giovedì 8 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (V) — Organizzazione ed Economia

(procede da qui)


CAPITOLO V

ORGANIZZAZIONE ED ECONOMIA

§ 1. Il Lato Economico

È importante realizzare in qualche dettaglio l'operazione del fattore economico in particolare, e dell'organizzazione in generale, prima di tentare di rischiarare in modo sintetico il processo totale di costruzione documentaria e dottrinale. Il primo è alquanto costantemente ignorato nella storiografia moderna, in ragione di una riluttanza generale perfino tra razionalisti a sembrar associare motivi mercenari con principi religiosi; e dell'assunzione generale tra gli studiosi di religione che una religione “vera” o “antica” opera a dispetto di, in sfida o in indipendenza di e non per aiuto di, motivi economici. Nessuno obietterà che la storia della Chiesa Cattolica Romana è una storia di economia come pure di azione e reazione dottrinale, o che il Protestantesimo dall'inizio fu in larga misura un processo economico. Ma si assume comunemente, almeno implicitamente, che una religione “primitiva”, una religione “nel processo di farsi”, non sia affatto un affare di ragione o reazione economica.
Quelli che hanno studiato del tutto da vicino la vita religiosa primitiva sanno che questo non è così. [1] Il selvaggio uomo-medicina sta alle sue luci altrettanto profondamente preoccupato del suo interesse economico come lo furono i sacerdoti dell'antica Babilonia e dell'Egitto — per fare esempi che difficilmente possono recare un'offesa moderna.[2]
E dire questo non equivale a dire che la “religione” coinvolta non sia sincera, nel caso del selvaggio o del pagano più che in quello del moderno ecclesiastico o missionario. Equivale a dire semplicemente che la religione ha sempre il suo lato economico, e che la fede potrebbe procedere con un egoismo economico altrettanto facilmente come con il sacrificio di sé. Io almeno non sono preparato a dire che quando i francescani in generale passarono dallo stato di povertà volontaria a quello di un benessere aziendale essi cessarono di essere credenti sinceri; o che un vescovo sia necessariamente meno pio di un Predicatore Locale.
Io ho visto, in Egitto, la vita di un “santo” musulmano nel suo divenire. Egli digiunò molto, certamente non mangiando mai più di un solo pasto al giorno, ed era visibilmente emaciato e debole come risultato della sua astinenza. Sui suoi devoti vicini egli ebbe un'influenza immensa. Loro ascoltavano i suoi discorsi religiosi con rapita reverenza; e quando una volta in mia presenza egli offrì ad un giovane uomo un incantesimo religioso per curare la sua sorella malata, nella forma di una carta per sigarette con sopra scritto un testo del Corano e arrotolata per essere ingerita, il volto del giovane si trasfigurò di una fede gioiosa, mentre i suoi occhi brillarono come se avesse visto una visione gloriosa. Io non ho visto una fede più radiante, dentro o fuori “Israele”. E il santo, ugualmente, ricavò una malcelata soddisfazione nel mostrare privatamente la pesante borsa d'oro che aveva collezionato recentemente dai suoi fedeli. Definirlo non sincero sarebbe puerile. Io credo che lui sia stato altrettanto sincero di un Lutero o di un Loyola. Gli accadde semplicemente di combinare, al pari di così tanti orientali e occidentali, l'amore del denaro con l'amore di Dio.
Se mi viene detto che non ci fossero uomini del genere tra gli antichi Gesuisti o i propagandisti cristiani, io rispondo che se non ce ne fossero stati il culto non sarebbe andato davvero lontano. Naturalmente i documenti minimizzano il lato economico. Nei vangeli ci viene detto che Giuda trasportava “la borsa”, ma mai alcunché di ciò che prese per riempirla. Ma negli Atti, il fattore economico si tradisce perfino nel mito. Vi è tracciato uno scenario (2:44) per l'edificazione dei cristiani successivi, della prima comunità che aveva “ogni cosa in comune” — una dichiarazione che non abbiamo alcuna ragione di credere vera di alcuna antica comunità cristiana di sorta — salvo che nel periodo “pre-apostolico”. [3] Non ricorre mai lo scenario, nella storia apostolica o altrove. E lo scopo di un'edificazione è convertito inconsciamente nel racconto di una rivelazione. Si rappresentano dei fedeli che “vendevano le loro proprietà e sostanze e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. L'asserzione è ripetuta (4:34) così da far presumere che tutti coloro in possesso di case o terre vendettero tutto, donando i proventi agli apostoli per una distribuzione “secondo il bisogno di ciascuno. Tra coloro che ne avevano bisogno ci sarebbero stati certamente gli “apostoli”.
Presto uno dei fedeli, Giuseppe soprannominato Barnaba, “il predicatore, della tribù di Levi, oriundo di Cipro”, è tenuto in onore per il fatto che “avendo un campo”, egli “lo vendette, e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli”. Poi viene la storia di Anania e Saffira, i quali, o almeno il primo dei due, ha provvisto il cristianesimo da allora del suo nome famigerato per il bugiardo fraudolento. Il peccato di Anania consisteva nel suo non aver dato agli apostoli il prezzo intero di un possesso da lui venduto volontariamente a beneficio della comunità. Non poteva esserci un esempio più impressionante del potere dell'etica ecclesiastica di paralizzare il generale senso comune. Anania nella leggenda stava donando liberalmente, ma non abbastanza liberalmente da soddisfare l'apostolo, che coerentemente lo denuncia per aver peccato contro lo Spirito Santo, [4] e lo uccide miracolosamente per il suo crimine. Si potrebbe supporre che nessun lettore cristiano, ricordando che l'ultra-giusto apostolo, nel precedente documento sacrosanto, era stato appena rappresentato come negatore del proprio Signore, avrebbe potuto non essere colpito da vergogna e orrore per la selvaggia rappresentazione. Ma di tale vergogna e orrore io non riesco a ricordare una confessione cristiana. E dobbiamo ricordare che si presume che i devoti destinatari di quella rappresentazione siano stati gli ideali convertiti cristiani.
Presto si fa spiegare dai dodici (6:2-4) alla crescente “moltitudine dei discepoli” che “Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, . . . sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola”. Dalla data di quello scritto l'apostolo e i suoi successori avrebbero potuto pretendere di essere degni del loro salario, sebbene essi dovettero a lungo litigare per esso. Nelle prime aggiunte gesuiste all'Insegnamento vediamo come fu sollevato il problema. All'inizio (11) c'è una successione di apostoli itineranti o “profeti”. Ogni apostolo dev'essere ricevuto “come il Signore. Però dovrà trattenersi [se non per ?] un giorno; se ve ne fosse bisogno anche un secondo; ma se si fermasse tre giorni, egli è un falso profeta. Partendo, poi, l'apostolo non prenda per sé nulla se non il pane sufficiente fino al luogo dove alloggerà; se invece chiede denaro, è un falso profeta”. Quella è la prima fase, probabilmente del tutto ebraica.
La sezione successiva (12) aderisce ancora estesamente alla stessa vista. Ogni ospite deve guadagnarsi di che vivere. “Se non vuole comportarsi in questo modo, è uno che fa commercio di Cristo (χριστέμπορός)”. A quanto pare c'erano già commercianti di Cristo. Ma nel capitolo 13 la fase primitiva è stata oltrepassata e c'è una promulgazione sistematica di una disposizione economica per il profeta o maestro insediatosi come tale:
Ogni vero profeta che vuole stabilirsi presso di voi è degno del suo nutrimento. Così pure il vero dottore è degno, come l'operaio, del suo nutrimento. Prenderai perciò le primizie di tutti i prodotti del torchio e della messe, dei buoi e delle pecore e le darai ai profeti, perché essi sono i vostri Sommi Sacerdoti. Se però non avete un profeta, date ai poveri. Se fai il pane, prendi la primizia e dà secondo il precetto. E così, se apri un'anfora di vino o di olio, prendi le primizie e dalle ai profeti. Del denaro, del vestiario e di tutto quello che possiedi, prendi poi le primizie come ti sembra più opportuno e dà secondo il precetto.
Pure questo sviluppo economico potrebbe essere stato ebraico, come fu pagano. [5] Esso certamente è anche cristiano. I “profeti” sono rappresentati all'opera negli Atti (11:27) già nei giorni di Claudio; ed essi furono un gruppo stabilito al tempo della stesura di Prima Corinzi (13:28), stando prossimi ad “apostoli” e al di sopra dei “maestri”. Quel passo è ovviamente post-paolino, se dobbiamo pensare di Paolo come uno che trascorse solo un po' di anni nella sua propaganda orientale. Ma i profeti sono numerosi apparentemente nei giorni più antichi della chiesa, [6] e sembrano esser sopravvissuti accanto agli “apostoli” al principio. In generale essi devono aver trovato qualche sussistenza: nel tempo sono “stabiliti”. La sezione undicesima, dodicesima e tredicesima dell'Insegnamento, che sono la nostra prova migliore della progressione, mostrano un trionfo graduale del fattore economico, che si annovera nelle aggiunte. La sezione quindicesima si divide in due parti, una economica e una etica, con quella economica che viene prima:
Eleggetevi quindi episcopi e diaconi degni del Signore, uomini miti, disinteressati, veraci e sicuri; infatti anch'essi compiono per voi lo stesso ministero dei profeti e dei dottori. Perciò non guardateli con superbia, perché essi, insieme ai profeti e ai dottori, sono tra voi ragguardevoli.

Fu per una comunità che supportava classi così varie di maestri e predicatori, prima in modo povero e primitivo, più tardi in una maniera organizzata, che furono fabbricati i vangeli e  composte le epistole.
 
$ 2. Organizzazione

L'organizzazione, che nei nostri giorni è diventata “una parola da evocare”, non è un fattore nuovo nella vita umana. È il segreto della sopravvivenza per comunità e istituzioni; e la sopravvivenza del Cristismo nella sua competizione con altri culti si deve rintracciare principalmente all'antico processo di adattamento. Quello, comunque, avviene nei termini di tre fattori concorrenti: (1) l'attrazione fatta da parte del culto che è la base di associazione, (2) la pratica della comunità riguardo le relazioni di membri; (3) l'amministrazione, riguardo a propaganda, espansione e coordinamento di gruppi. Ed è attraverso adattamenti primari rispetto al primo e al secondo fattore, con uno stimolo constante ricevuto dal terzo, che si può vedere come ebbe successo la Chiesa cristiana nella lotta per l'esistenza. Che equivale a dire, è nell'elemento in cui una organizzazione consapevole è più prominente in quanto distinta da un'usanza o una tradizione che risiede principalmente l'influenza determinante.
Lo scrittore che in Inghilterra fu il primo ad assumere una vista relativamente scientifica dell'organizzazione della Chiesa dal lato ecclesiastico, il tardo dottor Ewdin Hatch, passa nel frontespizio della sua analisi “l'assunzione preliminare che, come materia di ricerca storica, i fatti della storia ecclesiastica non differiscono nel tipo dai fatti di storia civile”. [7] Per quelli che vedono nella religione stessa un processo di naturale storia sociale, questa assunzione è una materia naturale; ma il riconoscimento ecclesiastico del fatto è un traguardo importante; e l'analisi dell'uomo di chiesa del processo è doppiamente utile nel fatto che egli tiene dichiaratamente separato lo studio da quello dell'evoluzione dottrinale. Ciò che egli non avrebbe potuto fornire su basi scientifiche senza cadere nell'eresia, il razionalista può fornire per sé stesso.
Come riconosce il nostro storico, il movimento cristiano nell'Impero orientale ebbe dal principio una base forte nello spirito democratico che derivò in egual misura dall'esempio ebraico e dall'esempio ellenistico. Al giorno di un'autocrazia universale, la vita sociale si basava sempre di più sui principi di un'associazione volontaria; e le prime chiese cristiane non erano che esempi di un impulso visto in operazione su tutti i lati. Nell'ambiente ebraico, la sinagoga; nell'ambiente ellenistico, l'ecclesia o associazione privata, furono dappertutto in evidenza. Le associazioni religiose greche ꟷ thiasoi, eranoi, orgeones ꟷ non erano che esempi dell'impeto prevalente nel trovare in gruppi organizzati volontari un sostituto alla vita democratica del passato. [8] Laddove le associazioni più antiche per la promozione di culti speciali furono limitati a liberi cittadini maschi, le nuove ammettevano stranieri, schiavi, e donne. Oltre ad associazioni religiose ce n'erano una moltitudine di altre che avevano il doppio aspetto di associazioni e società solidali; gilde commerciali esistevano “tra quasi ogni tipo di lavoratori in quasi ogni centro abitato dell'impero”: e associazioni di sepoltura, associazioni di pasti comuni, società finanziare, e società di amicizia fraterna andarono incontro ad altri bisogni sociali.
Quasi ogni società, comunque, aveva la sua divinità tutelare, “allo stesso modo in cui al giorno presente associazioni simili sul continente europeo” ꟷ come in Inghilterra prima della Riforma ꟷ “invocano il nome di un santo patrono; e i loro incontri furono chiamati a volte con un nome che fu consacrato in seguito ad usi cristiani ꟷ quello di un 'sacro sinodo'”. [9] In molte di loro “la religione fu, al di là di questo, la base e vincolo di unione. . . . Allora, come ora, molti uomini avevano due religioni, quella che professavano e quella in cui credevano; per la prima c'erano templi e sacrifici pubblici e ufficiali di Stato; per la seconda ci furono associazioni; e in quelle associazioni, come è illustrato da iscrizioni esistenti, divinità ignorate dallo Stato avevano i loro sacerdoti, le loro cappelle, e il loro rituale.” [10]
I cristiani, allora, quando cominciarono a formare gruppi, stavano facendo ciò che fecero un sciame di altri movimenti. Le loro ecclesiae furono chiamate con un nome pagano, come lo erano le sinagoghe ebraiche. Due cose era necessario loro fare se dovevano guadagnare terreno collettivamente e sopravvivere ed emergere sul resto: essi dovevano moltiplicarsi nell'appartenenza, e dovevano coordinare i loro gruppi; ed entrambe le cose le fecero su linee di azione comune. L'appartenenza fu promossa dal principio con il più semplice di tutti i metodi, una sistematica elemosina a seguaci poveri; una pratica iniziata molto tempo prima dalle sinagoghe ebraiche e consolidata tra loro a questo giorno. Data la base di una libera associazione, il dovere inculcato dell'elemosina, il credo orientale nella sua virtù salvifica, [11] e lo speciale credo cristiano nell'imminente fine del mondo, il problema dell'appartenenza fu risolto presto. I poveri, aiutati un giorno, avrebbero aiutato essi stessi il prossimo, com'è la loro maniera umana in tutte le epoche; e in un'età di povertà generale, il risultato di un sistema fiscale autocratico nell'Impero come in seguito nell'Impero turco che prese il suo posto nell'Oriente, questa simpatia reciproca costituiva un'estesa base sociale di esistenza collettiva.
Per il nostro storico ecclesiastico, la povertà è il determinante principale sul lato di un'organizzazione antica. Con una nota di profondo pessimismo, che si alterna stranamente con passi di elogio professionale della Chiesa, egli nota che il pauperismo e la filantropia stavano procedendo mano nella mano per tutto l'Impero prima dell'avvento del cristianesimo, quando uomini ricchi e municipalità proclamavano un “sentimento quasi cristiano” sul soggetto. “L'istinto di benevolenza fu chiaramente suscitato. E tuttavia per la massa degli uomini l'esistenza era difficilmente degna da vivere. Essa tendeva a diventare una disperazione.” [12] Ed egli afferma che la pratica cristiana dell'elemosina ꟷ che egli sa essere stata caldamente inculcata tra gli ebrei, come è sempre stato nelle regioni orientali ꟷ fu una delle forze conservatrici che “arrestarono la decadenza. Esse hanno impedito la disintegrazione, ed eventualmente la disintegrazione da una vasta e rovinosa convulsione, della fabbrica sociale. Di quelle forze i vescovi e diaconi primitivi furono i canali e i ministri. . . . Essi colmarono l'intervallo crescente tra classe e classe. Essi accorciarono all'anima individuale il peso di quella terribile tristezza di cui, allora come ora, alla massa di uomini, l'esistenza fu il sinonimo e la somma.” [13]
La generalizzazione riguardo la crescita dell'intervallo tra classi è difficilmente confermata dall'evidenza; e il pessimismo dell'ultima frase sconfigge parzialmente l'argomento, ponendo la vita del primo periodo cristiano sullo stesso livello generale di quella di oggi e di tutto il tempo intermedio. La vera sintesi sarebbe che in quell'età le sorgenti di vita sociale furono azzoppate dalla soppressione di ogni esistenza nazionale; che il governo di Roma tendeva ad un impoverimento generale a causa di un sistema corrotto di tassazione; e che i popoli soggetti, privati degli antichi impulsi ad un'energia collettiva, di colpo si volsero sempre più ad un'associazione privata e divennero pronti a credere in un'imminente “fine del mondo” che in qualche modo stava a significare una nuova vita. E siccome la dottrina della Chiesa fu prevalentemente una dottrina di salvezza in quella nuova vita, fu necessario per lei in ogni modo ricorrere a propaganda pur nel mantenimento del sistema di elemosine che gli forniva un'estesa base di appartenenza. Così l'organizzazione che controllava il semplice sistema finanziario deve prendere in considerazione anche la diffusione della dottrina. E per i mezzi di diffusione della dottrina, di nuovo, come abbiamo già notato, l'esempio fu dato ovviamente dall'ebraismo, che si distingueva da tutti i sistemi religiosi nel mondo romano come una religione di Libri Sacri. Il movimento gesuista doveva avere testi Sacri per suo conto se doveva detenere il suo prestigio contro quello della Bibbia Ebraica. La produzione di Testi Sacri, allora, fu un compito che impegnò gli organizzatori dell'ecclesia cristiana per tutto l'Impero orientale, egualmente col compito di un coordinamento, di cui, in realtà, essa fu una parte principale. Una letteratura religiosa comune fu la base di una coesione ebraica. Solo per mezzo d una comune letteratura religiosa il Cristismo poteva avere coesione.
Nessuna letteratura, in effetti, avrebbe potuto scongiurare uno scisma. Scisma e conflitto sono tra le prime note risuonate nelle epistole; e una religione che mirava ad un insegnamento dogmatico, contro la pratica puramente liturgica degli antichi culti pagani, fu destinata a moltiplicarli. L'ebraismo stesso si divise in gruppi antagonisti di farisei, sadducei, e scribi, per non dire nulla degli zeloti, degli esseni, e di altri gruppi divergenti. Ma le sette non distruggono una religione più di quanto i partiti distruggono uno Stato; e la via del successo per il Cristismo fu una via che, mentre comportava una moltiplicazione di scismi nella misura in cui rimaneva volontaria la base, fece un aggregato crescente che fu almeno un'unità in quanto in possesso di un credo speciale, distinto da tutti i credi ad esso rivali.
Così il movimento cristiano fu doppiamente una copia e un competitore dell'ebraismo, sui cui libri si fondò principalmente. Come le disperse sinagoghe ebraiche furono coordinate da Gerusalemme dal Sommo Sacerdote, e più tardi da Tiberiade dal Patriarca, per mezzo di Dodici Apostoli ed eventualmente da un grado subordinato di settantadue collettori che vi recarono i contributi dei fedeli sparsi tra i gentili, così i Gesuisti, cominciando con un'organizzazione centrata a Gerusalemme e mirando parimenti alla collezione di fondi per cui l'elemosina a Gerusalemme fu il pretesto attraente, furono destinati dopo la caduta del Tempio a mirare ad una centralizzazione oppure a centralizzazioni per loro conto. Una letteratura diventò sempre più necessaria se la nuova fede doveva estendersi. Quella fu la strada nel contempo per glorificare il nuovo Dio-Eroe e per moltiplicare i suoi devoti. E sembrerebbe essere stato dal punto di partenza dell'ebraico Insegnamento dei Dodici Apostoli che si fece la nuova partenza su una sola linea.
Dire chi, o quale classe nella nuova organizzazione, cominciò l'evoluzione, sembra impossibile nello stato presente della nostra conoscenza. Il punto in cui l'organizzazione cristista nel corso del tempo diverge più notevolmente dal modello ebraico è nella creazione ed ingrandimento dell'episcopos, il vescovo, un titolo ed una funzione copiati dalle società pagane. Quelle avevano ufficiali chiamati epimeletai (sovraintendenti) ed episcopoi, la cui funzione era ricevere fondi e dispensare elemosine. [14] Gli antichi Crististi adottarono quest'ultimo titolo, e costituirono per ciascun gruppo un singolo ufficiale così chiamato, che in qualità di presidente dell'assemblea riceveva le offerte di donazioni ed era personalmente responsabile della loro distribuzione. Questa non è la sede per rintracciare gli effetti dell'istituzione nello sviluppo generale delle chiese. Deve bastare l'osservazione che mentre nei loro presbiteri quelle preservarono l'elemento democratico che avevano derivato dall'ebraismo e che diedero loro la loro fondazione sociale, la loro creazione di un amministratore supremo, il cui interesse fu sempre l'accrescimento dell'influenza della sua chiesa tramite l'accrescimento della sua particolare, diede loro una fonte speciale di potere al confronto col sistema ebraico. [15] Per gli ebrei dispersi, tenuti da un legame razziale, un'associazione fu una materia naturale. Riconosciuti ovunque dai gentili dalla religione se non dall'aspetto, essi furono una comunità all'interno della comunità gentile. Per i primi Gesuisti, un'associazione non era quindi una questione ovviamente a tutto tondo. Per gli schiavi, in cerca di amicizia, e i poveri, in cerca di aiuto, lo potrebbe essere stata; ma i più ricchi furono meno attratti spontaneamente per quella stessa ragione. Il legame fondamentale fu la cosiddetta “Eucarestia” che all'inizio, in forme varianti, fu probabilmente solo un rito annuale: le agapae o feste d'amore erano comuni alla moltitudine di associazioni pagane. Coerentemente molti seguaci tesero a “rinnegare il loro riunirsi assieme” [16] e fu chiaramente la funzione del vescovo agire su quelli. Non solo l'epistola agli Ebrei e quella di Giuda ma anche quelle di Barnaba e Ignazio, e Il Pastore di Ermas, esortano ansiosamente o severamente il dovere di una riunione regolare. Discorsi da parte di vescovi e “profeti” sarebbero stati mezzi naturali per promuovere il fine.
Chi produsse allora la letteratura? Ancora una volta, non c'è nessuna prova. Se qualcuna delle epistole potrebbe a prima vista sembrare “autentica”, esse sono quelle attribuite a Giacomo e a Giuda, essenzialmente documenti ebraici o giudaizzanti, specialmente la prima, in cui (2:1) la formula ridondante “la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria” esibisce un'interpolazione cristiana. Essa è essenzialmente nello spirito dell'Insegnamento, ad esortazione di una vita giusta, un invito alle opere in opposizione alla nuova dottrina che la fede è l'unica cosa necessaria, e il suono della nota ebionita (5:1): “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!” Ma se non fosse per l'interpolazione e la nomina di Gesù Cristo nella frase del preambolo, non c'è nessun insegnamento gesuista o cristista specifico di sorta. Se questo documento fu corrente tra i Gesuisti, esso fu copiato da un autore ebreo che aveva al massimo un elemento speciale del credo in comune con loro, quello della “venuta [oppure presenza] del Signore” (5:7-8); e qui non c'è alcuna certezza che “il Signore” significasse il Cristo per lo scrittore.
Ancora una volta, ci volgiamo per la nostra prima traccia all'Insegnamento ebraico, che in superficie esibisce l'espansione graduale di elementi gesuisti, a partire da una menzione ebionita del “Servo” Gesù, e procedendo passo dopo passo da una fase in cui “apostoli” o “profeti” itineranti devono sopravvivere alla giornata e di giorno in giorno, ad una fase in cui profeti insediati sono favoriti da primi frutti, e ancora una fase ulteriore in cui vescovi e diaconi sembrano amministrare mentre profeti e maestri continuano ad insegnare. E siccome i “profeti” costituiscono una classe che nel terzo secolo è scomparsa dalla chiesa, come se la loro opera fosse stata compiuta; e siccome essi recano il nome dato ai produttori principali della letteratura sacra dell'ebraismo, sembrerebbe essere naturale l'ipotesi che essi furono i produttori primari di una letteratura speciale per le antiche chiese cristiane.

NOTE

[1] P.C. 62-63.

[2] S.H.F. 1, 34, 72.

[3] Confronta Weizsäcker, The Apostolic Age, traduzione inglese, 1, 55. È proprio possibile che tra gente in devota attesa dell'imminente fine del mondo, alcune comunioni del genere potrebbero aver avuto un'esistenza breve.

[4] Un buon sostegno alla tesi di Hobbes che il peccato contro il Fantasma Santo è peccato contro il potere ecclesiastico.

[5] S.H.C. 70.

[6] Confronta Atti 13:1 ; 15:32 ; Apocalisse 16:6 ; 18:20, 24.

[7] Conferenze di su The Organization of the Early Christian Churches, terza edizione, 1888, pag. 9.

[8] E.S. 113-115.

[9] Id. Organization, 28.

[10] Id. 28; Foucart, come citato là.

[11] Come nota Hatch, pag. 35, Clemente di Roma (2:16) riecheggia Tobia, 12:8-9, riguardo la benedizione dell'elemosina. Confronta le sue citazioni da Lattanzio, Crisostomo, e dalle Costituzioni Apostoliche.

[12] Hatch, pag. 35.

[13] Id. pag. 35.

[14] Hatch, pag. 37.

[15] S.H.C. 87 seq.

[16] Hatch, 29.

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