domenica 11 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (VIII) — Mito Supplementare

(procede da qui)

CAPITOLO VIII

MITO SUPPLEMENTARE

§ 1. Miti di Guarigione

È significativo che la successiva fabbricazione del mito nei sinottici avviene parzialmente mediante un ritorno alla tradizione in cui era sorto il mito, parzialmente tramite una soddisfazione dei requisiti messianici non-ebrei, parzialmente tramite un gentilismo, parzialmente tramite concessioni allo gnosticismo o occultismo le cui pretese nel secondo secolo esercitarono una pressione così forte sulla Chiesa. Come sottolinea il Professor Smith, la storia in Marco (14:51-52) del giovane che al tradimento fuggì nudo, lasciando la sua veste di lino nelle mani delle guardie, [1] è un crudo sostegno alla teoria docetica che il Cristo reale non soffrì. Cerinto insegnò che “alla fine, Cristo si involò nuovamente da Gesù, ed è Gesù che ha sofferto ed è resuscitato, mentre il Cristo è rimasto impassibile, perché era pneumatico”. [2]
A questo proposito sorge per noi il problema, sottolineato dal Professor Smith, riguardo il significato delle storie di completa guarigione ed esorcismo dei demoni. La sua tesi è che esse furono una maniera occulta di veicolare la rivendicazione che Gesù colla predicazione del monoteismo aveva cacciato dalla Galilea le infezioni e corruzioni del politeismo, dato che le divinità pagane erano “demoni” per gli ebrei. E in vista della ripetuta asserzione, su linee gnostiche, che Gesù dichiarò che il suo insegnamento dev'essere reso deliberatamente occulto, così da non essere compreso dal popolo, non possiamo negare la possibilità che alcune delle storie di guarigione potrebbero essere state intese così. Il Professor Smith, come lo comprendo, sostiene [3] che un'esplicita rivendicazione di un completo rovesciamento del paganesimo avrebbe offeso l'autorità romana; e che la rivendicazione fu avanzata mediante metafora per evitare ciò. Sorge la difficoltà che se la metafora non fosse stata compresa da gentili essa avrebbe mancato il suo obiettivo con loro; mentre se essi l'avessero compresa le loro suscettibilità sarebbero state ferite particolarmente dalle metafore di lebbra e cecità e “demoni”. E c'è la difficoltà ulteriore che, come nota il Professor Smith, le storie di esorcismo dei demoni si riferiscono solamente alla Galilea per metà pagana, mentre, come anch'egli nota, là non vi è una traccia definitiva di Gesuismo. [4] Perché allora un'allegoria della cacciata del politeismo dovrebbe essere stata fabbricata riguardante la Galilea?
Su ciascuna ipotesi, difficilmente si può dubitare del fatto che le storie di guarigione facessero la loro attrazione popolare come semplici miracoli. L'argomento del Professor Schmiedel che la pretesa di Gesù (Matteo 11:5; Luca 7:22) di guarire la cecità e la deformazioni e la lebbra, e di resuscitare i morti, dev'essere compresa in un senso spirituale, mi sembra un completo fallimento. Egli sostiene che, se la si prendesse alla lettera, la pretesa finale che “i poveri hanno il vangelo loro predicato” sarebbe una delusione. Ma se prendiamo le affermazioni di miracoli come semplicemente spirituali, la delusione è assoluta; infatti seguirebbe allora la proposizione che il cieco, lo storpio, il lebbroso, e il morto in senso spirituale hanno il vangelo predicato loro, e anche il povero ha il vangelo predicato loro. D'altra parte, non c'è nessuna reale delusione su un'interpretazione letterale. Chiaramente, la consegna di buone nuove per i semplicemente poveri, la classe sofferente più numerosa di tutte, fu l'unica cosa che si sarebbe potuta dire che venisse fatta per loro. Non si sarebbe potuto pretendere che essi dovevano essere resi benestanti. Così cade un “testo pilastro”, e noi siamo lasciati impegnati all'interpretazione letterale contro sia il Professor Smith che il Professor Schmiedel. Entrambi, comunque, concorderanno probabilmente che la maggior parte dei lettori assunsero sempre l'interpretazione letterale. [5]  

§ 2. Miti della Nascita

E fu alla credulità popolare che si fece appello mediante le storie dell'Annunciazione, della Nascita Verginale, l'Adorazione dei Magi e dei Pastori, la stalla, la mangiatoia, [6], la minaccia di Erode, il massacro, e la fuga. [7] La questione che sorge qui per il mitologista è se i miti della nascita fossero appartenuti all'antico mito di Gesù ad una fase anteriore all'inizio della fabbricazione del vangelo, e fossero stati ignorati all'inizio, solo per venire rappresentati successivamente. Per suggerire che essi erano stati associati al mito antico mi è stato detto dal dottor Carpenter e dal dottor Conybeare di aver ignorato l'accettazione posteriore del Giorno di Natale da parte della “Chiesa”, dopo aver notato espressamente la data posteriore di quell'accettazione. Quei critici, come al solito, mancano l'intero problema.
O le storie della nascita furono un'antica tradizione in Siria (oppure altrimenti nell'Oriente) [8] oppure non lo furono. Se non lo furono, la loro imposizione sulla storia evangelica nel secondo secolo rappresenta un'assimilazione di un materiale pagano piuttosto alieno, con l'approvazione del corpo principale degli ebrei Nazarei, i quali accettarono i capitoli d'esordio del Matteo canonico. Di questa approvazione, non si può offrire alcuna spiegazione dal punto di vista o dai punti di vista del dottor Conybeare e del Dr. Carpenter. Ciò sarebbe stata una capitolazione gratuita al gentilismo in un contesto ebraico, e questo senza alcun segno dal lato paolino di un'intrusione gentile di questo materiale. [9] Ma se, d'altra parte, avanziamo l'ipotesi che questo materiale fosse stato collegato nella tradizione siriana coll'antico mito di Gesù, noi di colpo troviamo una spiegazione per le aggiunte alla storia evangelica e un nuovo chiarimento della teoria mitica. La diffusione del culto di Gesù avrebbe portato in superficie i miti primitivi legati ad esso che il dominante sentimento ebraico aveva perso di vista all'inizio in quanto sapevano di paganesimo; e ogni tradizione di Gesù avrebbe avuto un interesse progressivo per i convertiti. L'ebraismo, nei suoi redatti libri sacri, ammetteva nascite quasi-soprannaturali in casi come quelli di Sara ed Anna; ma un'assoluta nascita verginale, un luogo comune nella mitologia pagana, [10] non vi ebbe alcun riconoscimento. Tuttavia l'idea dovette sopravvivere altrettanto probabilmente nella tradizione in Siria come in qualsiasi altra parte; e siccome l'ebraismo diventò sempre più una cosa ostile, le opinioni ebraiche sarebbero finite in vari modi col venir messe da parte.
L'ipotesi da me avanzata è (1) che la Miriam certamente non-storica del Pentateuco è plausibilmente, al pari di Mosè e Giosuè, una divinità antica; e che nell'antico mito palestinese lei fu la madre di Giosuè. Nel Pentateuco  lei è degradata, come parte del processo evemerista di ridurre gli antichi Dèi popolari ad uno status umano. Quel processo, che coinvolge le Dèe come pure gli Dèi in numerose religioni antiche, [11] fu una pratica necessaria per il sacerdozio ebraico. Il politeismo c'era dovunque, nell'antichità, e per gli Jahvisti deve essere cacciato. Una tradizione persiana posteriore che Giosuè fosse il figlio di Miriam [12] accentua l'interrogativo se non vi fossero relazioni familiari negli antichi miti palestinesi. Che la nascita in una stalla, con un rituale di adorazione del bambino al solstizio d'inverno o d'estate, è davvero antica sia nell'Oriente che nell'Occidente, è la conclusione obbligata al mitologista da una quantità di prove; e la località della stalla a Betlemme in una grotta collega il mito cristiano ancor di più con un numero di miti del paganesimo. [13] Se il materiale del mito fu antico per la Siria, perché non dovrebbero essere così i nomi della madre e del bambino?
La maniera in cui l'ipotesi è incontrata dai più appassionati seguaci della visione biografica è istruttiva. Il dottor Conybeare, che ritiene inconcepibile che “un mito” dovesse essere scambiato per “un uomo” — sebbene quell'errore è l'essenza di quantità di mitologia — non trova nessuna difficoltà nel concepire che un donna reale potesse essere trasformata in un mito nel giro di un secolo. Per lui, la “Maria” (o Mariam) evangelica deve essere una reale ebrea perché in Marco (6:3) il popolo di Nazaret si domanda: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” Ogni lettore perspicace, confrontando questo passo introdotto rapidamente coi capitoli d'esordio, realizza che si trova su un piano di idee totalmente diverso; che nessun “autore” può aver presentato entrambi; e che il successivo è parte di un processo di localizzazione e dibattito, in connessione con la tesi che il guaritore non avrebbe potuto “fare miracoli” a casa a causa dell'incredulità del suo stesso popolo. Inoltre, in Marco 15:40, abbiamo il gruppo di donne che comprende “Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses”, riguardo cui ci viene detto che quando Gesù fu in Galilea essi “lo seguivano e lo servivano”. Quante molte Marie, allora, erano madri di Giacomo e Jose? Evidentemente la Maria di quest'ultimo passo non è considerata dal suo scrittore come la madre di Gesù. Allora il passo precedente è il successivo in ordine di tempo, e alieno alle altre leggende.
Il nostro esegeta, nondimeno, non è solo allo stesso tempo dogmaticamente certo di aver trovato un reale Gesù, figlio di Maria, ma procede ad asserire, in tre passi separati, che nel vangelo di Marco Gesù è noto come “il figlio di Giuseppe e Maria”, sebbene Giuseppe non sia mai menzionato in quel vangelo. Ciò è in linea con la sua istantanea invenzione di una “tradizione autentica” a partire di un suggerimento moderno, pervertito. Ed è questo operatore che, incontrando una lista di analogie (così descritte) che suggeriscono che “Miriam” e “Mariam” siano varianti del nome di una Dèa-madre generalmente diffusa attraverso l'Oriente, diventa incoerente in una protesta esplosiva, e comincia informandomi che “la forma originale del nome è non Maria ma Miriam, che non si presta a [quelle] dure equazioni”. Siccome Miriam era stata espressamente nominata e discussa da me nella stessa prima istanza, l'intimidazione dice solo della disconnessione mentale che è il marchio generale della procedura di questo scrittore.
La questione, naturalmente, non è affatto filologica; e non solo non fu mai suggerita nessuna “equazione” filologica, ma lo stesso passo attaccato comincia con la confessione che è impossibile provare connessioni storiche, e che ciò che è in questione è un'analogia di “nomi ed epiteti”. Niente in filologia è più speculativo della spiegazione di nomi antichi. Ognuno che ha notato la discussione su “Mosè”, e notò le teorie divergenti, dal coptico “salvato dalle acque” o “bambino dell'acqua” (mo-use) di Flavio Giuseppe e Filone e Jablonski e Deutsch fino all'egiziano “bambino” (mes o mesu) di Lepsius e Dillmann, e la conclusione di un'“abbreviazione di un nome teoforo egizio” derivata da Renan e Guthe, vedrà che c'è poca luce da procurarsi a partire da “equazioni”. Quando “Miriam” è descritta espertamente come “una distorsione o di Merari [misri] o di Amramith”, [14] il mitologista è indotto a cercare altri indizi. La filologia di Maria e Mariam è un problema senza speranza
Ora, se la leggenda di Mosè si deve ritenere egiziana, la leggenda di Miriam potrebbe esserlo pure; e negli elementi che la principessa egiziana che salva il bambino Mosè è chiamata nella leggenda ebraica Merris, e che una delle figlie di Ramses II si trova chiamata Meri, [15] l'analogia è degna di nota. Ma il fatto mitologico centrale è che una Dèa-Madre, una “Madonna” che allatta un bambino, è una degli oggetti più comuni del culto antico per tutta l'Asia e il Nord Africa. [16] Quando, allora, madri di Dèi nati in caverne, o Semidèi Morenti, sono trovati portare questi nomi come Myrrha e Maia; quando si nota che Maia ha il significato di “nutrice”, e Mylitta quello di “portatrice del bambino”, non siamo solo mossi ad ipotizzare il nome dalle molte varianti di una Dèa-Madre, di cui Miriam-Mariam è uno, ma anche a dedurre un'ampia diffusione di leggende riguardanti questo tipo di dèa. Figure di questa dèa abbondavano per tutto l'Oriente. [17] Quello è, in breve, il caso mitologico a questo punto. Maria nei vangeli, la vergine che porta un bambino divino, in fuga dal pericolo, e che porta il suo bambino in viaggio, in una grotta, è l'analogo di una dozzina di miti antichi del Figlio Divino; il Figlio Minacciato è comune ai miti di Mosè e Sargon, Krishna e Ciro, Artù ed Eracle; il rituale dell'Adorazione presso la stalla è preistorico in India in connessione a Krishna; la “mangiatoia” (una cesta) appartiene egualmente ai miti di Zeus, Ermes, Ione e Dioniso; e il re minaccioso è una figura mitica trovata parimenti nell'Oriente e in Occidente. [18]
Tutto questo è apparentemente un “mito solare“. E ci viene chiesto dal dottor Conybeare di credere, in forza di un'unica interpolazione posteriore ed evidente in Marco, la quale non ha nessun'altra parola riguardante l'infanzia, la parentela, o il luogo di nascita di Gesù, il suo Figlio di Dio, del fatto che sua madre Maria fosse una figura ben nota a Nazaret attorno all'anno 30, e che è semplicemente a lei che si fa recitare la parte mitica in Matteo un secolo più tardi circa. Il caso semplice di senso comune, anche da un lettore che non ha studiato una mitologia comparativa, rivelerà l'improbabilità di uno sviluppo simile; e il dottor Conybeare, che nega con veemenza, per altri scopi, che i primi cristiani in Palestina potessero avere una qualche conoscenza di miti pagani, è l'ultima persona che avrebbe potuto affermare ciò con coerenza. Ma quando realizziamo che sotto il guscio di un ebraismo ufficiale vi sopravviveva in Palestina come in qualsiasi altro luogo la tradizione del passato; [19] quando ricordiamo il “pianto per Tammuz” a Gerusalemme e il luogo della nascita di Adone nella stessa grotta della stalla della leggenda di Cristo a Betlemme, possiamo concepire del tutto razionalmente come, una volta che fu ben ristabilito il mito di Gesù, i suoi antichi elementi pre-ebraici riemersero in superficie, e trovarono dai successivi compilatori dei vangeli un benvenuto che non avrebbero potuto avere nei giorni giudaizzanti. [20]
Il mito di Giuseppe, di nuovo, è una costruzione davvero ovvia. In Marco, che il dottor Conybeare dichiara ripetutamente e in maniera stridula che è l'autorità primaria, Giuseppe non è menzionato mai neppure una volta, sebbene il dottor Conybeare, coll'occhio dell'immaginazione, trova che lo sia. In Matteo, egli figura per tutta la storia della nascita della sezione d'esordio, chiaramente un'aggiunta posteriore. In Luca, ancor più tardi, egli è sviluppato ancor ulteriormente, col “figlio di Maria” di Marco che diventa (4:22) “il figlio di Giuseppe” in una finzione chiaramente posteriore. Ogni metodo critico degno del nome saprebbe fare i conti con questi chiari segni di fabbricazione posteriore. Giuseppe è stato sovraimposto sul mito per una ragione; e la ragione è che un Messia “il Figlio di Giuseppe” fu richiesto dal lato samaritano proprio come un Messia il Figlio di Davide fu richiesto (sebbene non universalmente) dal lato ebraico. [21] Chiamando Giuseppe il padre putativo terreno di Gesù, dalla discendenza davidica, furono soddisfatti entrambi i requisiti, su linee di psicologia tradizionalista.
Quando questa soluzione è incontrata dalla tesi unitaria che l'idea di un Messia ben Giuseppe è successiva nell'ebraismo, e che essa sorse a partire dalla storia evangelica, non possiamo che appellarci al senso comune del lettore. [22] Per i rabbini impostare una formula del genere su un motivo simile sarebbe stata un'inconcepibile auto-goal. La posteriorità di una discussione rabbinica sul soggetto può essere spiegata del tutto ragionevolmente mediante la sua origine samaritana. Nel frattempo, la storia di Giuseppe nei vangeli appartiene precisamente a quella leggenda posteriore che la scuola neo-unitariana è costretta in coerenza a respingere come mito. Ma il pregiudizio a favore di un “Gesù storico” non vacilla a nessuna incoerenza, e sceglie i suoi elementi non su principi critici ma semplicemente nella misura in cui li si può far comporre con una figura “umana” che si deve conservare a tutti i costi.
Il curioso motivo mitico del “censimento” [23] a Betlemme in Luca, un episodio completamente non-storico, presenta un parallelo considerevole nel mito di Krishna, [24] che è stato citato a sostegno della tesi che quel mito generale sia derivato dalla storia cristiana. La tesi generale collassa completamente; [25] e in quest'unico esempio noi siamo ovviamente titolati a domandarci se il mito cristiano non sia derivato da qualche fonte asiatica intermedia che si collega con il mito indiano. [26] Come una semplice invenzione per motivare la nascita a Betlemme la storia sembra eccezionalmente stravagante.

§ 3. Miti Minori

Discutere in un dettaglio simile i miti dei vangeli apocrifi e i miti ancor più successivi del cristianesimo cattolico equivarrebbe solo ad estendere l'area della nostra dimostrazione senza aggiungere al suo peso scientifico. Il risultato generale sarebbe solo di provare derivazioni da fonti pagane ed esibire ancor di più il processo (a) di inventare detti di Gesù per rivendicare visioni diverse delle sue funzioni messianiche o di altro tipo, e (b) di rafforzare opinioni etiche tramite la sua autorità. La leggenda di San Cristoforo, per esempio, non è che una variante, probabilmente di natura iconografica, di un multiforme mito pagano che probabilmente si radica in un rituale di trasporto del bambino. [27] L'iconografia produce parecchie prove. La figura convenzionale del Buon Pastore che trasporta una pecora, che al pari della storia della Nascita ha contato così tanto nel popolarizzare il cristianesimo, è chiaramente derivato dall'arte pagana, [28] al pari della figura convenzionale dell'angelo. Anche la figura di Pietro [29] come il portatore delle chiavi, capo dei Dodici, e rinnegatore del suo Signore si collega curiosamente coi miti di Proteo e Giano Bifronte, [30] entrambi portatori delle chiavi cosmiche.
L'iconografia, di nuovo, è probabilmente la fonte, per i vangeli, del mito della Tentazione, che studiosi professionali continuano solennemente a discutere come un episodio “biografico” da ridursi in qualche modo alla storicità. La storia coincide così assolutamente col resoconto greco-romano, derivato evidentemente da una pittura o scultura, di Pan (che figura come il Satana degli ebrei) che sta presso il giovane Giove sulla cima di una montagna di fronte ad un altare, [31] che potrebbe sembrare non-necessario procedere oltre. Ma, riconoscendo che “del mito non c'è nessun 'originale' salvo il sogno ancestrale dell'uomo”, e ricordando che ci sono miti simili di Tentazione riguardanti Buddha e Zoroastro, noi siamo obbligati ad estendere l'indagine. I risultati sono davvero interessanti.
Ci interessano specialmente le versioni di Matteo e di Luca, di cui il dottor Spitta, mediante un'analisi, trova più antica quella lucana, [32] definendo la versione marcana una riduzione e manipolazione, non la fonte primaria, come fu mantenuto da Von Harnack e molti altri. [33]  L'essenza della storia, come episodio, è la presenza del Dio e dell'Avversario su un luogo elevato, a mirare “i regni del mondo”. Questo si origina approssimativamente nell'astronomia e astrologia babilonese, dove il Dio-Capro è rappresentato presente accanto al Dio-Sole sulla “montagna del mondo”, cioè, l'altezza dei cieli, all'inizio del corso annuale del Sole nel segno del Capricorno, che, personificato, figura come il tutore e la guida del Sole. Rappresentato graficamente, esso è l'origine di una serie di miti greci — Pan e Zeus; Marsia ed Apollo; Sileno e Dioniso — che istanziano tutti una leggendaria figura del capro accanto ad un giovane Dio sulla cima di una montagna. Satana e Gesù non sono che un'altra variante, probabilmente derivante da un'iconografia greca, ma forse più direttamente dall'Oriente, dove l'idea di una Tentazione risale ai Veda.
I teologi, ammettendo con riluttanza, di recente, che il Diavolo non avrebbe potuto trascinare Gesù attraverso l'aria, discussero vivacemente riguardo al possesso o meno da parte di Gesù di strane esperienze psichiche che comunicò ai suoi discepoli; e ignorando completamente una mitologia comparativa, guardano ad una motivazione, come al solito, solamente nell'Antico Testamento. Spitta, dopo aver controllato quelle ricerche, e aver dichiarato che non si deve invidiare chi spera di spiegare la storia mediante paralleli dell'Antico Testamento  dai quarant'anni di peregrinazione nel deserto [34] conclude fiduciosamente che essa rappresenta l'esperienza spirituale di Gesù riguardo il suo ideale messianico. [35] Ad una simile conclusione biografica egli non ha il minimo diritto critico in base ai suoi stessi principi. I vangeli non dicono nulla di nulla di qualsiasi comunicazione sul soggetto da parte di Gesù ai suoi discepoli. La storia è puro e semplice mito, e appartiene ad una mitologia universale.
Marco convertì la storia nell'illustrazione della dottrina esposta nei Testamenti dei Dodici Patriarchi,[36] che demoni e bestie selvagge fuggiranno dall'uomo giusto; e Luca e Matteo la convertono in un'affermazione delle massime teologiche di monoteismo ebraico; ma quelle sono semplicemente le pratiche invariabili degli evangelisti, immersi nei modi di pensiero del simbolismo ebraico. Il mito rimane; e la storia, come storia, ha contato per gran parte più nella leggenda popolare cristiana che nella teologia. Quando lo scrittore del quarto vangelo inserì il miracolo della trasformazione di acqua in vino nel frontespizio della sua opera, egli senza dubbio aveva intenzioni simboliche; [37] ma la sua storia è semplicemente un adattamento del rito dionisiaco annuale della trasformazione di acqua in vino durante la festa del Dio alla Dodicesima Notte. [38] Essa potrebbe essere venuta o dal lato greco oppure dal lato orientale. Il racconto duplicato del Nutrimento dei Cinquemila, di nuovo, è o un adattamento della storia del nutrimento dell'esercito di Dioniso in un deserto senz'acqua nella sua campagna contro i Titani [39] oppure un tentativo di superarla. Siccome il Dio aveva il potere di generare miracolosamente, col solo tocco, grano e vino e olio, la sua leggenda senza dubbio comprendeva miracoli di nutrimento. Il tocco della disposizione della gente “per gruppi di cento e di cinquanta” (Marco 6:40) suggerisce una fonte illustrata.
Così il paganesimo, sbattuto dalla finestra dell'antico cristianesimo ebraico, rientrò da tutte le porte, fornendo alla Chiesa nascente le forme di un'attrazione psichica e letteraria che servì ultimamente a dargli una presa generale sulle masse ignoranti e non civilizzate di un'Europa decadente e barbarica. [40] Anche con quell'apparato, la Chiesa si stava dissolvendo in uno scisma universale quando Costantino salvò lei — o almeno il suo corpo — riconoscendola. Appena la Chiesa estese la sua base, specialmente dopo il suo riconoscimento, la sua assimilazione di idee, nomi e pratiche pagane diventò così generale che il processo è stato reso per molto tempo il tema permanente di un'incriminazione protestante della Chiesa di Roma. [41] Si potrebbe dire che la Letter from Rome di Middleton (1729) cominciò l'investigazione scientifica, che è perdurante ancora. [42]
Di quel processo la teoria mitica è semplicemente il tentato completamento scientifico. Essa è ostacolata come fu ostacolato ogni passo precedente, prima e dopo Middleton, parzialmente in una sincera convinzione religiosa, parzialmente in virtù del semplice risentimento istintivo provato per ogni teoria “sconvolgente” circa materie che gli uomini hanno preso abitualmente per garantite. Parte della miglior resistenza ragionata proviene da teologi professionali che sono stati disciplinati dall'abitudine ad un'argomentazione precisa nel campo documentario; parte della peggiore, come abbiamo visto, proviene da professati razionalisti o Neo-Unitariani, che dal primo all'ultimo recano al problema  il temperamento di bile e millanteria che la Storia associa al sacerdote tipico. La millanteria non definisce mai alcunché: un'argomentazione, dato un gioco libero sotto condizioni che incoraggiano la vita intellettuale, alla fine definisce ogni cosa, anche per gli emotivi che adorano i loro istinti. Ma poiché la scienza storica al pari della scienza fisica è un processo di continua espansione e riconsiderazione, non può esserci in questo contesto nessun “trionfo” per alcunché se non per il principio di un rinnovamento senza fine del pensiero, che non è che un aspetto del principio della vita. Nella misura in cui la soluzione ora offerta è inadeguata, essa sarà migliorata nel dovuto corso; nella misura in cui è falsa, essa sarà soppiantata.
Il chierico medio, naturalmente, non tenta una confutazione. Realizzando che è prudente evitare una discussione su queste materie, egli si affida alla provata propensione della “natura umana” a credi che rientrano nell'abitudine, nell'emozione normale, e nella religiosità normale; e la sua fede è, per dirla in termini pratici, non mal fondata. Una tesi che guarda dal principio alla fine ad una verità scientifica perciò non è rivolta a lui. È rivolta al più serio della laicità e del clero — difficilmente a quelli in effetti che ritengono, come un amabile curato mi disse una volta, che “nella provvidenza di Dio” ogni eresia ha vita breve; ma a quelli che, preoccupandosi di giustizia, non rigettano lo spirito di verità in virtù di ciò. Molti sono sinceramente convinti che l'insegnamento su cui è stato loro insegnato di fondare le loro concezioni di bontà non possono essere l'espansione di un mito; e molti che riconoscono un'abbondanza di mito nei documenti sono ancora insistenti su elementi di verità “religiosa” che essi trovano perfino in falsificazioni sistematiche. L'appoggio offerto così dai teologi più liberali e critici ai più acritici si presenta costantemente anche nella maniera dell'accettazione delle opinioni relativamente razionali dei primi. [43] C'è ragione allora di chiedere se l'idea che la condotta umana è in ogni caso dipendente su credi visionari sia in qualche modo più profonda di quei credi stessi. Su questo punto, qualcosa va detto in conclusione. 

NOTE

[1] Confronta la storia di Giuseppe, Genesi 39.

[2] Ireneo, Contro le Eresie, 1:26.

[3] Ecce Deus, pag. 60.

[4] Id. pag. 171-172.

[5] Confronta Ecce Deus, pag. 26.

[6] Il  dottor Thorburn (Mythical Interpretation, pag. 34) ritiene appropriato sostenere che il termine cristiano φάτνη fosse una “cosa totalmente diversa” dal pagano λίκνον (cioè, se egli sostiene qualcosa del tutto). Egli ignora accuratamente le sculture che le mostrano come la stessa cosa. (C.M. 192, 307.)

[7] Confronta Soltau sul fascino esercitato dalla storia (Birth of Jesus Christ, traduzione inglese, pag. 4). “Cosa c'è”, egli domanda, “che si possa paragonare a questo nella letteratura religiosa di ogni altro popolo?” Il critico dovrebbe confrontare la letteratura del culto di Krishna.

[8] Ludwig Conrady sostiene (Die Quelle der kanonischen Kindheitsgeschichte Jesus, 1900, pag. 272 seq.) che le storie dell'Infanzia nei vangeli apocrifi, che sembrano essere a quel punto le fonti di Matteo e Luca, derivano probabilmente dall'Egitto, dove gli ideali ieratici di verginità erano alti. Questo potrebbe essere, ma la prova è davvero imperfetta.

[9] I precedenti della paternità divina di Alessandro ed Augusto, enfatizzati da Solatu, sarebbero sicuramente inadeguati. Imperatori pagani difficilmente sarebbero “modelli” per gli antichi cristiani.

[10] Il reverendo dottor Thorburn sostiene oziosamente (Mythical Interpretation, pag. 38-39) che queste storie non affermano una partenogenesi dove una Dèa oppure una donna è descritta come sposata. Come se Maria non fosse in effetti descritta così! Ma nella mitologia greca abbiamo il caso speciale della dèa sposa Era, che è rappresentata ripetutamente mentre concepisce senza un rapporto. (C.M. 295.)

[11] P.C. 166, nota 3.

[12] C.M. 99; P.C. 165.

[13] C.M. 191 seq., 306 seq.

[14] Encyc. Bib. articolo Mosè, colonna 3206.

[15] C.M. 298.

[16] Id. 167 seq.

[17] C.M. 168-169. Confronta il dottor G. Contenau, La déesse nue Babylonienne, 1914, pag. 7, 16, 16, 57, 78, 80, 101, 129, 131.

[18] C.M. 180-205.

[19] Soltau sostiene non solo che il credo nella Vergine Maria “non si sarebbe potuto originare in Palestina; tuttavia, esso non avrebbe potuto mai attecchire nei circoli ebraici”, ma che “l'idea che lo Spirito Santo generò Gesù non può avere nessun'altra origine se non ellenica” (Birth of Jesus Christ, traduzione inglese, pag. 47-48). Egli dimentica i “figli di Dio” in Genesi 6:2. Le storie della nascita di Isacco e Sansone avevano plausibilmente una forma originale meno decente della biblica.

[20] È doppiamente istruttivo ricordare che lo scrittore che pretende di trovare in confessate analogie di nomi divini, funzioni, ed epiteti una teoria di una “equazione” filologica, insiste lui stesso nel trovare in ogni menzione del Nuovo Testamento di un Gesù, ed in ogni allusione pagana ad un “Chrestus” oppure un “Christus”, un'allusione biografica a Gesù di Nazaret. Per il dottor Conybeare, il Gesù dell'Apocalisse e il “Chrestus” di Svetonio sono testimoni dell'esistenza di Gesù il figlio di Maria e Giuseppe. La stessa assurdità che egli cerca di trovare nella teoria mitica è implicita al suo stesso metodo.

[21] C.M. 301-302 e riferimenti.

[22] Il reverendo dottor Thorburn (Mythical Interpretation, pag. 21) cita dalla Encyc. Bib. come “le parole del dottor Cheyne” parole che non sono affatto di Cheyne, ma quelle di Robertson Smith. Smith, così scientifico nella sua antropologia, è sempre irrazionalista nella sua teologia.

[23] V.R. “registrazione”. Il dottor Thorbur sembra sostenere (pag. 39) che la storia del “censimento” nel mito di Krishna è derivato da una “copiatura ignorante” della  English Authorized Version! L'espressione “per essere tassato” della A.V. rappresenta naturalmente l'interpretazione tradizionale — che una tassazione fosse l'oggetto della registrazione.

[24] C.M. 189-190.

[25] C.M. 273.

[26] Io sono stato rappresentato, da studiosi che non si prenderanno il disturbo di leggere i libri che essi attaccano, come se derivassi il mito di Cristo in generale dal mito di Krishna. Questa follia appartiene solamente alla loro stessa immaginazione. L'asserzione del dottor Conybeare (Historical Christ, pag. 69) che nella mia teoria il Dio Giosuè proto-cristiano fu un mito composito “realizzato da memorie di Krishna . . . e un centinaio di altri demoni”, è della stessa natura. Nel suo caso, naturalmente, io non denuncio un'omissione nella lettura dell'affermazione che egli falsifica; è semplicemente un problema della sua normale incapacità a comprendere ogni posizione da lui attaccata. Per quanto riguarda il mito di Krishna io suggerisco solo nel dettaglio del “censimento” la possibilità di una copiatura cristiana mediante una fonte intermedia: in un altro mito, quello della “borsa” che è trasportato da un ostile seguace-demone di Krishna (C.M. 241-243), io suggerisco la possibilità di una copiatura indiana dal quarto vangelo, dove “la borsa” è presumibilmente derivata da una fase accessoria nel dramma misterico, Giuda che trasporta una borsa per ricevere la sua ricompensa.

[27] C.M. 205 seq.

[28] C.M. 207.

[29] Id. 347 seq.; Drews, Die Petrus Legende (opuscolo), 1910.

[30] Il dottor Conybeare, persistendo nell'errore, mi rappresenta (Historical Christ, pag. 73) come se io stia suggerendo che l'epiteto bifrons condusse all'invenzione della storia del Rinnegamento di Pietro. Io avevo sottolineato espressamente che l'epiteto bifrons non veicolava un senso dispregiativo, e avevo suggerito che la figura di Giano, con le sue caratteristiche petrine, potrebbe aver ispirato la storia del Rinnegamento (C.M. 350-351). Il soggetto di un mito iconografico è evidentemente una materia sconosciuta al dottor Conybeare.

[31] C.M. 318 seq.

[32] Die Versuchung Jesu (in Zur Oesch. und Litt. des Urchristentums, 3, 2, 1907, pag. 53, 65.

[33] Il semplice principio di tenere Marco per la fonte primaria dovunque esso è breve ha significato molte assunzioni del genere, da parecchi di noi accettato acriticamente una volta.

[34] Come citato, pag. 85.

[35] Id. pag. 92-93.

[36] Testamento di Naftali, 8:4.

[37] Questo è sostenuto abilmente dal Prof. Smith.

[38] C.M. 329 seq.

[39] Id. 335 seq.

[40] Confronta Soltau, Das Fortleben des Heidentums in d. altchr. Kirche, 1906; S.H.C. 67 seq., 101 seq. ; J. A. Farrer, Paganism and Christianity, R.P.A. ristampa, passim.

[41] C.M. 220  e nota 2. Confronta W. J. Wilkins, Paganism in the Papal Church, 1901.

[42] Confronta Saint-Yves, Les Saints successeurs des Dieux, 1907; J. Rendel Harris, The Dioscuri in the Christian Legends, 1903.

[43] Confronta le osservazioni di Soltau sull'ostilità ancora mostrata a studiosi professionali che rigettano semplicemente la Nascita Verginale (opera citata, pag. 2), e la richiesta di Brandt per la sua pietà (Die evangelische Geschichte, Vorwort).

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