domenica 21 agosto 2016

Sul Potere che Frena

Epimeteo fa un regalo a Pandora.


Una volta che tu limiti la conversazione a quel tipo specifico di Dio, una teodicea è un acido universale. Non c'è spazio empirico lasciato per un dio del genere. Invece, il tipo di Dio che permetterebbe le cose che accadono in questo mondo, deve necessariamente essere la persona più orribile che si possa immaginare (...)
Ecco perché gli atei dicono che Dio è un'orribile persona: non perché pensano che ci sia un Dio o perché desiderano insultare il costrutto cristiano di Dio o perché “vogliono solo peccare”, o sono semplicemente “ribelli” o qualsiasi altra cosa, ma perché quell'orribile Dio è l'unico tipo di Dio compatibile con l'evidenza; e sicuramente nessuno, neppure il cristiano, dovrebbe desiderare l'esistenza di un tale Dio, e neppure dovrebbe lodarlo.
Il motivo per cui il fatto che gli atei sono contro Dio non è indicativo della Tesi della Ribellione è che il Dio contro cui sono gli atei non è il Dio del quale i cristiani sostengono l'esistenza, ma il Dio che deve necessariamente esistere, se un Dio esiste e l'evidenza è come innegabilmente è. A volte, è vero, quelli sono gli stessi — i fondamentalisti che adorano allegramente un Dio assassino di gay, giustificatore di terrore e genocidio, stanno infatti affermando l'esistenza di un Dio orribile. Credo che Rauser stesso condannerebbe un tale Dio; ciò non richiede essere atei, e così, io sono sicuro che lui sarebbe d'accordo, questa non è una prova della Tesi di Ribellione, è una prova che Rauser possiede una coscienza morale. E parimenti tutti gli atei che condividono lo stesso sentimento come il suo.

Ma nella maggior parte dei casi, il Dio di cui Rauser afferma l'esistenza, semplicemente non è un dio compatibile con l'evidenza. Rauser cerca anche di immaginare la “possibilità logica” di una compatibilità del genere, ma richiede troppe contorte impossibilità. Certo, gli atei sarebbero felici di scoprire che esisteva un Dio che era in realtà una persona sommamente morale, qualcuno che era sempre onesto e compassionevole e che non ha mai abbandonato o tradito o torturato nessuno e ha sempre aiutato tutti. Ma non è quello il Dio di cui gli atei come Hitchens sono stati sempre a parlare quando parlavano di rifiuto di Dio. Quando sottolineamo la depravazione di Dio, un Dio contro cui ci ribelleremmo perfino a nostro tormento, stiamo parlando del tipo di Dio così moralmente depravato che permette lo stupro di massa quotidiano dei bambini dai suoi stessi preti per decenni di fila. Come un esempio.

Quello non è il Dio la cui esistenza è affermata da cristiani come Rauser. Non è il Dio che vogliono che ci sia. Ma è, purtroppo, l'unico Dio che ci può essere.

(Richard Carrier)

Raramente un oggetto di per sè insignificante assurge improvvisamente a segno dei tempi. E mi riferisco al burkini, con annessa e connessa la questione sulla liceità o meno di portarlo. Trovo estremamente illuminante e rivelatorio, quasi percependo l'ebbrezza di una maggiore consapevolezza, il fatto che la maggior parte dei folli apologeti cristiani abbiano fatto quadrato attorno alla liceità d'uso del burkini, vedendo nella sua repressione una malcelata e velata minaccia alla propria stessa fede. Cristiani che difendono i musulmani contro quella che viene percepita l'ennesimo attacco laicista. E non poteva non essere così, perchè quando ho visto la prima volta donne portatrici del velo bagnarsi i piedi al mare su una spiaggia deserta il pensiero è subito andato, con un'insofferente percezione di fastidio, a delle donne islamiche. Poi mi è stato chiarito da altri che si trattavano di suore cattoliche, perchè il loro costume era bianco. Inutile dire che il mio senso di intimo ribrezzo non è affatto diminuito, neppure dopo la precisazione. In entrambi i casi, ho assistito a una manifestazione del potere di Dio, perfino se un Dio, ogni dio, non esiste.

La folle apologia dei cristiani a favore del burkini islamico, come si evince da qui, si appella al principio liberale del “vivi e lascia vivere”. Tralasciando il fatto che questo principio non viene rispettato quando sui luoghi pubblici si vede ostentare il crocefisso (a ricordare che cosa? Una mera figura mitologica? ), la novità non sta nell'uso naturalmente distorto che fa il folle apologeta cristiano del liberalismo (a quello, in fondo, ci eravamo abituati: ad esempio lo stesso cristiano che si appella al “vivi e lascia vivere” a difesa del burkini, lo rinnega un istante dopo quando intende negare al neoateo il diritto alla blasfemia), trasformando il fine (la libertà dell'individuo) in un mezzo (l'ennesimo espediente per manifestare sulla terra il potere del suo Dio). No, la novità è più sconcertante, e risiede nell'improvvisa strana alleanza, un'alleanza invero non poi così strana, tra cristiani e islamici. Un'alleanza non ricambiata (quando mai si son visti islamici prendere le parti dei cristiani in modo così fiero?) e che in senso stretto non andrebbe chiamata neppure “alleanza”. Trattasi di un favore bello e buono che i cristiani fanno agli islamici. Un favore che agli occhi dei cristiani che lo fanno è evidentemente già ricambiato nell'ESISTENZA STESSA degli islamici che indossano il burkini sulle spiagge europee, sotto lo sguardo attonito e scandalizzato degli altri europei. E allora non può che insinuarsi il remoto sospetto che il cristianesimo, lungi in realtà dall'essere il difensore dell'Europa dall'islam quanto semmai da sè stesso durante il medioevo, ne stia ora di fatto favorendo la diffusione, non appena ha visto che ciò che ha difeso strenuamente  fino alla battaglia di Lepanto — ossia la stessa Europa — le ha voltato quasi proditoriamente le spalle, una volta stancatasi dell'inesistente Dio inchiodato e dei suoi preti. 

Coll'inevitabile risultato che il cristianesimo passerà il testimone all'islam, quasi allo stesso imprevedibile modo in cui un Giovanni il Battista, profeta di Dio e fondatore di una propria setta del tutto rivale a quella cristiana, finisce nel calendario come SAN Giovanni il Battista, cooptato fin dal primo vangelo come profeta di Gesù (che fu chiamato Cristo), un personaggio che il vero Giovanni il Battezzatore ovviamente non poteva mai conoscere, visto che non c'è mai stato nessun Gesù storico sulla terra. Non sappiamo la reazione dei seguaci di Giovanni all'evidente cooptazione della loro figura fondativa nel ruolo di araldo di un chimerico Gesù detto Cristo, ma sembra, stando al presunto ricordo di chi si richiama a Giovanni nella tradizione mandea, che non dovrebbe essere stata delle migliori:
Gesù Cristo arriva, va in giro umilmente, viene battezzato col battesimo di Giovanni e diviene saggio grazie alla saggezza di Giovanni. Quindi perverte la parola di Giovanni e cambia il battesimo del Giordano, alterando le parole del kusta e richiamando nel mondo malvagità e falsità.
( estratto da "Il libro di Giovanni Battista" , Drashia d-Yahia)

 Eppure i cristiani, e mi riferisco ai cattolici soprattutto, non stanno reagendo all'invasione islamica allo stesso identico modo in cui i seguaci di Giovanni il Battista reagirono all'usurpazione cristiana del loro leader. Se il burkini viene difeso dai cristiani senza apparentemente nulla in cambio dalle presunte vittime che non sia il loro già posare come tali, è evidente vedere in questo omaggio il segno concreto, da parte cristiana, di una visibile intesa coll'islam, un'intesa che si definisce nella comune resistenza al sincero disprezzo di molti europei verso l'ostentazione così palese e sfacciata di simboli religiosi, ma che mostra tutti i segni di un vero e proprio endorsement dell'islam come ideale erede del cristianesimo in quella resistenza.

Con quell'inaspettata difesa, il cristianesimo ha gettato la maschera e si rivela come anticipatore dell'islam nella sua più intima e segreta essenza.


Come poteva non essere così, dopo tutto?

Il cristianesimo nasce infatti da un'eresia ebraica, mentre l'islam nasce da un'eresia giudeocristiana. Dietro entrambi i credi si profila lo stesso inconfondibile monoteismo ebraico, lo stesso vomitevole Dio Unico giustificatore di terrore e genocidio (e non importa se nella Geenna o sulla Terra: è il senso di ventilata minaccia che conta), con la notevole differenza che gli ebrei hanno rinunciato da tempi memorabili a fare proselitismo, ed in quella invero assai nobile rinuncia hanno di fatto smascherato indirettamente la natura inconsapevole di “eresia ebraica per i non-ebrei” tipica di cristianesimo e islam. 

Il cristianesimo dovrebbe essere trattato di conseguenza proprio come l'islam.
È una malattia della mente e dello spirito e quindi non è altro che distruttivo per l'umanità. In realtà io non vedo il cristianesimo come una religione. È più simile ad una piaga spirituale, ad una psicosi di massa, e dovrebbe essere trattato come un problema da risolvere dalla scienza medica. 

Proprio quando il cristianesimo sta esalando il suo ultimo respiro in terra europea, ecco che ritrova la sua congenita dannosità in questo continente nel farsi deliberato apripista delle orde maomettane. La moderna riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo, lungi dall'essere desiderio autentico di recuperare un inesistente Gesù storico, non è nient'altro che una maschera dietro cui si nasconde la volontà di attingere a piene mani dalla spiritualità mediorientale individuata nell'islam, ora che quella occidentale si è miseramente essiccata fino a far perdere perfino il senso di cosa costituisca il suo opposto: la materialità occidentale. 

Non esito a far mie quelle parole di Paolo Sizzi rivolte ai novelli crociati, oppositori assai patetici dell'inevitabile Eurabia, dopo che il cripto-islamismo è così sfacciatamente sponsorizzato da un pontefice rivelatosi reazionario quant'altri mai, parole rivelantesi sempre più davvero profetiche, almeno ai miei occhi:
Pensate forse che in nome del crocifisso potete difendere le sorti d’Europa da ciò che il crocifisso stesso attira come una calamita?


Il cristianesimo ha smesso di difendere l'Europa, perchè in realtà finora ha solo simulato la sua difesa, perchè impegnato innanzitutto a difendere sè stesso contro l'islam quando ne aveva il pieno vigore spirituale. Ma una volta che ha realizzato di avere i giorni contati in Europa, ha capito che doveva guardare ad Oriente, il ricettacolo di tutte le più inebrianti spiritualità: la salvezza viene dagli ebrei, recita il vangelo di Giovanni, ma ha scambiato volentieri i musulmani per gli ebrei (per puri rapporti di forza). Col risultato che il cristianesimo cattolico è di fatto oggi un cripto-islamismo: il “Gesù storico” lo hanno ritrovato alla Mecca, a dorso di un dromedario. 

E così l'Europa rischia di ritrovarsi entro il 2050 ad essere un'enorme Eurabia, e a quel punto nessuno più ci terrà a prendere le sue difese, neppure l'America stessa (che invece rimarrà sè stessa). Ma non sarà un'Eurabia pacifica, come quella immaginata da Houellebecq nel suo ormai un classico Sottomissione. Al contrario, si presterà ad essere, com'è destino di ogni territorio dove l'islam è troppo forte per poter essere respinto ma ancora troppo debole per estendere la sua unificante egemonia mortifera (vedi il Libano, vedi l'ex Jugoslavia), un terreno ideale di scontro, e neppure di scontro di civiltà, visto che quella è già tramontata da un pezzo senza neppure che ce ne siamo resi conto. 

Insomma, dei tre scenari prospettati da Daniel Pipes nel lontano 2007 per il futuro dell'Europa, io penso che l'autore abbia ragione a concludere:
Come ha sintetizzato il columnist americano Dennis Prager: "È difficile immaginare ogni altro scenario futuro per l'Europa occidentale che non sia quello di una consona islamizzazione o di una guerra civile". Piuttosto, questi due percorsi alternativi non allettanti sembrano delineare le scelte dell'Europa, con delle potenti forze che remano nella direzione contraria alla presa di potere musulmana o al rifiuto dei musulmani o al fatto che l'Europa sia un'estensione del Nord-Africa o che vivrà una condizione di una quasi guerra civile.


L'Europa infettata rovinosamente dall'islam sarà un ideale terreno di scontro tra potenze non-europeee indifferenti alle sue sorti, d'altro canto senza averne fin troppi scrupoli (e perchè averne, in fin dei conti?): potevi di certo morire per Danzica, ma perchè avere compassione della futura Eurabia più di quanto se ne è avuta per Hiroshima e Nagasaki? E quindi il futuro suolo eurabico si rivelerà tragicamente la sede perfetta di una futura Terza Guerra Mondiale termo-nucleare combattuta tra l'America e la Russia.  E da quel punto in poi ogni nostra previsione perderà il gusto stesso della profezia e sarà un semplice tirare a indovinare. 

Ma nell'eventualità del peggior scenario possibile, quale sarà invece il miglior scenario possibile auspicabile? Di certo, alla luce dell'ormai palese tradimento dell'Europa da parte di un cattolicesimo resosi complice deliberato e servizievole dell'islam, l'auspicio migliore è forse che prosegua la secolarizzazione “dolce”, così da rendere innocuo anzitempo un cattolicesimo altrimenti destinato a fungere da testa di ponte dell'islam su suolo europeo. 

 Contro le religioni monoteiste coalizzate tra loro qualsiasi ideologia laica non funziona. Come io penso che constati con estremo disincanto Massimo Cacciari nel suo altrimenti piuttosto ermetico trattato gnostico Il potere che frena (Adelphi 2013), il Prometeo dell'ideologia ha fallito sia quando doveva prestare il proprio servizio alla fede cristiana nel ruolo del “katechon” sia quando si era messo in testa di sradicarla con la forza. A completare il lavoro per davvero, facendo piazza pulita del cristianesimo europeo, non sarà nessun fascinoso e titanico Prometeo, bensì il suo ottuso e gorillesco fratellino: Epimeteo.

Eccone la presentazione piuttosto barocca fatta dal filosofo veneziano:




L’ETÀ DI EPIMETEO
Ma che accade allorché il katechon, esausto, giunge al suo termine, a ‘toccare’ la manifestazione piena dell’Anticristo? Allorché potenze terrene e spirituali non ne ‘contengono’ più l’impeto, neanche al prezzo di assumerlo in sé? Nello spazio del tempo apocalittico, la ‘misura’ catecontica permetteva ancora, per quanto debolmente, di sapere, ricordare e prevedere. La potenza che consentiva di credere nella sintesi di tempo e concetto, di ‘progettare’ la storia, organizzandone-contenendone energie e soggetti, era potenza prometeica. Nella sua dimensione più alta e forte, il katechon appartiene a questa famiglia di Titani. Ma alla fine, quando, cioè, il tempo della fine sia compiuto, è un’altra persona della stessa schiatta a dominare, Epimeteo. E sarà questa persona che dovrà indossare chiunque creda ancora di poter assumere una funzione catecontica.

Ma di cosa è allegoria precisamente Epimeteo ?
È la grandiosa rivincita di Epimeteo, proprio nel momento in cui il fratello pensava di rappresentare e celebrare il proprio trionfo. Non si diceva, appunto, che, posto termine alla grande
guerra civile europea-occidentale, rinnovata la vittoria di Azio, un impero si sarebbe formato, anzi: si andava già formando, culmine dell’età prometeica, capace di contenere e guidare, di potestas e auctoritas, poderoso nel suo apparato tecnico quanto nella sua energia spirituale, ben radicato come l’antico nomos e insieme pre-vidente e audace nell’universalità dei suoi progetti? Questo narrava la favola, confondendo i colori del tramonto con quelli dell’alba. L’età prometeica non si affermava che nel suo compimento – compimento che essa aveva appunto previsto. La sua titanica energia era servita a contenere, prima, e a demolire, infine, tutto ciò che si opponesse all’universalismo della propria idea. Tensione o contraddizione che costituisce la vita stessa della forma catecontica: da un lato, essa non può ammettere l’autonomia della parte, dell’individuo rispetto al tutto, ma, dall’altro, ha in sé il bisogno di radicarsi in un nomos, di determinarsi o ‘individualizzarsi’. Al suo compimento-tramonto il destino del katechon consiste nel voler contenere in sé the Globe.

Epimeteo è simbolo di un indifferentismo nichilista che ha da tempo cessato di aspirare alla sintesi, preferendo sgretolarsi nelle singole parti in un processo inesorabile di atomizzazione, e insieme di lento e graduale sgretolamento, ad oltranza. 
‘Assicurato’ l’ultimo uomo alla rete, dove ogni relazione appare calcolabile, e dove ciò che non è riducibile al calcolo è semplicemente ni-ente, l’Antikeimenos, la sua figura autentica, presagita dai Padri ben oltre le sue maschere plebee diabolico-anarchiche, e riscoperta dai grandi ‘mistici’ russi, da Solov’ëv a Florenskij, nell’epoca apocalittica dalla loro terra vissuta tra Ottocento e Novecento, assume il nome di Placidus. Egli vuole essere ‘in pace’ con ogni domanda e con ogni credenza dell’individuo. Tutto ciò che non riguarda il ‘dispositivo’ del suo dominio è affare privato, questione ‘di cuore’, un sognare o fantasticare indifferenti. All’unità della rete si accompagna l’indifferenza ‘sovrana’ per il ‘conflitto dei valori’ – in-differenti tra loro, ormai, neppure degni di comparazione, o immediatamente riducibili al loro significato economico. Valutati e basta debbono esser fatti apparire convinzioni, fedi, ogni interrogare sul senso ek-statico dell’esserci. Il Placidus rovescia la domanda tragica nietzschiana, ‘come è possibile vivere nell’esperienza della morte di Dio’, in quest’altra: come è possibile durare eternamente, eternamente ritornare, se si cerca Dio.
Responsabilità è soltanto ciò che lega alla soddisfazione del proprio interesse, allo svolgimento della propria ‘cosa’. A nulla rispondere oltre a ciò, di tutto ritenersi ‘innocenti’ al di là di questo orizzonte: così suona la massima dell’ultimo uomo. Nulla dovere – e diritto come richiesta di tutela.
Imperi catecontici, potenze spirituali-mondane, i loro epocali conflitti sembrano dissolversi di fronte alla energia di questo ultimo. Egli è l’apostata: la figura della secessio definitiva da ogni potenza che pretenda di resistere all’Antikeimenos.

Epimeteo è quella forza placida eppur possente e titanica che impedisce a chi sembra averne sia il diritto che l'occasione di compiere grandi ed eroiche imprese, e nella direzione della costruzione e nel senso della distruzione. Per fare un esempio tra i più semplicisti, solitamente si dice che durante la Guerra Fredda non si è lanciato il primo proiettile atomico per timore del collaterale effetto deterrente: il bene particolare (salvare la propria pellaccia) ha avuto così il trionfo sul presunto bene universale (o che l'ideologia voleva vendere come tale). Portando all'estremo questa preferenza del particolare sull'universale, ogni pretesa ideologia, ogni sedicente religione, ogni grande illusione è destinata a perire sotto il rullo compressore lento ma inesorabile di questa scissione quasi meccanica nei mille rivoli di interessi individuali, il solo capace di svuotarne, come una sanguisuga, il senso e vulnerabilizzarne, come un virus, la pericolosità anche solo potenziale.


Ma non sarà la pace che porterà l'irruzione di Epimeteo:
Segnerà questo sistema-mondo l’avvento del Placidus? Non certo nel senso che Epimeteo sembra promettere, e cioè nel senso che la ‘chiusura’ della prospettiva prometeica renda possibile la riduzione di ogni conflitto al calcolemus e la fine della lotta tra le potenze per l’egemonia. Ma, piuttosto, proprio nel senso escatologico dell’inaugurarsi di uno spazio di permanenti crisi, di passaggio da crisi a crisi senza soluzione di continuità, senza armistizi e meno ancora paci. Il regno del Placidus è l’opposto di indistinta unità. L’élite che lo governa è lungi dall’esprimere un’identità di comando – identità che solo un’energia prometeica, rivolta ad un Fine, strategicamente ‘infuturantesi’, potrebbe rendere anche solo pensabile. L’impersonalità del Sovrano comporta, invece, l’affermazione del carattere irriducibilmente policefalo del potere, o, meglio, la continua competizione tra le sue diverse funzioni per l’affermarsi di ciascuna come la vera interprete e rappresentante della Legge immanente al sistema. Il fondamento comune della loro ‘visione del mondo’ – e cioè l’incontrastata fede nel fatto che ogni problema dotato di senso vada espresso in forma tecnico-amministrativa, e che solo attraverso la potenza dell’apparato tecnicoamministrativo possa risultare risolvibile –, lungi dal rendere meno aspro il conflitto, tende continuamente ad esasperarlo. Teologicamente, tutte le forme del potere epimeteico esprimono l’apostasia, ma proprio perché ognuna si afferma individualmente ‘libera’ e, alla fine, ab-soluta rispetto alle altre, proprio perché nessuna concepisce realmente un ‘ulteriore’ rispetto a sé, e ancora meno sopporta di essere regolata o codificata da altro che da se stessa, risulta alla fine inevitabile la competizione perenne.
Nulla è più irrealistico che concepire il sistema-mondo come compattamente regolato da arcana imperii. Questo significa proiettare sulla sua immagine quella del katechon più forte. Ma l’Evo catecontico-cristiano è quello delle grandi guerre e delle grandi rivoluzioni. Quello di Epimeteo sarà piuttosto l’Evo dell’insecuritas e delle crisi permanenti. Teologicamente, esso può rappresentare soltanto l’ultimo spasmo del tempo prima della Decisione; politicamente, la sua durata è imprevedibile, come sempre più imprevedibili si fanno i suoi momenti, mano a mano che il suo impeto indebolisce, fino a demolirli, gli ordinamenti catecontici.

L'unica certezza del futuro sembra essere “la comune apostasia rispetto all’Evo cristiano”:
Tempi e modalità di queste trasformazioni a Epimeteo non è dato sapere. Ciò che la crisi permanente permette oggi ragionevolmente di affermare è che da esse non emergeranno nuove potenze catecontiche. Emergeranno forse ‘grandi spazi’ in competizione, ‘guidati’ da élites che, pur in conflitto tra le loro diverse potenze, sono caratterizzate tutte dalla insofferenza assoluta verso qualsiasi potenza che trascenda il loro stesso movimento. Unite soltanto dalla comune apostasia rispetto all’Evo cristiano. Molto di più non sembra sia dato sapere. Prometeo si è ritirato – o è stato di nuovo crocefisso alla sua roccia. E Epimeteo scorrazza per il nostro globo, scoperchiando sempre nuovi vasi di Pandora.


Ma cos'è precisamente quest'apostasia? Non sarà neppure una vittoria dell'ateismo, da Cacciari fatto coincidere (profeticamente) con la stessa “negazione dell’esistenza storica di Gesù” :
Dostoevskij riprende esattamente il motivo delle Lettere di Giovanni, enfatizzato da Agostino. L’anticristicità che l’Inquisitore professa è rigorosa: nessuna negazione dell’esistenza storica di Gesù; nessun ateismo; neppure, a ben vedere, la critica del nesso paolino tra Gesù e il Cristo, ma la prepotente istanza di spezzare ogni simbolo tra divino e umano, l’affermazione dell’intrascendibilità del vulnus che rende impotente l’esserci all’essere libero.
(...)
Nessun ateismo, nessuna negazione di Dio, come si trattasse di un qualsiasi discorso, ma esperienza tragica che la divino-umanità di Gesù, il Cristo, contraddice in toto l’idea che di Dio e dell’uomo ha il mondo.
(...)
L’Ingannatore del mondo si presenta come Figlio di Dio (Didaché, 16, 4). La sua energia si esprime nel se-durre dalla fede nel Signore Gesù: la sua apostasia non è discessio o secessio genericamente da Dio, non ha nulla a che vedere con qualsiasi forma di ‘ateismo’; essa ha un solo bersaglio: sradicare la fede che Gesù sia il Cristo.

Qual è l'illusione alle porte che meglio rappresenta quella “prepotente istanza di spezzare ogni simbolo tra divino e umano”?  Non v'è dubbio, almeno per me, che esso sia rappresentato dal malefico dio impenetrabile dell'islam (lo stesso del cristianesimo e dell'ebraismo), al quale ogni riferimento contenuto nel Corano sembra penzolante per l'eternità più macabra sopra l'infinito abisso del Nulla. 

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