giovedì 24 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Introduzione (I) — La Letteratura Sapienziale

(segue da qui)
CAPITOLO I

INTRODUZIONE

2. LA LETTERATURA SAPIENZIALE

L'ellenizzazione della religione ebraica, risultante in una concezione universalistica e altamente spiritualizzata della divinità, era già in progresso un centinaio d'anni prima del principio dell'era cristiana, ed è esemplificata in ciò che è nota come la letteratura sapienziale. Durante l'ultimo secolo pre-cristiano la teosofia di quella letteratura era in via di sviluppo. La persuasione crescente, tra pagani come pure tra ebrei, che Dio non si deve placare come un monarca terreno mediante cerimonie e doni, ma che la salvezza si debba ottenere tramite qualche tipo di unione spirituale degli uomini con Dio, stava producendo quel tipo di sentimentalismo religioso che chiamiamo misticismo. Una religione di questo tipo mise radici in Egitto, dove fu scritta la Sapienza di Salomone, e in Asia Minore trovò un suolo congeniale. Dagli scritti di Filone di Alessandria possiamo dedurre l'attrazione che aveva per affrancati pensatori religiosi tra gli ebrei; e c'erano alcuni che si erano liberati molto dalla tradizione rispetto a lui. Una tendenza dell'epoca che in alcuni spiriti greci stava trasformando il platonismo in neo-platonismo operò tra gli ebrei per portare in esistenza una teosofia che fosse una specie di neo-platonismo di un tipo intensamente religioso. I mistici ebrei cercarono di conoscere Dio, non coll'esercizio della ragione, ma tramite un'interiore visione spirituale, e di raggiungere un'unione con lui tramite riti a cui associavano un significato simbolico. Da questo punto di vista il rituale della Legge mosaica sembrava essere privo di valore.
La subordinazione del sacrificio e del rituale alla giusta condotta era già stata fatta da alcuni ebrei che continuavano a praticare quelli atti cerimoniali; ma la concezione più elevata della deità naturalmente si portava con sé un respingimento graduale dei riti che erano stati radicati in un ordine diverso di idee religiose, che variava di misura secondo l'intensità dello spirito riformatore, il quale, allora come ora, ispirava diverse persone in gradi diversi. Il credo che i sacrifici non possono offrire alcun sacrificio a Dio è espresso in alcuni dei salmi successivi. Per esempio:
Tu non gradisci né sacrificio né offerta; mi hai aperto gli orecchi. Tu non domandi né olocausto né sacrificio per il peccato (Salmo 40:6).
Gli scrittori della letteratura sapienziale hanno davvero tanto da dire in lode della sapienza ma davvero poco in effetti intorno alla Legge. Nella prima metà della Sapienza di Salomone la parola non vi occorre per nulla. L'aspetto distintivo della letteratura è la prominenza attribuita alla Sapienza, la greca Sofia, che è personificata. Nella Sapienza di Salomone la Parola di Dio, il Logos, è personificata a sua volta, sebbene non prominente. Sembra probabile che in origine la personificazione fosse poco più che una metafora poetica, ma è fatta così completamente e graficamente che la letteralizzazione successiva della metafora non è affatto sorprendente. La pura astrazione, in effetti, sembra essere stata un'impossibilità per i pensatori antichi. Nel primo quarto del primo secolo Sofia e il Logos sono diventati in maniera definitiva entità spirituali che erano creduti in possesso di un'esistenza reale. Tramite loro — o una di loro — si suppose che fosse stata fatta la richiesta “rivelazione”. Tutti i lettori sono familiari con la personificazione della Sapienza nel libro dei Proverbi. La personificazione è continuata nel libro della “Sapienza di Gesù, Figlio di Sirach”, noto come Ecclesiastico, in cui la Sapienza è rappresentata così concretamente da dover diventare un agente partecipatore nella creazione del mondo. Le si fa dichiarare:
Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Il giro del cielo da sola ho percorso, ho passeggiato nelle profondità degli abissi (24:3-5).
Due espressioni in quei versi sono di importanza particolare. La dichiarazione che la Sapienza “è uscita dalla bocca dell'Altissimo” presagisce l'assimilazione della Sapienza alla Parola che si verificò in seguito. Di fatto, lo scrittore deve essere stato a ritenere già la Parola di Dio l'espressione della sua sapienza. E la dichiarazione che la Sapienza “ha ricoperto come nube la terra” potrebbe aver contribuito tramite confronto con la dichiarazione di Genesi che “lo spirito di Dio si librava sulla superficie delle acque” alla identificazione successiva della Sapienza con lo Spirito Santo. Il risultato di questo riaggiustamento di concezioni era che infine le qualità e le operazioni della Sapienza furono trasferite al Logos, mentre la Sapienza rimase lo Spirito Santo.
Nell'Ecclesiastico non è ancora stato raggiunto un credo nella natura duale dell'uomo. Non c'è nessuna vita futura, e nessun pensiero della resurrezione del corpo. Il credo in una resurrezione fisica non fa mai di fatto la sua apparizione nella letteratura sapienziale; e neppure era tenuto dagli gnostici che erano ispirati da quella letteratura. “Quanto è dalla terra”, è detto, “ritornerà alla terra” (41:10). “Il figlio dell'uomo non è immortale” (17:25). “Gli uomini sono tutti terra e cenere” (ib., 27). Gli uomini perciò non possono essere incoraggiati dallo scrittore ad essere virtuosi tramite la promessa di una ricompensa futura in una vita di eterna benedizione. La ricompensa per la virtù è una fama onorevole. “I loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre” (44:14). Gli altri “svanirono come se non fossero esistiti” (ib., 9). Nel capitolo 51 c'è menzione dell'anima e dell'Inferno; ma quel capitolo è evidentemente una aggiunta successiva al testo. [5] Lo scrittore dell'Ecclesiastico era ancora più ebreo che greco. I termini nei quali scrive di Dio sanno di antropomorfismo, e il problema dell'inconoscibilità di Dio non sembra averlo turbato. Ma non fu molto tempo prima che ebrei di inclinazione più filosofica cominciarono a considerare l'Altissimo un essere spirituale, remoto e inconoscibile. L'agente tramite cui Dio si era reso conosciuto fu poi trovato nella Sapienza, che fu ritenuta di aver impartito misticamente la conoscenza ai pii penetrando nelle loro anime. Una percezione della differenza tra la divinità metafisica così resa nota e lo Jahvè dell'Antico Testamento successivamente condusse parecchi gnostici all'opinione che il dio degli ebrei fosse un essere inferiore, responsabile del male che esiste nel mondo. Infine la funzione rivelatrice della Sapienza era, assieme ad altre qualità e funzioni, trasferita al Logos. La conoscenza così recata della natura e dello scopo di Dio diventò nota col termine greco di Gnosis, da cui gli gnostici derivarono il loro nome. L'idea si trova già nel libro dei Proverbi, dove è scritto:
Tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, se appunto invocherai l'intelligenza e chiamerai la saggezza, se la ricercherai come l'argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio (2:2-5).
La Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce.... [i peccatori] hanno odiato la sapienza.... mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni (1:20-31).
Figlio mio, conservali [la Sapienza e la conoscenza del Signore] né si allontanino mai dai tuoi occhi: saranno vita per l'anima tua (3:21-22).
Sarà evidente da quelle citazioni che la Gnosi era qualcosa davvero diversa dalla conoscenza intellettuale che si può acquisire mediante apprendimento e l'applicazione della ragione. Un uomo ingiusto potrebbe aver quel genere di conoscenza. Ma la Gnosi, è detto, è vita per l'anima. Questo, nel passo sopra citato, è forse una figura retorica; ma non rimase così; successivi pensatori religiosi ritenevano davvero decisamente e letteralmente che la Gnosi fosse la condizione della vita eterna, e la sua ricezione da parte di coloro che non l'avevano posseduta in precedenza una “resurrezione dai morti”, il solo genere di resurrezione da loro riconosciuta. La dottrina della redenzione degli uomini tramite la conoscenza di Dio apparteneva all'essenza dello gnosticismo.
Procedendo ad un esame della “Sapienza di Salomone”, [6] troviamo che nel frattempo l'ellenizzazione del pensiero religioso ebraico è stata ad avanzare. Possiamo rintracciare l'influenza delle idee speculative greche riguardo all'uomo e al cosmo, come per esempio le dottrine platoniche dell'anima umana e della Ragione (Logos) divina e la dottrina stoica dell'anima del mondo, che certamente non sono semplicemente copiate, ma combinate e trasferite sotto l'azione dei preconcetti ebraici dello scrittore. Così potremo spiegare l'apparizione del credo in uno spirito immortale nell'uomo che si relaziona allo Spirito di Dio. E lo Spirito di Dio è identificato con la Sapienza. C'è una prova del fatto che lo scrittore era familiare con la descrizione di Platone del Giusto perseguitato e ucciso dagli ingiusti. La Sapienza, sebbene puro spirito, è ancora davvero definitivamente personificata e accessibile.
Facilmente è contemplata da chi l'ama. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta. Essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei. Il rispetto delle leggi è garanzia di immortalità e l'immortalità fa stare vicino a Dio (Sapienza 6:12-19).
L'esaltazione delle leggi della Sapienza da parte dello scrittore si potrebbe prendere per un indizio del fatto che egli non aveva grande considerazione per la Legge mosaica, la quale, come osservato prima, egli non la menziona mai. L'“avvistamento” della Sapienza ovviamente non è un caso di una visione fisica; dev'essere qualche tipo di conoscenza intuitiva. È importante rammentare questo per la comprensione adeguata di espressioni simili nelle opere di mistici ebrei e cristiani successivi. Nonostante la personificazione della Sapienza da parte dello scrittore, nel suo pensiero più interiore lei non era più una persona di quanto lo fosse l'anima del mondo oppure il Logos di Platone.
La sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente. È un riflesso della luce perenne. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti (Sapienza 7:24-27).
È chiaro da questo passo che l'assimilazione della Sapienza allo Spirito Santo adombrata nell'Ecclesiastico ora è stata realizzata. In un altro verso l'equivalenza dei due è dichiarata in maniera ancor più definita:
“Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?” (ib., 9:17).
Lo Spirito incorruttibile di Dio è detto essere in tutte le cose — un'opinione che fu tenuta in qualche forma o altra da gnostici successivi. La dottrina gnostica in embrione è anche osservata in 8:13 —“Per essa otterrò l'immortalità” — poiché ricevere la Sapienza equivale a ricevere la conoscenza di Dio, che è Gnosi. Il Logos in questo testo, come nella dottrina cristiana, è la Parola di Dio, non la Ragione divina che è il Logos di Platone. È la Sapienza ad essere la Ragione divina come pure l'anima del mondo. Ma il Logos sostituisce parzialmente la Sapienza nel ruolo dell'agente di Dio nell'opera della creazione. Dio, è detto, fece ogni cosa con la sua Parola, ma con la Sapienza egli fece l'uomo (9:1). Qui vediamo la prima fase del processo in cui il Logos diventò col tempo quasi tutto ciò che la Sapienza era stata prima. Nella letteratura cristiana la Sapienza sussiste come lo Spirito Santo, che in qualche dottrina gnostica cristiana è femminile e la madre del Logos, il Cristo. Ma come Sofia lei diventò davvero prominente nelle speculazioni teosofiche di Filone e di molti gnostici cristiani.
Nella Sapienza di Salomone la Parola è personificata completamente tanto quanto la Sapienza. Essa siede accanto a Dio sul trono celeste e discende per eseguire i decreti di Dio sulla terra:
Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile (18:14-16).
Il disprezzo crescente per un rituale che consisteva di prescrizioni dirette ad oggetti materiali e interessata ad operazioni materiali venne promosso dalla dottrina che fondava sullo spirito divino incorruttibile — il pneuma — l'assicurazione dell'immortalità per gli uomini, contrastando questo spirito immateriale alla materia corruttibile. A Salomone nella Sapienza si fa dire: “Per essa [Sapienza = Spirito Santo] otterrò l'immortalità” (8:13); ma dei malvagi è detto:  “diventeranno un cadavere spregevole” (4:18). E di nuovo: “La speranza dell'empio è come pula portata dal vento; i giusti al contrario vivono per sempre”. Secondo questa dottrina la morte dell'uomo non-spirituale è l'estinzione. Ma in un paragrafo, che forse costituisce un'inserzione successiva, fa la sua apparizione una dottrina diversa, in cui le anime dei malvagi sono confinate nell'Ade dopo la loro morte. Le espressioni apparentemente discrepanti non sono, comunque, assolutamente incompatibili. Lo scrittore poteva aver considerato l'eterno esilio dell'anima nell'Ade equivalente all'annichilimento. In questa dottrina potremo vedere il principio della divisione tripartita gnostica della natura dell'uomo in pneumatica, psichica, e carnale. L'uomo psichico era supposto in possesso di un'anima (psiche), ma solo le persone pneumatiche erano capaci di vita eterna nel senso in cui gli gnostici utilizzavano il termine. Non siamo precisamente informati riguardo all'opinione gnostica circa l'Inferno; ma è certo che quelli di loro che contemplavano l'esilio delle anime in un sotto-mondo non ammettevano la possibilità di alcun ritorno da esso. L'eterogeneità della Sapienza di Salomone è stata riconosciuta da alcuni studiosi. È chiaramente evidente che i capitoli dal 10 al 19 sono una aggiunta posteriore all'opera. L'inferiore merito letterario di quei capitoli è stato commentato perfino da alcuni critici che non dubitano della loro originalità. I versi conclusivi, dal 13 al 18, hanno tutta l'apparenza di essere stati scritti come una conclusione del capitolo 9. Il punto non è di grande importanza. La differenza della prospettiva religiosa esibita nelle due metà dell'opera non è considerevole; ma un riconoscimento della differenza di paternità è un prerequisito ad una giusta comprensione del libro.
Lo scrittore della Sapienza non credeva che il peccato e la morte si introdussero nel mondo tramite la disobbedienza di Adamo. Cosicché egli anticipò gli gnostici nel non accettare il Pentateuco come la parola ispirata di Dio. La morte del corpo non è nella sua visione una punizione, ma piuttosto una liberazione e la conseguenza naturale della corruttibilità della materia. Il solo genere di esistenza a cui è interessato è la vita eterna dello spirito.
 Dio non ha creato la morte. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale. Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole (Sapienza 1:13-16).
Troviamo anche in questo libro il germe di quell'ascetismo estremo che fu in seguito un aspetto così prominente di certe sette gnostiche. Lasciò il suo segno sulle epistole paoline, [7] e influenzò perfino la pratica della Chiesa cattolica nel celibato del clero. Questo ascetismo è una conseguenza della teoria della natura duale dell'uomo, che non era originaria nelle sette ellenistiche. La base dell'ascetismo è l'ostacolo della pura vita dello spirito per le concupiscenze della carne, che coerentemente devono essere mortificate così che la natura spirituale possa ottenere il suo sviluppo perfetto.   “Perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri” (Sapienza 9:15). Troviamo anche la preferenza del celibato allo stato coniugale che è esibito in 1 Corinzi 7:8 e nella dottrina dello gnostico Marcione.
Beata la sterile non contaminata, la quale non ha conosciuto un letto peccaminoso; avrà il suo frutto alla rassegna delle anime. Anche l'eunuco, la cui mano non ha commesso iniquità e che non ha pensato cose malvage contro il Signore, riceverà una grazia speciale per la sua fedeltà, una parte più desiderabile nel tempio del Signore (3:13). 
Lo scrittore, al pari degli esseni e dello scrittore di 1 Corinzi 7:8, 27, 28, non condanna il matrimonio, ma evidentemente riteneva che nessuna condizione materiale fosse per importanza paragonabile in e per sé stessa alla perfezione della vita spirituale, e che il corpo e le gioie materiali costituiscono un ostacolo all'operare dello spirito.
In aggiunta agli aspetti già descritti, c'è un indizio degno di nota della visione tenuta in precedenza dagli ebrei in una forma più ebraica ma ora universalizzata, che Dio aveva scelto specialmente gli ebrei per veicolare ai gentili la conoscenza di sé. [8] E la percezione di responsabilità così generata fu intensificata in uomini come lo scrittore della Sapienza di Salomone dalla loro persuasione che solo negli ultimi giorni Dio avesse rivelato sé stesso in larga misura mediante la Sapienza. Essi erano spronati dall'orrore dell'idolatria che per qualche tempo avevano appassionatamente provato gli uomini della loro razza. Parzialmente accesi da indignazione, parzialmente indotti da compassione, al vedere il mondo pagano risucchiato, come sembrò loro, nelle tenebre dell'errore religioso, nell'adorazione di falsi dèi e nell'ignoranza del vero dio, essi immaginarono che la loro personale migliore conoscenza fosse una conferma della loro missione divina di veicolare la luce nelle tenebre. “Davvero”, dice lo scrittore della Sapienza, “stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio”. Con quelle parole egli introduce una condanna eloquente dell'idolatria e del politeismo che occupa tre capitoli — dal 13 al 15. Lui stesso potrebbe non essere stato un attivo propagandista, ma le opinioni da lui espresse e che devono essere state condivise da molti dei suoi contemporanei ispirò uno zelo riformatore negli uomini di una generazione successiva. Isaia profetizzò che Israele sarebbe stato “una luce per illuminare le genti”. Gli ebrei ellenistici sostituirono ad Israele la congregazione dei santi, e al Messia ebraico, in quanto il portatore di verità e luce, il Logos. In definitiva, comunque, nel cristianesimo cattolico il Logos divenne fuso nel Messia.

NOTE

[5Naturalmente non ne consegue che la fede nell'immortalità personale non esisteva affatto al tempo dello scrittore.

[6Scritta ad Alessandria, probabilmente attorno al 100 A.E.C.

[7Romani 8:13; 1 Corinzi 7:8. Nel primo di quei versi un editore cattolico, annusando la dottrina gnostica, ha sostituito “atti del corpo” al posto di “corpo”, rendendo assurdo il verso. Come possono gli “atti” essere mortificati?

[8Confronta Isaia 49:6; 60:1-4.


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