venerdì 9 febbraio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (VI) — Prima Fabbricazione di Testi

(procede da qui)

CAPITOLO VI

PRIMA FABBRICAZIONE DI TESTI

§ 1. La “Didachè”

Evidentemente l'Insegnamento (Didachè) dei Dodici Apostoli fu usato umilmente da alcuni dei primi Gesuisti come un autorevole manuale ebraico che li riforniva della loro regola di condotta, con l'introduzione solo successivamente (cap. 9) del loro speciale rito dell'“Eucarestia” di vino e pane spezzato, [1] e con la vaga menzione della “vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo Servo.” Non c'è nessuna menzione di una crocifissione, nessuna menzione di Gesù come Messia. Abbiamo a che fare con un principale Gesuismo ebraico che non è quello dei vangeli, e neppure quello delle lettere paoline, e né quello degli Atti, sebbene concorda con quest'ultimo nel chiamare Gesù il Servo del Signore. È di un tipo perfino più antico dell'ebionismo: infatti gli ebioniti portavano il loro culto di povertà e ascetismo al punto di usare acqua al posto del vino nell'Eucarestia; [2] laddove la Didaché specifica vino, la pratica più antica. La coppa dell'Eucarestia è “la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo Servo”; e i ringraziamenti che seguono (capitolo 10) per il Padre sono “per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l'immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo Servo”.
È abbastanza chiaro che in questa forma di Gesuismo, visibilmente antica al confronto con quella esposta nei vangeli e negli Atti, abbiamo qualcosa di diverso da quella nella sua derivazione. L'Eucarestia, qui per la prima volta apparentemente così chiamata, è derivata solo plausibilmente da un sacramento del corpo e del sangue del Gesù sacrificato. Eucharistia significa ringraziamento o offerta di grazie, e questo pasto rituale è comprensibilmente così nominato. Applicato, come da Giustino Martire e dai Padri successivi, al sacramento sacrificale dei vangeli e delle epistole, il nome è una descrizione falsa: tuttavia la descrizione falsa diventa canonica. La conclusione lecita sembra essere che il culto di un Gesù che al di fuori dell'ebraismo fu un Dio-Salvatore Sacrificato era stato presentato qui, sotto un controllo ebraico, come quello di un Gesù-Eroe, associato come Dioniso al dono del vino, e associato con un pasto rituale di ringraziamento a Jahvè, di cui egli è “servo”.
Prendendo la Didaché per una fase dell'evoluzione cristiana, noi ricaviamo inoltre che la concezione e il nome di un'“Eucarestia” fu da lì imposta su altre e più antiche specie di pasto rituale, in cui il Gesù è ucciso come un sacrificio e commemorato in un sacramento sacrificale. La forma più giudaica del culto assorbe una forma più antica e non-ebraica, cooptata di necessità dal racconto di una morte che conferisce al suo sacramento un valore più elevato per i devoti. È un caso di competizione tra forme di culto per la sopravvivenza, col superamento della forma più debole. E come il sacramento è sviluppato, così lo è Gesù su altre linee. Egli della Didachè non è né Figlio di Dio e neppure Salvatore, come non è il Messia, sebbene egli ha veicolato in qualche modo “conoscenza e fede e immortalità”. Ciò che fa la Didachè è cominciare il processo di un insegnamento dottrinale ed etico che si fonde con quello di un evoluzione del Dio Gesù.
Nella sezione ottava, la “Preghiera del Padre Nostro” è introdotta colla formula “E neppure pregate come gli ipocriti, ma come comandò il Signore nel suo vangelo”. Ora per “il Signore” si intende chiaramente in ogni menzione precedente, non Gesù, il quale è menzionato solamente nei passi del “servo”, ma “Dio”, “il Padre”, la divinità ebraica. O, allora, “il Signore ... nel suo vangelo” allude a qualche “vangelo” di Jahvè oppure, com'è altamente probabile, l'intera clausola è un'interpolazione posteriore. Questo è più probabile perché la settima sezione, prescrivendo il battesimo nel nome di “il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo” è evidentemente interpolato. Stando così le cose, anche la disposizione alla fine del capitolo 9, che nessuno parteciperà all'Eucarestia se non quelli battezzati nel nome del Signore, si deve ritenere un'interpolazione posteriore. Così il documento è stato manipolato in qualche misura pure nelle sue porzioni antiche. Le sole altre menzioni del vangelo sono nei capitoli 11 e 15, che seguono dopo l'“Amen” del decimo, e rappresentano le progressive disposizioni per gli apostoli e i profeti della chiesa nascente. L'introduzione del Gesuismo nei capitoli 9 e 10 è pre-evangelica.
Questo sarà obiettato solo da quelli che, come i primi editori americani e tedeschi, non possono vedere che le prime cinque o sei sezioni sono puramente ebraiche. Dopo che fecero così il dottor Charles Taylor e altri editori inglesi, coincidendo con una prima suggestione del signor Massebieau, [3] il resto sono perlopiù ritornati in riga; e pure gli editori americani osservarono al principio che l'epistola di Barnaba, che possiede così tanto del materiale dell'Insegnamento, è il successivo e non il documento più antico. Così la Preghiera del Signore merita il suo posto come un documento originariamente ebraico e non cristiano; e i passi nei primi capitoli che coincidono col Discorso della Montagna sono a loro volta ebraici. [4]
Possiamo comprendere ora la tradizione che Matteo, di cui i presenti capitoli d'apertura sono così chiaramente posteriori, fu il primo dei vangeli, e fu principalmente una collezione di logia. Ma i logia non furono affatto nelle circostanze del caso logia Iesou, non essendo che una compilazione di detti ebraici sulle linee dell'Insegnamento, e, per quanto riguarda la forma di beatitudine, probabilmente un'imitazione di altra letteratura ebraica come esemplificata nell'“Enoc slavonico”. [5]
Va ripetuto, comunque, che non si deve intendere che le sezioni nona e decima dell'Insegnamento ci diano “il” Gesù originale del movimento gesuista. Noi abbiamo ipotizzato, col Professor Smith, un movimento “multifocale”; e riguardo il Gesù dato qui possiamo dire solo che il documento ci dice dell'associazione primaria del Nome di Gesù con un'Eucarestia non-sacrificale. Se il nome figurava storicamente per Giosuè oppure per il Gesù di Zaccaria, oppure per un altro ancora, è impossibile da definire. Ciò che è chiaro è che esso non punta al Gesù dei vangeli. Quando furono scritte le sezioni di Gesù dell'Insegnamento, i vangeli dovevano ancora venire; e il Dio-Salvatore crocifisso di Paolo non fu predicato, sebbene il suo mito era certamente corrente da qualche parte. 

§ 2. L'Apocalisse

Anche la “Rivelazione di Giovanni il Teologo”, rispetto a molto del suo materiale,  è pre-evangelica, e perfino nei suoi elementi successivi indipendenti dai vangeli. È degno di nota che la più recente critica professionale è giunta dopo un'infinito brancolare nel buio (senza riconoscerlo) all'opinione di Dupuis che l'episodio della donna e del bambino e del drago appartengono al mito solare; [6] e gli esegeti si risparmierebbero probabilmente  una buona dose di ulteriore speculazione contemplando la soluzione di Dupuis secondo cui i dettagli speciali sono derivati semplicemente da un antico planisfero o completo zodiaco, in cui la donna e il drago e l'idra sono figure prominenti. [7] È particolarmente importante in ogni caso realizzare che questa concezione evidentemente mitica di un Gesù Cristo, figurato come “l'Agnello”, evidentemente con un riferimento zodiacale, si ritrova in uno dei più antichi documenti del culto, al di fuori dei vangeli.
In quelli come abbiamo visto, il Dio-Uomo originale è progressivamente umanizzato dalla figura ieratica dei capitoli iniziali di Marco, tramite Matteo e Luca, finché nel quarto, che lo dichiara Logos e preesistente, lui ha stretti amici personali e (a quanto pare) di uno ne piange la morte. Ma neppure la critica acritica che professa di trovare una figura umana riconoscibile in Marco può pretendere di trovarne una nell'Apocalisse. Vi è, per ammissione comune su basi ebraiche, una figura pallida e non-terrestre, che è stata “trafitta”, non ci vien detto dove; che possiede le chiavi della morte e dell'Ade, e trasporta alla sua destra sette stelle; ed ha occhi simili a fiamme di fuoco e piedi simili a bronzo splendente. Con questo apparato pre-cristiano, che sul lato astrologico risale alla Persia e a Babilonia, vi è veicolata una fiera polemica contro alcuni delle “sette chiese”, la setta dei Nicolaiti, e “quelli che si proclamano ebrei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana”. Le chiese nominate non sono quelle degli Atti e delle epistole paoline; Gerusalemme ed Antiochia non sono nominate, sebbene lo è Efeso. Il mito e la dottrina ebraici e pre-ebraici ricoprono il mito gesuista, che in molti punti è visibilmente una mera interpolazione verbale; cosicchè sorge la questione se perfino le sette chiese siano principalmente cristiane o ebraiche.
Se “Babilonia” sta per Roma, essa non è che un adattamento di una polemica più antica; infatti si dichiara che Babilonia è veramente caduta, prima di venir annunciato che lei “sarà precipitata”. [8] Il capitolo undicesimo si dilunga sul tempio ebraico, di nuovo e di nuovo ascoltiamo una declamazione puramente ebraica su sventure ebraiche; i ventiquattro anziani e l'Agnello  “come immolato, in possesso di sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio”, sono di derivazione babilonese e persiana; e la “seconda morte” è egiziana. Nella nuova Gerusalemme, “che discende dal cielo”, venti angeli sono alle porte, che recano i nomi delle dodici tribù; e i “dodici apostoli dell'Agnello” sono rappresentati solo da dodici basamenti delle mura.
Quanta parte ebbe un documento del genere nell'antica costruzione del culto è impossibile ricavarlo dai documenti, che indicano che esso fu considerato a lungo con diffidenza dalle chiese che leggevano i vangeli e le epistole. Ma fornisce una dimostrazione definitiva che il culto aveva radici totalmente dissimili da quelle indicate nella tradizione “cattolica”, e totalmente incompatibili con gli inizi esposti nei vangeli e negli Atti.

§ 3. Epistole

Il problema principale riguardo alle epistole nel complesso è che mentre una critica le sta spingendo sempre più nel secondo secolo fuori dal periodo “apostolico”, esse non mostrano praticamente nessuna conoscenza dei vangeli. Altrettanto poco esse mostrano qualche traccia della “personalità” del Fondatore, che è ipotizzato dalla scuola biografica come la base del mito della resurrezione. Di Gesù come una personalità importante non c'è nessun cenno nell'intera letteratura; e dev'essere un sollevo per i difensori della sua storicità venir invitati a definire documenti pseudoepigrafici entrambi Giacomo e Giuda, la prima scritta in diretto riferimento polemico alla dottrina paolina della fede. [9] L'enigma è concepire come, su quella vista, il documento possa ancora rimanere così privo di una colorazione gesuista.
Salvo per le due menzioni di Gesù (1:1; 2:1) agli inizi dei capitoli, non c'è nessuna traccia di una dottrina gesuana; l'epistola è rivolta alle “dodici tribù della Diaspora”; e c'è un riferimento (2:2) ad una “vostra sinagoga”, non ad una “vostra ecclesia”. Quando perciò notiamo la natura estremamente sospetta della seconda menzione di Gesù, “Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria”, noi siamo titolati doppiamente a diagnosticare un'interpolazione; e la prima menzione nello stesso tempo viene sotto sospetto. Non è sorprendente perciò che un critico come Spitta definisce l'epistola un documento ebraico. [10] Anche se fosse vero, allora, che il materiale escatologico avesse una colorazione evangelica, quello non ci porterebbe nient'altro se non a ipotizzare che il documento ebraico è stato rielaborato leggermente per scopi gesuani. E questa potrebbe essere la soluzione riguardo l'elemento anti-paolino. Un documento originariamente ebraico potrebbe essere stato utilizzato da un giudeocristiano per sferrare un attacco alla dottrina del Cristismo gentilizzante. Il fatto rimanente è che una parte del movimento gesuista nel secondo secolo fu soddisfatta da un documento quasi-apostolico che non ha alcun indizio dell'insegnamento di un Gesù storico. Naturalmente esso passò presto in una disapprovazione “cattolica”.
Ma le epistole rimanenti differiscono storicamente da questa solo rispetto alla loro asserzione di un Cristo crocifisso, per la fede nel quale gli uomini sono salvati. Anch'esse sono prive di dati biografici. Nè una parabola e neppure un miracolo, una dottrina e neppure un atto, una storia della famiglia e nè un luogo di nascita, è mai menzionato del Fondatore nella letteratura epistolare, più che nell'Apocalisse o nella Didachè. E tuttavia la gran quantità delle epistole, come detto sopra, stanno per essere sempre più denunciate dalla critica come pseudo-epigrafiche. La seconda lettera di Pietro fu sempre messa in discussione; e la prima lettera di Pietro ha pochi sostenitori tradizionalisti. Se la prima lettera di Giovanni deve essere raggruppata col quarto vangelo, è respinta con quello in quanto al di fuori della tradizione sinottica: e la seconda  e terza epistola sono semplicemente omesse come false. La lettera agli Ebrei è anonima, sebbene i nostri Revisori ritennero adatto trattenere il suo titolo falso; e pure quell'epistola è completamente priva di una testimonianza ad un Gesù storico. Essa dice semplicemente di un sacrificio umano, in cui la vittima “soffrì fuori della porta”, in accordo alla regolare pratica sacrificale. Posteriori oppure antiche, allora, le epistole non offrono alcun supporto ai vangeli — oppure, almeno, alla teoria biografica fondata su quelli.
È così del tutto inutile sostenere qui la questione interessante dell'autenticità di qualcuna delle epistole paoline. Tanto tempo fa, nove erano scartate come false dalla scuola di Tubinga,  e solo quattro dichiarate autentiche. Ricordando il dato di Eusebio che Paolo scrisse personalmente “solo poche brevi” epistole, sebbene particolarmente dotato in materia di stile, non siamo impreparati a trovare anche quelle messe in discussione. E di recente la scuola olandese il cui lavoro culminò in Van Manen ha elaborato un caso impressionante [11] per il rifiuto dell'intero corpo, comprese le supreme “quattro”; e la difesa fatta fin qui dai tradizionalisti è l'opposto di impressionante. [12] La più abile controcritica proviene da altri uomini di sinistra, come Schmiedel, che fa distruzione degli Atti.
Dal punto di vista dello storico come distinto dal critico documentario, tutto ciò che qui si deve dire sulla questione è che il caso negativo potrebbe dover rideterminare se c'è da affrontare l'ipotesi che il movimento di Gesù fosse di una data relativamente antica, e di un certo grado di sviluppo, quando Paolo irruppe sulla scena. Van Manen assume la storicità sostanziale non solo di Gesù ma del movimento gesuano come esposto nei vangeli; e laddove egli trovò difficile fare quell'assunzione sulla vista che ognuna delle epistole paoline fosse autentica, egli non ebbe alcuna difficoltà circa ciò quando le relegò tutte al secondo secolo. Si dovrebbe chiedere, allora, se l'opinione che il culto di Gesù sia “pre-cristiano” potrebbe non riaprire il caso per alcune delle epistole paoline.
Avendo posto quell'ammonimento, il critico storico deve semplicemente considerare la questione della storicità di Gesù in relazione alle lettere paoline da entrambi i punti di vista, domandando quale prova si può ritenere da loro generata o sulla vista dell'autenticità di alcune oppure su quella della falsità di tutte. E l'esito è che su nessuna delle due viste esse dicono di  un Gesù storico. Se “le quattro” sono autentiche, Paolo, dichiarato essere così vicino all'influenza della “personalità” di Gesù, non solo non mostra alcuna traccia di un'impressione da essa ma mette espressamente da parte la questione. Nell'epistola ai Galati egli dichiara di non aver appreso il suo vangelo dagli altri apostoli ma di averlo ricevuto tramite una rivelazione speciale, evitando in realtà una relazione con gli altri apostoli a parte Pietro — una tesi che di certo sa fortemente di una dialettica post-paolina, come fa il testo (2 Corinzi 5:16): “E se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così”. Invece allora di una conferma da parte delle epistole paoline, sull'ipotesi della loro autenticità, della concezione di una personalità importante che ha profondamente impressionato coloro che giunsero a suo contatto, esse sono in conflitto radicalmente e irrimediabilmente con quella concezione. Fin qui Van Manen è giustificato.
Se d'altra parte noi accettiamo la tesi supportata fortemente che esse sono tutte pseudo-epigrafiche, la storicità dei vangeli non è accreditata in alcun modo. Noi raggiungiamo la conclusione che agli inizi del secondo secolo, quando si potrebbe supporre che questi primi vangeli come il Matteo e il Marco di Papia sono stati correnti, perfino i devoti che scrissero nel nome di Paolo non presero alcun interesse alla personalità umana di Gesù, ma furono interessati semplicemente circa il significato religioso della sua morte. I passi in Prima Corinzi (11:23 seq.; 15:3 seq.) che trattano della Cena e della Resurrezione ripudiano espressamente una conoscenza dei vangeli; dato che nel primo passo si pretende di aver “ricevuto dal Signore” i fatti predicati, e nel secondo passo, secondo una formula simile, si offrono dati non forniti in alcun vangelo. Ed entrambi i passi sono stati chiaramente interpolati, anche se non li definiamo, come siamo titolati a fare, totali interpolazioni. Il primo rompe la continuità di un'esortazione riguardo il modo adeguato di consumare la Cena del Signore; il secondo è introdotto (15:1) con una strana intenzione direndere noto a voi il vangelo che io ho predicato a voi”. E perfino il secondo passo, con la sua menzione dei “dodici”, esclude una conoscenza della storia di Giuda; mentre il primo, al punto in cui i nostri revisori traducono “fu tradito”, dice realmente solo “consegnato” (παρεδίδοτο), che potrebbe o non potrebbe implicare un tradimento.
Come Van Manen avrebbe potuto trovare in tutto questo qualche sostegno alla storia evangelica in generale egli non lo spiegò mai; e ovviamente non è dato alcun sostegno. Considerate storicamente, le epistole distruggono la teoria biografica al di là se le reputassimo antiche o posteriori, autentiche o pseudo-epigrafiche. Se antiche, esse discreditano completamente la nozione di un Gesù storico di una personalità impressionante. Se così posteriori come le rende Van Manen (120-140) esse dicono non solo di un'indifferenza alla personalità di Gesù ma di un'ignoranza della storia evangelica in nostro possesso, suggerendo fortemente che la storia completa della tragedia era ancora ignota, e che solo in interpolazioni ancora più tarde, fatte prima che fosse corrente la storia di Giuda, doveva essere indicata. 
Ciò che è più importante, le epistole paoline, al pari di altre epistole, dicono di un'essenziale incredulità riguardo la realtà di Gesù. A Paolo si fa protestare che “alcuni di voi dicono che non c'è la risurrezione dei morti” (1 Corinzi 15:12). Quei Gesuisti, allora, tenevano al più solo una fede in una salvezza futura in virtù del sacramento. Così nella prima epistola di Giovanni è implicato (4:2-3) che alcuni dei seguaci non confessano che Gesù è venuto nella carne, ciò che si dichiara essere la dottrina dell'“anticristo”, un esempio di cui ne sono sorti “molti”. (2:18)
 Noi siamo costretti criticamente, allora, alla conclusione che per un secolo dopo la morte presunta del Fondatore il movimento gesuista non aveva in ciascun caso alcuna letteratura di sorta salvo una composta da documenti principalmente ebraici come per esempio la Didachè oppure problematiche brevi epistole paoline che sono o scomparse oppure sono state assorbite in documenti molto più grandi di una data successiva, che a loro volta non ci dicono per nulla di Testi Sacri gesuani. Tutte in egual misura escludono la concezione di un Gesù storico dalla personalità importante. Nelle dispute dottrinali che hanno già scavato profonde divisioni nella fede, la personalità di Gesù non conta per nulla. A quel riguardo nessuno cita qualche insegnamento del Maestro. Egli è semplicemente un sacrificio astratto; e perfino in quell'aspetto egli non è presente chiaramente nella Didachè giudeocristiana. Della sua famiglia terrena, del suo domicilio, o carriera, non c'è una parola. Ogni cosa va a confermare la nostra ipotesi che il culto sia di un'origine antica, radicato in un sacramento che si evolse a partire da un rito di sacrificio umano e associato a miti non-ebraici come pure a miti ebraici i quali fin dall'inizio tendevano alla deificazione della Vittima.
Rimane, allora, da considerare di nuovo i vangeli come compilazioni fabbricate nel secondo secolo di (1) una tradizione ebraica precedentemente corrente, scritta e non scritta; (2) elementi dottrinali indicati dalle dispute settarie già attive; (3) elementi pseudo-storici che giustificano una dottrina e una pratica messianiche;  ed (4) elementi del Dramma Misterico, ora sviluppato sotto mani gentili. A tutto questo seguì (5) la nuova teologia e una nuova pseudo-biografia del quarto vangelo che non fu che un'altra fase nel processo generale di fabbricazione del mito.

NOTE


[1] “Lo Spezzato” è usato come un nome: il pane è solo inteso. Evidentemente lo spezzare del pane fu essenzialmente simbolico, come è spiegato nel contesto. Confronta Luca 24:30, 35.


[2] Ireneo, Contro le eresie, 5:3.


[3] Si veda l'Introduzione all'edizione (americana) dei signori Hitchcok e Brown, 1885, pag. 78.


[4] Sopra, pag. 132.


[5] C.M. 422.


[6] Bousset in Encyc. Bib. 1, 209, sulla scia di Gunkel, Schöpfung und Chaos.


[7] Confronta R. Brown,  Jr., Primitive Constellations, 1899, 1, 64-66, 104, 119, ecc.; G. Schiaparelli, Astronomy in the 0. T., 1906, pag. 72; Hon. Emmeline M. Plunket, Ancient Calendars and Constellations, 1903, 117-123, e mappe; ed Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, 5:47-49.


[8] Apocalisse 18:2-21.


[9] Encyc. Bib. articolo Giacomo.


[10] Un'opinione avanzata indipendentemente prima della sua  (1896) dal presente scrittore.


[11] Sintetizzato mirabilmente dal signor T. Whittaker nel suo Origins of Christianity. Confronta l'articolo di Van Manen Paolo in Enc. Bib.


[12] Il dottor F. C. Conybeare ha indicato l'opinione che, poiché la cattedra di Van Manen gli è stata offerta dopo la morte di Van Manen, egli si trova nella posizione di ignorare il caso di Van Manen esprimendo il suo disprezzo per esso. E il dottor Conybeare è preparato ad accettare come autentiche tutte le epistole, una posizione respinta da tutti i critici professionisti tranne che dai tradizionalisti estremi.

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