possa provare la fonte principale di Matteo e Luca non è e non può essere spiegato. Anche Marco non è per ammissione comune una traduzione dall'aramaico; ma alcune delle sue fonti potrebbero esserlo state.
Riguardo Matteo, di nuovo, recita la tradizione che secondo Papia egli raccontò una storia di una donna accusata di molti peccati di fronte al Signore; ed Eusebio aggiunge, apparentemente dal canto suo, che questa è contenuta nel Vangelo secondo gli Ebrei. Se questa fu la storia (ora tra parentesi nella V.R.) trovata solo in copie posteriori del quarto vangelo, il vangelo “ebraico” conteneva un materiale particolarmente speciale per sé stesso; e simile è la conclusione stabilita da una collezione di tutti i 33 frammenti preservati. “Noi arriviamo . . . ad un vangelo (a) in gran parte indipendente dal testo esistente dei nostri vangeli, e (b) che non mostra nessun segno di relazione a Marco o a Giovanni, ma (c) che reca un'affinità davvero marcata a Matteo, e (d) un'affinità meno costante ma ancora ovvia a Luca”. [7] L'ipotesi di Nicholson è “che Matteo scrisse in tempi diversi il vangelo canonico e il Vangelo secondo gli Ebrei, oppure almeno che gran parte di quest'ultimo va parallelo al primo”. [8]
Su questa visione, “Matteo”, in una delle sue versioni omise deliberatamente (1) la storia rimarchevole della donna colta in adulterio, (2) la storia importante che “la madre del Signore e i suoi fratelli” gli proposero di dover andare tutti a farsi battezzare da Giovanni, al che egli domandò “In cosa ho peccato?” ma aggiunse: “A meno che, forse, le cose stesse che io ho detto non siano ignoranza”, e vi andò coerentemente; (3) la dichiarazione che al battesimo Gesù vide la colomba “posarsi su di lui”; (4) l'elemento ulteriore che “l'intera sorgente dello Spirito Santo discese e si posò su di lui”, rivolgendosi a lui come “Mio figlio”; e (5) l'uso di Gesù della frase, “Mia madre, lo Spirito Santo”. Un'ipotesi del genere, se accettata, priva di ogni significato la nozione di un “autore” di un documento. La sola conclusione onesta è che una traduzione greca del vangelo ebraico fu una delle fonti del presente Matteo, e che o (a) molti dei suoi dettagli sono stati respinti, oppure (b) che molti dei frammenti preservati furono aggiunte all'originale.
Su ciascuna ipotesi, dobbiamo affermare che il vangelo ebraico, come esibito nei frammenti, non ha nessuno dei segni di un reale ricordo biografico. Gli elementi della narrazione sono totalmente soprannaturali; gli elementi dell'insegnamento appartengono alla più progredita etica ebraica che troviamo sviluppata progressivamente da Matteo fino a Luca. Ancora una volta, la conclusione critica è o (a) che chi fu orientato all'etica tra i “profeti” gesuisti si accinse a porre dottrine approvate sulle labbra del leggendario Dio-Salvatore, dopodiché episodi dottrinali furono inventati per scopi di culto oppure (b) che la vita miracolosa fu prima ricostruita nei termini delle profezie dell'Antico Testamento ritenute messianiche. Avendo considerato la nullità etica del vangelo primario presentato nei sinottici, la presunzione è totalmente contro ogni fabbricazione originaria di nuovi logia. Se consideriamo tipico il Discorso della Montagna, il materiale è tutto pre-cristiano. [9] Se definiamo il metodo del primo vangelo canonico come secondario in relazione a quello di Marco, l'elemento etico entra solo dopo che il culto ha fatto molta strada, ed è poi assorbito un materiale ebraico, come nella Didaché.
Su basi così poste, vi matura una moltitudine di espansioni, pietre aggiunte al tumulo, come: episodi che favoriscono questa o quella opinione dell'adeguata eredità messianica; della natura ascetica o non ascetica del Messia; della sua attitudine favorevole o contraria ai samaritani; dei suoi principi taumaturgici; dell'universalità o particolarità della salvezza che reca; del suo approccio verso il potere romano, verso il divorzio, verso gli scribi e farisei, e così via. Fino al punto della costituzione di qualcosa di simile ad un Canone, più a lungo perdurò il culto, più grande sarebbe stata la varietà dell'insegnamento. Opinioni diverse della discesa e della natura del Messia, avanzate da Davidisti e da non-Davidisti, Nazirei e non-Nazirei, ebrei e samaritani, avrebbero teso tutte a trovare diffusione, e tutte avrebbero cercato di trovare un posto nel manoscritto di qualche gruppo, dove avrebbero potuto a malapena essere espulse da ogni movimento “cattolico”. Ancora più tardi, un materiale definitivamente anti-ebraico è innestato a pezzi da seguaci gentili: il “buon Samaritano” è un'accusa della natura ebraica; e gli apostoli leggendari sono progressivamente sminuiti — particolarmente così nel dramma misterico che infine soppianta i resoconti più antichi della Tragedia.  
Che un simile processo generale accadde realmente è ammesso di necessità dalla scuola biografica, il cui problema consiste nel delimitare la quantità di tradizione che essi possono affermare plausibilmente come autentica. Dal punto di quella delimitazione essi ipotizzano un processo di fabbricazione della dottrina e di altro mito. La decisione ora affermata è che non c'è nessun punto di delimitazione scientifica, e che il processo che essi conducono avanti da un punto fissato arbitrariamente deve essere logicamente ricondotto all'indietro.
Nessun risultato più generale o più di vasta portata si può raggiungere da una mera collezione e analisi dei sinottici su linee puramente documentarie — un processo che è proseguito per un secolo senza neppure una decisione documentaria. La conclusione imposta a Schmiedel, perfino sull'assunzione della storicità di Gesù, che nessuna delle teorie correnti di composizione del vangelo può soddisfare il problema, [10] diventa parte del caso della teoria mitica. L'assunzione che una “fonte” una volta stabilita, offra un fondamento storico, non è più sostenibile in questo caso rispetto ogni altro caso di un mito messo in discussione; e i metodi correnti di stabilire le fonti, radicati come sono nell'assunzione della storicità, sono spesso piuttosto arbitrari anche quando essi professano di seguire testi documentari. Nondimeno, la pressione normale della critica ha visto spingere i campioni della priorità di Marco alla confessione che Marco non solo contiene aggiunte posteriori ma è esso stesso un documento secondario o terziario; che punta ad un Marco più antico, un Ur-Markus. Il difetto principale nel processo è l'abitudine di guardare ad un autore piuttosto che ad una compilazione; e quest'abitudine si radica nell'assunzione della storicità. In nessun punto possiamo esser sicuri se stiamo leggendo una trascrizione di una tradizione orale oppure una redazione.
Concedendo che Marco ha diffuse caratteristiche di dizione che suggeriscono un'unica mano, noi ancora non siamo titolati a dire che queste caratteristiche non sarebbero state adottate da un redattore. Di nuovo, contro la relativa concisione o semplicità di un numero di passi che suggeriscono una forma più antica, ne abbiamo molti che per la loro relativa prolissità suggeriscono chiaramente una deliberata elaborazione. [11] E se dobbiamo chiederci cosa doveva essere probabilmente il metodo di un antico evangelista, come riconcilieremo l'espressione “addormentato sul guanciale a poppa” (4:38) con l'assoluto tradizionalismo e soprannaturalismo del primo capitolo? Giovanni, “vestito di peli di cammello”, è semplicemente un duplicato di Elia. [12] È un dettaglio realistico da passare per conoscenza personale quando l'altro è pura tipologia? Nel capitolo di apertura, Gesù entra come il “Signore” promesso, è profetizzato da Giovanni come il Veniente, è salutato da Dio  dal cielo come il suo figlio prediletto, vede aprirsi i cieli e lo Spirito discendere come una colomba, digiuna quaranta giorni nel deserto, è servito da angeli, chiama uomini a seguirlo alla sua prima parola, procede a dare un insegnamento meraviglioso di cui non una parola è preservata, è salutato da un indemoniato come il Santo di Dio, caccia un demonio, cura un malato all'istante, sana una moltitudine, esorcizza molti demoni, i quali lo conoscono, va per le sinagoghe di Galilea, espellendo demoni e predicando, cura un lebbroso all'istante, comanda segretezza, è disobbedito, ed è poi seguito da più moltitudini. E noi siamo invitati a credere di star leggendo la biografia di un uomo reale, che parla sempre ad ebrei come un ebreo ad un altro ebreo, ed è “non troppo brillante e buono per il cibo quotidiano della natura umana”. E il fiducioso campione di questa teoria biografica ci assicura che noi “abbiamo bisogno di non dubitare” che Gesù fu un “esorcista di successo”.

§ 2. Le Verifiche di Schmiedel

O il primo capitolo di Marco è la scrittura di un vangelo originario oppure non lo è. Se lo è, la teoria biografica è altrettanto inutile come quelle ridicolizzate da Socrate nel Fedro. Se non lo è, su cosa si fonda la teoria biografica? I dettagli di “rassettare le reti” e “nella barca con i servi assunti”? Il Professor Schmiedel, conscio dell'irrealtà di una simile narrativa, si rifugia su nove testi selezionati, sette di loro in Marco, che egli rivendica come “pilastri” di una reale biografia di Gesù, [13] in base al fatto che essi lo presentano come (a) schernito nelle sue pretese oppure (b) mentre egli stesso nega la propria divinità, oppure (c) mentre si rifiuta di operare miracoli, oppure (d) mentre nega apparentemente una storia miracolosa, oppure (e) mentre grida a Dio sulla croce che egli è abbandonato. Ora, di tutti questi testi, solo i tipi b ed e possono avere qualche forza probatoria del genere che Schmiedel attribuisce loro. [14] Il tipo a non conta nulla: non solo gli Dèi-Salvatori sofferenti ma anche Apollo ed Ares, per non dire niente di Efesto, Era, e Afrodite, sono scherniti nella letteratura pagana che li tratta come Dèi. Se citare “egli è fuori di sè” equivale a provare la storicità, perché non citare gli insulti a Gesù nel quarto vangelo, anzi, la stessa crocifissione?
Nel suo lavoro abile ed interessante su The Johannine Writings, Schmiedel sviluppa accuratamente la tesi che il Gesù giovanneo è una figura inventata, concepita dall'inizio come soprannaturale; ed egli avanza tra altre cose la proposizione importante che quando Gesù piange è implicato dall'evangelista che egli fa così non a causa di una simpatia umana, ma “semplicemente perché essi [i parenti di Lazzaro] non credevano nel suo potere di operare miracoli”. [15] Assumendo per amor di argomento che questa sia una interpretazione vera, noi siamo indotti a domandare come la tesi coesiste con quella dei “testi pilastri”. Lo scrittore giovanneo inizia con un Gesù soprannaturale, tuttavia non solo rappresenta i suoi associati amici personali come non credenti nel suo potere di operare miracoli ma descrive Gesù nell'atto di piangere a causa della loro incredulità. Niente in Marco è per i moderni più incongruente con una visione soprannaturale di Gesù, tuttavia Schmiedel non vede nessuna difficoltà nel credere che lo scrittore giovanneo potesse fabbricare deliberatamente l'incongruenza. Perché allora si dovrebbe ritenere che anche un autore originale di Marco consideri Gesù un mortale perché in Marco lui è schernito, oppure rifiuta di operare miracoli, oppure è  incapace di fare così a Nazaret? Se uno scrittore può rappresentare il Logos Eterno nell'atto di piangere dal dispiacere, perché l'altro non dovrebbe ritenerlo Dio perfino quando egli urla che Dio lo ha abbandonato? E se, infine, si ritiene che l'urlo cita il Salmo 221:1, e implica la conclusione trionfale di quel salmo, quale valore ha il passo per lo scopo del critico?
Una critica priva di pregiudizi riconoscerà naturalmente che il “Gesù pianse” potrebbe essere un'interpolazione, poiché si ammette che le parole greche tradotte “fremette nello spirito” potrebbero significare “fu indotto ad indignazione nello spirito”; e, ancora di nuovo, Marta è rappresentata (11:22) mentre confessa il credo che “anche ora” Gesù può resuscitare Lazzaro col potere di Dio. Anzi, l'intera storia potrebbe essere un'aggiunta, non dalla penna dello scrittore che fa di Gesù un Dio. Ma egualmente le incongruenze in Marco potrebbero provenire da un'interpolazione. Un'onesta conclusione dalle caratteristiche di quel documento è che le sue parti, in particolare la prima dozzina di paragrafi, rappresentano un compendio di un materiale precedentemente corrente, mentre altri sono altrettanto chiaramente espansioni; e perfino se quelle parti diversamente motivate siano della stessa mano, le interpolazioni si potrebbero fare in ciascuna di esse.
In risposta al mio argomento [16] che i testi nei quali Gesù figura come un uomo naturale rappresenterebbero al più solo opinioni ebionite, il Professor Schmiedel avanza la sfida complicata, riguardo gli ebioniti: “Non furono anche loro adoratori di Gesù a loro volta? Furono essi veramente uomini di così tanta perfidia da tentare di portare ad accettazione la vera umanità di Gesù falsificando i vangeli? E se lo furono, fu nel loro potere effettuare questa falsificazione con così grande successo? [17] Io non posso pensare che il dottor Schmiedel, che è invariabilmente candido, abbia elaborato le posizioni qui brandite. Il punto che gli ebioniti fossero “adoratori” di Gesù è sicuramente fatale alla sua stessa tesi. “Adoratori” avrebbero potuto procedere nel loro caso ad una adorazione mantenendo nel contempo che l'adorato fosse un mortale. Allora asserire che egli si confessò un mortale non era incoerente con un'“adorazione”. Ma la sfida oscura la questione; ed è oscurata ancor di più quando il Professore procede a chiedere: “Non avevano essi [gli ebioniti] nessun predecessore in questa concezione della sua persona? Non dobbiamo supporre che precisamente i più antichi cristiani, i reali compagni di Gesù — supponendo che Lui fosse realmente vissuto — fossero i loro predecessori?” Questo argomento, deve osservare il Professore, ha poco peso sulla mia posizione.
Tre questioni sono coinvolte, dal punto di vista mitologico: primo, se reali credenti in una presunta divinità potessero rappresentarla come schernita, umiliata, o temporaneamente vulnerabile; secondo, se la concezione ebionita di Gesù si possa spiegare altrimenti invece che come la persistenza di una concezione pre-cristiana, che emerse tra gli immediati seguaci di un uomo Gesù; terzo, se nel secondo secolo Gesuisti di concezioni ebionite avrebbero potuto inventare, e inserire nei vangeli, detti di Gesù oppure riguardanti Gesù che furono intesi a contrastare il credo nella sua divinità.
Sul primo punto, la risposta è, come detto sopra, che per tutta l'antica religione troviamo intrattenute costantemente visioni sprezzanti di una divinità, in fasi differenti di cultura, senza alcuna chiara consapevolezza di un'incongruenza. Jahvè nell'Antico Testamento “si pente” di aver creato l'uomo; litiga con Sara; ed è incapace di travolgere adoratori di altri Dèi in possesso di “carri di ferro”. Egli è sempre un Dio “geloso”; e ad una fase successiva si presume che egli sia ostacolato consciamente dagli israeliti quando essi insistono ad avere un re. Quelle sono tutte storie fabbricate dai sacerdoti. Tra gli antichi Greci, gli Dèi sono ancor meno divini. In Omero, Atena è quasi la sola divinità che è trattata con riverenza abituale: gli altri sono così costantemente satireggiati, umanizzati, ostacolati, o umiliati, che è del tutto difficile associare una reverenza, nel nostro senso, alla raffigurazione. La dichiarazione di Arno Neumann che “è impossibile (qui ogni storico concorderà) per uno che adora un eroe pensare e parlare in modo tale da contraddire o essenzialmente modificare la sua adorazione personale” [18] è una dichiarazione sorprendentemente acritica, che ignora semplicemente la massa principale dell'antica letteratura religiosa.
Per quanto riguarda i Semidèi in particolare appartiene alla stessa natura del caso che essi dovessero essere a volte particolarmente contrastati e insultati da parte di mortali, dal momento che è il loro fato morire ancorché per risorgere di nuovo. Se una volta, allora, furono inventati detti che assicurarono limiti umani al Divino per i Gesuisti, non c'era niente nella psicologia di adoratori del loro livello intellettuale che dovesse indurli a dichiarare falsificazioni questi detti. Come abbiamo visto, anche nel quarto vangelo, che pone il Divino più in alto che mai, secondo la stessa opinione del Professor Schmiedel, lo si fa piangere per puro dispiacere.

§ 3. Verifiche Tendenziali

Più complessa è la seconda questione, riguardo a come emerse la concezione ebionita di Gesù. Ma la risposta è stata già indicata nei termini della teoria mitica. E la domanda non si può veramente rispondere sull'ipotesi biografica, poiché i documenti canonici non offrono alcun indizio [19] di una persistenza di una concezione “umana” tra i primi Crististi in opposizione ad una concezione “divina”. I giudaizzanti sono rappresentati egualmente coi Paolinisti nell'atto di rendere Gesù “Signore”; ed è dal lato paolinista che ascoltiamo di seguaci che non credono alla resurrezione. Quella è veramente una divergenza dall'opinione giudaizzante, poiché gli ebrei in generale accettavano l'immortalità. Nel momento, comunque, in cui poniamo l'ipotesi di un culto primitivo di un Dio-Salvatore il cui sacrificio è di beneficio agli uomini in qualche modo, e il cui Sacramento è il mezzo di quel beneficio, noi spieghiamo tutte le varietà del Gesuismo a noi note. Il culto fu primordialmente semitico, una cosa ai margini dell'ebraismo successivo, che sarebbe stata giudaizzata nella misura in cui venne sotto un'influenza ebraica, e poi rimodellata teologicamente per il Gentilismo da parte di ebrei gentilizzanti. Così ci sarebbero stati ebioniti giudaizzanti, e Gesuisti come quelli istruiti dalla Didachè, che avrebbero insistito nel legare Gesù solo con l'Eucarestia, rendendolo una figura subordinata, sulla cui leggenda furono innestati lentamente insegnamenti morali.
 D'altra parte ci sarebbero stati Gesuisti non-ebrei che valorizzarono il Sacramento come loro e altri valorizzarono quelli del paganesimo, contando su benefici magici derivanti da esso (come fecero in generale i “cattolici” per molti secoli), ma facendo luce sulla futura vita ebraica. L'unica cosa in comune fu il sacramento primordiale, nel contempo ebraico e non-ebraico. Per gli ebrei esso si legherebbe facilmente al credo nell'immortalità, già associato parecchio al messianismo; per i gentili che accettarono il primo credo, sarebbe legato ancor più facilmente ad una dottrina di futura salvezza individuale. Tutto è di gran lunga comprensibile sulla teoria mitica. Sulla teoria biografica, i Gesuisti della Didaché sono altrettanto inspiegabili come i Gesuisti gentili che negavano una vita futura, oppure i Docetisti che negavano che Gesù fosse venuto nella carne. 
Dato questi Gesuisti ebrei, e dato il docetismo, l'invenzione di detti ed episodi in cui Gesù è ostacolato o schernito, o sconfessa la propria divinità, è perfettamente semplice. Perché il Professor Schmiedel dovrebbe sollevare la questione di una “perfidia” in questa associazione io non posso indovinare. Sulla sua stessa dimostrazione, l'invenzione di detti ed episodi fu normale tra i Crististi in generale; ed essa influì tutti i sinottici. Egli attribuisce una “perfidia” all'autore del quarto vangelo, che lui rappresenta come inventore di discorsi ed episodi in modo sistematico? Gli ebioniti e i docetisti avevano così tanto diritto ad inventare come ogni altro; e una volta che le loro invenzioni furono correnti, esse ebbero una buona probabilità di venire rappresentate in un vangelo o più vangeli a causa della generale incapacità dei Crististi ad una riflessione critica.
Dal punto di vista biografico, gli ebioniti e le loro controparti, i Nazarei, sono davvero enigmatici. È importante avere una visione chiara di ciò che è noto riguardo ad entrambe le sette. [20] Origene, notando che il nome ebraico dei primi significa “i poveri”, implica con rabbia che gli fu dato loro per descrivere la loro povertà di spirito, [21] ma lascia aperta la conclusione razionale che il nome descriveva originariamente il loro scelto status sociale, che si legava ad una fede nell'imminente fine del mondo. Nel suo libro Contra Celsum, [22] egli dice che essi comprendono credenti nella Nascita Verginale e suoi negatori. Qui sorge l'ipotesi che i primi fossero i socii ebionitarum menzionati da Girolamo, che divergevano dalle opinioni ebraiche, e potrebbero essere stati della natura generale dei Nazareni. [23] Quei gruppi costituirono la massa dei cristiani in Giudea nel secondo secolo. Secondo la tradizione ecclesiastica, la chiesa di Gerusalemme si era  trattenuta a Pella e nella regione circostante al di là del Giordano durante l'assedio. Nel regno di Adriano, dopo la rivolta e distruzione del Messia Bar-Kochba, che aveva tentato di ricostruire il tempio, la nuova città romana di Aelia Capitolina fu costruita sulle rovine di Gerusalemme; e a nessun ebreo fu permesso di dimorarvi. Solo quei cristiani che rinunciarono agli usi ebraici, allora, avrebbero potuto entrarvi; e un numero di questi cristiani, ebrei e gentili, fecero così. Altri, che comprendevano probabilmente ebioniti e nazareni, rimasero a Pella, e quelli sembrano aver fornito gli esempi di eresia discussi da Ireneo, Origene, Girolamo, ed Epifanio sotto il nome di ebionismo. Quelli che si insediarono a Gerusalemme erano sulla via di sostituire alla “povertà volontaria” una propaganda ed un'organizzazione che significò assistenza. Quelli che rimasero al loro posto avrebbero rappresentato il tipo primitivo.
Ora, né l'ebionismo nè il nazarenismo offre qualche apparenza di supporto all'ipotesi biografica. Alcuni ebioniti negarono la Nascita Verginale; alcuni, apparentemente i Nazareni in particolare, l'accettarono, essendo descritta da parte di questi ultimi l'accettazione del Matteo canonico (oppure di un vangelo ebraico quasi equivalente) con gli attuali capitoli di apertura, mentre gli ebioniti avevano un Matteo sprovvisto di loro. Nessuna delle due concezioni testimoniava qualche impressione fatta da una “personalità”. Il mito della Nascita Verginale è un ritorno alla tradizione popolare attraverso l'ampliamento della rivendicazione soprannaturale: la negazione ebionita è o un rifiuto di ogni rivendicazione puramente umana per Gesù oppure soltanto un soprannaturalismo con una differenza, nella misura in cui esso introduce coerentemente una divinizzazione del Fondatore o al momento del suo battesimo oppure alla sua unzione. La sua “personalità” è l'unica cosa mai sentita nella discussione, per quanto possiamo rintracciarla. In un resoconto, è detto che “gli” ebioniti hanno creduto che Cristo diventò così perché realizzò perfettamente la legge, e che ciascuno di essi avrebbe potuto diventare Cristo se lui l'avesse realizzata altrettanto perfettamente. [24] Gli ebioniti e i Nazarei tra loro, sull'ipotesi biografica, si lasciarono dimenticare ogni conoscenza dei Luoghi Sacri, del Golgota, del luogo del Sepolcro.
Se sia chiesto come, sull'ipotesi biografica, arrivarono ad esserci Gesuisti ebrei del tipo ebionita, uomini come quelli descritti da Giustino Martire e dal suo antagonista ebreo Trifone, credenti in un Gesù “unto per elezione” che così diventò Cristo, ma adepti altrimenti a pratiche ebraiche, [25] qual è la risposta? Quale idea, quale insegnamento, aveva lasciato loro Gesù? La nozione che sembra aver differenziato principalmente gli ebioniti dagli ebrei fu semplicemente che Gesù era stato il Messia, e che la sua Seconda Venuta avrebbe significato la fine del mondo. L'attesa della Seconda Venuta avrebbe nel contempo promosso una povertà e sarebbe stata promossa da essa, la quale così avrebbe avuto uno speciale significato religioso. I Nazarei, d'altra parte, furono caratterizzati di recente da un'opposizione generale ai farisei. [26] Ma questo avrebbe potuto essere perfettamente un semplice sviluppo di settarismo. Se ciò è rivendicato come un risultato dell'insegnamento di Gesù, cosa diventa dell'altro insegnamento riguardo l'amore dei nemici? Quali specie di insegnamento si suppone avessero rappresentato la “personalità”?
Data una generale ostilità tra Nazarei e farisei, l'attribuzione di insegnamenti anti-farisaici al Maestro sarebbe stata nella maniera comune di ogni propaganda dottrinale ebraica. Nella misura in cui essi rivendicavano sincerità e denunciavano un formalismo, essi sono comprensibili come parte di una rivolta generale contro il legalismo ebraico. I Nazarei avrebbero inventato insegnamenti anti-paolini proprio come essi oppure i “cattolici” avrebbero inventato insegnamenti favorevoli ai samaritani. E nella misura in cui gli ebioniti resistettero all'assimilazione di una fresca leggenda soprannaturalista essi avrebbero cercato di porre detti appropriati sulle labbra del Maestro proprio come fecero gli altri. Essi sono espressamente accusati non solo di inventare un detto [27] di denuncia dei sacrifici, al fine di santificare il loro vegetarismo, che fu presumibilmente un aspetto della loro povertà, ma anche di alterare in vari modi i loro testi. [28] Questo è precisamente ciò che facevano in generale i fabbricatori dei vangeli; e accusare gli ebioniti in particolare equivale semplicemente a ignorare la procedura generale. Quando, allora, diciamo che gli ebioniti potrebbero aver proprio inventato un detto in cui al Maestro si faceva ripudiare la divinità, e che un detto del genere avrebbe potuto trovare la sua strada in molti manoscritti, come fecero altri passi dal loro vangelo ebraico, è del tutto irrilevante sollevare questioni di “perfidia” e di “adorazione”.
Ma è importante qui notare il punto, enfatizzato dal Professor W. B. Smith, che la maggior parte dei testi “pilastri” del Professor Schmiedel avrebbero potuto essere fabbricati senza alcuna intenzione di abbassare lo status di Gesù, mentre alcuni, al contrario, tradiscono il motivo di screditare gli ebrei. La storia delle persone di Gesù (οἱ παρ' αὐτοῦ, non “amici” come nelle nostre versioni) che dicono: “È fuori di sé” (Marco 3:21), è semplicemente un'intimidazione gentile che perfino tra i suoi stessi parenti o associati egli fu trattato come un pazzo. L'idea è esattamente la stessa della storia nel quarto vangelo, secondo cui “gli ebrei” dissero che egli “aveva un demonio” e fu  un samaritano. Egualmente “tendenziale” è la confessione (Marco 6:5) che a Nazaret l'operatore di miracoli “non vi poté operare nessun prodigio . . . E si meravigliava della loro incredulità”. La guarigione in altri testi è dichiarata dipendere dalla fede; e chiamare non-credenti le persone di Nazaret fu o per spiegare perchè Gesù di Nazaret non vi ebbe alcun seguito oppure per enfatizzare il punto che gli ebrei avevano respinto il Signore. Questa dottrina, di nuovo, come quella di Matteo 12:31, che la blasfemia contro il Figlio dell'Uomo fu perdonabile, era perfettamente naturale in una fase in cui il culto stava cercando ardentemente convertiti. Non aveva Pietro rinnegato, nella leggenda, il suo Signore con maledizioni, e non aveva Paolo perseguitato a morte la Chiesa?
In altri casi, il portato dei testi del Professor Schmiedel è così tanto una materia di interpretazione arbitraria che il dibattito è ozioso; e in altri tuttavia ci sono questioni insolubili di corruzione testuale. La tesi che ogni testo “non avrebbe potuto essere stato inventato”, e deve implicare l'esistenza di un maestro considerato mortale, è così debole dal punto di vista logico che non è sorprendente trovarla considerata con caustica antipatia dagli ortodossi, trasparentemente onesto com'è il suo utilizzo da parte del Professor Schmiedel.
C'è veramente più forza nel suo argomento [29] che le profezie della immediata riapparizione del Cristo dopo “la tribolazione di quei giorni” non avrebbero potuto essere state inventate molto tempo dopo la caduta di Gerusalemme, visto che l'impulso apparente era piuttosto di minimizzarle. Esse potrebbero essere state altrettanto perfettamente profezie fatte da sedicenti profeti all'incombenza di un pericolo. Ma non segue minimamente che esse fossero state fatte da uno che corrisponde alla descrizione del Gesù evangelico, che predice la sua propria Seconda Venuta, sebbene qualcuno potrebbe aver profetizzato così. Ogni Messia sarebbe stato “il Signore”; e le profezie evangeliche riguardo falsi Cristi dicono di “molti” Messia, ognuno dei quali avrebbe parlato come “il Signore”. Questi detti, dopo un piccolo intervallo, non potevano essere scartati dai Crististi più dei detti certamente pre-cristiani posti dai loro propagandisti sulle labbra di Gesù. E, una volta che una profezia era stata messa per iscritto, essa rimase in virtù dell'incertezza che aleggiava attorno ad ogni profezia tra credenti ciechi.. Quando una “tribolazione” era apparentemente passata senza una Seconda Venuta, non c'era nulla da fare per essa se non guardare avanti alla prossima.
Dopo generazioni di attesa, l'antica escatologia della Chiesa diventò un fardello per i suoi conduttori, nella misura in cui un'attesa della fine del mondo provocava disordine, e trascuratezza del lavoro; e la Seconda lettera ai Tessalonicesi fu scritta per giustificare profezie precedenti di una fine imminente. Dopo che l'intera quantità di profezie del genere era stata falsificata da età di continuità, ancora non ci fu una reazione critica, semplicemente perchè il credo religioso esclude la pratica di una critica radicale. Fino a questo giorno, l'ortodossia non ha nessuna spiegazione razionale da offrire della pervasiva dottrina del Nuovo Testamento riguardo l'imminente fine del mondo. La scuola biografica vi trova una misura di supporto alla sua fede in un Gesù reale, che condivise le illusioni della sua età. Ma siccome quella spiegazione si applica egualmente a tutti gli uomini del periodo, essa non offre all'ipotesi biografica alcun vantaggio contro la teoria mitica. I profeti cristiani parlarono in nome di “il Signore” proprio come fecero prima di loro i profeti ebrei.
A questo proposito, infine, si deve notare che il Professor Schmiedel trova un'autenticità a priori in una profezia nella quale Gesù rivendica uno status soprannaturale, sebbene la natura apparentemente non-storica di rivendicazioni simili fu la sua confessata ragione per postulare i “testi pilastri” che da soli avrebbero fugato ogni scetticismo. E la formula in entrambi i casi è la stessa — “non avrebbe potuto essere stato inventato”. [30] La premessa maggiore coinvolta è: “Non avrebbe potuto essere stato inventato nessun passo che avrebbe contrastato la posizione dei credenti”. Ma nessuna delle invenzioni ammesse [31] nei vangeli contrasta la posizione dei credenti? Le due genealogie la contrastano; i passi anti-davidici contrastano quelle; l'insegnamento pro-samaritano contrasta l'insegnamento anti-samaritano; e così via attraverso venti casi di contraddizione. Il signor Loisy, in effetti, rivendica il passo pro-samaritano come autentico: egli allora ammette che il passo anti-samaritano è falso?
La scuola biografica non può avere ciò in entrambi i modi. Lo stesso fatto che essi devono espellere così tanti passi a causa di un'incompatibilità è la risposta completa alla richiesta di “autentico perché inadatto agli scopi della propaganda”. Il fatto che una moltitudine di contraddizioni sono lasciate figurare prova semplicemente che una volta che fu inserito un passo scomodo era quasi impossibile sbarazzarsene; perchè furono sempre lasciate alcune copie che lo trattenevano; e nella fase di un rispetto crescente per la parola scritta esso fu generalmente restaurato. Il “Gesù” posto prima di Barabba fu rimosso alla fine solo perché ognuno discordava da esso. Le profezie non furono omesse così facilmente.
Nella pagina in cui egli afferma che la profezia di Gesù della sua Seconda Venuta non avrebbe potuto essere stata inventata, il Professor Schmiedel confessa che vari passi in Matteo 24 appartengono in realtà ad “una piccola composizione, forse ebraica, sui segni della fine del mondo, scritta poco prima della distruzione di Gerusalemme nell'anno 70”. Se un gruppo di passi sono copiati, perchè non l'altro? Era improbabile che apocalittici ebrei dovessero predire la venuta del Figlio dell'Uomo all'imminente fine del mondo, e che i Gesuisti dovessero porre la profezia sulle labbra del loro Signore e fargliela dire da sé stesso? La risposta negativa a priori è del tutto insostenibile.
Mentre, allora, l'argomento di un imbarazzo è ostacolato sul piano logico per la scuola biografica dal loro rifiuto frequente di passi a causa della loro incompatibilità, nessun aspetto o porzione del Nuovo Testamento fornisce un argomento conclusivo contro l'ipotesi mitologica. Il tutto costituisce un insieme comprensibile di sviluppi dal punto di vista della teoria mitica; e da nessun altro punto di vista è spiegabile il miscuglio. Una teoria biografica, avendo postulato un Messia la cui pretesa messianica è un mistero, un Maestro i cui presunti insegnamenti sono una quantità di tendenze contradditorie, e i cui discepoli chiaramente non possiedono nessun vangelo messianico fino a dopo la sua inspiegabile condanna a morte, in seguito ad un processo impossibile, potrebbe avanzare l'ipotesi che mediante un mito popolare egli fu poi deificato per puro caso da ebrei messianisti, e successivamente trasformato da altri ebrei in un Salvatore per i gentili; ma la teoria biografica non può neppure pretendere di spiegare l'Apocalisse e la Didaché; ed essa deve rinunciare al suo proprio principio base di una “personalità” pur di comprendere le epistole. Su principi critici, un assenso deve andare alla teoria che spiega le cose, riducendo l'altrimenti inspiegabile ad una evoluzione naturale sulle linee e basi conosciute della ierologia.  

§ 4. Sintesi Storica

Noi potremo ora portare assieme in un'unica prospettiva la serie di ipotesi induttive mediante cui cerchiamo di recuperare l'evoluzione naturale del culto storico.
1. Un culto sacramentale semitico primitivo, il cui sacramento è incentrato in un Dio-Salvatore ucciso, un Gesù, che è assimilato ad un'astrazione della vittima sacrificatagli annualmente — come nel caso dei culti di Adone ed Attis, entrambi a loro volta asiatici. Del rito sacrificale, che nel culto storico viene rappresentato nell'Ultima Cena e nella storia drammatizzata della Passione, la memoria fu preservata in particolare tramite un rito ebraico di un Gesù Barabba, Gesù il Figlio del Padre, in cui una vittima passa attraverso una finta incoronazione, finendo infine, forse, in una finta esecuzione, dove una volta vi era stato un reale sacrificio umano.
2. Questo culto, col suo sacramento, esistette sporadicamente in varie parti dell'Asia Minore, da dove si diffuse in Grecia e in Egitto. Le sue forme si sarebbero trasformate, e sotto un controllo ebraico il sacramento sacrificale tese a ridursi ad un'Eucarestia o offerta di grazie in cui il “corpo e sangue” sono reminiscenti solo vagamente, se non del tutto, della morte del Dio. Siccome un Dio si può sempre sviluppare in maniera indefinita a partire dal Nome di un Dio, e gli Dèi personali storicamente non sono che aggregati concettuali formati attorno a nomi o funzioni, i seguaci di questo Dio potevano fare proselitismo al pari di altri. Quando il Tempio di Gerusalemme cadde nell'anno 70, i seguaci del culto vi ebbero una nuova opportunità e un motivo, che alcuni di loro abbracciarono attivamente, per recidere i legami dalla base ebraica e proclamare una religione di speranza universale, liberata da vincoli e rivendicazioni ebraiche. Motivi economici giocarono una parte considerevole nel processo.
3. La prima tendenza dei nuovi promotori ebrei era stata sviluppare il Dio-Salvatore del rito sacramentale (che a questa fase essi potrebbero aver adottato nella sua forma “pagana”, ora assunta come canonica) in un Messia che doveva “venire di nuovo”, introducendo l'ebraico “regno dei cieli”. Ad una fase successiva essi adottarono il rito del battesimo, associato tradizionalmente a Giovanni, da essi rappresentato come un Precursode del Messia che lo aveva incontrato, battezzato, e acclamato, recitando la parte assegnata ad Elia dalla profezia ebraica.
4. Col passare del tempo, un culto del genere si sarebbe estinto di necessità tra gli ebrei, in mancanza della promessa “Seconda Venuta”. L'associazione dell'idea di salvezza ad un'esistenza futura per tutti i credenti, ebrei o gentili, gli diede una nuova e maggiore speranza di vita per tutto l'Impero romano, dovunque vi fossero asiatici. Ma la dottrina ebraica della Seconda Venuta rimase parte dell'insegnamento sviluppato.
5. Un'ulteriore apparato fu coerentemente necessario per diffondere e sostenere il culto; e questo fu offerto spontaneamente da (a) sviluppi della prima e semplice organizzazione propagandista, e (b) da una disposizione per i bisogni dei poveri, che tra i gentili come tra gli ebrei furono i seguaci naturali di una fede che prometteva la fine imminente della scena terrena. Simpatizzanti più ricchi guadagnarono stima offrendo la loro assistenza; ma i poveri, come sempre, si aiutarono a vicenda. La propaganda comprendeva i servizi di “profeti” e “apostoli” itineranti che sarebbero stati i naturali compilatori e inventori della leggenda gesuana. L'organizzazione amministrativa, fabbricata su linee ellenistiche, concentrò sempre più potere nelle mani del vescovo, il cui interesse fu lo sviluppo della sua diocesi. All'inizio i “profeti” e gli “apostoli” erano strettamente itineranti, dato che venivano richiamati per evitare l'insorgere di corruzione. Nel corso del tempo gli fu permesso di sistemarsi, dato che erano sistematicamente assistiti.
6. Sotto le mani di questa organizzazione si svilupparono i Testi Sacri cristiani, che offrirono al culto la sua base contro, o piuttosto accanto a, quella ebraica, la quale in quelle circostanze manteneva un prestigio  irresistibile e indispensabile. Così sul lato letterario l'influenza greca si sovrappose all'influenza non-ebraica, assimilando gli elementi esterni dell'ebraismo della diaspora. La letteratura più antica è ebraica, come nel caso della Didachè, opure una manipolazione giudeo-gesuana di un materiale semitico esterno, come nell'Apocalisse. Su quelle fondamenta sono posti strati “cristiani”.
7. La Didachè (“Insegnamento dei Dodici Apostoli del Signore”) fu principalmente un breve manuale di istruzione monoteista e morale utilizzato dai Dodici Apostoli del Sommo Sacerdote ebreo. A questo, un materiale gesuista fu aggiunto gradualmente. Il risultato fu che “Dodici Apostoli” divennero parte della tradizione cristiana; ed essi dovevano essere imposti in ultima istanza sulla letteratura evangelica, che ovviamente non possedeva originariamente quell'elemento.
8. Le epistole rappresentano uno sviluppo polemico, forse sulla base di un pò di brevi lettere paoline. Quella di Giacomo, che non possiede nessuna colorazione “cristiana” specifica, rappresenta una resistenza giudaizzante, nella natura ebionita di una “povertà volontaria”, al movimento gentilizzante. Le epistole paoline recano una costruzione e un dibattito dottrinali contro l'influenza giudaizzante. I vangeli sinottici, che nelle loro forme attuali si stavano sviluppando intorno allo stesso tempo, riflettono quelle lotte principalmente in pronunciamenti anti-samaritani e pro-samaritani, entrambi attribuiti a Gesù. I vangeli principalmente sono giudaizzanti, e il movimento gentilizzante naturalmente non li aveva impiegati. A Paolo si fa ripudiare in effetti il loro sostegno. Col tempo essi sono adottati e convertiti parzialmente a scopi anti-giudaizzanti.
9. Il principale traguardo gentile nella materia è lo sviluppo di un motivo-sacramentale e un rituale primitivi (fondamentalmente drammatici) in un dramma misterico che è trascritto nei capitoli finali di Matteo e Marco. Resoconti precedenti della fondazione del Sacramento e della morte del Signore sono ora soppiantati da un racconto vivido sebbene drammaticamente breve in cui agli ebrei si addossa collettivamente la colpa della sua morte e il governo romano è crudelmente ed impossibilmente esonerato. Agli apostoli in generale si fa recitare una povera parte; uno recita un ruolo impossibile di traditore; e al leggendario apostolo giudaizzante si fa rinnegare il suo Maestro. L'intero racconto è completamente non-storico, dall'Ingresso trionfale fino alla crocifissione quasi-regale; ma esso incarnava i principali aspetti rituali del sacrificio umano tradizionale, e, non essendoci semplicemente nessun documento biografico a competere con esso, mantenne il suo terreno. Il dramma misterico nella sua forma completa fu plausibilmente sviluppato e recitato in una città gentile; e la sua trascrizione coincise probabilmente con la sua cessazione come dramma. Ma il Sacramento fu a lungo un rito quasi-segreto.
10. Il quadro tracciato negli Atti, in cui un Pietro e un Paolo in egual misura “si volgono ai gentili” — Pietro prendendo l'iniziativa — è l'opera di un redattore posteriore e prudente, dedito a riconciliare fattori ebrei e gentili. Si tratta di un resoconto altamente tendenzioso del Cristismo antico; ma preserva tracce dell'antico stato di cose, in cui nessun insegnamento gesuano fu preteso essere corrente, e il culto lo si vede esistere in una forma dispersa indipendentemente dalla propaganda centrale. Esso evidentemente aveva messo piede in Samaria. Gli stessi sinottici rivelano l'assenza del battesimo dall'antica procedura del culto. Solo nell'ultimo dei quattro vangeli canonici si pretende che o Gesù oppure i suoi discepoli avessero battezzato.
11. Il quarto vangelo è solo un passo sistematico in più nel processo di fabbricazione del mito. La scuola biografica, nel rinunciare a questo come non-storico, in effetti ammette che la “personalità” del presunto Maestro era stata così inutile da ammettere una interposizione riuscita di una figura nuova e completamente mitica, interamente soprannaturale in teoria, ma più “impressionante” come un personaggio parlante e quasi-umano. Il “Logos” di Giovanni è di nuovo un adattamento di un adattamento ebraico di una concezione pagana, la dottrina del Logos esposta dall'ebreo alessandrino Filone che era venuta tramite canali greci e orientali. [32] Non ci fu nessuna facoltà critica nella Chiesa antica che potese assicurare il suo ripudio, sebbene la sua accettazione fu alquanto lenta. La dottrina della trinità è di nuovo un'assimilazione dal paganesimo, approssimativamente egiziano. [33]
Questa, in prospettiva, è la nostra ipotesi di lavoro. Come spiegato al principio, non si suppone che un problema così complesso possa essere risolto conclusivamente in così breve spazio e tempo; e una critica senza dubbio comporterà una modifica quando è applicata scientificamente una critica. Ad una simile critica scientifica la produzione di una sintesi completa potrebbe essere d'aiuto; dato che un dibattito precedente, anche quando razionale in natura, è stato spesso su alcuni degli “alberi” senza considerazione per la “foresta” in generale. Tutto ciò che si rivendica per l'ipotesi completa è che essa è raggiunta induttivamente in tutti i punti, e che per quella ragione essa quadra con tutti i fatti meglio di qualunque forma della teoria biografica — compresa la forma “escatologica” altamente sfumata in cui Gesù è concepito solamente come un proclamatore delle “cose ultime”. Quella tesi, in effetti, riduce la teoria biografica ad una completa nullità lasciando la totalità dei documenti senza alcuna spiegazione salvo quella mitica, che è egualmente sufficiente a dare ragione dell'escatologia. 

NOTE

[1] Eusebio, Hist. Eccles. 3:39, fine.

[2] Questo termine, si noterà, dice di una tradizione astratta o generalizzata e non di una tradizione “personale”.

[3] Ireneo, Contro le eresie, 5:33.

[4] Canon Charles, nota su Apocalisse di Baruc, 29:5.

[5] Myth, Magic, and Morals, seconda edizione, pag. 58.

[6] Id. pag. 53.

[7] E. B. Nicholson, The Gospel according to the Hebrews, 1879, pag. 101.

[8] Id. pag. 104.

[9] C.M. 403 seq.

[10] Art. Vangeli in Encyc. Bib. colonne 1868, 1872.

[11] Art. Vangeli in Encyc. Bib. colonne 1767, 1846.

[12] 2 Re 1:8; R. V. marg.

[13] Questa tesi è avanzata dal Professore nell'art. Vangeli in Encyc. Bib. colonna 1881; anche, ad una lunghezza maggiore nella sua lettura, Jesus in Modern Criticism, e nella sua opera su Johannine Writings (traduzione inglese; Black, 1907, 1908).

[14] Io ho trattato i nove testi in ordine in C.M. 441 seq., e P.C. 229 seq. Essi sono discussi più pienamente e davvero abilmente dal Prof. Smith (Ecce Deus, Parte III), con la maggior parte della cui critica e tuttavia non con tutta io sono d'accordo.

[15] Traduzione inglese, pag. 31.

[16] P.C. 234.

[17] Prefazione alla traduzione inglese del Jesus di Arno Neumann, 1906, pag. 20.

[18] Opera citata, pag. 9.

[19] A meno che non assumiamo che la storia di Tommaso sia un'invenzione per confutare i dubbiosi.

[20] Si veda sopra, pag. 113 seq., quanto ai Nazarei.

[21] De Principiis, 4:22.

[22] Libro 5, capitolo 61.

[23] Confronta Neander, Church Hist. traduzione di Bohn, 1, 482-483. Girolamo parla (in Matt. 12:13) del vangelo quo utuntur Nazaraei et Ebionitae, come se lo tenevano in comune. Confronta Nicholson, pag. 28.

[24] Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, 7:22.

[25] Dialogo con Trifone, 47-49.

[26] Neander, come citato, pag. 482 e riferimenti.

[27] Epifanio, Haer. 30:16.

[28] Nicholson, pag. 15, 34, 61, 77.

[29] Jesus in Modern Criticism, pag. 33.

[30] Confronta il lavoro del Professore su The Johannine Writings, pag. 90, dove lo stesso interrogativo: “Chi poteva averli inventati?” è posto per stabilire detti speciali di Buddha, Confucio, Zoroastro, e Maometto. Io non posso seguirne la logica.

[31] L'argomento è lo stesso se diciamo “invenzioni degli evangelisti” oppure “appropriazioni da altri documenti, oppure dal sentito dire”.

[32] P.C. 218 seq.; C.M. 395.

[33] P.C. 206, 223, 228; C.M. 395

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