venerdì 26 dicembre 2014

La Reductio ad Paulum come Unico Mezzo per vedere un Gesù “umano” altrimenti Mai Stato Sulla Terra


Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino
e ragionavo da bambino. Ma, diventato uomo, ciò che era da bambino
l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio,
in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia.

(Prima Lettera ai Corinzi 13, 11-12)


Nessuno sulla Terra può negare che il vangelo di Marco è un'allegoria della distruzione del Tempio nel 70 EC. Perchè quando Gesù muore, gridando ''Dio mio, Dio mio, perchè mi ha abbandonato?'' stavolta non si ode alcuna voce dal cielo, come fu al momento del suo battesimo oppure sul Tabor, ma il profondo silenzio è accompagnato da un'eclissi in pieno giorno che oscura tutta la Terra, paradossale antiriflesso del primo giorno della creazione narrato in Genesi, quando era invece la luce a fugare tutte le tenebre, e non il contrario.
Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.

(Genesi 1:2-3)

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.
(Marco 15:33)


Perchè, con la morte di Gesù, è il velo stesso del tempio a squarciarsi.
Esiste un legame tra la morte di Gesù e il velo del tempio che si squarcia, e quest'ultimo non rappresenta affatto, come è stato pensato per troppo, parecchio tempo (complice la banale ottusità dei folli apologeti cristiani), la scissione del cristianesimo dall'ebraismo, bensì la fine di ciò che dell'ebraismo costituiva la più forte ed intima essenza: il Tempio di Gerusalemme.
La crocifissione di Gesù - e per giunta una crocifissione romana - è imbarazzante, non sarebbe mai potuta essere un'invenzione dell'evangelista ''Marco'', mai e poi mai, se non fosse che era la stessa distruzione del Tempio così foriera di imbarazzo e di autentico orrore per il medesimo evangelista, da dover richiedere come spiegazione di quella distruzione, di quel silenzio di Dio di fronte al male, di quel secondo Olocausto ebraico (il primo lo attuarono i Babilonesi, il terzo i nazisti), la morte sulla croce romana dello stesso Figlio di Dio ''che salva'', ovvero la reinterpretazione della morte di Gesù in un contesto umano, con i romani a sostituire i demoniaci ''arconti di questo eone'' del mito originario. Perciò quel folle apologeta di Bart Errorman peccava di grosso quando pensava che il primo vangelo fosse una teodicea per razionalizzare l'evento storico altrimenti inspiegabile della morte di Gesù. Non era la morte del Figlio di Dio l'evento storico causa di dissonanza cognitiva da dover razionalizzare in forma poetica, ma la stessa distruzione del Tempio l'evento storico inspiegabile bisognoso di una teodicea nella crocifissione romana di Gesù.  Il male da curare era la minacciata estinzione della civiltà ebraica. La cura a quel male, dunque un mero strumento, era la raffigurazione allegorica della morte di Gesù su una croce romana. 

 L'errore di una lettura letteralista di ''Marco'' è scambiare il male con la cura e viceversa: i protocattolici (e i tipi alla Bart Errorman) credettero che la morte di Gesù fosse il male indescrivibile e inspiegabile e imbarazzante. Con la distruzione del Tempio nel caso peggiore solo la punizione divina per il deicidio ebraico e nel caso migliore solo un mero corollario da avvolgere all'elaborazione della morte di Gesù.

Così con la morte di Gesù sulla croce avviene quell'eclissi di Sole da lui profetizzata nel capitolo 13. Tutto il capitolo 13 di Marco è soddisfatto all'interno del singolo vangelo. ''Marco'' non era affatto un apocalittico fallito, nella misura in cui il suo Gesù aveva davvero azzeccato tutte le sue profezie all'interno della sua allegoria.
In quei giorni, dopo quella tribolazione, 
il sole si oscurerà, 
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

(Marco 13:24-25)


Nessun altro vangelo realizza questa teodicea meglio di Marco. Dunque questo ai miei occhi costituirebbe la prova più forte della priorità temporale del vangelo di Marco rispetto a tutti gli altri vangeli, a meno che il prof Vinzent non mi riserba sorprese nel libro sulla sua nuova datazione che sto leggendo.
E non è finita. ''Marco'' si inventò la morte di Gesù su una croce romana per spiegare che solo così Dio non era rimasto assente o indifferente rispetto alla crocifissione di tutto Israele in atto nel 70 EC. Dio aveva paradossalmente trionfato lasciando morire suo Figlio su una croce romana. La morte del ''Salvatore'' in persona (''Gesù'') sulla croce romana rappresenta la teodicea, perchè nella partecipazione al dolore storico di un popolo Dio stesso si era paradossalmente manifestato in soccorso al suo popolo addossando tutto quel dolore sul suo primogenito. Mentre nella Pasqua tradizionale ebraica che commemorava l'Esodo dall'Egitto era il primogenito del Faraone a perire (ed in ciò c'era il dito di Dio), ora invece, con questa nuova Pasqua, è il primogenito di Dio a dover morire fatalmente su un'umiliante croce romana, perchè solo così il Salvatore salva veramente il suo popolo, salvandolo definitivamente dal male della Guerra e dal peccato che quel male aveva provocato (non ultimo la pericolosa perdita della fede nella prima venuta futura di Cristo sulla Terra).
A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del bestiame.
(Esodo 12:24)

 L'imbarazzo della croce romana di Gesù è superato dal suo essere l'unica spiegazione possibile consentita dell'Olocausto di Israele perpretrato dai romani.
L'imbarazzo del silenzio di Dio nonostante il grido di disperazione di Gesù su una croce romana è superato in virtù del passaggio provvidenziale dello stesso primogenito di Dio attraverso le medesime disperazione e morte esperite da migliaia di ebrei durante il 70.

Ma chi è il primogenito di Dio che muore al posto dei primogeniti dei nemici di Israele, contro tutte le aspettative? È lo stesso Dio degli ebrei a dirlo, in Esodo 4:22:
Israele è il mio figlio primogenito.

Quindi l'umiliazione, il dolore, la disperazione, l'imbarazzo di Gesù su una croce romana è la stessa umiliazione, dolore, disperazione, imbarazzo di Israele durante la Guerra Giudaica.

Dunque il genio letterario di ''Marco'' è quello di aver fatto calare sulla Terra il mito originario del dio che muore e risorge, il Gesù di Paolo crocifisso dai demoni nei cieli inferiori sub-lunari, trasformandolo in una teodicea letteraria ad un male concreto che tormentava Israele.

Ma cosa poteva inventare ''Marco'' di un Gesù umano se quel ''Gesù'' umano prima della sua invenzione non esisteva affatto?
 

Esisteva un solo modo per avvicinarsi a riconoscere più da vicino quello che fino ad allora era stato sempre e solo figurato un essere celeste rivelatorio, dopo la sua morte e in un contesto totalmente celeste, a-storico e a-temporale. Esisteva una sola ''finestra'' che avrebbe offerto a ''Marco'' l'ispirazione necessaria a concretizzare come meglio poteva un essere mitologico la prima volta sulla Terra.

E quella ''finestra'' si chiamava Paolo. L'apostolo nelle sue lettere era giunto molto vicino ad identificarsi implicitamente con ''Cristo crocifisso'', prolungando nella sua carne il suo dolore. E questo al solo fine dichiarato di diventare anch'egli, e sul suo solco tutti i suoi seguaci, Figlio di Dio. Che per Paolo aveva un solo significato: diventare Dio.
 E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine [την αυτην εικονα], di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore. 
(2 Corinzi 3:18)

Partecipare della deità.

Dunque esisteva un canale bidirezionale a Dio e quel canale era il Gesù di Paolo.

Ma esisteva a sua volta un altro meno evidente canale bidirezionale allo stesso Gesù di Paolo, e quel canale, inutile dirlo, si chiamava Paolo.

Se Gesù viveva nell'uomo chiamato Paolo, l'uomo chiamato Paolo partecipava, in quella misura, della medesima essenza e divinità di Gesù.

Come il Cristo era un Alter Deus, un'ipostasi divina, un arcangelo, l'immagine di Dio, così Paolo era un Alter Christus, l'immagine del Figlio.

Per dirla in parole semplici, come Dio aveva rivelato la sua immagine nella persona del Figlio, così il Figlio a sua volta si poteva ulteriormente riverberare e catturare nella persona di chi lo aveva ''visto'', Paolo.

''Marco'' non doveva far altro che allungare la sua mano alle lettere di Paolo e sfruttare in questo modo la testimonianza dell'apostolo. Quelle lettere erano per lui tuttò ciò di cui l'umanità disponeva per vedere il volto del Figlio che in quelle lettere si era specchiato grazie al suo autore, Paolo. Perfino se la voce del Figlio si sentiva già nella Septuaginta.

Scrivere una biografia dell'Alter Christus, ossia di Paolo, era quanto di più vicino fosse possibile fare per scrivere una ''biografia'', in un contesto interamente umano e ''storico'', dello stesso Christus.

Questa è davvero, sia pure in forma embrionale, la prova finale della non-esistenza di Gesù: se ''Marco'' per sapere di un ''Gesù storico'' non ebbe altro di meglio da fare che ''vederlo'' in Paolo, se l'unico modo per catturare un'immagine il più possibile verosimile di Gesù era attraverso la persona di Paolo, la sua dottrina, la sua eredità letteraria, vuol dire che ''Marco'' non aveva nient'altro, nessuna fonte, nessun ricordo scritto o orale, a cui attingere e su cui appoggiarsi e appellarsi. E non aveva nient'altro perchè nient'altro, a quel punto, esisteva. Perchè non c'era mai stato un Gesù storico sulla faccia della Terra.

Se l'unico modo che hai per vedere l'originale è vederne la mera imitazione in uno specchio, significa che dell'originale sei sempre stato privo fin dall'inizio, non avendo nient'altro da osservare che il suo più pallido riflesso.

Il focus di Marco su Paolo, e solo sul Paolo storico, per riuscire a intravedere qualcosa che più rassomigliasse ad un Gesù ''umano'', è la conferma, la prova del nove, che Paolo non presupponeva, non poteva presupporre, nessun Gesù storico al di là del suo essere rivelatorio celeste e non letterale, del suo ''Cristo in me''. ''Marco'' è la prova indiretta che nelle lettere di Paolo non c'era nessun Gesù storico.

Se per vedere l'osservato (il Gesù storico) sei costretto a vedere e a descrivere solo l'occhio di chi lo osservò (Paolo) allora significa che quell'occhio non vedeva altro se non ciò che sembrava sempre guardare fin dall'inizio (il Gesù celeste, mai sceso sulla Terra).


 


Che Marco è pura invenzione non prova che Gesù non è mai esistito.

Che Paolo sembra guardare e presupporre solo un Gesù celeste non prova che Gesù non è mai esistito.

La prova che Gesù non è mai esistito è che Marco, sul punto di introdurre un Gesù storico, di nuovo e ancora di nuovo parla allegoricamente solo di Paolo, perciò confermando che il solo canale per vedere Gesù era stato da sempre unicamente l'insieme delle rivelazioni e delle allucinazioni dell'uomo chiamato Paolo. Non esistevano, oltre quelle, altre fonti di informazioni circa l'entità Gesù. L'unico motivo per cui non esistevano è perchè l'uomo Gesù non era mai esistito sulla faccia della Terra.

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