lunedì 10 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXXIII)

(per il capitolo precedente)


XXXII
Il vero significato storico dell'Apocalisse è, naturalmente, che esso ci rivela lo stato d'animo in cui il miscuglio di tradizione ebraica e cristianesimo emergente assunse una forma tangibile per la prima volta. Questa forma si potrebbe definire in parte misticismo estatico, e in parte puro sofisma, non bilanciato da alcun miscuglio di ragione o conoscenza del mondo. Il risultato non offre nessun profondo nutrimento nè alla ragione nè all'emozione, ma stimola la fantasia fino al punto di esagerazione.
Questo libro forma il fondamento del Nuovo Testamento con la sua energica tensione verso una trasformazione ed un completamento dell'ideale messianico trovato nell'Antico Testamento.
Se si dovesse avere qualche desiderio di scoprire che forma assunse questo ideale messianico nel giro di un secolo, basta solo volgersi dallo studio dell'Apocalisse, che è il punto di partenza, al vangelo di Giovanni, che chiude in realtà il Nuovo Testamento e indica l'estensione e la direzione del percorso coperto.
Nella sua natura, quel vangelo non è più storico dell'Apocalisse, ed è egualmente indipendente dai vangeli sinottici. Dettagli ottenuti dagli altri vangeli sono trattati del tutto con non chalanche nel quarto come semplice materiale da poter utilizzare per la costruzione di una struttura teologica a molti livelli solo dopo esser stata ricolma di simbolismo e reinterpretata in uno spirito che la rimuove da ogni connessione con la realtà.
Nello spirito come nella costruzione, il quarto vangelo è fondamentalmente tanto distinto dai vangeli più antichi quanto dagli Atti, la quale opera, a dispetto di tutti gli elementi soprannaturali e miracolosi, tende coerentemente verso un approccio puramente narrativo.
Il vangelo di Giovanni è dappertutto nient'altro che un'allegoria mistico-teologica. La figura centrale della sua presentazione è, in sé stessa, nient'altro che un pezzo di vivente allegoria. Non un tratto è impiegato che non debba essere inteso in un senso simbolico. E ci sono passi dove si potrebbe scoprire uno strato all'interno di uno strato di questo simbolismo.
Quindi, quando Giovanni il Battista vede avvicinarsi Gesù, egli grida: “Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!”. Questo implica prima di tutto un'anticipazione del racconto della Passione. Poi serve ad associare Gesù all'agnello pasquale. Di fatto, ci sono numerosi altri strati di simbolismo all'interno di questo detto. Sulle labbra di Giovanni, l'agnello pasquale serve da link tra l'agnello nel suo senso letterale e l'idea che Gesù morirà così da rimuovere il peccato e offrire cibo di vita eterna.
Ma c'è ancor più simbolismo nella semplice idea di Gesù come agnello pasquale. Mentre i tre più antichi evangelisti fecero accadere la sua morte nel giorno stesso di pesach, o pasqua, il quarto vangelo mantiene che essa si verificò il giorno prima . . . cioè, il quatordicesimo giorno, e non il quindicesimo, del mese di Nisan. Questa differenza è causata dall'appassionata controversia riguardo la celebrazione della Pasqua che esplose in Asia Minore intorno alla metà del secondo secolo. La fazione giudeocristiana si appoggiò alla tradizione e si unì agli ebrei nella sua celebrazione con un pasto festivo il 14 di Nisan. In supporto alla loro posizione essi citarono il vangelo di Marco e l'espressa testimonianza dell'apostolo Giovanni.
I seguaci di Paolo, d'altra parte, provarono indifferenza verso l'osservanza di specifici giorni festivi (Colossesi 2:16). E perchè prestare qualche attenzione alla Pasqua ebraica, quando Cristo stesso fu il vero agnello pasquale, e condotto al macello come tale (1 Corinzi 5:7)? È a causa di ciò che, in Giovanni 19:36, troviamo Gesù descritto indirettamente come l'agnello pasquale. In casi di morte per crocifissione, era costume spezzare le ossa dei condannati così da abbreviare i loro tormenti. Secondo il quarto vangelo, questo non fu fatto nel caso di Gesù perchè egli era già morto. Gli ebrei non vollero che fosse eseguito quell'ultimo atto perchè sarebbe stata una violazione della Legge di Mosè. In Esodo 12:46 leggiamo: “L'agnello si mangerà in una sola casa; non porterete nulla della sua carne fuori di casa e non ne spezzerete alcun osso
.
Gesù, allora, è il vero agnello pasquale perchè le sue ossa non furono spezzate. È necessario mettersi nello spirito di parecchie migliaia di anni fa per rischiarare questa linea di pensiero, che implica la trasposizione di antiche regole alimentari alla natura di un maltrattamento sottoposto ad una personalità divina.
È interessante notare come, pur di sfuggire da quelle dispute settarie circa il significato della festa pasquale, il quarto vangelo trascura proprio ciò che nei vangeli più antichi fornì il pretesto per l'Ultima Cena, precisamente l'istituzione della Comunione. Invece lo scrittore del vangelo fa di questo pasto nient'altro che una prova finale dell'amore provato da Gesù verso i suoi discepoli. Allo stesso tempo la sua intera presentazione del racconto della Passione è dominata dal rituale pasquale ebraico.

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