sabato 13 giugno 2015

“Lascia che Mauro Pesce seppellisca Mauro Pesce”, o del perchè considero quel `prof´ solamente un folle Teologo sotto mentite spoglie

 
il teologo sotto mentite spoglie di storico Mauro Pesce
il teologo sotto mentite spoglie di storico James McGrath
TESI: Sono così chiamate in teologia le dispute pubbliche e solenni in cui i giovani teologi mostrano la propria abilità, procurandosi reciprocamente ferite alla testa, per avere l'occasione di mostrare l'efficacia del loro unguento che altro non è che la fede. Le tesi presso i cristiani hanno degnamente sostituito i giochi olimpici dei greci, gli esercizi fisici dei romani, le conferenze dei filosofi, meri pagani e ignoranti di teologia.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

 La crociata di un uomo per recuperare il suo amato ''Gesù storico'' dietro le nebbie della Storia può ben rivelarsi, quando portata alla sua grottesca esasperazione, nella tipica ossessione maniacale da deridere e prendere in giro a volontà. 

E penso che questo debba essere fatto nel caso del ''prof'' Mauro Pesce. Mi riesce difficile omettere le virgolette dal titolo di ''prof'' che gli riconosco, considerando il mare di supposizioni gratuite e fallaci che questo presunto 'storico' allestisce alacremente pur di mettere in piedi un plausibile ritratto - o sarebbe meglio chiamarlo ''autoritratto''? - del fantomatico ''Gesù storico''.

E perciò voglio dimostrare che Mauro Pesce è solo un emerito folle apologeta cristiano (o apologeta gesuano che dir si voglia, visto che la distinzione tra il Cristo della fede e il Gesù della Storia esiste solo nella pura immaginazione degli storicisti).

Sono indotto a farlo dal fatto che il geniale Richard Carrier ha già dato del folle e dello sciocco ad un altro ''accademico'': il 'prof' James Mc Grath, la quintessenza di tutti i folli apologeti cristiani di mezzo mondo. Con queste parole:
Lui [James Mc Grath] è un pazzo, in altre parole, per apprendere ripetutamente fatti elementari in modo sbagliato e ostinatamente non riuscendo mai a comprendere correttamente le argomentazioni che denigra, con la pretesa di conoscere meglio dei reali esperti come opera la Storia antica, e non padroneggiando alcuno di tutto questo, anche quando ripetutamente viene colto in flagrante su questo. Leggete questo thread per vedere dove e perché ha guadagnato la reputazione di uno sciocco. E questo per l'evidenza dei suoi eclatanti errori che manifestano un'ignoranza di base della storia e della letteratura antica (tuttavia lui ha il coraggio di implicare che io non sono qualificato ... l'unico tizio tra noi due, che in realtà possiede un dottorato in storia antica). E questo per la sua incapacità di nuovo di neppure comprendere la tesi che attacca. E lui non impara mai. Si tratta di uno scherzo da questo punto.
Si veda come la descrizione che Richard dà di McGrath calza perfettamente a pennello anche con quella che personalmente darei di una nostra famigerata conoscenza: lo sciocco apologeta cattolico Jerim Pischedda. Comune ad entrambi è il pervicace meccanismo di auto-difesa & offesa che scatta nel loro cervello quando si sentono minacciati nei loro fottuti dogmi, inducendoli a sragionare di brutto su tutta la linea.


E dal momento che io non vedrei sostanzialmente alcuna differenza tra come ragiona James McGrath e come ragiona Mauro Pesce (se solo il secondo fosse interrogato più direttamente sulla questione della storicità di Gesù), ne deriva per estensione che se il primo è un folle apologeta, allora anche il secondo è un folle apologeta.

Ovviamente quanto dico vale per Mauro Pesce e consorte, ma essendo la seconda più discreta e riservata del primo, è giusto - indelicato, ma giusto - che sia lui e non lei il principale bersaglio polemico di questo post.


Consideriamo come esempio luminoso della follia di Mauro Pesce questo articolo da lui scritto su una famosa frase trovata nel vangelo di Luca.
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio» (Lc 9,60).

È mia intenzione elencare tutte le ipotesi gratuite che il ''prof'' Pesce deve affastellare per propinare la sua ridicola interpretazione storicista di tale detto evangelico (il ''prof'' Pesce lo chiamerebbe ''gesuano'').

Ipotesi gratuita numero 1:
 Gesù rimane totalmente all’interno del giudaismo. Il Gesù storico è un Gesù ebreo. Su questo non si può tornare indietro.

Si noti il dogmatismo con cui il ''prof'' Pesce lancia giù una così lapidaria affermazione. Nessun dubbio solca la sua mente, a dispetto delle (sempre più numerose) cicatrici che solcano la sua fronte. L'uomo crede ciecamente nella verità profonda che ha appena pronunciato e messo per iscritto. Ha già esposto le sue carte e non ci pensa minimamente a tornare indietro. Perfino la sola domanda se Gesù sia mai esistito lui la ritiene probabilmente un nonsense, così a tal punto il dubbio e il tarlo del dubbio non lo hanno sfiorato minimamente in quella direzione. Spoglio così da dubbi del genere, il ''prof'' Pesce costruirà di lì a poco un castello di speculazioni campate in aria, sull'onda del suo titanico sforzo di immedesimazione con l''uomo'' Gesù, ovvero con un personaggio letterario restituitoci dai vangeli. Un uomo reale di una certa età, il ''prof'' Pesce, si abbasserà all'indegno spettacolo, da autentica demenza senile, offerto da chi rinuncia alla realtà per crearsi un'altra realtà, un altro mondo, un altro dominio, che non esiste da nessuna parte se non nella sua propria immaginazione: il mondo chimerico del fantasioso ''Gesù storico''.

E nessuno potrà mai farlo desistere da quella mission impossible: i folli non potranno essere giammai fermati. E il ''prof'' Pesce si rivelerà ben presto, se solo il lettore ha la pazienza di leggere il resto del mio post, nient'altro che un folle, un sognatore ad occhi aperti, un uomo il cui unico oggetto di desiderio - l'immaginario ''Gesù storico'', alla ricerca del quale il ''prof'' Pesce ha dedicato ''un'intera esistenza'' e ''tanto, tanto studio'' - è presente solo nel campo di senso della pura immaginazione.


Ipotesi gratuita numero 2:
La spiegazione più comune, che io seguo qui, è che Luca e Matteo abbiano preso questo detto dalla celebre raccolta di detti di Gesù, chiamata Q dagli specialisti, un testo ipotetico, che non è mai stato trovato, che conterrebbe soprattutto parole di Gesù.

Nessuno - e posso dirlo serenamente senza tema di smentita - ha mai dimostrato l'esistenza di Q. nzi perfino i suoi sostenitori più ferventi sono costretti a ribadire che rimane solo un'ipotesi. Però tutti, o quasi tutti, sono in grado di capire i problemi che la semplice esistenza di quella fonte risolve, e cioè primo fra tutti l'enigmatico paradosso che a volte Luca sembra più vecchio di Matteo (pur suonando simile a Matteo) e altre volte Matteo sembra più vecchio di Luca (pur suonando simile a Luca), col non trascurabile effetto collaterale che, quando questa situazione si verifica, nessun eco si ascolta in Marco.

In realtà esiste davvero una fonte - ed è possibile ricostruirla, anzi è già stata ricostruita di recente - che risolve questo stesso problema (la cui esistenza io riconosco) ma purtroppo per il ''prof'' Pesce, ha il solo torto di non chiamarsi Q. Mi riferisco a Mcn, il vangelo usato da Marcione e dai marcioniti, che a differenza di Q ci fa il pregevole dono di ESISTERE al di là di ogni dubbio e che Matthias Klinghardt (università di Dresda) ha già dimostrato, in un articolo del 2008, essere la soluzione a tutti gli stessi problemi che l'ipotetica fonte Q era designata a risolvere in teoria senza però mai poterlo fare nella pratica (perchè NON ESISTE la fonte Q, e il Rasoio di Occam semplicemente proibisce di rinunciare a Mcn in favore di Q, una volta appurato che Mcn esiste mentre Q è solo ipotetico, a fronte di una situazione in cui Mcn risolve tutti, uno ad uno, gli stessi problemi risolvibili da Q).


Ipotesi gratuita numero 3:
Secondo la cosiddetta “Edizione critica di Q”,[3] in questa raccolta di detti, la frase seguiva la richiesta di seguirlo che Gesù aveva rivolto ad una persona. La frase che Matteo e Luca trovavano in questa raccolta dei detti di Gesù sarebbe stata la seguente:

Un altro poi gli disse: Signore, permettimi prima di andare e seppellire mio padre.

Egli gli disse: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti.

(mio grassetto sottolineato)

S noti l'uso quasi inconscio del condizionale da parte del ''prof'' Pesce. Il suo scopo è chiaramente di far digerire all'ignaro lettore quella sua presunzione gettata lì su due piedi, confidando che il lettore sia così ingenuo e disattento da non accorgersene. Mi dispiace per lei, caro prof ''Pesce'', ma io non sono di certo quell'idiota del suo fan Stefano Manni, e tantomeno quel folle apologeta cattolico facilmente buggerabile che risponde al nome di Gianluigi Bastia. Se il ''prof'' Pesce, nella sua lucida follia, ci tiene così tanto a quell'ipotesi gratuita in ordine di far seguire il resto del suo 'ragionamento' (ma chiamarlo tale mi riesce difficile), sia pure liberissimo di assumerla, A CONDIZIONE che riconosca come ovvia conseguenza la maggiore improbabilità delle sue conclusioni. Ma questo, ne sono più che convinto, il ''prof'' Pesce non lo farà mai, perchè ne andrebbe altrimenti fatalmente della sua reputazione di teologo sotto mentite spoglie di ''storico''. Io ritengo che il ''prof'' Pesce sia semplicemente privo della giusta onestà intellettuale - e forse persino della giusta dose di intelligenza, non si sa mai - per riconoscere e apprezzare come si conviene questo fatto elementare, ....ma chissà? Il ''prof'' Pesce forse un giorno potrebbe ricredersi. Forse.

Ma in tanto la sua credibilità di storico è già messa in discussione per questa fallacia del possibiliter appena commessa.
In Q, il passo si troverebbe prima dell’invio dei discepoli in missione da parte di Gesù e prima delle norme sul come andare in missione impartite da Gesù ai discepoli e ai Dodici. La frase fa parte perciò di una specie di introduzione all’essere discepoli di Gesù e all’andare in missione. In sostanza, Q pensava che non si potesse annunciare il vangelo, se non ci si era prima posti in una condizione di vita radicale. Chi non aveva seguito Gesù in questo modo talmente radicale da rinunciare a seppellire il proprio padre appena morto non poteva essere discepolo di Gesù e non poteva predicare il vangelo.

Si noti nella citazione di sopra come Mauro Pesce, improvvisamente, quasi senza accorgersene (talmente la sua logica è nascostamente irrazionale) sia passato di colpo dall'esordio con tanto di dovuto condizionale (''...si troverebbe...'') per poi concludere a raffica con una serie di duri e sicuri verbi all'indicativo (''...fa parte...'', ''...pensava...'', ''...non aveva seguito...'', ''...non poteva essere...'', ''...non poteva predicare...'') coronati da altrettanto certi ''...perciò...'', ''...in sostanza...'', ecc. In altre parole, sta facendo seguire nella sua logica contorta un mare di dichiarazioni perentorie sulla base di un'assunzione talmente gratuita da richiedere - persino ai suoi occhi - un ben più modesto condizionale. Dovrebbe sapere il ''prof'' Pesce, se vuole essere fedele al suo ridicolo ''Gesù storico'', che non bisogna giammai costruire sulla pura sabbia. Eppure sul piano logico QUELLO è ciò che sta facendo il ''prof'' Pesce.

E il colmo aggiuntivo è che quella ''pura sabbia'' lui vuole farla passare addirittura per ''forte evidenza''. Puah (conati di vomito).
Riassuminamo: sia Matteo che Luca considerano comunque questo detto come un detto che chiarisce quali siano le condizioni per poter diventare un discepolo di Gesù e così anche lo aveva inteso Q. Certo, non sappiamo se Gesù avesse pronunciato questi detti veramente in questo contesto esistenziale strutturale in cui Q Lc e Mt lo pongono, ma è abbastanza probabile che fosse così anche per il Gesù storico, perché questo detto porta con sé - interno al proprio contentuto - il contesto di riferimento per il quale è stato pronunciato. Non sappiamo però né dove, né quando Gesù abbia rivolto questo comando di non andare a seppellire il proprio padre. Non sappiamo chi fosse la persona a cui Gesù si rivolgeva, e non sappiamo se costui abbia poi obbedito o meno alla richiesta di Gesù.

Domandati seriamente, o lettore: è davvero così, che Matteo e Luca ''considerano comunque questo detto come un detto che chiarisce quali siano le condizioni per poter diventare un discepolo di Gesù'' ?

Si noti in quale tutt'altro contesto spiega lo stesso detto un'altra autorità accademica, il frate domenicano nonchè miticista Thomas L. Brodie:
Questo capitolo (1 Re 19) è un'unità accuratamente costruita, e un approfondito scrutinio indica che tutti e tre i detti presenti in Luca  9.57-62 sono basati su tre episodi combinati che sfidarono e cambiarono Elia: innanzitutto, il suo viaggio solitario attraverso il deserto (1 Re 19.4-8); poi, l'incontro drammatico sull'Oreb che lo esortava ad abbandonare la sua preoccupazione di morire (quelli già mort, e la sua personale morte incombente) e di porsi sulla missione di Dio (1 Re 19.9-18);
ed infine, la sua chiamata di Elia quando lui stava arando ( 1 Re 19.19-21). La somiglianza tra i testi potrebbero essere descritti come segue: 
 


1 Re 19
Elia, che teme la morte,
riceve un'istruzione divina:
1. viaggio nel deserto; non può stare a riposare; cibo al capo.
2. Elia: 'Morte! Morte!' Dio: 'Vai,
ungi un profeta, re'.
3 . Eliseo che ara: 'Io ti seguirò'; si volge.
Luca 9.5 7-62
Gesù, affrontando la morte,
istruisce aspiranti seguaci:
1. solitaria peregrinazione; non può porre giù il suo capo.
2. ' Lascia i morti . . . Vai, annuncia il regno di Dio'.
3 . 'Io ti seguirò'; Non volgerti a guardare indietro all'aratro.

Simile ad un paziente ingegnere navale che si basa su modelli di più antica fattura, e che forma dettagli con la pazienza e la precisione di un orologiaio, o simile ad un letterario Michelangelo che combina maestria su una vasta scala con eguale maestria nel dettaglio, Luca ha realizzato numerosi adattamenti.

(Beyond the quest, pag. 53, mia libera traduzione)

Elia è letteralmente solo nel deserto, ed è letteralmente incapace di posare il suo capo (egli tenta ma non può perchè gli è detto di mangiare il cibo postogli accanto al suo capo) ma in Luca l'allusione al deserto (il contrasto con volpi e uccelli) e l'incapacità a posare il suo capo è una metafora per qualcosa di un'interiore solitaria assenza di riposo. Di nuovo, nella principale scena centrale sull'Oreb (1 Re 1 9.9-18; si veda Luca 9.59-60), Elia è preoccupato di essere letteralmente morto - con quelli che sono già stati uccisi e con la sua personale morte incombente - ma Luca, mentre prima trattenendo il senso di qualcuno letteralmente morto, il padre morto che ha bisogno di una sepoltura, subito dopo modifica l'essere morto in un senso metaforico: 
'Lascia che i morti seppelliscano . . . ', un testo assai dibattuto che la maggior parte di intrepreti prende a riferire a qualcosa di interiore, a coloro che sono spiritualmente morti (Fitzmyer 1981:836). Parimenti, invece di un comando a costituire Hazael e Jehu, entrambi divinamente designati ma entrambi letteralmente re (1 Re 19. 15-16), Luca ci comunica di un commando a proclamare il regno di Dio, una metafora che pone l'enfasi non sul territorio ma su qualcosa con una più chiara dimensione spirituale.

(ibid., pag. 56, mia libera traduzione e mia enfasi)
Io consiglio vivamente la lettura dell'analisi del prof Brodie circa questo punto specifico di Luca emblematico del suo essere derivato midrashicamente dalla Septuaginta. Luca, si sa, è Mcn cattolicizzato (ovvero Mcn è proto-Luca) e dunque il senso teologico, quello al quale veramente vogliono credere gli originali creatori di quella storia, è che Gesù è antiteticamente superiore a Elia, un'interpretazione marcionita così radicale che il protocattolico Luca ha preferito annacquare livellando Gesù al medesimo ruolo di Elia, in quel particolare frangente.

Torniamo alla domanda che la lettura del brano del ''prof'' Pesce aveva legittimamente sollevato. È davvero così, che Matteo e Luca ''considerano comunque questo detto come un detto che chiarisce quali siano le condizioni per poter diventare un discepolo di Gesù'' ?

Io tutto vedo, in base alla fredda analisi letteraria fatta dal prof Brodie (di cui mi sono limitato a quotare traducendole liberamente solo una minima parte), tranne che una preoccupazione dell'evangelista a ipotetici e immaginari fatti storici, tantomeno a cosiddette ''pratiche di vita'' per predicatori itineranti. Il ''prof'' Pesce si è limitato, nella sua crassa ottusità, ad una lettura orridamente letteralista del detto «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio», strappandolo dall'originario contesto letterario che solo soltanto era in grado di poterlo spiegare nella sua profondità teologica, e lo ha ridotto a mera casistica o precettistica religiosa da catechismo dei più ingenui: il maestro che dice le sue precise istruzioni all'allievo. E a tal scopo usa speculazioni antropologiche pur di razionalizzare quel detto - che ricordiamo: è strappato bruscamente isolandolo dagli altri - e darne una ''plausibile'' quanto forzata cornice ''storica''.

La mia logica che sto seguendo è la seguente:

1) il ''prof'' Pesce dice che il detto ''lascia i morti...'' riflette in qualche modo per vie traverse e oscure una situazione storica associata ad un predicatore itinerante ebreo di nome Yeshua e ricordata dall'evangelista.

2) ma io vedo, grazie al prof Brodie, che quel detto trova una naturale e coerente spiegazione in una derivazione midrashica da un racconto relativo ad Elia presente nella Septuaginta greca (neppure nel Tanak!). 

3) il punto 2 solleva l'interrogativo se sia ancora possibile seguire Pesce nel punto 1.

4) perciò sorge la domanda: un esperto moderno (meglio se israeliano) di midrash può assicurarci meglio di qualunque altro se, quando gli ebrei colti creavano una storia midrashica, essi stessi CREDEVANO in qualche modo alla storicità di un qualche fatto riflessa in quelle storie?

In fondo noi vediamo tutt'oggi ebrei e cristiani credere alla lettera alle loro Bibbie. In alcuni casi, quando il messaggio letterale è piuttosto imbarazzante (vedi il Libro di Giobbe dove Dio se la prende col povero Giobbe), si dice subito apologeticamente che si tratta di una mera allegoria e lo si legge per così dire ''in modo allegorico''. Ma chi creava midrash - poichè è un fatto che era lui il creatore della storia, per definizione di midrash -, prendeva a sua volta ALLA LETTERA la medesima storia da lui appena creata?

Se la risposta dell'esperto a quella domanda fosse un , allora le probabilità favorirebbero Mauro Pesce nella sua interpretazione del brano, ma purtroppo per il ''prof'' Pesce ho consultato direttamente il libro degli esperti in materia,

ANCIENT FICTION
The Matrix of Early Christian and Jewish Narrative


Edito da
Jo-Ann A. Brant, Charles W. Hedrick, e Chris Shea
Society of Biblical Literature, Atlanta, 2005.

...E la risposta è un sonoro NO!!!
Così strano come questa idea di “creazione di nuovi miti” ci sembra dalla nostra moderna prospettiva antropologica, pare che i rabbini fecero qualcosa davvero simile a quello che propose Platone — e funzionò! Io non sto suggerendo che leggere Platone fosse parte e parcella della cultura rabbinica; l'idea è posteriore. Nondimeno, io voglio proporre che c'è qualche sorta di relazione tra il soggetto della discussione di Platone e gli inizi del midrash narrativo rabbinico. Platone aveva un problema:  lui riconobbe che una cultura aveva bisogno di storie che descrivano il significato ultimo in vari modi. Molto di questa materia culturale — i miti di Omero e di Esiodo — egli butta via, non perchè sono fictions, ma perchè sono fictions immorali. Come è ben noto, il rigetto del mito tradizionale come un modo valido di descrizione degli dèi si diffuse in lungo e in largo e in vasti segmenti della popolazione durante il tardo periodo ellenistico e il primo periodo romano. Quei racconti, essendo stati generalmente visti per tutta la Storia greca come avendo un significato ultimo per l'umanità, erano ora visti da molti come fictions, o nocive fictions, come abbiamo visto in predecenza con Platone, oppure innocue fictions, come i romanzi, che cominciano a svilupparsi proprio attorno a questo tempo, oppure significative fictions, il che è naturalmente dipendente sul trasferimento del valore di verità del mito dal racconto storico a qualche sottostante sublime affermazione.
Quei vari modi di giudizio e valutazione delle storie tradizionali del mito erano diffusi e popolari ed molto plausibilmente penetrarono la cultura rabbinica in Palestina. Io vorrei suggerire, perciò, che la presentazione rabbinica della loro risposta a questioni ultime mediante racconti fittizi - cioè, la loro creazione di narrazioni midrashiche - si sviluppò in conseguenza dell'estesa identificazione di vasti segmenti di  racconti greci tradizionali come fiction. Dal mondo greco, i rabbini attinsero l'idea basilare che la fiction è un modo valido di proiezione e proclamazione dei propri credi e pratiche.
 
Conclusione

La letteratura midrashica contiene innumerevoli aggiunte nel racconto alla narrazione biblica, e i rabbini potevano distinguere e distinguevano tra le aggiunte midrashiche alla trama il cui scopo era la presentazione della parola di Dio e la ricostruzione storico-letteraria di eventi passati. Nei nostri termini moderni, allora, quelle aggiunte midrashiche alla trama sono davvero fiction, sebbene forse un un termine migliore, basato sull'uso di Platone, sarebbe “mitologia creativa”.

(pag. 126-127, mia libera traduzione e mai enfasi)

Perciò, contro tutto quello che ha propinato vergognosamente finora il ''prof'' Pesce, lui è sprovvisto del più minuscolo barlume di evidenza che dietro i vangeli, e dietro lo specifico detto evangelico
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio» (Lc 9,60)

si alluda in qualche modo ad uno sfondo storico del I secolo che aveva in qualche modo un profeta ebreo di nome Yeshua protagonista.

Consapevole dell'annoso problema posto dall'evidente origine midrashica del racconto, il ''prof'' Pesce non può onestamente tralasciarla tanto è evidente, correndo perciò ai ripari:
 
Molti studi hanno cercato di comprendere l’invito di Gesù a seguirlo rinunciando addirittura ad andare a seppellire il proprio padre nel contesto di alcuni racconti e concezioni delle sacre Scritture ebraiche (non uso l’espressione “Antico Testamento”, perché per Gesù un “Antico Testamento” non esisteva).
...
La lettura di questi brani è di estrema rilevanza.[5] Essi ci mostrano quanto sia errato pensare che Gesù con il comando di non andare a seppellire il ppriro padre - infrangesse la Torah, la legge biblica, e quindi si proclamasse ad essa superiore provocando un superamento del giudaismo. Perché già in Geremia e in Ezechiele, l’invito a non rispettare le onoranze funebri necessarie è ben presente. E in Geremia ciò avviene con esplicito riferimento al padre e alla madre. Di fronte alla distruzione imminente anche queste pratiche fondamentali non hanno più senso.


Il resto dell'articolo di Mauro Pesce è tutto incentrato nel cercare di corroborare per quanto è possibile la conclusione di cui sopra, pertanto non la esaminerò ma criticherò direttamente quella conclusione, in ordine di smentirla.


Qui mi trovo parzialmente in disaccordo con Pesce, ed è proprio qui che almeno per riparare in parte alla sua mancanza iniziale di rigore logico nel metodo, devo riconoscergli quantomeno di essere stato sufficientemente onesto come studioso da mettere ben in chiaro le sue carte e descrivere bene dove fin dall'inizio voleva arrivare a parare (di essere stato chiaro cioè quantomeno nell'esprimere cos'è il suo più pio desiderio, e scusate se è poco, per un teologo sotto mentite spoglie di ''storico'' abituato ad illudere sé stesso e il proprio prossimo).

L'oscuro e terrificante fantasma che il teologo Mauro Pesce vuole esorcizzare in tutti i modi è esattamente il timore che il Gesù venduto dal vangelo di Luca ''infrangesse la Torah, la legge biblica, e quindi si proclamasse ad essa superiore provocando un superamento del giudaismo.''

Non sia mai che questo avvenga, per Mauro Pesce. Ne andrebbe davvero della credibilità di tutti i libri che ha scritto, di tutte le conferenze che ha fatto, di tutti gli articoli che ha pubblicato, di tutto quanto costituisce la missione stessa di cui l'uomo Pesce in persona si sente investito, visto quanto ci tenga a far leva sui risultati della sua ricerca per criticare le oziose gerarchie vaticane nostrane e sperare magari in una utopica rigenerazione del cattolicesimo italiano e da qui, per magico riflesso, della società civile italiana ineluttabilmente sull'orlo di una devastante crisi morale e materiale. Senza un semioscuro Gesù ebreo al 100% da usare come randello contro il Gesù trionfalista mr.''Io-sono-Dio'' di certa bastarda vulgata cattolica, sarebbe impossibile che Pesce possa sperare di fare quello che si ripromette oramai da anni di fare, in compagnia del teologo in odore di eresia Vito Mancuso e di altri teologi della medesima genia come Hans Küng. In questo bisogna serenamente e realisticamente riconoscere che il ''prof'' Pesce non è poi così tanto dissimile da coloro che ''si inventano un Cristo per loro stessi'', come riflesso nell'accusa che Trifone giudeo rivolge polemicamente al folle apologeta protocattolico suo creatore Giustino:

''Ma Cristo – se Egli è nato veramente, ed esiste da qualche parte - è sconosciuto, e non lo sa neanche Lui stesso, e non ha alcun potere finché Elia non venga ad ungerLo, e renderLo noto a tutti. E voi, avendo accettato un racconto senza fondamento, inventate un Cristo per voi stessi, e per lui perite sconsideratamente.''
(mia enfasi, Giustino, Dialogo con l'ebreo Trifone 8.3.4)
Ma il ''prof'' Pesce non ha fatto i conti con un antico ardente vescovo cristiano.

Marcione.

Perchè proto-Luca altro non è che Mcn, il ''Vangelo del Signore'', come lo chiamava Marcione, tradendo di certo maggiore onestà intellettuale e purezza di intenti di quelli che attribuirono falsamente i nostri vangeli a fantomatici ''Marco'', ''Luca'', ''Matteo'', grotteschi testimoni oculari con marchio apostolico inventati per l'occasione.

Per questo semplice e puro Fatto, cadono come neve al sole tutte le astratte elucubrazioni puramente speculative partorite dalla febbrile immaginazione del ''prof'' Pesce.

Perchè significa esattamente il contrario - l'antitesi, direbbe Marcione - di ciò che invano aveva concluso e sperato intimamente il ''prof'' Pesce:

il Gesù di proto-Luca era davvero stato fabbricato dai marcioniti perchè costitusse la netta e radicale infrazione della ''Torah, la legge biblica'' e quindi ''si proclamasse ad essa superiore provocando un superamento del giudaismo.''

Ma non per ottemperare alle voglie dei protocattolici, bensì per soddisfare le esigenze di Marcione e dei marcioniti di rompere definitivamente con l'ebraismo e distinguersi finalmente come nuova religione che con l'ebraismo non avesse più nulla a che fare, ''Gesù'' per loro non essendo neppure il vero messia ebraico davidico (in quanto non Figlio di YHWH, non creato dal Demiurgo).

Siamo chiaramente nel dominio della pura teologia e del contrasto che oppose il marcionismo al messianismo ebraico tradizionale e da qui all'ebraismo tutto. Viene recisa a priori ogni possibilità di risalire ad un ''Gesù storico'' se è un motivo teologico grande come una casa ciò che si nasconde dietro la genesi del confronto antitetico tra il Nuovo - Gesù - e il Vecchio - Elia e i profeti.
Si legga anche, a questo proposito, questo post del prof Vinzent.

Una precisa antitesi marcionita è instaurata nel più antico vangelo scritto contenente il detto Luca 9:60. Un'autentica trave nell'occhio di coloro che, come il ''prof'' Pesce, speravano in un Gesù fuso nell'ebraismo fino all'interessato suo eclissamento in esso. Non c'è continuità, ma discontinuità radicale, brusca, per nulla accomodante. E neppure il tipo di discontinuità alla quale ammiccherebbero volentieri i folli apologeti cattolici come Jerim Pischedda.  Perchè quella discontinuità è posta per prima da marcioniti. Che piaccia o meno, il Gesù letterario che lascia impronte (invisibili) sulla Terra è introdotto per la prima volta da marcioniti. Dall'anonimo autore di Mcn.

Gesù è superiore ad Elia e la sua missione e il suo messaggio sono totalmente diversi dalla missione e dal messaggio di Elia, checchè lo sforzo apologetico di Mauro Pesce è tutto inteso a dimostrare l'opposto. Se Elia doveva scampare alla morte procuratagli da nemici politici - dunque terreni, troppo terreni - Gesù invece doveva liberare l'umanità dalle spire soffocanti del Demiugo, li dio creatore degli ebrei. Questa la chiamo contraddizione, antitesi, discontinuità. Se Elia doveva suggellare dei re ebrei per diritto divino, il regno auspicato da Gesù non è di Israele, non è rivolto a Israele e non è rivolto neppure a questo mondo, perchè non ha nulla a che fare con questo mondo e con il creatore di questo mondo. Anche questa la chiamo contraddizione, antitesi, discontinuità.  Gesù così non è veramente ebreo e il paragone antitetico con Elia serve a sottolineare l'essenziale non-ebraicità di Gesù, non la sua pedissequa e monotona ripetizione delle ''stesse cose'' che ha fatto Elia (come avrebbe voluto desiderare chi falsificò in senso cattolico Mcn, ovvero 'Luca', e come auspica lo stesso 'prof' Pesce).

Perfino se un Gesù storico è esistito, perfino in quell'improbabile ipotesi, è praticamente impossibile poterlo recuperare dietro il ritratto che ne diede quel puro manifesto teologico che chiamo Mcn.  E uno storico Gesù l'Oscuro è perfino più improbabile del Gesù trionfalista cattolico. Quel folle apologeta cattolico Jerim Pischedda cade in contraddizione con se stesso quando crede alla storicità di Gesù l'Oscuro e contemporaneamente ritiene interamente autentico il Testimonium Taciteum e perfino indipendente!

Poi i simili del ''prof'' Pesce, ovvero i suoi reali precursori, i folli apologeti protocattolici, NEL SECONDO SECOLO, si misero alacremente al lavoro a tavolino per giudaizzare, ebraizzare, rivestire di una patina superficiale ebraica, ciò che ebraico, giudaico non era per definizione, anzi non era neppure umano né nato da genitori umani: il Gesù di Marcione.
Mauro Pesce dev'essere considerato perciò un traditore dell'originario cristianesimo allo stesso modo in cui lo sono gli apologeti protocattolici oppure chi crede alla autenticità della Sindone. Lui non ha trovato l'originario ''Gesù storico'' ma ha solo fabbricato di sana pianta l'ennesimo vangelo, l'ennesimo racconto ''privo di fondamento'', la mera riproposizione moderna, sotto l'effimera moda del momento, del medesimo mito di Gesù.


 Per questo ho tutto il diritto di lanciare questa caustica, mordace e deliberatamente provocatoria invettiva contro l'ultimo libro di Mauro Pesce titolato ''Chi ha paura del Gesù storico?'' perchè davvero lo spirito del ''cristianesimo primitivo'' del quale il ''prof'' Pesce auspica il ritorno non è affatto quello originario di Paolo e di Marcione, ma quello sopraggiunto assai più tardi rispetto agli stessi marcioniti, ovvero lo spirito (mi riesce perfino difficile chiamarlo tale ma per una volta lo concedo) di quei bastardi folli apologeti cattolici della stregua di Giustino, Ireneo, Epifanio, Tertulliano, gente che insisteva colla bava alla bocca che Gesù era veramente predetto dai profeti, era veramente in continuità con l'ebraismo, era veramente ''nella carne'', era veramente esistito al pari di ogni altro essere umano. Che agiva così per la semplice ragione che un Gesù ''storico'' vendeva meglio, assai meglio, sul mercato religioso di qualsiasi Gesù interamente celeste. E che rivendicava tutte queste *forti* dichiarazioni basandosi soltanto su 4 vangeli protocattolici oppure più o meno goffamente cattolicizzati (vedi Giovanni, vedi lo stesso Luca) e perciò tradendo in anticipo di non avere altre prove su cui basarsi. Per il semplice fatto che quelle prove non c'erano. In realtà, non c'erano mai state.

Perchè uno storico Gesù non era mai stato sulla Terra.

Pace Pesce.

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