lunedì 12 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (IX) — Conclusione

(procede da qui)

CAPITOLO IX

CONCLUSIONE

Non solo alla teoria mitica ma ad ogni tentativo di espellere la falsità storica dalla religione vi è stata data l'obiezione che la religione “fa bene”; che l'umanità ha bisogno di “qualche religione o altra”; e che “distruggere la fede” provoca un danno sociale, anche se sia allo scopo di smascherare una illusione. Questa posizione non è affatto speciale all'ortodossia. Fu assunta da Middleton; da Kant, quando egli formò una base “pratica” per il credo teista dopo aver eliminato la base astratta, ed esortò ecclesiastici non credenti ad usare la Bibbia a scopi di educazione morale popolare; da Voltaire quando egli combatté l'ateismo dopo aver bombardato il cristianesimo; e da Paine quando egli scrisse la sua Età della Ragione per salvare il credo in Dio.
Nella misura in cui l'invocazione generale equivale semplicemente a dire che l'umanità non può rinunciare di colpo in modo concepibile alla sua religione tradizionale; che sacerdoti di orientamento liberale sono meglio degli illiberali, a tutti gli scopi; e che in un mondo dominato da un bisogno economico è impossibile per molti ecclesiastici illuminati assicurarsi da vivere salvo che nella professione per cui furono allenati, io non sono affatto interessato a combatterla. Per il sacerdote liberale, illuminato troppo tardi per riformare la sua carriera economica, io non ho nient'altro che simpatia, a patto che egli non ostacoli in alcun modo il progresso intellettuale di altri. Nella misura, di nuovo, in cui l'invocazione di una “religione” è semplicemente un'invocazione di una parola, oppure di una tesi che ogni seria convinzione circa l'esistenza è religione, è del tutto irrilevante alla discussione presente. I razionalisti che sentono di non poter affrontare il mondo senza l'etichetta di una “religione” per la loro teoria del cosmo e di condotta saranno nella stessa posizione al di là se essi credano in un “Gesù storico” o meno; e quelli che devono avere una “liturgia” umanista di qualche sorta al posto della ecclesiastica non sono apparentemente turbati da problemi di storicità. Ciò a cui noi siamo interessati è l'idea che negare la storicità di Gesù equivalga in qualche modo a mettere a rischio non solo l'etica ma la scienza storica.
Il signor Loisy pose l'ultimo punto nella sua suggestione, nella critica di Drews, che chi pensasse di infrangere o tutte le ortodossie tradizionali oppure le ortodossie “liberali” con la negazione della realtà storica di Gesù troverà che egli ha “soltanto fornito ai suoi difensori l'occasione di persuadere un certo pubblico non istruito che la divinità di Cristo, o almeno la natura unica della sua personalità, è altrettanto ben garantita come la realtà della sua vita e della sua morte”. [1] Aveva allora dimenticato il signor Loisy che i suoi tentativi personali di scartare dai documenti un numero di dettagli che egli considerò mitici hanno dato occasione ai difensori della fede di assicurare un pubblico non istruito che la disintegrazione dei vangeli avrebbe distrutto ogni motivo per il credo in ogni loro parte? [2]
Noi su questo lato del Canale della Manica potremmo incontrare sfide simili, fondate sulle sensibilità del “pubblico”, con la richiesta del nostro grande umorista, il signor Birrell: “Che cosa, nel nome della Biblioteca Bodleiana, ha a che fare il pubblico generale con la letteratura? Il pubblico generale . . . ha mandato in giro nei carri il suo intellettuale, come il suo allattamento materno.” [3]
Ma non dobbiamo voltare la testa sul serio. Ci sono un sacco di laici onesti a recitare la giuria; e a loro lascia che vi sia posto. La questione tra noi e il Signor Loisy, come egli ammette virtualmente, deve essere disputata con un argomento. È perfettamente vero, come lui dice, che “in principio, nulla  è più legittimo, più necessario, del metodo comparativo; ma nulla è più delicato da maneggiare”. [4] Ogni questione, allora, deve essere dibattuta con attenzione. Ma l'obbligo è reciproco. In quelle inchieste abbiamo trovato parecchie volte il signor Loisy su posizioni insostenibili, e nell'atto di ricorrere ad argomenti incoerenti. Le verifiche che egli applica ad una massa di tradizione sono egualmente distruttive alla maggior parte di ciò che egli trattiene.
Che gli impieghi illeciti del metodo comparativo siano pure screditati con tutti i mezzi;  ma abbiamo fatto anche una critica che lui ad un punto afferma che Gesù fornì un insegnamento “omogeneo” che i suoi discepoli non avrebbero potuto “combinare”, e sul  punto successivo confessa che “l'etica evangelica non è più coerente della speranza del regno”. [5] E quando i teorici del mito sono invitati a non fare ipotesi ingiustificate, anche noi abbiamo auspicato una fine di asserzioni del genere come “venticinque o trent'anni dopo la morte di Gesù le frasi e parabole principali di cui la generazione apostolica aveva tenuto memoria furono messe per iscritto”. [6] Questa è una pura ipotesi, non supportata da prove.
La questione tra noi e il signor Loisy, ancora una volta, non è una in cui semplicemente egli aggredisce la teoria mitica in quanto va al di là delle sue dimostrazioni: è una in cui le sue posizioni sono allo stesso tempo aggredite su tutta la linea, e in particolare al suo centro, in quanto incapace di resistere ad una pressione critica. Con tutti i mezzi noi cerchiamo che “la scienza della religione si dovrebbe applicare senza preoccupazioni di propaganda o polemica contemporanea”. Il presente scrittore abbracciò la teoria mitica non a scopo di propaganda ma come conseguenza di un puro prolungato fallimento a stabilire un presupposto fondamento storico. Il Professor Smith nega ogni critica del “cristianesimo”. E se il Professor Drews è incolpato per confessare uno scopo religioso, la risposta è che egli sarebbe aggredito altrimenti come “irreligioso”, in egual misura nel suo stesso paese e altrove. La teoria mitica deve incontrare altri avversari oltre il signor Loisy.
È degno di nota che il Professor Schmiedel, che è andato quasi altrettanto lontano come il signor Loisy nel riconoscere in dettaglio la forza delle pressioni sulla posizione storica, fa la confessione: “Le mie più interiori convinzioni religiose non soffrirebbero alcun danno, perfino se io mi sentissi obbligato a concludere che Gesù non è mai vissuto”, [7] sebbene come uno storico critico egli non “vede alcuna prospettiva di questo”. Egli inoltre confessa che la sua religione non gli richiede “di trovare in Gesù un modello assolutamente perfetto”, e che in effetti egli non lo trova così. [8] Ed egli scrisse nel 1906 che “per circa sei anni l'opinione che Gesù in realtà non visse mai ha ottenuto un numero sempre crescente di sostenitori”, [9] aggiungendo che “non è di alcun'utilità ignorare ciò, o tentare risoluzioni contro ciò”. È coerentemente senza alcun tipo di motivo polemico contro uno scrittore così interamente candido che io suggerisco certe critiche delle sue posizioni emotive in quanto tendono inconsciamente ad influire il suo giudizio del problema critico.
È dopo le confessioni sopra citate che lui scrive: [10]
 E neppure io chiedo se nella fede e nel sistema etico di Gesù quel che egli aveva da offrire fosse nuovo. Fu in grado di darmi qualcosa che animerebbe il mio cuore e rafforzerebbe la mia vita? — quello è tutto ciò che chiedo. Cosa importa se una delle idee di Gesù fosse stata già espressa una volta in India, un'altra volta ancora già in Grecia, una terza volta già, o molte volte, dai profeti dell'Antico Testamento, o dagli assai stimati rabbini ebrei poco prima il tempo di Gesù? Queste idee  si potrebbero trovare nei libri: quello è tutto. Ciò per cui dovremmo sentirci grati a Gesù, è che lui fu destinato per la prima volta a far sì che le idee avessero un effetto e un'influenza sulle esistenze dell'umanità in generale. 
A mio giudizio sarebbe difficile sopravvalutare la quantità di pregiudizio psicologico coinvolta in quella dichiarazione, che contiene un teorema non più degno a prendersi per garantito rispetto a ogni concreta proposizione storica. Il Professore, sarà osservato, non specifica un singolo insegnamento di Gesù come nuovo, mentre egli ammette che alcuni non lo furono. Ciò che dice è, in effetti che altre espressioni di dottrine gesuane non “animano il cuore”; che quelle di Gesù non lo fanno; e che esse “per la prima volta” indussero certe dottrine ad “avere un effetto e un'influenza sulle esistenze dell'umanità in generale”. Quali dottrine allora sono intese, e quali effetti sono presentati? E perché altre espressioni delle dottrine non “animano il cuore”?
Apparentemente le dottrine in questione sono quelle di amore reciproco, di perdono dei nemici,  di fare agli altri ciò che vorremmo ci fosse fatto da loro. Riguardo la dottrina evangelica di ricompensa il Professore fa una sconfessione; e riguardo la dottrina che Dio si cura degli uomini come dei fiori e degli uccelli egli dichiara che ciò è “al giorno d'oggi non semplicemente falso: non è neppure religioso nel senso più profondo del termine”. [11] Non è poi chiaro se egli plaude la dottrina che aiutare gli afflitti equivale a soccorrere il Signore. Ad ogni caso, la dettagliata prescrizione religiosa di beneficienza non fu semplicemente una massima ebraica: fu un'articolo della religione egizia; [12] e difficilmente può essere a cusa di questo insegnamento che il Professore afferma una nuova “influenza sulle esistenze dell'umanità in generale”.
Allora è a causa dell'amore reciproco e del perdono dei nemici? Se così, quando cominciò il cambiamento? Tra gli apostoli? Tra i Padri? Tra i vescovi? Tra i vescovi? Per porre la questione in generale, ci fu  buona vita umana più a Bisanzio che nella Grecia pagana; o perfino nella Roma della Decadenza e degli anni bui del Medioevo che nella Roma della Repubblica? Fu a causa della bontà cristiana che fu accellerato il declino di Roma invece di essere controllato? E, per giungere al nostro stesso giorno, la Guerra Mondiale è una prova di un cambiamento etico recato dall'insegnamento di Gesù — una guerra imposta al mondo da una Germania dove ci sono più studiosi sistematici dei vangeli rispetto a tutto il resto d'Europa? Io lascio al Professor Schmiedel e al Professor Drews di definire il punto tra loro. Essi forse concorderebbero — sebbene quanto a questo io non ne sia certo — sulla dottrina gesuana che la moralità non è “niente più che obbedienza alla volontà di Dio”; e che “ogni atto si deve giudicare da questo standard, e che “ogni atto dev'essere giudicato dallo standard, Reggerà lo sguardo di Dio?” [13] In ogni caso io affermerò, per la considerazione di quelli che su qualche motivo simile saltano alla nozione di qualcosa di unico nell'insegnamento di Gesù, che l'umanità è incline a fare un mondo molto migliore quando sostituisce a questo standard morale, che non è che una sostituzione auto-illusoria di Dio alla coscienza che delimita Dio, il principio di buona volontà verso gli uomini, e la legge di reciprocità, nota diffusamente alla massa dell'umanità millenni prima dell'era cristiana, e tutto il tempo disobbedita, allora come ora, parzialmente perchè i codici religiosi intervengono tra essa e la vita. [14]  
Se è ammesso — e chi lo negherà consideratamente — che il progresso morale dell'umanità è fatto in virtù del riconoscimento della legge di reciprocità, il caso per la generale influenza morale del cristianesimo è confutato una volta per tutte. Se l'affermazione è ancora fatta, affronti la sfida della sociologia razionale, [15] basata sulla rassegna di tutta la storia e sulla Guerra Mondiale. La vasta affermazione del Professor Schmiedel è vana di fronte a tutto ciò.
La sua reale base psicologica, che a mio giudizio determina le sue presupposizioni critiche, risiede nella frase: “anima il mio cuore”. E quella frase è una tacita confessione di partigianeria religiosa, il risultato della sua educazione cristiana. [16]
Più l'insegnamento morale dei vangeli è studiato comparativamente, come indipendente dai loro miti di azione e dogma, più chiaro diventa la sua totale dipendenza sulla tradizione precedente, [17] e il suo fallimento perfino a mantenere il livello del meglio di quella. Il Discorso della Montagna è totalmente pre-cristiano. [11] È uno studioso cristiano a sottolineare che la dottrina cristiana del perdono è introdotta pienamente nel Testamento dei Patriarchi, un secolo prima dell'era cristiana. A suo avviso, quei versi [12] “contengono la dichiarazione più notevole sul tema del perdono in tutta la letteratura antica”. [13] Perchè allora non anima il cuore del Professor Schmiedel in egual  misura alla dottrina dei vangeli? Semplicemente perchè egli fu educato ad assegnare preminenza alla dottrina di Gesù — Dio o Uomo. E qui abbiamo, nella sua forma fondamentale, quell'assunzione incontrollata di “unicità” che segretamente detta il fulcro delle negazioni della teoria mitica. Canon Charles esplicitamente rintraccia la dottrina gesuana ai versi in questione:

Che nostro Signore fosse familiare con loro, che il Suo insegnamento li presupponga, dobbiamo inferirlo dal fatto che il parallelo è così perfetto nel pensiero e così vicino nella formulazione tra loro e Luca 17:3; Matteo 17:15. [14] Il significato del perdono è in entrambi i casi il più alto e il più nobile a noi noto. . . .

Si pone con diffidenza la sfida, Fu allora alto e nobile per il Maestro esporre come suo proprio l'insegnamento di un altro, invece di riconoscerlo come tale? Non è incomparabilmente più probabile, su ogni aspetto del caso, che l'insegnamento più antico fu quindi appropriato per fabbricatori dei vangeli dediti ad attribuire al Divino un alto messaggio e ad assicurare la sua accettazione ponendolo sulle sue labbra? Non è questo il rigoroso verdetto critico, a parte da ogni altra questione?
Il pregiudizio che scoraggia una decisione del genere è il segno del danno fatto all'etica intellettuale dalla presupposizione inculcata. Dovrebbe “animare il cuore” di un buon uomo realizzare che le idee che egli è stato educato a ritenere le più nobili fossero non la produzione “unica” di un Superuomo, ma potevano essere e furono raggiunte da ebrei e gentili — infatti ci sono anche gentili — di cui gli stessi nomi ci sono sconosciuti. Una dottrina del perdono sorse nel prostrato ebraismo precisamente perchè il rancore vi aveva raggiunto il suo culmine. Come una dotrina di ascetismo sorge in una società dove la licenza è stata all'estremo, così il fenomeno di odio genera una reazione ad esso. La dottrina della non-resistenza era corrente tra i farisei del periodo della rivolta maccabea; e il Testamento dei Patriarchi è l'opera di un fariseo. E i vangeli hanno nondimeno insegnato tutti i cristiani a considerare collettivamente i farisei, con gli scribi, come un corpo privo di ogni bontà. C'è, lo sia detto — non per la prima volta — un pessimismo nella concezione cristiana delle cose; un pessimismo che nega l'elemento di bontà nell'uomo nello stesso atto di attribuirlo come una specialità ad Uno solo, e di basarlo sulla sua “influenza”per diffonderlo tra gli uomini incapaci di elevarvisi da sé stessi. La storia di Licurgo e Alcandro è il miglior esempio antico del precetto, del tutto indipendente da quella del buon Samaritano, [22] ed è uno degli antidoti al pessimismo cristiano che vanifica la sua stessa parabola negando in effetti che il Samaritano potesse pensare altrettanto eticamente come l'Ebreo.
È il pessimismo, ancora di nuovo, che accetta il verdetto: “il cristianesimo è la verità dell'umanità”. [23] Se non fosse che il dottor Schmiedel lo approva, io dovrei essere stato inclinato ad usare un termine più forte. Anche questo è fabbricazione del mito. Sarebbe strano davvero se qualche profondità di verità fosse risuonata da uomini che non disponevano degli elementi basilari di una coscienza della verità di una dichiarazione, della verità della Storia; la cui stessa nozione di verità fu una produzione di finzione. La “verità dell'umanità” è qualcosa di infinitamente più vasta della struttura sollevata dai “profeti” ed “apostoli” del culto di Gesù, a partire da materiali pre-esistenti, duemila anni fa; e l'umanità sopravviverà a quella visione del suo cosmo e dei suoi destini come è sopravvissuta alle altre. Se dovesse preservare qualcosa di quella visione con essa, lo farà anche dalle altre — proprio come quella derivata dai suoi predecessori; e certamente si sbarazzerà più di quanto non manterrà. Io non ho notato nel Testamento dei Patriarchi alcun annullamento simile della sua dottrina di perdono come è incarnata nella promessa di perdizione futura a Chorazin e Bethsaida, o nella storia di Anania e Saffira, per non dire nulla della dottrina gesuana di un tormento futuro. L'odio che spira in “Voi razza di vipere”; nella maledizione continua contro scribi e farisei in quanto ipocriti in un modo universale, “figli della Geenna”, che rendono i loro proseliti altrettanto doppiamente cattivi come sè stessi; e nell'espressione giovannea “voi avete per padre il diavolo” — tutte quelle sono specialità “cristiane”, che riducono al nulla il precetto ebraico di perdono.  
E io non posso “vedere nessuna prospettiva” di una prolungata diffusione del panegirico del Professor Schmiedel dei detti fittizi in Atti [24] come “dei più profondi che si possano dire circa la vita interiore cristiana”. Se ciò è così, che quantità di profondità va all'intera costruzione della fede? Per quanto tempo si deve mantenere che il segreto o l'ispirazione della vita buona risiede nelle idee di uomini per i quali costituì una pia occupazione la fabbricazione di una storia falsa? Il principale contenuto etico del sistema cristiano, la dottrina morale tramite cui la Chiesa è vissuta fino all'altro giorno, è la dottrina fallimentare sul piano etico della redenzione dell'umanità tramite un sacrificio di sangue — un retaggio di una barbarie ancestrale. Quella è ancora la visione specificamente “evangelica” del cristianesimo. Dopo aver vissuto secondo la dottrina attraverso due epoche, la coscienza lentamente civilizzatrice della Chiesa ha cominciato essa stessa a ripudiarla; e abbiamo lo spettacolo caratteristico dei suoi difensori che dichiarano che gli stessi termini del credo storico formano una calunnia fabbricata dai suoi nemici. Istruiti alla fine dalla ragione umana che la dottrina del sacrificio è la negazione della moralità, essi pretendono che quella dottrina non sia cristiana. Senza di essa, la loro Chiesa non avrebbe mai preso la sua forma storica. Per eliminarla, essi devono sopprimere metà della loro letteratura, in prosa e in versi. I compromessi mediante cui l'immoralità fondamentale è stata modificata negli interessi di una moralità più sana non sono che i dettami dell'esperienza umana; e si pretende che quei dettami siano a loro volta la rivelazione della fede che li passò.
A meno che il mondo non debba regredire di nuovo collettivamente nella sua civiltà, questa polemica non servirà più a lungo ad oscurare le questioni storiche. Non è semplicemente la “religione” del Professor Drews, è la ragione umana emancipata, a negare la mano morta dell'antica Siria sul campo del pensiero etico, e a rivendicare il diritto di nascita dell'uomo moderno alla sua personale legge morale. Nessun giorno è passato dalla stesura dell'Apocalisse senza l'odio reciproco degli uomini nel nome di Gesù. Generazioni di guerre sono state condotte per interpretazioni della tradizione. L'odio e la malvagità e ogni assenza di carità caratterizzano i Testi Sacri; e la letteratura dei Padri importa nella rimpicciolita vita intellettuale dell'Occidente tutto il rancore dell'agguerrito ebraismo. Al nostro giorno, il Professor Schmiedel è aggredito malignamente nel nome della divinità della figura di cui egli pretende di provare l'esemplare umanità, colla sua argomentazione ragionata che non gli guadagna alcuna buona volontà da quelli che credono nel soprannaturale. E attorno a lui figurano violenti partigiani incapaci del suo candore, così poco capaci di amare i nemici da non poter condurre un dibattito senza passione, perversione e insolenza. Una moltitudine di quelli che acclamano il Gesù evangelico come il Maestro supremo si rivelano al di sotto degli standard di un candore normale.
Da tali pretendenti all'autorità morale, il ricercatore di verità si volge ai laici interessati in modo simile, e ai quei studiosi professionali che sono capaci di discutere senza passione, e in buona fede. Il Professor Schmiedel e il signor Loisy sono ancora, si deve sperare, esempi di molti. Il problema è alla fine, invariabilmente, un problema della scienza storica; e solo mediante l'utilizzo di ogni metodo di profonda scienza storica esso sarà risolto.
Non è semplicemente in relazione allo studio delle origini cristiane che i problemi sociologici sono viziati dal passaggio abituale di giudizi a priori su questioni mai considerate criticamente. Quando un esperto ierologista come il dottor Burke ci dice ripetutamente che nell'antico Egitto una religione “altamente spirituale”, “altamente spirituale” ed “elevata” andò mano nella mano con un sistema di magia di barbarie “degradante”, [25] noi siamo spinti a investigare come sono raggiunte o giustificate le stime di un'elevatezza. Vi appare di non esserci alcuna risposta se non che il dottor Budge tiene certe teorie circa l'universo, e, trovandole più o meno affini alla teologia esoterica dell'Egitto, loda le sue opinioni personali in questa maniera. Ma il dottor Budge non è più titolato di ogni altro a definire queste questioni senza una discussione razionale, e la ragione di alcuni di noi si rivolta al concetto di una congiunta sublimità e imbecillità in quanto un falso paradosso. Non è che una convenzione dell'apriorismo soprannaturalista, che figura dove non ha alcun diritto di entrare. Precisamente nella stessa maniera, il dottor Estlin Carpenter attribuisce agli Aztechi  un “elevato sentimento religioso”, confessato essere “fuso stranamente con un rituale orribile e sanguinario”. [26] L'aggettivo “elevato” è di nuovo una lode per la personale filosofia di religione dello scrittore, nei cui termini l'atto del “buon Samaritano”, eseguito un milione di volte da esseri umani senza pretese, fu immaginabile solo da un ebreo supernormale, e privo di paralleli nel pensiero pagano.
In una parola, quelle pretese morali dovevano essere trattenute meglio dall'area di un'adeguata discussione storica. Comportando come fanno la conclusione che concezioni religiose “elevate” non sono semplicemente di nessun valore morale ma sanzioni potenti per ogni genere di male, esse si confutano davvero  efficacemente. Ma il razionalismo non ha bisogno, e non dovrebbe cercare, di volgere queste millanterie alla sua causa. Come afferma il signor Loisy, il terreno della critica storica non è il posto per una polemica simile, che tende solo a confondere il problema scientifico. Questo è abbastanza difficile da risolvere, con la migliore volontà e i migliori metodi.

NOTE

[1] Apropos d'histoire des religions, fine.

[2] Confronta il recente volume di dibattito tra il dottor Sanday e il reverendo N. P. Williams su  Form and Content in the Christian Tradition. Il signor Williams argomenta contro il dottor Sanday — che è meno distruttivo del signor Loisy nella sua critica — in questa stessa maniera.

[3] Saggio sul dottor Johnson (1884).

[4] Apropos d'histoire des religions, pag. 320.

[5] Jésus et la trad. évang. pag. 286, 288.

[6]  Id. pag. 277.

[7 Jesus in Modern Criticism, pag. 85.

[8] Id. pag. 86.

[9] Id. pag. 12.

[10] Id. pag. 87.

[11] Jesus in Modem Criticism, pag. 79-81.

[12] C.M. 392.

[13] C.M. pag. 90.

[14] Per quanto io ne sia consapevole, la sola condanna esplicita rivolta nel Parlamento tedesco alla politica sottomarina tedesca è stata fatta dal socialista Adolf Hoffmann, un professato Libero Pensatore. Egli la definì “vergognosa”, e fu prontamente richiamato all'ordine.

[15] Io ho posto brevemente il caso nella prefazione a S. H. C.

[16] Il dottor Rendel Harris, d'altra parte, in effetti confessa che il suo cuore è animato dalle fittizie “Odi di Salomone”, in cui lo scrittore pone un discorso immaginario sulle labbra del Cristo.

[17] Si veda J. McCabe, Sources of the Morality of the Gospels, R.P.A., 1914.

[18] C.M. 403 seq.

[19Testamento di Gad, 6:1-7.

[20] Canon Charles, in loc.

[21] Ci sono molti  di questi stretti paralleli di pensiero e formulazione tra i due libri. Si veda l'introduzione di Canon Charles, 26.

[22] In The Historical Jesus, pag. 23-26, io dovevo sottolineare come due Dottori di Teologia, di elevate pretese, avevano negato sdegnosamente che quella storia fosse mai stata oltrepassata, e come completamente errarono. Il secondo, il reverendo dottor T. J. Thornburn, ha prodotto da allora un'altra opera, in cu il tema è ignorato accuratamente. Quando i teologi si esibiscono così moralmente daltonici, essi ci sollevano dalla necessità di provare in qualche misura come sono congenitamente incapaci di determinare i problemi morali di sociologia mediante l'autorità che essi presumono di sbandierare.

[23] Schmiedel, Jesus, epilogo.

[24] Articolo Atti in Encyc. Bib., che cita 4:20; 14:22; 20:24; 21:13; 24:16.

[25] Egyptian Magic, 1899, prefazione.

[26] Comparative Religion, 1912, pag. 57.

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