mercoledì 7 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (IV) — L'Evoluzione del Culto

(procede da qui)

CAPITOLO IV

L'EVOLUZIONE DEL CULTO

§ 1. L'impulso primario

Il Professor W. B. Smith, la cui difesa brillante, indipendente, e potente della teoria mitica ha recato persuasione a lettori non altrimenti attratti da essa, ha sottolineato due proposizioni riguardo l'evoluzione del culto di Gesù. Una è che il movimento fu “multifocale”, iniziando da un numero di punti; [1] l'altra che il motivo essenziale e ispiratore fu la concezione monoteistica, in quanto contro tutte le forme di politeismo; Gesù che era concepito come “il Dio unico”. [2] Che la prima proposizione sia profonda e altamente importante, io ne sono convinto. Ma dopo una valutazione della seconda con un pieno senso dell'acume che guida tutta la costruttiva speculazione del Professor Smith, io rimango dell'opinione che essa necessita di una modifica considerevole. [3] Nel chiarimento di quelle due questioni, andremo per un lungo tratto verso la definizione di una chiara teoria dell'intero processo storico.
In primo luogo, un movimento “multifocale”, una crescita da molti punti, è implicata in tutta la nostra conoscenza delle materie altamente importanti della storia delle antiche sette cristiane, e dei documenti cristiani non-canonici. Forse la proposizione è perfino più ampiamente vera di quanto indica il Professor Smith. Per cominciare, noi troviamo ad una prima fase le sette di (1) ebioniti e (2) nazareni o nazarei, in aggiunta (3 e 4) i movimenti giudaizzanti e gentilizzanti associati rispettivamente ai “Dodici” e a Paolo; e inoltre ancora (5) il movimento associato al nome di Apollo. Inoltre noi dobbiamo notare (6) il Gesuismo dell'Apocalisse, parzialmente extra-ebraico nella sua derivazione; e (7) quello della nona sezione dell'Insegnamento dei Dodici Apostoli, che emerge come una aggiunta quasi-ebionita ad un documento puramente ebraico — non ancora interpolato dalla settima sezione. Ancora oltre, abbiamo (8) i fattori che si riferiscono all'epiteto religioso “Chrestos” [4] ( = buono, grazioso), che fu specialmente associato agli Dèi degli inferi dei misteri di Samotracia; anche ad Ermes, Osiride, e Iside; e (9 e 10) i movimenti del culto Cristista connessi al non-gesuano Pastore di Ermas e alla setta degli Elcasaiti. [5] E questa non è una lista esaustiva.
(11) Che ci fosse un generale fermento ebraico del messianismo attivo nel primo secolo è parte del caso della scuola biografica. Che vi spuntarono realmente nel primo e nel secondo secolo vari “Cristi” è anche un dato storico. Ma i seguaci della scuola biografica non sono inclini in questa connessione ad ammettere l'implicazione che da sola può adeguatamente essere derivata dalla frase di Svetonio riguardo un movimento di rivolta ebraica a Roma che capitò nel regno di Claudio impulsore Chresto, “ad istigazione di (un) Chrestus”. [6] Questa non è un'allusione all'epiteto greco Chrēstos prima riferito: è o una specificazione di un individuo altrimenti sconosciuto oppure la riduzione ad un vago status storico della fonte di un fermento generale dell'insurrezione ebraica a Roma, che si fondava sull'attesa del Christos, il Messia. Nel regno di Claudio, questo movimento non poteva essere stato fatto da “Cristiani” su alcuna visione della Storia. Poiché le parole erano pronunciate in modo simile esse erano scritte in modo interscambiabile, visto che Chrestos (preservato nel francese chrétien) era usato anche tra i Padri. Dando alla frase di Svetonio il solo significato plausibile che possiamo assegnargli, ricaviamo il dato che tra gli ebrei al di fuori della Palestina ci fu un movimento generalizzato di un Cristismo quasi-rivoluzionario che non può affatto esserci stato senza una sua letteratura speciale.
(12) In questa connessione si potrebbe notare l'apparizione di un Messianismo e Cristismo quasi-impersonale ai margini della letteratura antica cristiana ed ebraica. Di questa, una fonte principale è il Libro di Enoc, di cui le parti messianiche sono ora assegnate per consenso generale al primo e secondo secolo A.E.C. Là il Messia è chiamato il Giusto o il Retto; [7] l'Eletto; [8] Figlio dell'Uomo; [9] l'Unto; [10]; e una volta “Figlio della Donna” [11]. Qui già abbiamo l'Essere Divino rappresentato più o meno concretamente. Egli è preesistente, e così soprannaturale, tuttavia non eguale a Dio, dato che è semplicemente il rappresentante di Dio. [12] Quando allora troviamo nelle cosiddette Odi di Salomone, scoperte di recente da una versione etiopica, una salmodia messianica in cui, apparentemente nel primo secolo cristiano, “il nome del vangelo non è trovato, e neppure il nome di Gesù”; e “non un singolo detto di Gesù è citato direttamente”, [13] è criticamente inammissibile dichiarare cristiane le Odi, specialmente quando si ammette che un numero di esse non hanno nessuna caratteristica cristiana. [14] Quando, anche, lo scrittore dichiaratamente sembra star parlando ex ore Christi, un nuovo dubbio è gettato su tutti i cosiddetti logia. Questa letteratura, se o no sia definita gnostica, punta al Cristismo gnostico in cui il Gesù personale scompare [15] in una serie di speculazioni astratte che escludono ogni parvenza di personalità umana. Tutte le prove puntano alla sua origine in concezioni generali o astratte, non a qualche vita o insegnamento reali. Suggeriscono la sua tela dottrinale dall'interno.
(13) E non è semplicemente sul lato ebraico che abbiamo prove di elementi nel primo movimento gesuista che derivano da fonti estranee alla documentazione evangelica. Il signor Loisy [16] ammette che l'inno dei Naasseni, fornito da Ippolito, [17] in cui Gesù si affida al Padre perché lui discenda sulla terra e riveli i misteri agli uomini “reca una rassomiglianza straordinaria al dialogo tra il Dio Ea e suo figlio Marduc in certi incantesimi babilonesi”. [18] Egli liquida la questione affermando che prima di poterla valutare “si deve provare che l'inno degli Ofiti sia anteriore ad ogni connessione della loro setta col cristianesimo”. L'implicazione è che il sincretismo gnostico avrebbe potuto aggiungere tratti babilonesi al Gesù ebraico. Ma quando troviamo marcati segni di una connessione babilonese col nome Gesù nell'Apocalisse non possiamo così ridimensionare, senza una prova ulteriore, la connessione babilonese imposta dall'inno naasseno. E neppure i difensori di un documento che per loro stessa ammissione contiene una mole di materiale storico  possono pretendere di avere un motivo per cui poter rifiutare come un abbaglio del copista la formula in cui in un antico papiro magico Gesù, come Guaritore, è invocato come “Il Dio degli Ebrei”. [19] Gli stessi documenti evangelici presentano il nome di Gesù come un nome dal potere magico in luoghi dove egli non è apparso. Una critica rigorosa è destinata ad ammettere che l'intera questione della diffusione pre-cristiana del nome Gesù presenta un problema irrisolto.
Ci sono due ulteriori quasi-storici Gesù, uno (14) dato nell'Antico testamento, l'altro (15) nel Talmud, riguardo i quali non possiamo né affermare né negare che fossero connessi con un movimento gesuano prima dell'era cristiana. Uno è il Gesù di Zaccaria (3:1-8; 6:11-15); l'altro è Gesù Ben Pandira, altrimenti noto come Gesù Ben Satda o Stada, del Talmud. Il precedente Gesù il Sommo Sacerdote, recita una parte quasi-messianica, essendo descritto come “il Ramo” e doppiamente incoronato sacerdote e re. La parola per “ramo” in Zaccaria è tsemach, ma questa fu dagli ebrei pre-cristiani identificata col netzer di Isaia 11:1; che per alcuni antichi Gesuisti sembrerebbe aver costituito la spiegazione del cognome di Gesù di “Nazireo” o “Nazareno”. [20] Il significato storico delle allusioni in Zaccaria sembra essere stato totalmente perduto; e quella stessa circostanza suggerisce qualche connessione pre-cristiana tra il nome Gesù ed un movimento messianico, che i maestri ebrei sarebbero stati disposti a lasciarsi sfuggire dalla Storia, e i Crististi che avrebbero potuto sapere di ciò non avrebbero desiderato ricordare. Ma la materia rimane un enigma.
Egualmente irrisolto, fin qui, è il problema del Gesù talmudico. Apparentemente, ce ne sono due; e tuttavia entrambi sembrano essere stati connessi, nella mente ebraica, col Gesù dei vangeli. Di uno, Gesù figlio di Pandira, è ricordato che è stato lapidato a morte e poi appeso ad un albero, per blasfemia o altro crimine religioso, alla vigilia di una Pasqua nel regno di Alessandro Ianneo (A.E.C. 106-179). [21] Ma nella Gemara Babilonese egli è identificato con un Gesù Ben Sotada o Stada o Sadta o Sidta, che da una suggestione piuttosto dubbia è posto nel periodo di Rabbi Akiba nel secondo secolo E.C. Anche di lui è detto che è stato lapidato e appeso alla vigilia di una Pasqua, ma a Lidda, laddove di Ben Pandira è detto che è stato condannato a morte a Gerusalemme. Alcuni studiosi assumono la tesi improbabile che due diversi Gesù furono così lapidati e appesi alla vigilia di una Pasqua: altri ne ricavano uno, la cui data è stata confusa. [22] Siccome Ben Pandira entrò nella tradizione ebraica anti-cristiana, ed è riferito dall'Ebreo di Celso nel secondo secolo, la supposizione è a favore della sua data. Sua madre è in un punto chiamata Mariam Magdala = “Maria la nutrice” o “parrucchiera” — un dettaglio quasi mitico. Ma persino supponendo che fosse stato un personaggio reale, il cui nome potrebbe essere stato legato ad un movimento messianico (egli è detto di aver avuto cinque discepoli), è impossibile dire qualeparte il suo nome potrebbe aver avuto nella tradizione gesuana. I nostri soli indizi praticabili, allora, sono quelli delle sette e movimenti elencati.
Diventa subito chiaro da una rassegna di quelle sette e movimenti (1) che un culto di un Gesù non-divino, rappresentato dagli ebioniti ebrei, emerse per un tempo accanto ad uno che, tra ebrei, fece di Gesù un essere soprannaturale. Solo sulla base di un rito originario si possono spiegare queste divergenze. Gli ebioniti si presentano a noi, nel resoconto di Epifanio, poiché usano una forma del vangelo di Matteo che mancava dei primi due capitoli (un'aggiunta del secondo o terzo secolo), negano la divinità di Gesù, e respingono l'apostolato di Paolo. [23] D'altra parte, abbiamo nella setta o fratellanza nazarena un movimento che si aggiunse sia direttamente che indirettamente all'evoluzione Gesuista. Nel cosiddetto Vangelo Primitivo, come estrapolato  dai sinottici dalla scuola di B. Weiss, non c'è nessuna menzione di Nazaret,, e né dell'epiteto “Nazareno” e neppure “Nazireo” per Gesù. Tutti e tre i nomi sono totalmente assenti dalle epistole, come dall'Apocalisse: Gesù non ha mai un cognome dopo che esaminiamo gli Atti. La conclusione è irresistibile che prima l'epiteto “Nazareno”, e più tardi la storia circa Nazaret, furono aggiunte ad un culto primario in cui Gesù non aveva un luogo di nascita, non più di quanto avesse genitori umani.
Io ho suggerito [24] che il termine potrebbe essere venuto dall'ebraico “Netser” = “il ramo”, che avrebbe un significato messianico per gli ebrei. Il Professor Smith, che effettua una ricerca di elementi di parole ebraiche, ha sviluppato una tesi altamente importante col risultato che la parola Nazaraios, “Nazareo”, che lascia in eredità il nome alla setta gesuista negli Atti e il nome predominante per Gesù nei vangeli (a parte Marco, che dà Nazarenos), [25] non è solo pre-cristiano ma antico semitico; che il significato fondamentale del nome (Nosri) è “guardiano” o “custode” (=Salvatore?), e che l'appellativo è quindi affine a “Gesù”, che significa Salvatore. [26] Sul lato negativo, poiché contro le derivazioni convenzionali da Nazaret, il caso è davvero forte. Più che cinquant'anni fa, il libero pensatore Owen Meredith insistette sull'assenza di prove che esisteva un villaggio galileo di nome Nazaret prima dell'era cristiana. Ad oggi, la ricerca professionale ha acconsentito, a tale misura che il dottor Cheyne [27] e Wellhausen hanno concordato nel derivare il nome dal nome regionale di Genesaret, quindi facendo Nazaret = Galilea; mentre il Professor Burkitt, trovando “l'opinione comune di Nazaret totalmente indimostrata e insoddisfacente”, offre “una ipotesi disperata” colla conclusione che “la città di Giuseppe e Maria, la πατρίς di Gesù, fu Corazin”. [28] A fronte di questa resa generale, noi siamo doppiamente titolati a negare che sia l'appellativo per Gesù sia il nome della setta avesse qualcosa a che fare col nome di luogo Nazaret. [29] Che ci fosse una setta ebraica di “Nazarei” prima dell'era cristiana, il Professor Smith lo ha mostrato chiaramente, si potrebbe assumere come posto al di là di ogni dubbio dalla testimonianza di Epifanio, che egli analizza esaustivamente. [30] Ortodossi in modo primitivo, al pari dei samaritani, e riconoscendo apparentemente nessun personaggio biblico più recente di Giosuè, essi sembrano essersi fusi in qualche maniera coi “cristiani”, che adottarono il loro nome, forse volgendo “Nazareo” in “Nazoreo”. La mia teoria originale era che i “Nazarei” fossero proprio i “Nazirei” dell'Antico Testamento — uomini “separati” e “sotto un voto”; [31] e che i due movimenti in qualche modo si fusero, col nome di luogo “Nazaret” che fu infine adottato per celare i fatti.
Ma il Professor Smith è convinto, dalla prova di Epifanio, che tra “Nazirei” e “Nazarei” non ci fosse alcun legame; [32] e per questo c'è il forte supporto del fatto che gli ebrei maledirono i “Nazorei” mentre apparentemente continuavano a riconoscere i Nazirei o Nazzariti. Che la derivazione del nome da parte del Professor Smith potrebbe essere quella corretta, io sono ben disposto a credere.
Ma è difficile collegare questa derivazione di una parte importante dell'antico movimento gesuista colla tesi che il Gesuismo al suo principio storico fu essenzialmente una crociata monoteista. Su questo lato ci sembra di aver di fronte un'antica setta per cui, come per gli adepti dell'antico sacramento, Gesù fu un personaggio divino secondario o subordinato. Stando da un antico punto di vista ebraico, i Nazarei non avrebbero avuto alcuna parte nell'universalismo monoteista dei profeti più recenti. Gli antichi ebrei avevano creduto in un Dio ebraico, riconoscendo che anche altri popoli avevano i loro. Come o quando i Nazarei avevano oltrepassato quel punto di vista?
Nell'assenza di ogni chiarimento, la tesi sostenuta davvero abilmente del Professor Smith riguardo al nome “Nazareo” sembra ampiamente in disaccordo con la tesi che un fervore monoteista fosse un elemento principale e primario nello sviluppo del culto cristiano; e che Gesù fosse concepito dai suoi devoti ebrei in generale come “il Dio Unico”. Questo avrebbe significato la semplice detronizzazione di Jahvè, un tipo di procedura osservata solo in miti simili a quelli di Zeus e Saturno, dove un culto razziale soppiantava un altro. Ma la forma principale del cristianesimo fu sempre jahvista, perfino quando a Paolo negli Atti si fa proclamare agli ateniesi un “Dio ignoto” — un'idea realmente derivata da Atene. Solo per pochi, e quei non-ebrei, “il Gesù” può essere stato originariamente il Dio Unico; se non nella misura in cui l'utilizzo del nome “il Signore” potrebbe per alcuni ebrei incolti aver portato a identificare Gesù con Jahvè, il quale era così etichettato. Gli ebioniti negarono da sempre la sua divinità. I Nazarei più recenti furono messianisti che non sembravano concepire più degli ebrei che il Messia fosse Jahvè.
L'intera dottrina del “Figlio” era in conflitto con ogni idea puramente monoteista. Da nessuna parte nei sinottici o nelle epistole la dottrina di Cristo è dichiarata così da servire veramente al monoteismo: la frase “Io e il Padre siamo uno” del quarto vangelo è posteriore; e i versi d'apertura di quel vangelo mostrano una manipolazione, rivelando un tentennamento riguardo il fatto se il Logos fosse Dio oppure “con Dio” — o piuttosto “prossimo a Dio”, nel significato stretto di πρός. Qui abbiamo un riflesso di filosofia alessandrina, [33] non il vangelo del culto popolare. Formalmente monoteista il culto lo fu sempre, perfino quando era diventato realmente trinitario; e per tutto il tempo, senza dubbio, il monoteismo particolarista degli ebrei fu all'opera contro tutti gli altri nomi di Dio in particolare e contro il politeismo in generale; ma ciò non può proprio essere stata la forza motrice in un culto che stava cominciando dichiaratamente a stabilire una divinità apparentemente nuova, e fu molto prima della creazione di una trinità.
Per quanto tutto si possa chiaramente ricavare dalla polemica disseminata nel Talmud contro “i Minim”, il titolo standard per gli eretici ebrei, che comprende i cristiani come tali, [34] essi almeno sembrano non mantenere l'unicità di Dio ma piuttosto affermare una seconda Divinità, [35] e questo tanto presto quanto l'inizio del secondo secolo. Che i rabbini ebrei assunsero quest'opinione della loro dottrina si spiega nei termini della vera teologia dell'epistola agli Ebrei. Se ci fu qualche nuova dottrina del monoteismo legata al Gesuismo, essa dev'essere stata al di fuori della sfera ebraica, dove l'unità di Dio fu lo stesso terreno su cui ci si oppose al Gesuismo. Come tale, i giudeocristiani neppure ripudiarono la legge ebraica, dato che furono denigrati esplicitamente dai rabbini come traditori segreti che professavano di essere ebrei ma tenevano eresie straniere. [36]
Io ho detto che il Gesù può essere stato “il Dio Unico” solo per non-ebrei. Egli potrebbe essere stato plausibilmente così per alcuni samaritani. C'è una ragione per credere che nell'età degli Erodi solo una minoranza del popolo samaritano si attenesse all'ebraismo; [37] e c'è una testimonianza cristiana che nel secondo secolo una moltitudine di loro adorava come il Dio Unico Sem o Semo, il Dio-Sole semitico il cui nome è incarnato in quello di Sansone. Giustino Martire, lui stesso un samaritano, presume esplicitamente che “quasi tutti i samaritani, e un po' anche di altre nazioni” adorano e riconoscono come “il primo Dio” Simone che egli descrive come un nativo di Gitta o Gitton, che si presentò nel regno di Claudio Cesare. [38] L'errore grossolano di Giustino nell'identificazione di un samaritano del primo secolo con la divinità sabina Semo Sanctus, la cui statua egli aveva visto a Roma, [39] è una dimostrazione del fatto che egli poteva credere nella deificazione di uno straniero come Dio Supremo, nella sua generazione, in una nazione con culti antichi. Essendo la cosa impossibile, siamo lasciati al dato che Sem o Semo o Sem-on = Grande Sem fu ampiamente adorato in Samaria, come altrove nel vicino Oriente. [40]
Ritornando al soggetto del “mago Simone” nel suo Dialogo con Trifone, [41] Giustino vi ripete che i samaritani lo chiamano “Dio al di sopra di ogni potere, e autorità, e potenza”. Ricordando che lo Shema ebraico, “il Nome”, è l'appellativo comune di Jahvè, notiamo possibilità di sincretismo riguardo cui possiamo solo speculare. Il fatto che gli ebrei chiamarono realmente il loro Dio in generale con una parola che significa “Nome” e lo eguagliarono anche al più comune nome semitico del Dio-Sole, mentre nei loro testi sacri essi modificarono deliberatamente il nome sacro (modificando le consonanti) ad Adonai = Signore (“plurale maiestatis”), il nome del Dio siriano Adone, è una circostanza che non è mai stata considerata dagli studiosi di ierologia. Suggerisce che il Sem samaritano potrebbe essere stato anche “conosciuto” con altri nomi; e il fatto certo della commemorazione speciale di Giosuè tra gli ebrei samaritani offre un altro terreno per una speculazione. Le parole di Gesù alla donna samaritana nel quarto vangelo, “Voi adorate quel che non conoscete”. sembrano significare che dal punto di vista giudeo-alessandrino i samaritani adoravano soltanto un nome.
Ciò che emerge chiaramente è che la Samaria recitò una parte considerevole negli inizi del Cristismo. In un passo curioso del quarto vangelo (8:48) gli ebrei dicono a Gesù, “Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?”: ed egli risponde con una negazione di avere un demone, ma non fa alcuna risposta all'altra accusa. Il fatto che Matteo fa esplicitamente proibire al Fondatore che i suoi discepoli entrino in ogni città dei samaritani, mentre un interpolatore di Luca [42] introduce la storia del buon samaritano per contrastare la dottrina, ci dice che ci fu una divisione tra Crististi samaritani e giudaizzanti proprio come ci fu tra i giudaizzanti e i gentilizzanti in generale. Dalla Samaria, allora, provenne parte dell'impulso all'intero movimento gentilizzante; e Giustino il samaritano manifesta abbastanza chiaramente l'animosità anti-ebraica.
Che il Gesuismo samaritano, allora, potrebbe presto aver superato il Gesuismo paolino nel fare di Gesù “il Dio Unico”, in rivalità coll'ebraico Jhavè, è una possibilità riconoscibile. Ma ancora non raggiungiamo la concezione di un culto zelotamente monoteista, che si basa specialmente su una polemica del monoteismo. Giustino combatte per il monoteismo contro il paganesimo, ma sulla comune base giudeo-cristiana. Questa è una fase polemica più tarda. E né la tesi di un nuovo monoteismo sembra del tutto essenziale al resto della concezione del Professor Smith della nascita del Gesuismo. Egli riconosce che si espanse da un culto disseminato di misteri segreti: la nozione, allora, che fosse al tempo della sua aperta comparsa principalmente un vangelo del Dio Unico, e che quel Dio fosse Gesù, è apparentemente in eccesso rispetto alla prima ipotesi. È anche alquanto incongruente con l'accettazione del fatto storico che si diffuse come una religione popolare, in un mondo che desiderava Dèi salvatori. [43] Gli Dèi Salvatori abbondavano nel politeismo; la stessa concezione è principalmente politeista; e noi tutti sappiamo che il natura e il carattere dei primi convertiti in generale è incompatibile con la loro raffigurazione di zeloti per una concezione di divinità astratta e filosofica. Se prendiamo le epistole ai Corinzi come autentiche oppure come pseudo-epigrafiche, essi sono chiaramente rivolte ad una comunità di sempliciotti, non dedita ad un idealismo monoteista, e in effetti incapace di esso.
Nell'ipotizzare, inoltre, un rapido “trionfo” del Cristismo in virtù del suo monoteismo, il Professor Smith mi sembra esulare alquanto dai fatti storici. Non c'è realmente nessuna prova di qualche rapido trionfo. Renan dopo aver accettato come Storia il ditirambo pentecostale degli Atti, giunse ad osservare che non accadde mai una simile diffusione quasi-miracolosa della fede; e che le epistole paoline presuppongono tutte non grandi chiese ma “piccole Betili”, o piuttosto private conventicole, sparse per tutto l'Impero orientale. [44] Egli dubitò a ragione se i convertiti di Paolo, tutto sommato, ammontassero a oltre un migliaio di persone. Ad un periodo molto più tardo, sessant'anni dopo l'adozione della fede da parte di Costantino, l'allora chiesa antica di Antiochia, la città dove per prima i Gesuisti “furono chiamati cristiani”, numerava solo la quinta parte circa della popolazione. [45] “Alla fine del secondo secolo, probabilmente neppure la centesima parte delle province centrali dell'Impero romano fu cristianizzata, mentre le province periferiche erano praticamente non influenzate.”
Invece sembriamo destinati a concludere che il cristianesimo si fece strada assimilando idee e usanze pagane su una base di organizzazione ebraica. È in ultima istanza un'organizzazione che conserva i culti; e il fattore vitale nel caso cristiano è l'adattamento del modello istituito dalle sinagoghe ebraiche e la loro supervisione centrale. Naturalmente anche un'organizzazione non può scongiurare una conquista bruta: e gli organizzati culti pagani nelle città dell'Impero declinarono in ultima istanza di fronte alla violenza cristiana come il culto cristiano declinò di fronte alla violenza in Persia nell'età dei Sassanidi. Ma l'organizzazione cristiana, migliorando quella ebraica, senza nessuna opposizione adeguata dal lato pagano, generò la situazione in cui Costantino ritenne opportuno imperializzare il culto, in quanto quello meglio adatto a diventare il culto dello Stato.
Come cominciò e crebbe l'organizzazione allora? I dati puntano insistentemente ad un gruppo speciale di Gerusalemme: e dietro il mito dei vangeli noi abbiamo un terreno storico e documentario per un'ipotesi che può spiegare quello al pari degli altri elementi del mito.

§ 2. Il Silenzio di Flavio Giuseppe

Quando stiamo considerando le possibilità di elementi storici sottostanti nella storia evangelica, si potrebbe ben notare da un lato l'aspetto interamente negativo delle opere di Flavio Giuseppe per quella storia, e dall'altro l'apparizione nei suoi scritti di personaggi che portano il nome Gesù. Se i difensori della storicità del Gesù evangelico stessero davvero dalla parte di Flavio Giuseppe come uno storico dell'ebraismo nel primo secolo cristiano, essi dovrebbero ammettere che lui è il più distruttivo di tutti i testimoni contro di loro. Non è semplicemente che il famoso passo interpolato [46] è palesemente spurio in ogni aspetto — nel suo contesto impossibile; il suo linguaggio impossibile di semi-adorazione; il suo “Egli era (il) Cristo”; la sua asserzione della resurrezione; e la sua allusione a “diecimila altre cose straordinarie” di cui lo storico non offre nessun altro cenno — ma che la flagrante interpolazione reca in rilievo mortale l'assenza di ogni menzione del Gesù crocifisso e della sua setta dove una menzione deve essere stata fatta dallo storico se ve ne fossero esistite. Se, per non dire nulla delle “diecimila cose straordinarie”, ci fu qualche movimento di un Gesù di Nazaret con dodici discepoli nel periodo di Pilato, come arrivò lo storico ad ignorarlo completamente? Se, per non dire nulla della storia della resurrezione, Gesù era stato crocifisso da Pilato, come accadde che non c'è alcun cenno di questo episodio in connessione col resoconto di Flavio Giuseppe del tumulto samaritano nel capitolo successivo? E se un credo in un Gesù  Messia ucciso e che ritorna era stato da tempo in piedi prima della caduta del Tempio, come avviene che Flavio Giuseppe non dice nulla di esso in connessione al suo pieno resoconto dell'attesa di un Messia venuto a quel punto?
Con ogni verifica di storiografia leale, non siamo semplicemente forzati a respingere il passo spurio come l'interpolazione più ovvia in tutta la letteratura: siamo costretti a confessare che il “Silenzio di Flavio Giuseppe”, come è insistito dal Professor Smith, [47] è una negazione insormontabile della storica evangelica. Per quel silenzio, nessuna ragione sostenibile si può offrire, sull'assunzione della storicità generale dei vangeli ed Atti. Flavio Giuseppe si dichiara [48] nel suo cinquantaseiesimo anno nel tredicesimo anno di Domiziano. Allora egli era nato attorno all'anno 38. Secondo il suo stesso resoconto, [49] egli cominciò all'età di sedici anni a “fare una sperimentazione delle varie sette che c'erano tra noi” — i farisei, i sadducei, e gli esseni — e in particolare egli trascorse tre anni con un eremita del deserto di nome Bano, che non indossava nessuna veste se non ciò che cresce sugli alberi, non mangiava niente se non cibo selvatico, e si bagnava di giorno e di notte per amore di purezza. Dopo di ciò egli ritornò a Gerusalemme, e si conformò alla setta dei farisei. Nelle Antichità, [50] dopo aver descritto in dettaglio le tre sette prima nominate, egli dà un resoconto di una quarta “setta di filosofia ebraica”, fondata da Giuda il Galileo, i cui seguaci in generale concordano coi farisei, ma sono devoti specialmente alla libertà e dichiarano Dio il loro solo sovrano, affrontando tortura e morte piuttosto che chiamare signore ogni uomo.
Una critica accurata riconoscerà una difficoltà riguardo questa parte. Nel capitolo 2 della Vita, sono specificate “tre sette”, e la parte conclusiva ha l'aria di un'aggiunta posteriore Osservando, comunque, che si dichiara che la setta di Giuda ha cominciato a dare preoccupazione durante il governo di Gessio Florio, quando Flavio Giuseppe aveva una ventina d'anni, è piuttosto comprensibile che egli non dovette dirne nulla quando nominò le sette che esistevano alla sua giovinezza, e che dovette trattarla in una maniera complementare nel suo pieno loro resoconto nelle Antichità. Non è così chiaro perché egli dovrebbe chiamare Giuda nella prima sezione di quel capitolo “un Gaulonita, di una città il cui nome era Gamala” e nella parte finale chiamarlo “Giuda il Galileo”. C'era una Gamala in Gaulonitide un'altra in Galilea. Ma la discrepanza è risolvibile sull'ipotesi che la sesta parte fosse aggiunta qualche tempo dopo la composizione del libro. Non ci sembra un motivo adeguato per ritenerla inautentica.
Su che teoria, allora, dobbiamo spiegare il silenzio totale di Flavio Giuseppe riguardo l'esistenza della setta di Gesù di Nazaret, se ci fosse qualche verità storica nella storia evangelica? Non è di alcun aiuto suggerire che egli l'avrebbe ignorata a causa della sua ostilità ebraica al Cristismo. Egli è ostile alla setta di Giuda il Galileo. Non c'è nulla in tutta la sua opera che suggerisca che egli avrebbe omesso di nominare qualche setta rilevante con una dottrina definitiva e distinta perché non gli piaceva. Sembra molto più probabile, in quel caso, che egli l'avesse descritta e disprezzata o denunciata.
E qui emerge l'ipotesi che egli disprezzò o denunciò la setta cristiana in qualche passo che è stato cancellato da copisti cristiani, forse nello stesso punto ora colmato dal paragrafo falso, dove un resoconto del Gesuismo come di una disgrazia per l'ebraismo sarebbe stato rilevante nel contesto. Questo suggerimento, che è quasi altrettanto plausibile di quello di Chwolson, il quale avrebbe considerato il paragrafo esistente una descrizione di una calamità ebraica, è assurdo. Ed è la possibilità di questa ipotesi che da sola scongiura un verdetto assoluto di non-storicità contro la storia evangelica a causa del silenzio di Flavio Giuseppe. La scuola biografica potrebbe prendere rifugio, a questo punto, nella pretesa che il falsario cristiano, il cui passo fu chiaramente sconosciuto ad Origene, forse eliminò colla sua frode una testimonianza storica alla storicità di Gesù, ed anche un resoconto della setta dei Nazarei.
Ma quello è tutto ciò che si può affermare. Il fatto rimane che nella Vita, parlando della sua giovanile ricerca di una setta soddisfacente, Flavio Giuseppe non dice una parola dell'esistenza di quella del Gesù crocifisso; che da nessuna parte sussurra una parola riguardante i dodici apostoli, o qualcuno di loro, o di Paolo: e che non c'è alcun cenno in alcuno dei Padri di un resoconto  perfino ostile di Gesù da parte sua in qualcuna delle sue opere, sebbene Origene si sofferma molto sull'allusione a Giacomo il Giusto [51] — a sua volta da scartare come interpolazione, come un'altra allo stesso fine citata da Origene, ma non ora esistente. [52] C'è perciò una forte presunzione negativa da porsi contro perfino l'ipotesi speculativa che il passo fabbricato in Flavio Giuseppe da parte di uno scriba cristiano avesse sostituito uno che forniva una testimonianza ostile.
Oltre una generazione fa, il signor George Solomon di Kingston, Jamaica, notando l'incompatibilità generale di Flavio Giuseppe con la storia evangelica e l'aspetto non-storico di quest'ultima, elaborò una teoria interessante, [53] di cui io non ho visto nessuna discussione, ma che merita notizia qui. Si potrebbe sintetizzare così:
1. Bano è probabilmente l'originale storico della figura evangelica di Giovanni il Battista.
2. Flavio Giuseppe nomina e descrive due Gesù, che sono fusi nella figura del Gesù evangelico: (a) il Gesù (Guerra, 6, 5:3) che predice “guai a Gerusalemme”; viene frustrato fino a mostrare le sue ossa, ma non emette mai un grido; non fa nessuna replica quando provocato; non restituisce né gentilezza per gentilezza né oltraggio per oltraggio, ed è infine ucciso da un proiettile di pietra durante l'assedio; e (b) Gesù il Galileo (Vita, Capitoli 12, 27), figlio di Saffia, che si oppone a Flavio Giuseppe, è associato a Simone e Giovanni, ed ha un seguito di “pescatori e povera gente”, uno dei quali lo tradisce (Capitolo 22), al che egli viene catturato con uno stratagemma, mentre i suoi immediati seguaci lo rinnegano e fuggono. [54] Prima di questo punto, Flavio Giuseppe ha preso settanta dei galilei con lui (Capitolo 14) come ostaggi, e, facendoseli suoi amici e compagni durante il suo viaggio, li mette “a giudicare le cause”. Questo è l'indizio per la storia di Luca dei settanta discepoli.
3. Una volta fuso il “Gesù storico” dell'assedio, che è “mite” e venerato come un profeta e martire, col “Gesù Mosaico” di Galilea, un discepolo di Giuda di Galilea, che resistette al dominio romano ed aiutò a precipitare il conflitto, anche la memoria della “setta” di Giuda il Gaulonita o Galileo, che cominciò la rivolta anti-romana, è tramutata in un mito di una setta di Gesù di Galilea, che ha pescatori per discepoli, è seguito da poveri galilei, è tradito da un compagno e abbandonato dal resto, ed è infine rappresentato mentre muore sotto Ponzio Pilato, sebbene a quel tempo non ci fosse stato nessun movimento gesuano.
4. il movimento cristiano, così miticamente fondato, cresce dopo la caduta del Tempio.  La frase di Paolo “ma ormai li ha raggiunti l'ira finale” (1 Tessalonicesi 2:16) parla della distruzione del Tempio, come fa Ebrei 12:24-28; 13:12-14.
Questa teoria della costruzione del mito a partire da elementi storici in Flavio Giuseppe è ovviamente speculativo in una misura elevata; e siccome la ricostruzione fallisce di spiegare o il rito centrale oppure il mito centrale della crocifissione si deve definire inadeguata ai dati. D'altra parte, l'autore sviluppa il caso negativo dal silenzio di Flavio Giuseppe per quanto riguarda il Gesù del vangelo con una forza irresistibile; e sebbene nessuna delle sue soluzioni è fondata nella teoria costruttiva ora elaborata potrebbe essere che alcune di loro siano parzialmente valide. Il fatto che egli confonde Gesù il capo brigante che fu tradito, e i cui compagni lo abbandonarono, con Gesù il “Mosaico” magistrato di Tiberiade, che fu seguito da pescatori e povera gente, e fu “un innovatore più di ogni altro”, non esclude l'argomento che tratti dell'uno o dell'altro, oppure del Gesù dell'assedio, potrebbero essere penetrati nel mosaico evangelico.

§ 3. Il Mito dei Dodici Apostoli

Tutti gli accurati investigatori sono stati perplessi per la maniera dell'introduzione dei “Dodici” nei vangeli; e lo sarebbero stati ancor di più se avessero realizzato l'assenza totale di ogni ragione nei testi per la creazione di discepoli o apostoli. Discepoli per apprendere — che cosa? Apostoli per insegnare — che cosa? La scelta è altrettanto chiaramente mitica come la funzione. In Marco (1:16) e Matteo (4:18), Gesù  esorta i fratelli Simone e Andrea a lasciare la loro pesca e a “diventare pescatori di uomini”. Essi vanno alla parola; e immediatamente dopo i fratelli Giacomo e Giovanni fanno lo stesso. Non c'è nessuna pretesa di un insegnamento precedente: è l'atto del Dio. [55] In Matteo, alla chiamata dell'apostolo Matteo (9:9), che in Marco (2:14) diventa Levi il figlio di Alfeo, la procedura è la stessa: “Seguimi”.
Poi, con nessun sviluppo connettivo di sorta, si procede di colpo al pieno numero. [56] Matteo in realtà rende la missione dei dodici il momento della scelta, dicendo semplicemente (10:1): “Ed egli chiamò a sé i suoi dodici apostoli,” aggiungendo i loro nomi. In Marco (3:13) abbiamo un mito costruttivo:

...Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.

E le liste convergono. Levi ora è scomparso dalla testimonianza di Marco, e abbiamo invece Giacomo il figlio di Alfeo”, ma con Matteo inclusovi anche. e liste dei primi due sinottici sono state armonizzate. In Luca, dove solo tre sono chiamati al principio, dopo un miracolo (5:1-11), i dodici sono anche scelti sbrigativamente su una montagna; e qui la lista varia: Levi, che è stato chiamato separatamente (5:27) come in Marco, scompare anche qui a favore di “Giacomo di Alfeo”; ma non c'è nessun Taddeo, e ci sono due Giuda, uno che è “di Giacomo”, che potrebbe significare o un figlio o un fratello. E questo Giuda rimane sulla lista negli Atti. Una candida critica non può affermare che noi abbiamo qui la parvenza di una biografia veridica. La chiamata dei dodici è stata imposta ad un racconto più antico, con una lista arbitraria, che è variata successivamente. La chiamata dei pescatori, per cominciare, è un atto simbolico, come lo è la chiamata di un esattore di tasse. La chiamata dei dodici è una materia più complicata.
 Nella ricerca delle radici di un culto pre-cristiano di Gesù in Palestina, abbiamo notato la probabilità che esso era incentrato in un rito di dodici partecipanti, con l'“Unto”, il rappresentante del Dio, e anticamente la vittima reale, come  sacerdote celebrante. L'Unto è “il Cristo”; e il Cristo, secondo l'ipotesi, è Gesù Figlio del Padre. I dodici, come nel caso dell'antico culto di Gesù a Efeso, formano com'erano “la Chiesa”. Un corpo di dodici, allora, che avrebbero potuto definirsi “Fratelli del Signore, potrebbero proprio essere stati uno dei punti di partenza del Gesuismo ebraico.
Ma i primi due sinottici, chiaramente, iniziarono con un gruppo di soli quattro discepoli, a cui fu aggiunto un quinto; e in Giovanni (1:35-49) i cinque sono introdotti di colpo, in una maniera ancor più soprannaturale che nei sinottici, con due che sono presi dal seguito di Giovanni il Battista. Allora, ancor più bruscamente che nei sinottici, abbiamo il completamento (6:60): “Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo”. Sarebbe inutile dire semplicemente che i dodici sono imposti rapidamente al racconto, lasciando un cinque biografico: i cinque sono dati evidentemente in maniera proprio altrettanto non-storica, per qualche ragione speciale, mitica o altra.
Ora, sebbene cinque e quattro e tre sono tutti numeri quasi sacri nell'Antico Testamento, è degno di nota che in una delle allusioni talmudiche a Gesù Ben-Stada si dichiara che egli ha avuto cinque discepoli — Matthai, Nakai o Neqai, Nezer o Netzer, Boni o Buni, e anche Thoda, di cui è descritto apparentemente sebbene non esplicitamente che sono stati tutti messi a morte. [57] Poichè questo passo punta al Gesù che è altrimenti indicato un Gesù post-cristiano, non può venir preso criticamente come nient'altro che un riferimento ad una corrente lista cristiana di cinque, sebbene potrebbe essere stato plausibilmente un riferimento fuorviante al Gesù del regno di Alessandro Ianneo. In ogni caso, si rivolge ad un insieme di cinque; non c'è mai alcuna menzione talmudica di un dodici. Se, allora, il passo talmudico fu fabbricato allo scopo di un attacco contro i cristiani esso deve essere stato fatto ad un tempo quando la lista di dodici non era stata imposta sui vangeli. Inoltre, si deve notare che esso assegna ad un Matteo, e forse ad un “Marco”, il nome “Nakai” che è posto di seguito al nome di Matteo; mentre in Boni e Netzer abbiamo apparenti fondatori degli ebioniti e dei Nazarei. Infine, Thoda sembra simile ad una forma nativa di Taddeo; sebbene forse sarebbe potuto stare per il Teuda di Atti 5:36. Constatando come sono manipolati nella lista ufficiale e nelle varianti dei manoscritti (“Lebbeo il cui soprannome fu Taddeo” figurava nella Versione Autorizzata, in forza del Codex Bezae), non si può sostenere che la lista di Gemara non sia eventualmente una forma o base antica di quella nei sinottici; sebbene d'altra parte i nomi Boni e Netzer suggeriscono un'origine mitopoietica per ebioniti e nazareni. Lasciando a parte questa questione come parte del problema irrisolto del Gesù talmudico, noi siamo di nuovo condotti a notare l'apparizione non-storica dei dodici.
Seguendo i documenti, troviamo egualmente non veridiche le tracce successive. Matteo è introdotto negli Atti come uno che è scelto per arrivare al numero dodici, alla morte di Giuda; ma mai di nuovo è menzionato questo processo; e Matteo non recita nessuna parte nel racconto ulteriore. E naturalmente il culto fu interdetto da un ulteriore mantenimento del numero non appena si stabilì che i dodici dovevano sedere su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele, il che apparentemente era stato fatto nell'antica forma ebraica dell'Apocalisse prima che fosse intimato nei vangeli. Anche nelle epistole, comunque, non c'è una vera traccia di un attivo gruppo di dodici. Il numero è menzionato solamente in un passo (1 Corinzi 15:5) dove c'è un'interpolazione su un'interpolazione, poichè dopo la dichiarazione che il Gesù risorto apparve “poi ai dodici” vi segue brevemente “poi a tutti gli apostoli”, cioè, sull'assunzione tradizionalista, ai dodici di nuovo — dato che non è riconosciuta l'esclusione di Giuda. La clausola citata per prima avrebbe potuto essere interpolata allo scopo di inserire il numero; la seconda non avrebbe potuto essere stata inserita se l'altra lo fosse stata già.
Quella è la sola allusione. Non ne troviamo nessuna dove avremmo potuto aspettarla soprattutto, nell'epistola pseudo-biografica ai Galati, sebbene ci sia una menzione nel capitolo di apertura a “coloro che furono apostoli prima di me”, “gli apostoli”, “Giacomo il fratello del Signore” (mai menzionato come un apostolo nei vangeli a meno che non sia Giacomo il figlio di Alfeo oppure Giacomo il figlio di Zebedeo: cioè, non un fratello di Gesù ma semplicemente fratello di un gruppo), e “Giacomo e Cefa e Giovanni, che erano [oppure sono] reputati pilastri”. Il linguaggio usato nel verso 6 esclude l'idea che lo scrittore credeva che “gli apostoli” avessero avuto una relazione personale col Fondatore. Così perfino in un'opera pseudoepigrafica, composta dopo il tempo di Paolo, non c'è una suggestione che egli dovesse trattare coi dodici postulati dai vangeli e gli Atti. E tutto questo mentre “apostoli” senza numero continua a figurare nei documenti. Essi furono in realtà una classe numerosa nella Chiesa antica. Non è sorprendente che il tardo Professor Cheyne non solo rigettò la storia del Tradimento ma dichiarò che “I 'Dodici Apostoli', pure, sono per me  non-storici tanto quanto i settanta discepoli”. [58] D'altra parte, abbiamo una ragione decisiva per l'invenzione della storia dei Dodici nell'Insegnamento dei Dodici Apostoli riscoperto di recente [59] (citata comunemente come la Didaché), un documento corrente a lungo nella chiesa antica. Di quel libro, i primi sei capitoli, formando quasi metà del materiale, sono puramente etici e monoteisti, sviluppando l'antica formula delle “Due Vie” di vita e morte; e non dicendo nulla di Gesù o Cristo o del Figlio, o di un battesimo o di un sacramento. Poi viene un'interpolazione chiaramente recente, che dà una formula per il battesimo nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Anche nella nona sezione, che tratta dell'Eucarestia, abbiamo solo “la santa vite di Davide tuo Servo, che tu ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo Servo”. [60] La decima sezione, che è evidentemente più tarda, ed è scritta a mò di conclusione, trattiene quella formula. Dopodiché figurano ammonimenti contro falsi apostoli e profeti; e solo nella dodicesima sezione capita la parola “cristiano”. Ancora più tardi vi è specificato “il giorno (κυριακήν) del Signore”. Poi viene una prescrizione per l'elezione di vescovi; e il documento termina con un capitolo che prepara per gli attesi “ultimi giorni”.
Qui abbiamo un documento originariamente ebraico, che reca il titolo Insegnamento dei Dodici Apostoli, adottato e gradualmente espanso dai primi Gesuisti che non deificarono Gesù, sebbene come i primi cristiani in generale essi attesero l'imminente fine del mondo. Sebbene il loro Gesù non è deificato, egli non ha un cognome. Non è né “di Nazaret”, e neppure “il Nazireo”, ed è una figura apparentemente mitica, non un maestro ma il fondatore di un rito, per i suoi seguaci. Essi non appartengono ad una Chiesa organizzata; e la sezione battesimale, con la sua formula trinitaria, è quasi certamente una delle più recenti di tutte. L'ottava sezione, che si collega abbastanza naturalmente alla sesta, e che contiene la “Preghiera del Signore”, solleva l'interrogativo sulla sua appartenenza al documento pre-cristiano, e sia stata semplicemente interpolata con la frase relativa a “il Signore . . . suo vangelo”. Ci sono ragioni forti per considerare la Preghiera del Signore una composizione ebraica pre-cristiana, [61] basata su preghiere semitiche molto antiche. Vedendo che “il Signore” ha significato chiaramente “Dio” e non “Cristo” in tutte le sezioni precedenti del trattato, il passo circa il vangelo è probabilmente gesuista; ma non segue del tutto che lo sia la Preghiera.
Il signor Cassels, nel paragrafo sull'Insegnamento da lui aggiunto nella ristampa in un unico volume del suo grande lavoro, punta [62] al fatto che nel frammento riscoperto di una traduzione latina di una versione antica delle “Due Vie”, non capitano i passi associati al Discorso della Montagna che si ritrovano nell'Insegnamento; e poichè lo stesso vale della sezione delle Due Vie dell'Epistola di Barnaba, si potrebbe sostenere chiaramente che fosse una mano cristiana ad aggiungerli qui. Ma quando notiamo che nei punti in cui i passi nell'Insegnamento variano dal vangelo — come “gentili” al posto di “esattori di tasse”, [63] — il termine nel primo documento è perfettamente naturale per maestri ebrei che si rivolgono ad ebrei in regioni gentili, e che nell'ultimo documento è piuttosto forzato in un'esortazione agli ebrei nella loro stessa regione, diventa davvero plausibile che questo sia l'originale, o una forma anteriore, del passo evangelico. Il Discorso della Montagna è certamente una compilazione. Questo allora potrebbe essere stato una delle fonti. Ed è piuttosto plausibile che gli Apostoli ebrei dovessero insegnare al loro popolo non di pregare “come fanno gli ipocriti”, un'espressione che il signor Cassels assume sia diretta da Gesuisti contro gli ebrei in generale.
Vedendo che perfino critici conservatori hanno ammesso la probabile priorità dell'Insegnamento rispetto a Barnaba, non è una forzatura delle probabilità suggerire che la sezione delle Due Vie di Barnaba sia o una variante, ispirata dall'Insegnamento, oppure ciò che fu chiaramente una linea davvero popolare di un'omelia, [64] oppure una cooptazione di un'altra omelia ebraica di quel tipo. Quella nell'Insegnamento è specificamente il miglior pezzo dell'opera, come dovremmo aspettare che sia il manuale ufficiale degli Apostoli del Sommo Sacerdote. È inesatto dire, come fa il dottor M. R. James, [65] che la sezione “riappare” in Barnaba. Ci cono molte differenze, come pure molte somiglianze. L'altra non è una mera copia, ma un esercizio sullo stesso tema standard, con “luce e oscurità” invece del più forte “vita e morte”. È un errore supporre che ci fosse un “originale” definitivo delle “Due Vie”: è un tema etico consolidato, evidentemente manipolato da molti. [66] Se, allora, l'Insegnamento precedeva Barnaba, esso potrebbe già aver contenuto, nella sua forma puramente ebraica, la Preghiera del Signore, la quale è così completamente ebraica, ed elementi del Discorso della Montagna, che è certamente una compilazione ebraica. E la giustificata presunzione critica è che esso non li conteneva. L'onere della confutazione risiede sul lato cristiano.
Ora raggiungiamo la nostra soluzione. Il documento originale fu in ogni caso un manuale di insegnamento utilizzato tra gli ebrei sparsi e proseliti della Diaspora dai veri e storici Dodici Apostoli o del Sommo Sacerdote prima oppure del Patriarca dopo la caduta di Gerusalemme. L'esistenza storica di quel corpo prima e dopo la catastrofe è indiscussa; [67] e la natura delle sue funzioni di insegnamento può essere dedotta fiduciosamente dalla nota diffusione di un insegnamento etico ebraico nel primo periodo cristiano. La dimostrazione di ciò è fornita da un esperto della scuola biografica che ritiene che l'Insegnamento  sia stato “noto a Gesù e al Battista”. [68] L'Insegnamento primario, comprendendo come fa probabilmente la Preghiera del Signore, è la cosa più antica; i vangeli lo utilizzano. È in realtà uno dei primi documenti del “cristianesimo”, se non il primo. Ed i suoi titolari “dodici apostoli” sono ebrei e non cristiani.
Dato, allora, questo documento nelle mani di un'antica organizzazione gesuista — o una delle organizzazioni — dodici apostoli dovevano essere introdotti nella leggenda per attribuirsi il credito per l'Insegnamento. [69] Il nuovo culto, una volta che  fu formato al fine di soppiantare l'antico, doveva provvedersi a quella misura, tramite un mito, dello stesso apparato. Nessuna fase nella teoria mitica è stabilita meglio di questa; e nessun elemento non-miracoloso nella leggenda è più recalcritrante della storia dei dodici alle assunzioni della scuola biografica. La lista evangelica dei dodici è una delle cose più ingestibili nella documentazione. In un racconto privo di dettagli dove dettagli sono più richiesti, otteniamo una lista di nomi, molti dei quali non contano per nulla nella storia più recente, per dare un'apparenza di realtà ad un'istituzione inventata. Abbiamo chiaramente un dettaglio non-storico riguardo i cinque, nessun dettaglio di sorta riguardo ulteriori ascensioni, e poi un corpo di dodici costituito rapidamente. Per alcuni di noi, la scoperta dell'Insegnamento fu un punto definitivo di partenza nel progresso verso la teoria-mitica; e ci fornisce il più fermo punto di partenza per la nostra ricostruzione teorica del processo tramite cui prese forma l'organizzata Chiesa cristiana.


§ 4. Il Processo di Propaganda

Sulla vista qui assunta, ci fu a Gerusalemme, in qualche tempo nel primo secolo, un piccolo gruppo di “apostoli” gesuisti tra cui i principali potrebbero essere stati chiamati Giacomo, Giovanni, e Cefa. Essi potrebbero essere stati membri di un gruppo rituale di dodici, che potrebbero essersi definiti Fratelli del Signore; ma quel gruppo non corrispondeva in alcun modo ai Dodici dei vangeli. Del gruppo di apostoli il numero fu indefinito. Oltre agli apostoli, inoltre, sembrerebbe esserci stato un numero indefinito di “profeti”, indicativi di un culto di una data alquanto antica. I seguaci credevano in un Gesù non-storico, il “Servo” del Dio ebraico, in qualche modo evolutosi dal remoto Dio-Gesù che è ridotto ad uno status umano nell'Antico Testamento come Giosuè. E il loro rito segreto centrale consisteva in un sacramento simbolico, evolutosi da un antico sacramento di sacrificio umano, in cui la vittima era stata il rapprentante del Dio, sacrificata al Dio, alla maniera di un centinaio di culti primitivi. Questo rito era stato accompagnato a memoria d'uomo, se non ancora al tempo da cui partiamo, da un rito popolare annuale in cui una persona selezionata — probabilmente un criminale liberato allo scopo — era trattata come un re temporaneo, poi deriso, e poi  condannato a morte o in una finta rappresentazione oppure in realtà, sotto il nome di Gesù Barabba, “il Figlio del Padre”.
Di questo culto antico ci furono plausibilmente molti centri sparsi al di fuori della Giudea, compreso probabilmente alcuni in Samaria, la regione speciale della celebrazione del Dio-Eroe Giosuè. Ci fu un gruppo del genere ad Efeso; e probabilmente un altro ad Alessandria, ed un altro ad Antiochia; gli ebrei della Diaspora avevano eventualmente assunto il culto con loro. Ma il culto al di fuori dell'ebraismo potrebbe avere avuto radici non-ebraiche, sebbene si fuse con elementi ebraici. Finché perdurò il Tempio di Gerusalemme, il minuscolo culto contò davvero poco; e fu probabilmente dopo la caduta di Gerusalemme [70] che i suoi capi aggiusero al loro apparato il rito del battesimo, che i vangeli sinottici trattano come una specialità del movimento di Giovanni il Battista. Lui lo rappresentano come un “precursore” del Cristo, che sotto un'ispirazione divina riconosce le rivendicazioni messianiche di Gesù. Tutto questo è chiaramente non-storico, perfino sull'assunzione della storicità di Gesù. [71] Qualunque potrebbero essere i fatti storici relativi a Giovanni il Battista, che è una figura davvero dubbia, [72] la marcata divergenza tra i sinottici e il quarto vangelo sul soggetto del battesimo [73] mostra che quel rito non fu originariamente gesuista, ma fu adottato dai Gesuisti come un mezzo di attrazione popolare.
Il riconoscimento di questo fatto è una verifica della buona fede critica di coloro che professano di trovare nei sinottici una Storia degli inizi del culto Gesuista. Canon Robinson [74] tratta come indiscutibilmente storica una delle dichiarazioni contradditorie in Giovanni 4:1-2, di cui la prima afferma che Gesù battezzò abbondantemente, mentre la seconda, una parentesi evidentemente interpolata, asserisce che solo i discepoli battezzarono, non Gesù. Sebbene quest'interpolazione dipenda dal primo detto, il Canon lo accetta ad esclusione di quello, la sua base. Ma lo scrittore originale non poteva aver posto la proposizione così se vi avesse creduto. Ciò che affermò fu un'abbondante pratica battesimale da parte di Gesù. Di questa, comunque, i sinottici non ne fanno più cenno di quanto ne fanno del battesimo da parte dei discepoli. Su ogni ipotesi possibile della composizione dei sinottici, è inconcepibile che essi dovessero omettere ogni menzione di un battesimo da parte di Gesù o dei discepoli se tale pratica fosse affermata nella tradizione antica. Per loro il battesimo è l'istituzione del Precursore, che è rappresentato miticamente mentre saluta in Gesù il suo successore o sostitutore, senza alcuna suggestione di una continuazione del rito. Se dev'esserci qualche coerenza critica nell'argomento biografico, deve riconoscere almeno che il battesimo non è gesuano.
La realizzazione del rito del battesimo sulla base della presunta acclamazione di Gesù come il Messia da parte del Battista, o portò con esso oppure seguì la rivendicazione che Gesù, fino ad allora considerato un semplice Dio-Salvatore, fu un Messia. Dopo la caduta di Gerusalemme, il vecchio sogno di un Messia terreno che doveva restaurare il Regno di Giuda su Israele [75] fu frantumato per la vasta maggioranza degli ebrei. Perfino nell'Assunzione di Mosè, principalente l'opera di un fariseo quietista, scritta in ebraico probabilmente tra il 7 e il 29 del primo secolo, [76] c'è un abbandono virtuale del messianismo, dato che il compito di travolgere i gentili fu assegnato a “l'Altissimo”. [77] Nella composita Apocalisse di Baruc, scritta in ebraico, principalmente da ebrei farisei, nell'ultima metà del primo secolo, probabilmente come una polemica implicita contro l'antico Gesuismo, [78] assistiamo all'effetto della catastrofe. Nelle sezioni scritte prima della caduta di Gerusalemme, è proclamata la speranza di un Regno Messianico; in quelle scritte più tardi c'è o al più una speranza di un Regno Messianico senza un Messia oppure un abbandono completo di aspettative mondane. [79] Ciò che fece il movimento gesuista fu sviluppare, al di fuori dell'ebraismo, [80] la più antica nozione di un Messia “nascosto”, precostituito, e che giunge dal cielo per effettuare la distruzione di tutte le cose terrene. [81]
Questo messianismo potrebbe aver o preceduto o continuato un'adozione del rito del battesimo. Dato un ricorso al messianismo dai Gesuisti dopo la caduta di Gerusalemme, la presunta testimonianza del Battista di Gesù come il Prescelto avrebbe potuto essere il primo passo; e il ricorso al rito battesimale avrebbe seguito il mito che Gesù era stato veramente battezzato da Giovanni. In Atti 1:5, a Gesù si fa effettivamente rappresentare il battesimo di Giovanni con acqua come soppiantato da un battesimo nello Spirito Santo. [82] Nelle epistole paoline abbiamo traccia di un conflitto su questo come su altre pratiche ebraiche, a Paolo venendo fatto dichiarare (1 Corinzi 1:17) che “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad evangelizzare” sebbene egli ammetta di aver battezzato per un pò. [83] Tutto ciò che è chiaro è che i Gesuisti non erano principalmente battezzatori; che essi cominciarono a battezzare “nel nome di Gesù Cristo”, [84] con una formula dello Spirito Santo e col fuoco, ma in realtà nella maniera tradizionale con acqua; e che molto tempo dopo essi finsero  che il Fondatore avesse prescritto il battesimo con una formula trinitaria. [85]
Fin qui, il movimento locale fu non solo ebraico ma giudaico. Potrebbe o non potrebbe essere stato prima della caduta di Gerusalemme che un “apostolo” gesuista di nome Paolo concepì l'idea di creare mediante propaganda un nuovo movimento giudeo-gesuista che si rivolgesse ai gentili. Questa idea non è l'invenzione di Paolo o di qualche altro Gesuista; l'idea di un Regno Messianico in cui i gentili dovrebbero essere salvati è trovata nell'ebraico Testamento dei Dodici Patriarchi, scritto in ebraico da un fariseo tra gli anni 109 e il 106 A.E.C. [86] Ma, resa così corrente, sarebbe potuto ben essere adottata dai Gesuisti. La ragione per supporre che questo sia cominciato prima dell'anno 70 non è semplicemente la tradizione relativa a quell'effetto ma il fatto che in nessuna delle epistole abbiamo qualche traccia di quel “vangelo del Regno” che nei sinottici è presentato come il vangelo di Gesù. Quel vangelo, che è una semplice duplicazione del presunto vangelo del Battista, e che abbiamo osservato essere totalmente mitico, essendo privo di un possibile contenuto storico, [87] è parte dell'apparato della retrospettiva rivendicazione messianica. Ma le epistole paoline, proprio come non mostrano nessuna conoscenza del nome Nazaret, o Nazareo, o Nazareno, o di qualche insegnamento evangelico, non mostrano neanche nessun interesse ad un “vangelo del Regno”. Al di là se siano o meno, allora, totalmente pseudoepigrafiche, esse suggeriscono che un Paolinismo di qualche tipo fu un aspetto antico nell'evoluzione gesuista.
Secondo gli Atti, il nome di Paolo era originariamente Saul, sebbene non è mai fatta nelle epistole quest'ammissione. Lo scopo della dichiarazione sembra essere di rafforzare il caso relativo alla sua nazionalità ebraica, che è rivendicata nelle epistole, come lo è l'elemento che egli era stato un persecutore sanguinario dei primi Gesuisti. Tutto questo suggerisce una manipolazione posteriore delle tradizioni di un'antica rivalità. Affermare che l'apostolo gentilizzante fosse stato un ebreo nato e cresciuto sarebbe stato altrettanto naturale dal lato gentilizzante come presumere che il Pietro tipicamente giudaizzante avesse rinnegato il suo Signore; mentre l'accusa di perseguitare la chiesa nascente sarebbe un'invenzione non meno naturale dei cristiani giudaizzanti che accettarono la tradizione che Paolo fosse stato un fariseo ed un allievo di Gamaliele. In effetti, troviamo  gli ebioniti, i tipici Gesuisti giudaizzanti, che lo conoscono semplicemente come “Paolo di Tarso” nella loro versione degli Atti oppure in un documento precedente sul quale quella si basò. [88] E molti studiosi ebrei hanno dichiarato di non potere concepire che le epistole paoline fossero state scritte da un ebreo istruito alla maniera rabbinica. [89] Questo non impedisce la possibilità che il Paolo originale, delle cui “alcune epistole molto brevi” scritte personalmente  [90] non abbiamo probabilmente nulla lasciato che sia identificabile, [90]  potrebbe essere stato un ebreo simile, ma la presunzione è il contrario.
Sulla superficie del caso, niente fu più naturale del fatto che il movimento gesuista si dovesse rivolgere a gentili civilizzati. Lo stesso ebraismo fece così, lottando parecchio per i proseliti. La questione era se i proseliti gesuisti dovevano essere fatti su una base strettamente ebraica. Ora, anche se la caduta di Gerusalemme non avesse procurato l'impulso ad una separazione del culto dalla religione dominante, colla scomparsa del tempio sacro, è ovvio che un abbandono di un simile ostacolo ebraico come la circoncisione avrebbe dato al culto nascente un grande vantaggio rispetto all'altro in una propaganda tra gentili. La circoncisione dev'essere stata un dettaglio altamente disgustoso per i gentili ellenistici in generale; ed un vangelo che ne faceva a meno avrebbe una nuova chance di farsi strada. E questa separazione avvenne certamente, sebbene non possiamo porre nessun affidamento sulla cronologia degli Atti. [92] Paolo [93] rimane una figura dubbiamente datata, perchè la cronologia dell'intero culto è problematica.
Ma possiamo generalmente distinguere tra un Cristismo “petrino” ed un Cristismo “paolino”. Negli Atti (2:22-40), che chiaramente rappresenta una tradizione più antica, anteriore a quella dei vangeli, il Gesù Cristo predicato da Pietro non è rappresentato come un sacrificio salvifico. Altrettanto poco è lui un Maestro, sebbene sia un autore di “miracoli, prodigi e segni”. Se dovessimo applicare il metodo biografico, il presentimento avrebbe potuto stare a intendere il Gesù talmudico. Solo dopo la sua resurrezione “Dio lo ha costituito Signore e Cristo” — cioè, Messia; e gli ascoltatori ebrei sono intimati a “pentirsi” e a farsi “battezzare . . .  nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati”. Il Gesù di Pietro, come lui dell'Insegnamento, è il “Servo” di Dio, non suo Figlio. E non c'è nessuna menzione di un sacramento, sebbene si nota una “frazione del pane” (42, 46) che ricorda il (pane) “spezzato” della Didaché. Il sacramento, allora, fu apparentemente un rito secreto per il gruppo ebraico.
I discorsi, naturalmente, sono del tutto non-storici: possiamo ritenerli una rappresentazione di un insegnamento “petrino” tradizionale, con materiale più tardo. Quindi abbiamo il battesimo che figura come un rito gesuista, laddove nei sinottici, come abbiamo visto, non c'era stata una cosa del genere. La storia di Pietro che viene portato alla veduta pro-gentile è puro mito ecclesiastico, probabilmente posteriore alle epistole paoline, che sono ignorate ma contrastate nella misura in cu esse presentano una rivalità tra la propaganda paolina e petrina. A Pietro e a Paolo in egual misura si fa insegnare che “era stato necessario che il Cristo soffrisse” (3:18; 17:3), proprio come essi duplicano i loro miracoli, le loro fughe, e le loro tribolazioni. Ma mentre si pretende che Pietro avesse accettato il Gentilismo, è Paolo che agisce sul principio; ed egli è colui che viene rappresentato per prima mentre combatte il politeismo pagano, in particolare ad Efeso (19:26). Ad Atene, in un discorso chiaramente fittizio, gli si fa esporre il “Dio ignoto” di un culto agnostico ateniese nei termini di un'opposizione ebraica all'idolatria, indicando Gesù semplicemente come “un uomo” resuscitato dai morti da Dio per giudicare il mondo al giorno del giudizio. È dopo quest'episodio che gli si fa dire agli ebrei di Corinto che egli “d'ora in poi andrà ai gentili”. Nondimeno lo si fa andare a predicare agli ebrei. Il racconto nella sua totalità è chiaramente fittizio: tutto ciò che possiamo sperare di fare è individuare alcuni dei suoi fatti storici.
Due cose si devono tenere in vista chiaramente e costantemente: primo, che ciò che comprendiamo tramite una coscienza letteraria e storica semplicemente non esisteva nel primo ambiente cristiano; secondo, che in tutta probabilità il libro degli Atti, che per cominciare sarebbe una fusione di tradizione e finzione, è parecchio manipolato durante un lungo periodo. Non siamo titolati ad assumere che uno scrittore “originale” duplicò le carriere di Pietro e Paolo a fini di propaganda. Uno o più potrebbero aver fabbricato una narrazione, e una mano o più successiva potrebbe aver interpolato sistematicamente l'altra. [94] Dobbiamo ricordare inoltre che fu un'epoca in cui la maggior parte dei cristiani, assimilando l'escatologia degli persiani e degli ebrei — il sogno spontaneo di popoli schiacciati — aspettarono l'imminente fine del mondo, e fecero il loro pensiero su quella base. In questo stato mentale, il pensiero critico non poteva esistere se non come un piccolo elemento nella polemica religiosa.
Vediamo cosa raggiungiamo sull'ipotesi che l'antico Gesuismo anche nel primo secolo, ed eventualmente perfino prima della caduta di Gerusalemme, stesse attraversando due canali diversi — un movimento seguace dell'usanza ebraica, che fa di Gesù il Servo di Dio, e lo concepisce come un Guaritore per grazia divina la cui morte lo sollevò allo status del Messia, il promesso Cristo o Unto che dovrebbe o terminare la scena terrena oppure inaugurare per gli ebrei una nuova era dominata da Dio. Per i detentori di questa vista, il Regno di Dio stava arrivando. Gesù doveva presto giungere sulle nubi in gran gloria e inaugurare la nuova vita. Esigere concezioni chiare su questa materia da menti simili sarebbe inutile. Non ce n'erano nessuna. L'unica idea connessa col vangelo mitico fu che gli ebrei avrebbero dovuto pentirsi e prepararsi per la nuova vita. A quel minimo elusivo l'analisi biografica più recente, assumendo la storicità, riduce il “ministero” del Gesù evangelico. [95] Il resto è tutta espansione post-apostolica. D'altra parte, il Gesù petrino ha provato la sua missione ai suoi devoti, dal primo all'ultimo, mediante miracoli, e mediante la sua resurrezione — cose che la scuola biografica respinge come immaginarie.
In questo movimento vi entra un innovatore, Paolo di Tarso. Attorno a lui, come attorno a Pietro, ci sono nuvole di mito. Che egli fu originariamente Saulo, un fariseo, un allievo di Gamaliele; che egli cominciò come un feroce persecutore dei Gesuisti; e che fu convertito da una visione soprannaturale, diventano dati comuni per la chiesa. Che l'accusa di persecuzione fosse una finzione giudaizzante, d'altra parte, è forse altrettanto probabile come il fatto che la storia del rinnegamento di Pietro del suo Maestro fosse una finzione gentile. Noi siamo in un mondo di deliberata finzione. Ma l'ampia divergenza di dottrina sembra sottostare a tutte le favole. Saul, sulla vista più recente, cambia il suo nome ebraico al greco Paolo quando decide di rendere non-ebraico il culto di Gesù usando la tattica del monoteismo contro il politeismo pagano in generale, nello stesso atto di aggiungere un Dio-Figlio al Dio-Padre ebraico, come così molti Dèi-Figli erano stati aggiunti a Dèi-Padri attraverso la Storia religiosa. Agli antichi Gesuisti ebrei, la nozione del Figlio era stata data dall'antico culto sacrificale, col suo Gesù il Figlio — un'idea presente oscuramente ma certamente, come abbiamo visto, nelle leggende dei talmudisti.
Chiaramente fu il movimento paolino che fece del Cristismo una religione mondiale “autosufficiente”. Come  disorganizzato culto di un Salvatore si sarebbe estinto al pari di altri. Come una fase dell'ebraismo, non avrebbe potuto avere alcuna continuità ebraica, semplicemente perchè il suo messianismo consisteva nel guardare quotidianamente ad una “fine del mondo” che non arrivò. Dopo due secoli di attesa, gli ebrei avrebbero avuto un chiaro diritto a dichiarare Gesù un “falso Messia” come lo ebbero nel caso di Bar-Kochba o di qualsiasi altro prima o dopo.  La semplice fede in una vita futura, ad un tempo esclusa dai loro Testi Sacri, era diventata la fede comune, mentre solo gli aristocratici sadducei (probabilmente non tutti di loro) la respingevano. Da quel lato, il Gesuismo non diede loro nulla. Ben avrebbe potuto un Paolo “volgersi ai gentili” sebbene non sotto le circostanze teologicamente immaginate per lui nel libro degli Atti.
Anche per i gentili, il Gesuismo non fu che uno di molti culti rivali, che offrivano attrazioni simili. Nelle religioni di Adone, Attis, Iside ed Osiride, Dioniso, Mitra, e del siriano Marnas (“il Signore, una variante di Adone = Adonai, uno dei nomi esoterici degli ebrei per Jahvè”), un risplendente Dio sempre giovane che era morto per risorgere di nuovo veniva adorato, pianto, e festeggiato sacramentalmente, da devoti altrettanto assorbiti nella loro fede come lo furono i Gesuisti. Con vaghe pretese di conoscenza biografica, a cui nessuno ora associa qualche credito, essi erano altrettanto sicuri della storicità dei loro Dèi di Vegetazione e Divinità solari come i Crististi lo furono della realtà dei propri. Avesse detto loro un Frazer del secondo secolo che i loro Adone e Attis non erano che astrazioni della vittima sacrificale annuale di un tempo antico, essi gli avrebbero risposto, nella maniera di un Festo (non ancora obsoleto), che molto apprendimento lo avesse reso pazzo.
Essi “sapevano” che il loro Redentore era vissuto, morto, e risorto di nuovo. L'incredulità di filosofi, o di satirici come Luciano, li influenzò non più di quanto l'incredulità critica e scientifica al giorno d'oggi disturba la maggioranza di cristiani irriflessivi. L'intensa vita sacrificale e devozionale di Ierapoli sarebbe stata così poco influenzata dalla sua serena esibizione da parte di Luciano come la vita a Lourdes lo è stata dal romanzo di Zola. Da quel punto di vista, noi possiamo comprendere davvero facilmente il passato mediante il presente.
Ci fu così poca differenza psichica e intellettuale tra il Gesusmo e gli altri “ismi” che la propaganda di Paolo non fece nessun scalpore misurabile nella confusione dell'Impero romano. Come confessa Renan, perfino sull'assunzione dell'autenticità delle epistole, egli fu il missionario di un numero di piccole conventicole, tutte convinte che esse solo fossero la “vera Chiesa di Dio sulla terra”. È un errore di prospettiva attribuire una facoltà straordinaria ai missionari che o convertivano o “costituivano” questi credenti; ed è chiaramente non-necessario assumere nel suo caso qualche anormale sincerità o forza di persuasione. Se dovessimo considerarlo nei termini dei documenti noi dovremmo descriverlo o come un halluciné oppure come un fanatico che aveva versato sangue cristiano nella sua fase giudaizzante e mai minimamente imparò umiltà da quell'esperienza, le sue frasi di contrizione essendo bilanciate dalle asperità più feroci verso tutti coloro che lo osteggiavano nella sua fase cristiana. Ma noi non abbiamo alcun diritto di derivare un ritratto di “Paolo”, che ci è preservato come un composito di finzioni letterarie che conferma solamente l'attività precedente di un propagandista così nominato.
Una conclusione, comunque, vale in egual misura se o meno accettiamo come autentica qualcuna delle epistole: o piuttosto, più propendiamo sulle epistole più essa vale: Paolo non ebbe nessun interesse circa la vita, gli insegnamenti, o la “personalità” del suo Gesù. [96] Una delle più strane fallacie nella procedura della scuola biografica è l'assunzione che l'accettazione delle epistole come autentiche comporti l'ammissione della storicità del Fondatore. Nel fatto reale, fu una fede nella sostanziale autenticità delle epistole principali che per prima rafforzò il presente scrittore nelle sue prime congetture della non-storicità dell'intera documentazione evangelica; proprio come una percezione della situazione storica generalmente introdotta nel libro dei Giudici conferma un dubbio riguardo la storicità dei documenti dell'Esateuco. Le due cose non si concilieranno tra loro. D'altra parte, Van Manen, che era stato turbato in precedenza circa la storicità di Gesù, fu messo positivamente a riposo a quel proposito quando raggiunse la conclusione che tutte le paoline erano false. Questo accadde semplicemente perchè egli aveva coperto scientificamente il campo solamente dal lato paolino; avesse applicato verifiche equivalenti ai vangeli, avrebbe raggiunto pure là un verdetto di fabbricazione. Non c'è in senso stretto alcun assoluto sequitur in questo caso. La teoria mitica non è nè fatta né sciupata dal rifiuto delle epistole paoline.
Perfino quelli che non possono realizzare l'indifferenza di “Paolo” a tutti i ricordi personali del suo Gesù — oppure che, pur riconoscendola, si accontentano di ignorarla tramite formule — devono prendere in considerazione il fatto che il credo in un Dio Salvatore non aveva più bisogno di una base biografica nel caso di Paolo di quanto ne avesse nel caso dei sacerdoti di Mitra, che, si potrebbe notare, possedevano un centro importante a Tarso. [97] C'è una certa plausibilità nell'argomento che solo una grande personalità avrebbe potuto rendere possibile il credo nella storia della Resurrezione — sebbene pure quello è fallace — ma non c'è nessuna plausibilità nel concludere che una concezione di una personalità che egli non aveva mai conosciuto personalmente fosse necessaria a incitare Paolo al suo vangelo, che è semplicemente il vangelo di una salvezza futura tramite un sacrificio divino per tutti coloro che credono. Quella è la sostituzione fatta dal Cristismo gentile al fallimentare messianismo della dottrina cristiana. Era probabilmente la dottrina normale di molti culti pagani — del mitraismo per esempio, che per trecento anni, per consenso comune fu il principale rivale del cristianesimo nell'Impero romano. [98] Non fu, allora, alcun dogma speciale che in ultima istanza determinò il successo dell'uno e la scomparsa dell'altro. Fu una concatenazione di cause reali o “esterne”, non una particolarità di un semplice credo.

§ 5. Reali Determinanti


Più studiamo comparativamente le fortune del culto cristiano e dei culti rivali, più difficile è concepire che esso si fece strada in virtù di un puro monoteismo. Se assumiamo che l'ebraismo aveva fatto i suoi proseliti nel mondo pagano a causa dell'attrazione fatta dal suo monoteismo alle menti più riflessive, noi siamo costretti a concludere che il Cristismo fosse da quel lato piuttosto in svantaggio, fintntochè stava veramente aggiungendo una nuova deità, con un sopraggiunto “Spirito Santo”, al Dio degli Ebrei.
Ma l'argomento comune riguardo la diffusione di un “monoteismo puro” in qualche tempo è la principale di una serie di assunzioni tradizionali. Per il più riflessivo degli antichi, il politeismo stava sempre cercando di passare nel monoteismo. Vediamo il processo accadere nei Veda, nel bramanesimo, nel sistema egizio, nel babilonese — per non dire nulla del sistema greco. [99] Esso procedette parzialmente per via dell'enoteismo — la tendenza ad esaltare ogni divinità particolare come la divinità: parzialmente per via della forzata congettura che tutte le divinità dei credi popolari non erano che aspetti o nomi di un unico Potere che controlla tutto. Ovunque si incontrassero le fedi, più riflessivi erano condotti a chiedersi se i cieli potessero essere un mero riflesso della terra, con ogni nazione rappresentata dal suo Dio speciale; e fondere gli Dèi nazionali in uno solo non era che un passo verso la fusione degli Dèi delle varie forze naturali in un solo. Dal momento che le religioni diventarono organizzate, ci devono essere stati sempre monoteisti, come ci devono essere stati sempre non credenti.
Nondimeno, il politeismo è proprio altrettanto sicuramente popolare come è inevitabile il monoteismo per i più riflessivi che rimangono “religiosi” nel senso naturale del termine. Una delle grandi illusioni mantenute dall'accettazione della storia falsificata dell'ebraismo e della religione convenzionale della Bibbia è l'idea che gli ebrei fossero un popolo particolarmente monoteista. Essi non lo furono. [100] Essi erano originariamente tribalisti al pari dei loro vicini, dato che tenevano un Dio tribale ed una gerarchia di Dèi inferiori. A quest'oggi ci vien detto seriamente che Abramo fece una nuova deviazione come monoteista. Abramo è un patriarca mitico, lui stesso una voltà una divinità; e la divinità che si rappresenta essere stata creduta da Abramo è un Dio tribale. E neppure il Dio tribale fu adorato in senso monoteista. I Testi Sacri sono una lunga catena di accuse contro gli israeliti per il loro perpetuo ricorso a “Dèi stranieri” — e Dèe. [101]
Due brillanti studiosi francesi hanno avanzato la tesi che questo presunto politeismo è immaginario; [102] e che gli israeliti in generale sempre adorarono solamente il Dio Unico Jahvè. [103] Ma questa posizione, che è fondata sulla conclusione che la prevalenza della letteratura storica e profetica sia post-esilica, va al di là delle sue stesse ragioni. Anche se assumiamo, coi proponenti di questa tesi, che il monoteismo ebraico fosse universalista dal momento in cui prese forma come monoteismo nella letteratura, [104] noi non giungiamo a sbarazzarci né della questione del politeismo pre-esilico e neppure di quella di una soprvvivenza popolare. Affermare che gli ebrei posteriori all'Esilio siano “i soli ebrei noti alla Storia”, e che la tradizione apparentemente antica di Genesi è “forse in realtà la più moderna”, essendo stata inventata a scopi di parabola, è solo una conseguenza del fatto che gli ebrei si modificarono sul piano religioso al pari di altri popoli. Un ricorso a Dèi stranieri è visto un fatto universale nella Storia religiosa del mondo antico. Ogni razza conquistata fu sospettata di avere un potere segreto rispetto a “il Dio della terra”; [105] e dovunque le razze si mischiarono, i culti si mischiarono. È solo mediante una fornitura di speciali Testi Sacri, a loro volta trattati come feticci, che le attrazioni di culti stranieri possono venir respinte; e neppure i Testi Sacri possono fare veri monoteisti da una maggioranza non acculturata. Perfino l'ebraismo successivo, coi suoi angeli, il suo Metatrone, il suo Satana, non fu mai veramente monoteista. [106] L'Islam non lo è. L'universalismo che nell'ebraismo posteriore passa ancora comunemente per una specialità della mente ebraica fu in realtà un'assimilazione e uno sviluppo di idee persiano-babilonesi; [107] e Satana fece del credo ebraico un dualismo proprio come Ahriman lo fece del credo persiano.
Nel mondo romanizzato, l'ebraismo non ebbe mai realmente un grande successo di proselitismo, proprio perchè i più colti avevano il loro monoteismo personale, e avevano nella letteratura greca qualcosa di più soddisfacente di quella ebraica, con la sua base barbarica di razzismo e il suo apparato di circoncisione, sinagoghe e sabati. I proseliti venivano fatti in generale tra i meno acculturati — non la popolazione, ma i seri uomini di predilezioni religiose, che furono i più impressionati dai Testi Sacri come resi nella Septuaginta perchè non si trovavano a loro agio nella più elevata letteratura della Grecia. E se l'ebraismo non poteva dilagare nell'impero romano in virtù del monoteismo, neppure lo poteva il Cristismo, specialmente mentre mancava di propri testi sacri.
La tesi del Professor Smith di un rapido trionfo monoteista è fondata parzialmente sulla sua personale interpretazione vivida di parecchi dei racconti evangelici di esorcismi di demoni e malattie come un simbolismo dei successi contro il politeismo. E la sua interpretazione simbolica, che è a prima vista appropriata per sembrare arbitraria, è veramente importante in molti punti, spiegando in maniera convincente un numero di racconti evangelici. Ma se dobbiamo assumere che tutti i racconti evangelici di esorcismi di demoni, di cure dei lebbrosi, di guarigione degli storpi, di recupero della vista ai ciechi, fossero stati composti con un intento simbolico, saremo ancora lasciati a chiederci per quali motivi il Nome di Gesù fece qualche attrazione popolare prima e dopo la composizione dei vangeli intrisi di simbolismo.
Il Professor Smith traccia uno scenario potente del sollievo dato dal monoteismo ai politeisti. Nelle sue parole eloquenti, la “tirannia di demoni” aveva “calpestato l'umanità nella polvere e mimre sin dalla prima sillaba di un tempo ricordato”; e la nuova proclamazione “destò un mondo, dissolse le catene dei demoni tiranneggianti, rese liberi i prigionieri di superstizione, riversò luce negli occhi dei ciechi, e riportò un'universo alla vita”. [108] Ma siamo chiari riguardo ai fatti. Se per “demoni” intendiamo le divinità dei pagani, non vi fu in realtà non più “schiavitù” sotto il politeismo di quanto ve ne fosse sotto il monoteismo. Una schiavitù spirituale può essere ed è imposta dal timore di un Dio Unico che è creduto intromettersi attivamente in ogni vita; [109] e la legge ebraica fu in sé stessa notoriamente una schiavitù intellettuale e sociale. Nelle epistole paoline essa è rappresentata espressamente come tale. Se prendiamo di nuovo in considerazione il timore di “spiriti maligni”, non ci fu in realtà alcuna differenza tra un ebreo e un gentile, infatti la “superstizione” dell'ebreo in quelle materie fu illimitata. [110] E neppure c'è qualche ragione per ritenere che l'ebreo avesse più fiducia di altri popoli nella protezione divina dagli spiriti del male.
In quale misura, allora, dobbiamo supporre che il monoteismo gesuista sia stato un'innovazione? L'argomento sembra richiedere che il Gesuismo liberò il politeista dal credo nell'esistenza o dei suoi Dèi demoni oppure dei suoi spiriti maligni. Ma ovviamente esso non negò nessuno di quelli. Nella polemica gesuista sono costantemente presupposti demoni di ogni sorta. La “libertà in Cristo” offerta ad ebrei e gentili dal vangelo paolino è, nei termini del caso, non una libertà dai terrori del politeismo come tale. Di certo non si considerò come una libertà da “demoni”, poichè l'esorcismo contro i demoni fu una funzione duratura nella chiesa antica per secoli; e la paura di un demone o demoni è implicita nella “Preghiera del Padre Nostro”. Ciò che è offerta è principalmente una libertà dalla legge cerimoniale ebraica, e secondariamente una libertà dalla paura associata al giorno del giudizio e alla vita futura, dato che il sacrificio divino aveva cancellato ogni peccato. Ci viene detto da missionari eloquenti nel nostro giorno [111]  che la dottrina cristiana offre un nuovo senso di libertà e sicurezza ai negri, in particolare alle donne; sebbene apprendiamo anche d'altra parte che dove le due religioni possono competere liberamente l'Islam fa la rivendicazione più forte per quanto riguarda la sua esclusione dell'ostacolo razziale che il cristianesimo ha sempre innalzato nella retroguardia del suo vangelo. Ma qui, se la paura di spiriti maligni è veramente esorcizzata, è da una dottrina moderna della loro non-esistenza, non presente nel Nuovo Testamento, ma generata dalla scienza moderna.
Qualunque predicazione di monoteismo, allora, penetrò nel Gesuismo antico, essa non offrì nessuna liberazione dal credo negli spiriti maligni: piuttosto esso ne aumentò il numero trasformando i demoni buoni in cattivi. Ciò che è ancor più degno di nota, ad una fase chiaramente antica vi entra nella polemica cristiana un uso dei termini “Dio” e “Dèi” per i “santi” che è in tutto coerente al linguaggio comune del paganesimo; [112] e questa è una caratteristica molto più comune rispetto al monoteismo “elevato” dell'Apologia di Aristide, che difficilmente ha qualche caratteristica cristiana. Il suo monoteismo è più pagano che cristiano. Il fatto generale rimane che per quanto possiamo sapere l'antica polemica gesuista dei vangeli, degli Atti, delle epistole, dell'Apocalisse, o della letteratura patristica, non fu un assalto ampio e di successo al politeismo come tale mediante un appello all'istinto monoteista, ma solo un'offerta ad ebrei e gentili del tipo di un credo abbastanza comune nel mondo pagano, col suo monoteismo incoerente che attirava solo una minoranza dei proseliti. [113] Le stesse storie miracolose che il Professor Smith interpreta come allegorie di una propaganda monoteista divennero parte dell'attrazione popolare non appena furono rese correnti in documenti; ed esse attrassero (egli lo ammetterà) in quanto storie di miracoli, non in quanto allegorie. Pietro e Paolo a loro volta sono rappresentati come operatori di miracoli di guarigione. Ciò fu tutto infine parte dell'appello ad una primaria credulità religiosa.
Di due posizioni, allora, noi dobbiamo scegliere una. O le storie miracolose dei vangeli, e di conseguenza quelle degli Atti, furono come tali inutili invenzioni per un pubblico che, sulla tesi sotto discussione, sarebbe stato molto più sensibile ad una pretesa esplicita di un trionfo sui credi politeisti, la cosa da cui si dice essi siano stati attratti più profondamente, oppure le storie miracolose in generale furono intese come storie miracolose, con solo alcuni simbolisti successivi intenti ad imporre un senso simbolico ai documenti lungo la concezione gnostica che il Cristo aveva parlato in allegorie che il popolo non era destinato a comprendere. Quest'ultima manipolazione indubbiamente non accadde. La parabola del Ricco, come mostra in modo convincente il Professor Smith, è un'allegoria di un ebreo e un gentile — dove il Ricco è Israele. Ma non è mediante una manipolazione del genere che i culti sono resi popolari, le congregazioni radunate, e un'entrata assicurata. E fu su quelle linee pratiche che sì “stabilì” il cristianesimo.
I fattori che fecero guadagnare gradualmente terreno, a questo culto orientale, e infine a tenere il suo terreno, contro i numerosi culti rivali, furono:
1. Il sistema di una ecclesia, modellata nello stesso tempo sulla sinagoga ebraica e sui collegia pagani.
2. La pratica di soccorso reciproco, che rese le chiese Società d'Assicurazione — di nuovo un'assimilazione di una comune pratica pagana.
3. L'obbligo delle chiese, principalmente per mezzo di una nuova letteratura sacra di vangeli ed epistole, e secondariamente tramite un sistema di governo centralizzato,  modellato parzialmente sul sistema imperiale.
4. Il sostegno dei nuovi Testi Sacri cristiani da parte dei Testi Sacri ebraici, che dette un antico sfondo orientale e una base alla fede in un mondo in cui gli elementi religiosi orientali stavano progressivamente eclissando gli elementi occidentali, che non avevano nessuna base documentaria al confronto.
5. L'offerta all'intero processo di una natura relativamente democratica, di nuovo secondo il modello del sistema ebraico, tramite cui le persone ebbero il loro principale riconoscimento come esseri umani dotati di diritti. Così il cristianesimo fu al contempo una “società segretà” sotto un'autocrazia, come furono così molti gruppi religiosi ellenistici, che derivava membri come fanno sempre società simili in Stati governati in modo autocratico, [113] e un movimento popolare a differenza del mitraismo, che rimase sempre una mera società segreta, da cui la sua facile soppressione finale dal governo cristianizzato.
6. Fu l'ampia ramificazione e l'importanza popolare del sistema cristiano che alla lunga ha fatto convenire all'imperatore cessare di perseguitarlo come un'organizzazione parzialmente anti-imperiale e trasformarlo in uno strumento imperiale facendone la religione dello Stato.
Spiegare il processo come il successo meritato moralmente di una religione superiore dall'inizio, sarebbe equivalente ad aderire a concezioni pre-scientifiche di causalità, affine all'assunzione geocentrica in astronomia. La ierologia in ultima istanza confluisce nella sociologia, come la mitologia e l'antropologia (nella limitazione inglese del termine) confluiscono nella ierologia; e la sociologia è uno studio della reazione di ambienti come pure dell'azione di istituzioni e dottrine. Il successo cristiano fu raggiunto infine tramite l'assimilazione di ogni maniera di modi pagani di attrazione sul lato del credo, e tramite l'assoluta subordinazione definitiva delle particolarità dell'antica etica cristiana all'affare di un adattamento politico.
E a tutti i tentativi di oscurare il problema figurando il cristianesimo come una forza costantemente benefattrice e purificatrice è sufficiente qui risponsdere che esso è in senso stretto una variante religiosa che sopravvisse in una civiltà in decadenza, in un mondo politicamente e socialmente decadente; che esso si prestò a quella decadenza; e che non fece nulla di nulla per scongiurarla.
Dove un potere superiore ostile lo combattè efficacemente, esso fu soppresso proprio come esso soppresse i culti organizzati del paganesimo e alcuni (non tutti) delle sue stesse sette eretiche. La sua sopravvivenza ulteriore, che non ci riguarda qui propriamente, non fu che una materia del ripetuto “trionfo” di una religione organizzata su religioni disorganizzate, e dell'adozione di quell'organizzazione dai nuovi Stati barbarici come prima dall'Impero romano in declino.

NOTE


[1] Der vorchristliche Jesus, 1906, Vorwort da Schmiedel, pag. 7, e pag. 27-28. Ecce Deus, 1912, pag. 18, 332.

[2] Ecce Deus, pag. 16, 18, 50 seq., 70, 135 ; Der vorchr. Jesus, p. 40. Ma si veda Ecce Deus, pag. 66 e 196, dove la tesi è modificata.

[3] Nella Literary Guide di Giugno, 1913, il Professor Smith difende la sua tesi contro un altro critico. Il lettore dovrebbe consultare quell'articolo.

[4] S.H.C. 33 seq.

[5] Id, 35-36.

[6] Su questo problema confronta il Prof. Smith, Ecce Deus, 251 seq.; e il Prof. Drews, Witnesses to the Historicity of Jesus, traduzione inglese, pag. 19.

[7] Enoc, 38:2; 53:6.

[8] Id. 40:5, e spesso.

[9] Id. 46:2, 3, ecc.

[10] Id. 48:10; 42:4.

[11] Id. 62:5.

[12] Introduzione di Schodde, pag. 51.

[13] Dottor Rendel Harris, Odes of Solomon, 1909, introd. pag. 72.

[14] Harris, come citato, pag. 118, 125, 128, ecc.

[15] Il dottor Harris dichiara che un racconto nelle Odi della Nascita Verginale (19) deve essere più tardo del primo secolo (pag. 116). Ma questo ridicolizza la questione riguardo la fonte di quel mito.

[16] Apropos d'hist. des religions, pag. 272.

[17] Confutazione di tutte le eresie, 5:5 (11).

[18] Confronta Drews, Il Mito di Cristo, pag. 54; e la seconda edizione dell'originale, pag. 24.

[19] Drews, pag. 59; Loisy, pag. 273.

[20] C.M. 316 seq.

[21] C.M. 363.

[22Id. 364.

[23] Haeres. 30.

[24] S.H.C. 6; C.M. 316.

[25] C.M. 314.

[26] Der vorchristliche Jesus, pag. 42-70; Ecce Deus, parte  6.

[27] C. M. 314.

[28] Articolo su “The Syriac Forms of New Testament Names”, in Proc. of the British Academy, vol. 5, 1912, pag. 17-18.

[29] C. M. 312. La tesi fu avanzata da me ventott'anni or sono.

[30] Der vorchr. Jesus, pag. 54 seq.

[31] C.M. 316.

[32] Der vorchr. Jesus, pag. 56, 65.

[33] Confronta Filone Giudeo, De Profugis: “Il Verbo Divino . . . esistendo come immagine di Dio, è il primogenito di tutte le cose che possono essere conosciute, poste più vicine e senza alcun intermediario, a colui che da solo esiste da sé.”

[34] La tesi di Friedländer che i Minim fossero antichi gnostici sembra essere completamente confutata dal signor Herford, Christianity in Talmud, pag. 368 seq.

[35 Id. pag. 255-266.

[36] Il fatto che le allusioni talmudiche ai Minim non comprendono nessuna discussione della dottrina Cristista del Messia (Herford, pag. 277, 279) va a mostrare che una dottrina messianica non era stata parte del culto antico, e che tra i Gesuisti che tenevano al loro legame coll'ebraismo non raccolse, o trattenne, alcuna presa.

[37] Confronta Volkmar, Die Religion Jesu, 1857, pag. 287.

[38] Giustino, 1 Apol. 26.

[39] Id. ib.

[40] Si veda l'intero soggetto discusso nell'Appendice B.

[41]  C. 120, fine.

[42] Si veda Historical Jesus, 182.

[43] Ecce Deus, pag. 68. Nel suo articolo nella Literary Guide, Giugno, 1913, il Professor Smith sostiene che solo come una protesta contro l'idolatria e una crociata per il monoteismo il proto-cristianesimo poteva aver successo coi gentili. Ma ciò fu semplicemente la linea dell'ebraismo, che non aveva nessun Dio-Figlio con cui appannare il suo monoteismo. Sicuramente il Gesuismo attrasse i gentili principalmente come fecero altri culti di Salvatori, in ultima istanza distanziandoli a motivo di un'organizzazione.

[44] Confronta Les Apôtres, pag. 107; Saint Paul, pag. 562-563.

[45]  Confronta  S.H.C. 82.

[46] Antichità Giudaiche 3:3.

[47] Ecce Deus, pag. 230 seq.

[48] Antichità Giudaiche 11:3.

[49] Vita, 2.

[50] 18, 1, 6.

[51] Antichità Giudaiche 9:1.

[52] Ecce Deus, pag. 235-236.

[53] The Jesus of History and the Jesus of Tradition Identified. Di George Solomon. Reeves e Turner, 1880.

[54] Qui il signor Solomon, senza offrire alcuna spiegazione, identifica il Gesù figlio di Saffia di Flavio Giuseppe, che fu un capo magistrato di Tiberiade, con Gesù il capo brigante dei dintorni di Tolemaide (Capitolo 22) — un personaggio diverso. Io presento la sua teoria come lui la espone. (Opera citata, pag. 164-179.)

[55] Il dottor Conybeare sostiene dogmaticamente che Gesù parla sempre in Marco “come un ebreo ad ebrei”. Così si tenta di far emergere a chiacchere fatti “grossolani, aperti, palpabili come una montagna”.

[56] Questo aspetto del problema sembra essere ignorato da Erich Haupt (Zum Verständnis des Apostolats im neuen Testament 1896) che trova storica la scelta dei dodici.

[57] Si veda il passo in Lost and Hostile Gospels di Baring Gould, 1874, pag. 61; e in Christianity in Talmud and Midrash di Herford, 1903, pag. 90.

[58] Hibbert Journal, Luglio, 1911, citato da Prof. Smith, Ecce Deus, pag. 318.

[59] C.M. 344. Per la comodità del lettore ristampo in Appendice una traduzione annotata da me pubblicata nel 1891 — una revisione di quella dei signori Htchcock e Brown, confrontata ad un numero di altre.

[60] Confronta “il Suo Servo Gesù” in Atti 3:13, 26; 4:27, 30.

[61] C.M. 415 seq.

[62] Supernatural Religion, R.P.A. ristampa, pag. 153.

[63] Si vedano le note alla traduzione in Appendice.

[64] Essa risale a Geremia, 21:8.

[65] Encyc. Bib. 1, 261.

[66] Si veda del Prof. A. Seeberg, Die Didache des Judentums und der Urchristenheit, 1908, pag. 8; e le sue opere precedenti, citate da lui.

[67] C.M. 344.

[68]  A. Seeberg, opera citata, pag. 1.

[69] Questa tesi fu avanzata in C. M. 345. Tuttavia il dottor Conybeare presume (pag. 20) che io rappresento un Gesù circondato da dodici discepoli solamente a causa dei dodici segni dello zodiaco. L'ultimo elemento è offerto semplicemente come una spiegazione della chiamata dei dodici su una montagna (412), che il dottor Conybeare trova abbastanza storico.

[70] Fu probabilmente intorno all'anno 80 che le autorità ebraiche fabbricarono la formula mediante cui cercarono di separare “i Minim” dalla comunità ebraica. Herford, Christianity in Talmud, pag. 135, 385-387.

[71] Il signor Lester (The Historic Jesus, pag. 84) sostiene che il battesimo di Gesù da parte di Giovanni dev'essere storico, dal momento che inventarlo sarebbe equivalente a renderlo gratuitamente  “in un modo subordinato a Giovanni”. Ma quando Giovanni è introdotto come il Precursore, che acclama il Messia, dov'è la subordinazione?

[72] C. M. 396.

[73] Historical Jesus 135-136.

[74] Encyc. Bib. articolo Baptism.

[75] Un temporaneo Regno Messianico è introdotto nel 100 A.E.C. circa nel Libro dei Giubilei (ed. Charles, 1902, introd. pag. 87).

[76] Charles, introd. alla Assumption of Moses, 1897, pag. 13-14, 54.

[77] Id. pag. 11, 41.

[78] Charles, introd. all'Apocalypse of Baruch, 1896, pag. 7-8.

[79] Id. pag. 55, e riferimenti.

[80] Si veda sopra, pag. 117, n.

[81] Sopra, pag. 66.

[82] Confronta Marco 1:8.

[83] In Ebrei 6:2, pure, il battesimo sembra essere disprezzato. Ma i versi 1-2 sono incoerenti. La traduzione di Green offre un senso accettabile: la Versione Riveduta no.

[84] Atti 10:48.

[85]  Matteo 28:19. Confronta Marco 16:16.

[86] Testaments, ed. Charles, 1908, pag. 16, 121.

[87] Historical Jesus, capitolo 6.

[88] Van Manen, come sintetizzato da Mr. Whittaker, Origins of Christianity, edizione 1914, pag. 78, citando Epifanio, Haer. 30, 16.

[89] Id. pag. 124-125, 199.

[90] Eusebio, Eccles. Hist. 3:24.

[91] Confronta Van Manen in Whittaker, pag. 182.

[92] Ad esempio, la datazione della insurrezione di Teuda prima del “censimento” di Luca (6 E.C.); laddove Flavio Giuseppe lo colloca intorno all'anno 45.

[93] Il riferimento al “re Areta” in 2 Corinzi 11:32, uno dei pochi possibili indizi nelle epistole, non produce nessuna data certa, e in effetti crea un dilemma per gli storici. Si veda l'articolo Areta in Encyc. Bib.

[94] Confronta Van Manen, come citato.

[95] Historical Jesus 199-203.

[96] Confronta Schmiedel, articolo Gospels in Encyc. Bib. col. 1890.

[97] P.C. 316 n.

[98] P.C. 281.

[99] Si veda S.H.F., capitoli 3 e 5; e confronta Whittaker, Priests, Philosophers, and Prophets, 1911.

[100] P.C. 67 seq.

[101] S.H F. capitolo 4.

[102] Avanzata per prima da M. Maurice Vernes, Du pretendu polytheisme des Hebreux, 1891.

[103] Si veda The Source of the Christian Tradition, di E. Dujardin: traduzione inglese R.P.A., pag. 32: e le citazioni dai signori Vernes e Dujardin in Priests, Philosophers, and Prophets del signor Whittaker, 1911, pag. 124-127.

[104] Il signor Whittaker (pag. 128) avanza il parere che il monoteismo ebraico fu in realtà una riduzione del monoteismo universalista dei sacerdoti mesopotamici agli scopi di un culto di Dio nazionalista.

[105] S.H.F. 1, 44-46.

[106] Perfino Dean Inge confessa che “L'aspetto originale della religione ebraica non è, come è supposto spesso, il suo monoteismo. La religione ebraica nella sua età d'oro fu una monolatria piuttosto che un monoteismo; e quando Geova diventò più strettamente il solo Dio, il culto di entità intermediarie diventò, e restaurò, quasi un politeismo.” — Articolo “San Paolo” in Quarterly Review, Gennaio 1914, pag. 54.

[107] Si veda, comunque, la tesi contraria mantenuta dal dottor A. Causse, Les Prophètes d'Israel et les religions de l'orient, 1913.

[108] Ecce Deus, pag. 71, 75.

[109] Confronta Whittaker, Priests, Philosophers, and Prophets, pag. 45.

[110] Si confronta Supernatural Religion, cap. 4.

[111] Ad esempio un Articolo in The Atlantic Monthly, Novembre 1916, pag. 605.

[112]  Confronta J. A. Farrer, Paganism and Christianity, R.P.A. ristampa, pag, 19-20; Dr. J. E. Carpenter, Phases of Early Christianity, 1916, pag. 57 seq.

[113] Si potrebbe sostenere che il trionfo veramente rapido dell'Islam in un'età successiva va a supportare la tesi del Professor Smith. Ma il trionfo dell'Islam fu principalmente militare. E pure l'Islam tenne il suo corteo di “demoni”.

[114] Ad esempio, nella Cina moderna.

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