mercoledì 11 dicembre 2013

Ken Olson: il Testimonium Flavianum è un Falso (III)

   ...Questa libera traduzione dell'articolo di Ken Olson, A Eusebian Reading of the Testimonium Flavianum (2013) continua dal post precedente...

La seconda parte del Testimonium, con in corsivo la sezione che Meier e numerosi altri studiosi ritengono essere interpolata, recita:
E nonostante Pilato, per accusa dei primi tra noi, lo condannò alla croce, coloro che da principio lo avevano amato non cessarono. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunciato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Fino ad ora la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani, non è venuta meno.
Io ho seguito Meier qui nel tradurre l'iniziale genitivo assoluto come una clausola concessiva. Nella lettura di Meier, la seconda metà del Testimonium suggerisce che l'autore del testo è sorpreso che il seguito di Gesù continuasse dopo la morte di Gesù. Meier dice:
L'implicazione sembra essere una di sorpresa: ammessa la fine vergognosa di Gesù (con nessuna nuova vita citata nel nucleo), uno è impressionato dal notare, dice Giuseppe, che questo gruppo di discepoli post-mortem ci sia ancora e non sia scomparso perfino ai nostri giorni.
Meier è di nuovo piuttosto corretto nel comprendere che il testo comunica che la continuazione del cristianesimo dopo la morte di Gesù è sorprendente. Ma se leggiamo il testo così com'è e includiamo la pretesa che Gesù sia apparso ai discepoli di nuovo vivo, abbiamo una spiegazione per questo sorprendente evento. Inoltre, c'è un argomento chiave che Eusebio realizza a sostegno dell'affidabilità del racconto dei discepoli della risurrezione prima ancora nello stesso capitolo della Dimostrazione in cui egli riproduce il Testimonium. Eusebio, al pari del Testimonium, trova sorprendente il comportamento dei discepoli. Egli dice: ''sicuramente tutti loro avevano assistito alla fine del loro maestro, e la morte verso cui andò. Perchè allora dopo la visione della Sua miserabile fine rimasero sul posto? (3.5.39); e nuovamente: “Io vi domando come quei seguaci di uno spregevole e disonesto maestro, che avevano assistito alla Sua fine, discussero l'un con l'altro come dover inventare una storia su di Lui che possa reggere insieme?” (3.5.113). L'argomento di Eusebio in questa parte del capitolo è che la prolungata adesione dei discepoli alle dottrine di Gesù e il conseguente successo della loro missione è inspiegabile senza la realtà delle apparizioni di risurrezione, che aveva dimostrato la verità di cosa impartì Gesù. Più tardi nella Dimostrazione, Eusebio enumera le ragioni per la risurrezione stessa e mette al numero cinque il bisogno di Gesù di dare ai suoi discepoli una conferma oculare della vita dopo la morte così da dar loro il coraggio di predicare il suo messaggio a tutte le nazioni (Dimostrazione 4.12). Nella sua opera precedente In Onore di Costantino, Eusebio mette al primo posto questa ragione per la risurrezione (Orazioni Tricennali: Sul Sepolcro di Cristo 15.7). In aggiunta, qualcosa del linguaggio usato in questa sezione del Testimonium trova paralleli nell'opera di Eusebio, ma non in Giuseppe. Quel qualcosa include: καὶ ἄλλα μυρία (“e migliaia di altre meraviglie”), che occorre otto volte altrove nell'opera di Eusebio; τῶν Χριστιανῶν . . . τὸ φῦλον (“tribù di cristiani”), che occorre due volte altrove; ed εἰς ἔτι τε νῦν (“fino ad ora”), che occorre sei volte altrove. Alcuni studiosi hanno suggerito che l'autore del Testimonium, nel dire che la tribù dei cristiani non si è estinta fino ad ora, aspetta o perfino desidera che essa giunga ad una fine, ma questa inferenza non è necessaria. Nella Storia Ecclesiastica 1.3.19, Eusebio pensa che Gesù solo, “di tutti coloro che sono mai ancora stati fino ad ora (εἰς ἔτι καὶ νῦν), è chiamato Cristo tra tutti gli uomini,” ed egli in nessun modo aspetta o desidera che questa situazione cambierà. Forse un parallelo più vicino al Testimonium è il Commentario ai Salmi di Eusebio: ''i farisei e i sadducei sono scomparsi (ἐξέλιπον) così del tutto che nessuna menzione è fatta di loro perfino fino ad ora (εἰς ἔτι νῦν), e neppure è il loro nome preservato tra gli ebrei” (PG 23 col. 684C). Entrambi il fallimento dei sadducei e dei farisei nel Commentario e il successo dei cristiani nel Testimonium esibiscono uno dei temi principali della storiografia di Eusebio: qualsiasi cosa che non proviene da Dio fallirà, ma che cosa proviene da Dio non può essere fermata. Il fatto che il cristianesimo non è fallito, ma continua fino a questo giorno nonostante tutto ciò che è stato scagliato contro di esso, è dimostrazione della sua verità.
Io non mi aspetto di essere in grado di capovolgere l'opinione maggioritaria degli studiosi moderni nel corso di un breve capitolo. Ci sono numerosi altri pezzi di evidenza che diversi studiosi hanno citato come motivi per accettare almeno la autenticità parziale del testo, come ad esempio il passaggio che menziona Giacomo il fratello di Gesù in Antichità 20.200, le affermazioni di Origene in Contro Celso 1.47 e in Commentario su Matteo 10.17 che Giuseppe non credeva che Gesù fosse il Cristo, la versione araba del testo del decimo secolo di Agapio, e l'esatta presenza del testo nella tradizione dei manoscritti di Giuseppe.
Cosa ho tentato di mostrare qui è che parecchie delle solite ragioni fornite a sostegno dell'autenticità del testo sono deboli o rivoltabili, e questo è particolarmente vero degli argomenti intorno al linguaggio flavianeo e al contenuto non-cristiano. Inoltre, argomenti circa il tono negativo e letture ironiche o ambigue sono quasi interamente soggettive. La nostra abilità a percepirli dipende da chi noi pensiamo che scrisse il testo la prima volta. L'argomento frequentemente impiegato che il linguaggio è “flavianeo” e perciò deve o provenire da Giuseppe stesso oppure essere una davvero abile interpolazione, va incontro a difficoltà particolarmente nei punti dove troviamo paralleli in Eusebio ma non in Giuseppe. Tale linguaggio, naturalmente, poteva ancora ipoteticamente venir usato da Giuseppe. È impossibile provare l'opposto in maniera assoluta. Ma è difficile vedere come possa essere usato come un argomento positivo a favore dell'autenticità. E se adottiamo l'ipotesi che Eusebio sia così profondamente influenzato dal Testimonium da imitare non soltanto il suo linguaggio ma anche la sua apparente cristologia altrettanto bene nelle sue numerose opere, questo sembra non solo improbabile ma giunge quasi a rimuovere l'ipotesi di autenticità da ogni possibilità di falsificazione. La fiducia che parecchi studiosi ripongono sul Testimonium o sul suo nucleo ricostruito è mal riposta.
La discussione qui offerta, se corretta, contribuisce alla nostra comprensione di Eusebio come un autore, polemista, e preservatore di testi giudeo-ellenistici. Egli è stato riconosciuto di frequente per il suo esteso utilizzo di citazioni. Io ho dimostrato qui che, almeno in quest'unico caso altamente discusso, Eusebio non solo ha usato citazioni, ma le ha anche prodotte, e il suo prodotto fu veicolato nei manoscritti delle Antichità di Giuseppe. La suggestione che Eusebio è stato a volte colpevole di falsa attribuzione è difficilmente in sè stessa una fantasia. Sabrina Inowlocki ha di recente prestato attenzione al passaggio che Eusebio attribuisce a Filone nella Dimostrazione 8.2.402d–403. Invece di quotare direttamente il passaggio dove Filone discute l'incidente in cui Pilato impose aquile d'oro con tanto di iscrizioni a Gerusalemme in Legatio ad Gaium 299, Eusebio attribuisce a Filone un passaggio che combina il linguaggio derivato dal racconto di Giuseppe di Antichità 18.55–59 con la sua personale redazione che prevede un Pilato che situa le immagini nel Tempio stesso. In quel caso, naturalmente, il passaggio eusebiano non fu veicolato nei manoscritti di Filone.
È plausibile pensare che in altri casi Eusebio potrebbe aver influenzato la trasmissione dei testi da lui usati come fonti? Ci sono, in realtà, un pò di casi dove l'influenza di Eusebio sulla tradizione manoscritta di Giuseppe è difficilmente discutibile. Alice Whealey ha sottolineato che i traduttori latini del sesto secolo delle Antichità non fornirono traduzioni originali del Testimonium Flavianum o del passaggio intorno a Giovanni il Battista nel Libro XVIII, ma usarono le traduzioni esistenti di quei passaggi dalla versione latina di Rufino della Storia Ecclesiastica di Eusebio. Nella tradizione manoscritta greca di Giuseppe, compare una nota alla fine della tabella dei contenuti aggiunta al Libro I delle Antichità: ''Il libro copre un periodo di 3008 anni secondo Giuseppe, di 1872 secondo gli ebrei, di 3459 secondo Eusebio''.
Al di là di quei casi specifici, esiste la questione più generale, che David Runia ha considerato, del ruolo giocato da Cesarea nella trasmissione dei testi giudeo-ellenistici. Runia dimostra, per esempio, che i nostri manoscritti delle opere di Filone sono tutte derivate da un singolo esemplare di Cesarea. Comunque, lui pone a lato le opere di Giuseppe in quanto esterne alla prospettiva del suo studio:
Non è probabile che la libreria di Cesarea fosse la sola responsabile della sopravvivenza di quelle opere, che subito dopo la loro pubblicazione ottennero una perdurante popolarità tra i cristiani, e in misura minore, tra i lettori pagani.
Runia 1996:477–478
La descrizione di Runia del corpus flavianeo come un intero, comunque, non si applica alle Antichità, e in particolare non ai Libri XI–XX. Come ha dimostrato Whealey, i più antichi scrittori cristiani che discussero Giuseppe furono assai più impegnati con Contro Apione e con la Guerra Giudaica. Origene ed Eusebio sono i primi autori cristiani a ostentare un'inequivocabile familiarità con le Antichità, e Porifiro è il solo autore pagano a farlo. L'esatta misura dell'influenza di Eusebio su entrambe l'interpretazione cristiana di Giuseppe e la trasmissione del testo di Giuseppe rimane una questione aperta. Nel caso particolare del Testimonium, comunque, sembra davvero probabile che l'opera di Eusebio influenzò la trasmissione dei manoscritti greci del Libro XVIII delle Antichità.