martedì 11 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXXV)

(per il capitolo precedente)

XXXIV
Ciò che ha reale importanza è che, nei vangeli sinottici, Gesù proibisce a quelli che guarisce di chiamarlo il Figlio di Dio. Egli neppure accetterebbe il titolo del Messia dai suoi stessi discepoli fino alla fine, e mai li lascerebbe usare quel'appellativo in pubblico. Non fino al giorno prima della sua morte egli si rassegna a quel titolo.
Il quarto vangelo mostra uno stato di affari del tutto diverso. Si apre in bellezza, e abbonda di lode devozionale ogni volta che uno dei discepoli reca testimonianza. Così Andrea dice: “Abbiamo trovato il Messia”. E Natanaele dice: “T
u sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!. Nei vangeli più antichi Gesù ha assunto un approccio sprezzante verso simili distinzioni. Qui li incoraggia. Essi compaiono perfino nei suoi stessi detti. Nei vangeli sinottici, Gesù non parla mai di sé come del Messia. Il credo dei discepoli in lui come tale sembra prender forma lentamente. E sembra come se alla fine questo credo lo persuase pure lui.
Ma nel quarto vangelo ha preso luogo una complea trasposizione teologica. Già al battesimo, la figura originaria di Gesù è diventata modificata, cosicchè invece di essere battezzato da Giovanni, ora è lui stesso il Battezzatore, di cui l'uomo più anziano dice: “Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me”. Gesù è il Messia fin dall'inizio. Filippo trova Natanaele e gli dice: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe”. Al vedere avvicinarsi Natanaele, Gesù esclama: “Ecco un vero israelita in cui non c'è frode!”. E Natanaele dice:
“Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele! Al che Gesù replica: “Da ora innanzi vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo”. In altre parole, tutte le considerazioni psicologiche sono state spazzate via a favore di un dogma teologico che appare in tutta la sua nudità fin dall'inizio.
Anche questo è illuminante. Nei vangeli sinottici, ci si è affaticati per raffigurare un Gesù leale e neutrale verso l'Impero romano senza alcuna riserva. Di volta in volta il Messia asserisce: “Il mio regno non è di questo mondo”. Quando tentano di condurlo in conflitto col potere secolare e gli domandano se sia legittimo dare il tributo a Cesare, egli risponde altezzosamente e senza la minima idea di una separazione da Roma:
Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Secondo Matteo 27:37, Marco 15:26 e Luca 23:38, l'iscrizione collocata sopra Gesù sulla croce (in lettere greche, ebraiche, e latine, secondo Luca) per indicare il suo crimine, fu: “Questo è il Re degli Ebrei”. Stando a loro, i vangeli più antichi, egli fu accusato irragionevolmente e ingiustamente di aver posato da re del popolo ebraico.
A nostra sorpresa, quest'idea di indicare l'accusa come ingiusta è stata persa di vista nel quarto vangelo. E nè è fatta qualche menzione dell'iscrizione stessa. [In questo il Dr. Brandes è in errore. L'episodio con l'iscrizione sulla croce si verifica in Giovanni 19:19-22 ed è trattato molto più pienamente che negli altri vangeli.]

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