mercoledì 23 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Introduzione (I) — Influenza della Filosofia Greca sulla Religione Ebraica

(segue da qui)
CAPITOLO I

INTRODUZIONE

1. INFLUENZA DELLA FILOSOFIA GRECA SULLA RELIGIONE EBRAICA

Numerosi scrittori hanno sottolineato l'impulso dato alla speculazione teosofica dal contatto tra la religione ebraica e la filosofia greca; e una minoranza ha visto nel fermento di pensiero risultante una preparazione all'emergenza della religione cristiana. In particolare tra gli ebrei della Diaspora l'orizzonte mentale venne ampliato da una conoscenza delle teorie cosmologiche greche e di un monoteismo metafisico che tendeva a creare disaffezione con lo Jahvè antropomorfico del Pentateuco. In parallelo al progresso intellettuale era in evoluzione un progresso etico che in parecchie persone passò ad un ascetismo estremo. Questo diventò un fattore importante tra le influenze che stavano recando alla formazione di sette nell'ebraismo.
Tra gli spiriti più raffinati il progresso del pensiero e un approfondito senso della miseria e dell'oppressione umane dettero origine ad un desiderio appassionato di comprendere la vita e la morte, e il problema del male, per ottenere felicità o salvezza. Osserviamo la nascita di una crisi morale in un mondo inquieto e turbato come si approssima l'era cristiana. [1]
Una persuasione crescente che le osservanze formali nella religione avessero poco valore al confronto con la purezza di vita venne stimolata dalla concezione più elevata della divinità, e risultò non solo in una spiritualizzazione della religione, ma anche in un'intensa brama di giustizia. Così vennero in esistenza comunità di ebrei che si separarono come eletti di Dio e come i santi tramite cui il mondo doveva essere salvato. Alcuni di loro, mentre respingevano l'ebraismo formale e la Legge mosaica, pensavano di sé come di un nuovo “popolo eletto”, al quale era stato affidato l'obbligo di redimere, prima di tutto i loro prossimi ebrei e poi il resto del mondo.
Un risultato importante del nuovo approccio di pensiero era la trasformazione che produsse nella concezione della natura e della funzione del Messia, il quale diventò tra i più ellenizzati delle comunità un essere interamente spirituale e metafisico. Nei più conservatori il cambiamento di visione era naturalmente molto meno. Una preparazione era già stata fatta per esso da alcuni dei profeti più tardi, i quali insegnavano che la vittoria da guadagnarsi sotto la leadership del Messia non sarebbe stata una vittoria militare degli ebrei sui greci o romani, ma una vittoria di Jahvè sulle divinità dei pagani. Jahvè sarebbe venuto ad essere adorato per tutto il mondo, i gentili avrebbero fatto ricorso al suo tempio, e gli ebrei sarebbero stati onorati come il suo popolo eletto. [2] Un corollario di questo credo era che il popolo dev'essere degno del suo dio. Spettava a lui dimostrare nella superiorità dei suoi propri standard morali la superiorità del dio di cui pretendeva di essere il popolo eletto. Sfortunatamente una crescita di benessere e di lussuria aveva recato un serio rilassamento degli standard morali tra gli abitanti di Giudea, e — cosa che fu perfino peggiore — infedeltà al dio nazionale, come potremo apprendere dalle denunce dei profeti. Poi vennero in esistenza comunità di santi, che differivano parecchio nella dottrina, ma che applicavano a sé stessi l'idea che gli ebrei erano stati eletti da Dio non semplicemente per amore del loro personale vantaggio materiale, ma principalmente allo scopo di poterlo rendere conosciuto al mondo e guadagnare i gentili alla sua adorazione, e l'idea relativa che mediante la loro superiore giustizia essi avrebbero dovuto dimostrarsi degni della loro elevata missione. La cattura di Gerusalemme da parte di Pompeo fu un severo colpo per coloro che ancora speravano al dominio materiale; ma gli idealisti ebrei che pensavano al regno messianico come al Regno di Dio sulla terra decisero che le promesse divine non potevano essere infrante, sebbene dovevano rimanere in disuso finché il popolo non fosse divenuto degno del loro compimento. Nel frattempo i corrotti dovevano essere puniti e la nazione castigata per il suo miglioramento. Le osservazioni anzidette si potrebbero illustrare da estratti dei Salmi di Salomone, composti in una comunità di santi di un tipo relativamente davvero conservatore. 
Persecuzione e rumore di guerra ha udito il mio orecchio.... Udii un fragore in Gerusalemme, città santa.... Dio ha svelato i loro peccati di fronte al sole, tutta la terra ha conosciuto le giuste sentenze di Dio. Le loro trasgressioni avvenivano in luoghi nascosti.... E non ci fu alcun peccato, che non commisero più dei pagani. Per questo Dio immise in loro uno spirito di errore.... ha deciso la guerra contro Gerusalemme e la sua terra..... Si é impadronito delle sue torri e delle mura di Gerusalemme.... e i pii di Dio erano come agnelli innocenti in mezzo a loro. (Salmo 8)
Guarda Signore, e fa sorgere per loro il loro re figlio di David per l'occasione che tu hai scelto, o Dio, perché il tuo servo regni su Israele..... E riunirà un popolo santo, di cui sarà capo con giustizia.... e purificherà Gerusalemme con santificazione simile a quella dell'inizio: sicché giungeranno nazioni dall'estremità della terra per vedere la sua gloria.... E il re su di loro sarà giusto ed ammaestrato da Dio e non ci sarà nei suoi giorni ingiustizia in mezzo a loro perché tutti saranno santi e il loro re sarà l'Unto del Signore.  (Salmo 17)
Nell'ultimo di quegli estratti troviamo in uno scritto ebraico pre-cristiano l'idea del futuro Regno di Dio che diventò così importante nella dottrina cristiana. Il Regno del salmo evidentemente non è il Regno escatologico delle apocalissi. È il Regno del cristianesimo primitivo, che era composto delle comunità cristiane e sarebbe cresciuto con la loro crescita finchè non avesse permeato il mondo, come il lievito permea la farina (Matteo 13:33). Entrambe le concezioni del Regno si trovano nei vangeli, ma la concezione escatologica costituì un importo successivo. Gli ebrei ellenizzati che non aspettavano più un messianico “Figlio di Davide” erano obbligati a correggere la loro concezione del Regno in conformità alla loro ampliata prospettiva religiosa, ed essi sostituirono al dominatore ebreo un  soprannaturale — in alcuni casi un invisibile spirituale — Messia (Cristo). Quelli ebrei avevano cominciato a classificare gli uomini come giusti e ingiusti al di là della razza, e a concepire un dominatore spirituale dell'universo che non aveva nessuna nazionalità e i cui “eletti” non erano necessariamente ebrei.  
La concezione più elevata della divinità era, come si mostrerà da qui in avanti, largamente il risultato dell'influenza greca; gli ebrei della Diaspora erano costretti a realizzare di non essere stati i soli monoteisti. Flavio Giuseppe mantenne che i greci avevano acquisito la loro conoscenza di Dio da Mosè. Gli ebrei ellenizzati che paragonarono il dio del Pentateuco con “l'Uno” della filosofia greca non potevano essere di quell'opinione; ma, dal momento che desideravano una religione e non semplicemente una filosofia, essi elaborarono gradualmente una teosofia che, sebbene plasmata principalmente da influenze straniere, non perse mai certe caratteristiche che gli erano state impresse nella sua origine ebraica. Naturalmente il sistema arrivò a prendere forme diverse in spiriti diversi; ma perfino Filone, che si attenne alla religione dei suoi predecessori, fu in grado di fare così solo rivestendo gli antichi credi di un nuovo significato.
Una trasformazione analoga della religione stava prendendo luogo nel mondo pagano. Il periodo in cui il cristianesimo ebbe la sua nascita e infanzia fu intensamente religioso. Forse non vi era mai stato un periodo più religioso di così; e la religione stava diventando un interesse più individuale e personale. Gli antichi dèi e dèe erano state resi ridicoli dai satirici; ma, proprio come parecchi ebrei tentarono di abolire le crudezze della teologia veterotestamentaria tramite un'interpretazione allegorica del Pentateuco, così i pagani tramite un'interpretazione simbolica di miti antichi estrassero da loro teorie cosmogoniche e rivelazioni occulte di una relazione segreta tra Dio e l'uomo. Per la gente comune il cerimoniale pubblico era fin troppo formale e fin troppo un affare di Stato per soddisfare un bisogno spirituale individuale, specialmente nella misura in cui la perdita della libertà politica e la dissoluzione dei confini nazionali stavano distruggendo l'interesse degli uomini nello Stato. Le terribili sciagure delle guerre civili avevano intensificato la brama di un Salvatore. I grandi dèi sembravano troppo remoti e il Dio dei filosofi troppo metafisico e incolore per una relazione personale. L'uomo medio desiderava un dio da poter non solo adorare ma anche amare; uno da poter immaginare compassionevole del povero e dell'oppresso e suo possibile soccorritore nel suo genuino sforzo di condurre una vita migliore. Gli dèi del secondo tipo vennero così in prominenza come dèi-salvatori, per la cui adorazione si formarono comunità su una base democratica e fraterna, che provvedevano i membri di un interesse non si doveva più trovare nella vita politica. Le primitive comunità cristiane non differano essenzialmente, nella loro natura generale, da quelle. [3] Esse erano tutte prodotti del medesimo ambiente e del medesimo bisogno spirituale — un bisogno che condusse alla costituzione e alla popolarità crescente di culti misterici nei quali la vita immortale era garantita a condizione di adorare qualche dio e di eseguire riti tramite cui il suo aiuto si potesse assicurare e si potessero respingere gli attacchi dei demoni malvagi. Era richiesta purezza di vita, sebbene lo standard di purezza era uno standard orientale piuttosto che uno standard moderno, e indubbiamente i riti e gli incantesimi tendevano a degenerare in mera magia e ad assumere un'indebita importanza. L'immortalità creduta assicurata da loro sarebbe potuta diventare l'attrazione predominante per l'indebolimento dello sforzo a vivere bene. Nondimeno l'affidamento alla magia non era né esclusiva né così esclusivamente pagana come hanno pensato alcuni scrittori cristiani. È certo almeno che come una regola nei culti misterici l'ammissione al grado più elevato dei “perfetti” e la partecipazione nei più segreti “Misteri” sarebbero state concesse solamente a persone che erano state a condurre esistenze irreprensibili. È dubbio se rispetto alla condotta generale ci fosse molta differenza pratica tra i membri delle comunità cristiane e i membri delle comunità religiose pagane; [4] ma le prime avevano un segno distintivo davvero importante, che essi avevano ereditato dalla loro origine ebraica — vale a dire, la fede nell'aver ricevuto una commissione divina per convertire il mondo all'adorazione dell'unico vero Dio, e la fede relativa che le divinità dei pagani fossero falsi dèi. Essi non negarono, comunque, l'esistenza di quei dèi; essi dissero che si trattava di demoni.
A molti degli ebrei ellenistici sembrò indegno che la pura astrazione nella quale essi avevano raffinato la loro deità dovesse aver contatto diretto con la vile materia, e neppure considerarono possibile che egli potesse essere conosciuto immediatamente. Da qui diventò necessario immaginare un intermediario e rivelatore — un essere spirituale che potesse portare Dio in relazione col mondo. Un mediatore nel successivo senso cristiano del termine essi non lo richiesero, perché il loro Dio non era un giudice. Per gli uomini spirituali, i santi, la salvezza era assicurata; i non spirituali, non avendo nessuna parte immortale, dovevano perire necessariamente. Il pensiero dell'amorevole gentilezza di Dio non era un pensiero nuovo al principio del primo secolo. Sarebbe un errore supporre che gli ebrei in generale appena prima la nascita del cristianesimo avessero considerato Jahvè come un giudice severo dinanzi a cui gli uomini potevano solo aver paura. Certamente credevano che egli avrebbe punito i malvagi, ma credevano anche che la sua giustizia sarebbe stata moderata dalla pietà, e che ognuno che fosse redimibile egli l'avrebbe castigato per amore. L'amore e la pietà di Dio sono un tema frequente dei salmi canonici, e nel Testamento dei Dodici Patriarchi troviamo una prova che un centinaio d'anni prima dell'era cristiana c'erano alcuni ebrei che non limitavano l'amore di Dio al loro stesso popolo. Nei Salmi di Salomone Dio è definito Salvatore ed è detto gentile e pietoso per sempre. Lo scrittore di quei salmi, essendo ebreo, senza dubbio pensava di Dio come specialmente il Dio degli ebrei, ma egli non sentì alcun bisogno della presenza di un mediatore tra gli uomini e la severità di Dio. Il punto di vista dello scrittore della seconda metà della Sapienza di Salomone era abbastanza simile, ma più universale:
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti.... Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita (11:23 ff).

NOTE

[1Henri Berr; prefazione a The Jewish World in the Time of Jesus di Guignebert, pag. 7.

[2] Isaia 55:5; 55:6-7. Zaccaria 8:20-23.

[3Un buon resoconto dei gruppi social-religiosi “tiasiti” o “eranisti” si troverà in Rise of Christianity di Kalthoff, capitoli 4 e 5.

[4Confronta 1 Corinzi 5:2; 6:7-8; 2 Corinzi 12:20-21; 13:2, 10.

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